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PRESENTAZIONE

La prima edizione del convegno internazionale su "Scienza e Democrazia", tenutasi nel 2001 a Napoli nella sede dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ( 20-21 aprile 2001 ) è stata probabilmente la prima iniziativa del suo tipo che abbia avuto luogo, nel decennio precedente, in Italia e in molti altri paesi.

Ad essa hanno fatto seguito altre quattro edizioni, la seconda nel 2003 ( 12-14 giugno ), la terza nel 2005 ( 20-22 ottobre ), la quarta nel 2008 ( 15-17 maggio) e la quinta nel 2011 ( 14-16 aprile).

Tre volumi di atti sono stati pubblicati, di cui l'ultimo, in inglese, è liberamente disponibile in pdf su questo sito, ma può anche essere acquistato in formato cartaceo.

Un libro che, tra le altre cose, traccia un bilancio di questa esperienza è Scienziati e laici.

Le motivazioni dell'iniziativa erano così riassunte nel manifesto della prima edizione, di cui riproduciamo qui la parte saliente:

<<Il convegno si propone di riaprire la discussione su un tema la cui rilevanza per la vita - non solo intellettuale - di tutti è molto superiore all'impegno analitico e teorico speso attualmente su di esso.

La questione del controllo democratico sulla scienza, riproposta con vigore negli anni Settanta fa dall'epistemologo Paul K. Feyerabend, è oggi per lo più rimossa, in parte a causa di quasi automatiche associazioni con famigerati esempi di repressioni politiche della ricerca, come quelli legati ai casi Galileo e Lysenko. Sarebbe tuttavia difficile interpretare tali episodi in termini di abuso di potere da parte dell'opinione pubblica, la quale svolse in essi un ruolo, al massimo, di cassa di risonanza di decisioni e condanne avvenute ‘a porte chiuse’ nelle sedi usuali del potere (culturale e non).

Più recentemente, invece, nelle democrazie occidentali sono sorti movimenti di opinione - che si sono espressi attraverso iniziative di singoli e di gruppi, per lo più al di fuori dei canali della politica tradizionale - suscitati da vari tipi di preoccupazione per la salute, l'ambiente, e l'integrità della persona: ne hanno dato occasione l'introduzione di nuovi sistemi nella produzione energetica e agroalimentare; tecnologie ormai già entrate nella vita quotidiana (linee elettriche, telefonia mobile); la definizione a livello ufficiale di nuovi criteri scientifici di ‘vita’ e di ‘morte’; l'assenza o l'insufficienza di riconoscimenti ufficiali per terapie mediche alternative ecc. Che il rapporto tra cittadini e scienziati - spesso ricoprenti il ruolo di ‘esperti’ e consiglieri di esponenti politici - non abbia ancora raggiunto un equilibrio che permetta un genuino dialogo è provato, da un lato, dai frequenti appelli degli ‘esperti’ affinché i cittadini si scrollino di dosso l’"analfabetismo scientifico" da cui sarebbero endemicamente afflitti, dall'altro dalla crescente sfiducia dei cittadini verso la comunità scientifica, sospettata di collusione con potenti interessi economici.

È evidente che il tentativo di eliminare alla radice il problema, riservando i dibattiti decisivi a cerchie privilegiate, e allestendo operazioni di propaganda per tutti gli altri, non potrà che allargare la frattura tra gli scienziati da un lato, e la società civile che ne sostiene l'attività professionale e garantisce loro un ruolo pubblico, dall'altro. È dunque importante approfondire i termini in cui si può creare uno spazio di reale confronto, lontano tanto dai rifiuti aprioristici (del resto piuttosto rari) che dai tentativi di indottrinamento (molto più frequenti). In quest’ultima categoria va senz’altro inserita, per esempio, l’identificazione, effettuata per screditare le critiche ‘dal basso’, tra rifiuto di certe tecnologie e rifiuto della tecnologia, o addirittura della scienza, in generale.

Ma per tentare di risolvere il problema del controllo democratico della ricerca scientifica, bisogna prima affrontare un problema che raramente è messo in connessione con esso, e cioè quello della politica interna delle comunità scientifiche. Che il sapere scientifico aspiri al rango di conoscenza priva di connotazioni politiche o ideologiche non impedisce che esso sia un sapere profondamente sociale, e cioè prodotto all'interno di collettività dotate di una propria struttura gerarchica, che valutano, premiano e puniscono i propri componenti, che esercitano varie forme di controllo sulle opinioni che si possono sostenere o anche solo discutere pubblicamente, ecc. Questa dimensione è stata a lungo ignorata da epistemologi e storici, ma una nuova generazione di studiosi, negli ultimi due decenni, ha cominciato a proporre interessanti ricostruzioni del contesto della ricerca scientifica, restituendo ad essa quel carattere di attività umana, sia pure con importanti peculiarità, che le trattazioni tradizionali tendevano sostanzialmente ad abolire. E come nel caso della politica degli stati, così la politica interna delle comunità scientifiche non può comprendersi al di fuori della loro ‘politica estera’, cioè del rapporto con la società in generale - istituzioni politiche, forze economiche, media ecc.; viceversa questo rapporto risente in misura notevole delle istanze interne delle comunità, prima fra tutte la necessità di supporto economico, per ricerche sempre più costose e con ricadute sociali quanto meno da discutere seriamente.

La scienza è quindi luogo di incontro, e a volte di scontro, tra richieste di rassicurazione e di risoluzione di problemi, da parte della società, e di aspirazioni di gruppo e di carriere individuali, da parte dei suoi praticanti. Perciò un'analisi corretta dei rapporti tra scienza e democrazia esige una molteplicità di punti di vista e di dati, e la confluenza di esperienze e competenze diverse.>>