Sergio Calderaro
Era il sei luglio di tanti anni fa
Ricordo ancora la faccia del metronotte che mi urlava contro, le grida del preposto della banca, dei suoi innumerevoli assistenti e persino la voce del cassiere che urlava al metronotte di buttarmi fuori dalla filiale.
Quello che era successo aveva dell’inspiegabile e forse del grottesco. Dopo una doverosa attesa davanti alla sede della banca che mi aveva consentito di parlare amorevolmente con un signore che produceva olio al centro della Sicilia e difendeva a spada tratta le caratteristiche dell’olio di provenienza locale, finalmente veniva il mio turno. Ero entrato portando, come d’obbligo allora, una mascherina; ricordo ancora il tipo: era una ffp3. La conoscevo bene. Per lavoro l’ avevo indossata innumerevoli volte. Infatti in una vita passata ero stato, per trent’anni, da biologo, titolare e direttore tecnico di un laboratorio di analisi chimico-cliniche, microbiologiche e radioimmunologiche, mi ero occupato pure di igiene dei luoghi di lavoro, avevo progettato e realizzato numerosi corsi di formazione per medici, biologi, operatori sanitari, per la prevenzione delle infezioni ospedaliere, l’effettuazione dei prelievi di campioni biologici, compresi i tamponi oro/nasofaringei, avevo insegnato corretta prassi igienica da osservarsi nei locali destinati alla ricettività (hotel, ristoranti, b&b, uffici, cliniche), nei luoghi di produzione degli alimenti (tra i più svariati: dalle friggitorie ai grandi impianti di produzione, di stoccaggio e lavorazione), mettendo a punto e applicando piani per la sicurezza sui luoghi di lavoro per salvaguardare le condizioni igieniche dei prodotti alimentari,delle strutture e dei macchinari destinati alla trasformazione, al confezionamento e distribuzione degli alimenti, nonché delle maestranze impegnate a vario titolo nella produzione e trasformazione dei cibi o nel corso di attività tra le più diverse. Ora dovete sapere che, pur essendo ormai in pensione, chi ha fatto un lavoro come il mio non smette di essere biologo, così come uno che ha dipinto quadri tutta la vita e poi ha smesso non può essere definito un ex pittore.
Ero entrato, dicevo, in banca ed ero quasi arrivato al bancone, quando un signore in divisa e mascherina mi disse: “Lei deve uscire: non può entrare con quella mascherina”. Restai un po’ a metà tra lo stupito e l’incredulo e gli chiesi perché e in base a quale disposizione affermava che la mia mascherina non andava bene, gli chiesi inoltre se queste disposizioni venivano da leggi, norme, ordinanze, disposizioni interne o altro. Richiesi delucidazioni su quale mascherina fosse opportuno indossare. Lui mi disse: “È scritto chiaramente sul foglio fotocopiato che è affisso sul vetro all’ingresso”. Si consideri che il tipo di mascherina che indossavo poteva, per le sue caratteristiche tecniche, essere definita più “sicura” di quella chirurgica. Nel frattempo una simpatica collaboratrice mi offrì di indossare una mascherina anonima in tessuto-non-tessuto, presa chissà da dove, maneggiata con gentilezza ma sicuramente non in modo ortodosso. Con rimostranze e una discreta resistenza cercai di rispiegare l’ovvia considerazione che se la ffp3 si usa in luoghi e circostanze più restrittive del locale di una banca, secondo il principio che il maggiore contiene il minore, la mascherina cosiddetta chirurgica era in realtà meno sicura di quella che avevo indosso. A questo punto il cassiere in un impeto, diciamo così, di “corretta prassi igienica”, dopo essere uscito furente dal bancone dove stava assiso chiese a me, urlando, di uscire, e alla guardia giurata di buttarmi (accompagnarmi) fuori. A questo punto anche la guardia giurata posseduto da un impeto simile mi spiegò con certezza: “La sua mascherina ha la valvola: lei respira l’aria buona e butta fuori quella cattiva!”. È solo a questo punto che presi la decisione che sarebbe stata l’orgoglio di un saggio pensatore orientale (“se non puoi affrontare il tuo nemico, abbraccialo….”): accettai la mascherina “chirurgica” che mi veniva offerta e feci le mie operazioni (su carta ) in quanto la tavoletta elettronica con cui si autenticava la firma era stata disabilitata non so se per malfunzionamento o per motivi igienici. Ricordo che tornai a casa un po’ alterato e discretamente confuso.
Era tanto tempo fa. Quando infatti finirono gli stock di mascherine ( che dovevano essere smaltite ) cessò il loro uso e ora, di tanto in tanto, le usiamo a carnevale quando riandiamo con un po’ di nostalgia ai bei tempi del covid-19 e della guardia giurata, del preposto della banca, della sua assistente, del cassiere che erano stati tramutati, in brevissimo tempo, in accaniti, solleciti esperti di mascherine e di principi di igiene.
Post scriptum
Se solo avessero voluto ascoltarmi sarei potuto essere una risorsa e non un problema. Avrei consigliato al responsabile di filiale, se veramente avesse voluto combattere un teorico inquinamento da virus, di controllare:
- i piani di lavoro, le maniglie, gli arredi;
- le tastiere dei bancomat, gli interni degli elaboratori dei pos, le carte, le penne;
- i filtri dei condizionatori (importantissimi non solo per il SARS-CoV-2);
- i vestiti dei presenti (clienti e personale), le loro condizioni di salute;
- il numero dei ricambi d’aria all’ora e la posizione e la pulizia delle prese d’aria e dei condotti.
Gli avrei consigliato inoltre di accertarsi dell’innocuità dei materiali e dei detersivi e prodotti utilizzati per la sanificazione-pulizia-disinfezione e del loro uso corretto, stando attenti a scartare quelli che potevano essere inquinanti o pericolosi (quelli sì!) per la salute.
Inoltre, pur riconoscendo una certa gentilezza nell’offerta della mascherina, e anche se a caval donato…, vorrei ricordare che le mascherine sarebbero dovute essere confezionate singolarmente, contenere una certificazione che ne descrivesse le caratteristiche, che attestasse se e quali prodotti erano stati utilizzati per la loro disinfezione, che precisasse l’uso al quale erano destinate e che mai, in nessun caso, dovevano essere estratte dalla confezione e manipolate da persone diverse da chi avrebbe dovuto usarle (se cosciente). Le disposizioni e la corretta prassi erano comunque reperibili sul sito dell’ISS, che faceva riferimento a fonti legislative sicuramente cogenti, non potendo essere arbitrariamente stabilite da circolari interne: le sedi delle banche, almeno a quel tempo, non godevano di extraterritorialità ed erano, anche se un po’ stranamente, soggette alle leggi dello stato.
Inserito: 13 luglio 2020
Scienza e Democrazia/Science and Democracy
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