[I seguenti due articoli descrivono, con le parole del suo fondatore e presidente, avv. Gerardo Marotta, sia le origini e alcuni aspetti della storia dell’Istituto, sia di come esso sia stato messo in serie difficoltà economiche dagli ultimi tagli alla cultura operati dal governo in carica. Questo è accaduto nonostante 35 anni di un’attività cosmopolita di promozione della cultura filosofica e scientifica che onora l’Italia, come è dimostrato anche dai tanti prestigiosi riconoscimenti ricevuti. (Nota di MMC)]
[Vincenzo Morvillo, Liberazione, 24 giugno 2010, supplemento
Lotte, p. iv]
Studiosi, intellettuali, docenti – come
Francesco Barbagallo, docente di Storia contemporanea
presso l’Università di Napoli Federico II, Guido D’Agostino, presidente
dell'Istituto Campano per la Storia della Resistenza, Silvio Perrella, presidente della Fondazione Premio
Napoli – ma anche politici – come il sindaco Rosa Russo Iervolino,
Nicola Oddati, assessore comunale alla Cultura e
presidente del Forum Universale delle Culture, e la senatrice Pd Annamaria Carloni - si sono
riuniti lunedì 14 giugno, al Maschio Angioino di
Napoli, per dire no ai tagli alla cultura inseriti nella manovra finanziaria
varata dal governo Berlusconi. Il dibattito, dal
titolo “La città di Napoli per la salvezza della cultura e della ricerca”, è
stato organizzato dall’avvocato Gerardo Marotta,
presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la cui esistenza
ultratrentennale – insieme a quella di altre 232
istituzioni culturali del paese, tra fondazioni, associazioni, istituti,
accademie – è messa fortemente a rischio dalla scure di Tremonti
che - come è stato dichiarato da molti degli intervenuti - con cieca
determinazione e letale precisione, sta tentando di colpire al cuore l’intero
tessuto culturale italiano.
A conclusione del dibattito, dunque, abbiamo
voluto rivolgere proprio all’avvocato Marotta alcune
domande, riguardo al futuro del suo Istituto, ma anche per raccogliere le sue
impressioni sul futuro della cultura italiana e meridionale, alla luce degli
attuali provvedimenti legislativi.
Avvocato Marotta,
che avvenire si profila per l’Istituto Italiano Studi Filosofici, a fronte dei
tagli alla cultura operati dal ministro Tremonti?
Quello che si profila è un avvenire
non certo felice, anzi! Per il ministro, che deve far quadrare i conti del
paese alla luce della crisi economica, questi non sono altro che sacrifici,
alla stregua di quelli che faranno – o meglio dovrebbero fare
– tutti gli italiani; per noi, invece, questi tagli significano la morte
dell’Istituto. Si tratta, infatti, di una decurtazione del 50% rispetto agli
stanziamenti previsti in passato, e dobbiamo anche ringraziare la sensibilità
del Presidente Napolitano se questa riduzione non è
stata ancora più ingente. Inizialmente, infatti, si parlava di una riduzione,
per il 2010, pari al 70%, ridottasi poi, come ho detto, in seguito
all’intervento del Presidente della Repubblica.
Inoltre, va anche sottolineato che il governo,
attraverso i tagli alla cultura, riuscirà a raccogliere ben poca cosa - circa
20 milioni di euro - in proporzione all’entità complessiva di una manovra che
si aggira intorno ai 23 miliardi, mentre il rischio di privare l’Italia del suo
bene più prezioso, e le giovani generazioni del loro futuro, è altissimo.
Lei – come altri
relatori presenti – durante il suo discorso a chiusura del convegno ha fatto più volte
riferimento al Presidente della Repubblica, dicendo che spera vivamente in un
suo aiuto. Qual è
l’appello che intende rivolgere a Napolitano?
Non riceviamo fondi dall’inizio di quest’anno. Il 31 dicembre del 2009 è scaduto un
emendamento, contenuto nella Finanziaria del 2005, sul finanziamento agli
istituti di cultura e non è stato prorogato. Inoltre, vantiamo crediti che
risalgono al 2004.
Per questo intendo parlare con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lui deve aiutarci a
ottenere una proroga dell’emendamento. L’Istituto è senza un euro e stiamo
vendendo i beni privati della famiglia. A me non importa, perché penso alla
collettività e alle giovani generazioni; neanche è giusto, però, che a fronte
dei sacrifici personali, il governo non faccia niente per aiutare un’istituzione
che costituisce un vanto, non solo per Napoli e la cultura meridionale, ma per
l’Italia tutta e per l’Europa. Al ministro per i Beni e le Attività Culturali,
Sandro Bondi, voglio dire,
poi, che venga a trovarci: si farà un’idea delle nostre attività. Il Governo
ignora la forza che ha questo Istituto.
Cosa significherebbe per la cultura e la città di
Napoli – oltre che per l’Italia tutta – se l’Istituto dovesse chiudere o
vedesse ridimensionata la sua attività?
Sarebbe un danno gravissimo per la città
e per il paese. Noi portiamo avanti grandi impegni internazionali: le duecento
scuole e biblioteche create nel mezzogiorno d’Italia; i mille seminari promossi
dall’Istituto, sia in sede che a livello europeo; il sostegno delle scuole che
l’Istituto ha fondato ad Heidelberg
nel 1990 ecc. In definitiva, verrebbe meno una rete di relazioni intellettuali
intessuta dall’Istituto in 35 anni di attività, che ha concorso allo sviluppo
della ricerca e dell’informazione nel nostro paese, contribuendo a diffondere
nel mondo l’immagine di un’Italia colta, operosa, civile.
Si sono levate molte proteste, contro i tagli in genere ed in difesa
dell’Istituto in particolare, da più parti – società civile,
mondo politico, mondo intellettuale. Come si è comportata la sinistra
campana, di solito sensibile ai temi della cultura?
A dire il vero, ci saremmo aspettati
qualcosa in più. Eccezion fatta per qualche testimonianza di natura
strettamente personale e per il sostegno morale che mi è stato dato dalla
federazione napoletana del Prc, non c’è stata grande partecipazione da parte del mondo politico. Sarebbe
auspicabile, invece, una collaborazione fattiva da parte di tutti i gruppi
politici.
Tremonti, Bondi e tutta la compagine
di governo – sostenuti, in realtà, anche da non pochi esponenti
dell’opposizione – affermano che, per arginare la crisi, i tagli alla cultura
sono necessari. Anche perché molti enti, a loro dire,
sarebbero inutili. Lei cosa risponde?
Rispondo che, in linea di principio,
i tagli alla cultura e alla ricerca non andrebbero mai fatti, se non altro
perché anti-economici. E questo perché, a mio modo di vedere,
cultura e ricerca sono il motore fondamentale per la ripresa e lo sviluppo
economico e sociale del paese. Se poi ci sono enti ed istituti che non assolvono al loro compito, questo sarebbe da accertare caso
per caso. Quello che è inaccettabile, comunque, sono i
cosiddetti tagli orizzontali, indiscriminati.
Senta avvocato
ma, dopo tutto questo, lei quali prospettive future vede per la cultura
italiana, considerato che il modello berlusconiano
sembra ormai avere dilagato e che questo governo ha davanti a sé altri tre
anni, a meno di elezioni anticipate?
Beh! Le cose vanno senz’altro male,
soprattutto a causa di una classe dirigente chiusa ai problemi della cultura.
Tuttavia, la nostra esperienza, specialmente nel Mezzogiorno, ci mostra che ci
sono ancora molte energie, soprattutto tra le giovani generazioni, disponibili
per la ricerca tecnologica, per l’allargamento della coscienza civile, per lo
sviluppo culturale e scientifico. Naturalmente, tenere vive queste energie non
è compito facile: ecco perché c’è bisogno di risorse umane ed economiche e
dell’interessamento della società intera, specialmente del mondo politico ed
intellettuale.
Un’ultima domanda. Siamo alla vigilia del 150° anniversario dell’Unità
d’Italia: un’unità, diciamolo pure, non proprio
cementata, dove la questione meridionale è ancora una delle ferite aperte nella
carne di questa democrazia tanto fragile. Lei cosa ne pensa?
È indubbio che la questione
meridionale sia ancora un problema fondamentale, ma è anche vero che essa
sembra avere perso una parte della sua rilevanza all’interno del dibattito
culturale e politico dell’Italia di oggi. Questo è
dipeso da vari fattori, uno dei quali è, senza dubbio, la messa in discussione,
da più parti, dell’unità nazionale. Nei fatti, però, una questione meridionale,
come questione che coinvolge l’intero paese da un
punto di vista socio-economico e politico-culturale, continua ad esistere. Il
punto fondamentale è ricollocare, magari in termini nuovi, questa questione
all’interno del problema più complessivo dello sviluppo economico e civile di
un paese come l’Italia, a sua volta ben radicato nell’Europa moderna.
* * *
[Tonino Bucci, Liberazione, 10 settembre 2010, p. 8]
Eugenio Garin, Karl Popper,
Hans-Georg Gadamer, Jean Starobinski, Ilya Prigogine, Steven Weinberg. E’
sconfinato l’elenco di studiosi che hanno animato le attività dell’Istituto
italiano per gli studi filosofici negli oltre trent’anni
della sua storia. Filosofi, scienziati, fisici, premi Nobel, ricercatori di
tutto il mondo, ma anche istituzioni culturali, biblioteche, università e musei
di altri paesi con i quali si è creato una fitta rete
di scambi. Oggi l’Istituto (con sede a Napoli nel Palazzo Serra di Cassano)
nato nel 1975 attorno a Gerardo Marotta – che ne è il presidente a vita – ha all’attivo scuole di
formazione in tutto il Mezzogiorno, pubblicazioni, seminari, mostre, una
quantità impressionante di volumi, ricerche e traduzioni, fra le quali spicca
quella delle opere di Giordano Bruno. E poi, ancora, le lezioni di storia della
filosofia realizzate con la Rai, le collane di
edizioni critiche dei testi della filosofia greca, convegni scientifici come
quello organizzato assieme al Cern di Ginevra.
Dell’Istituto italiano per gli studi filosofici varrebbe la pena parlare per
ben altri motivi che non fossero quelli ormai abituali nel dibattito sugli enti
culturali italiani. Come per tante altre fondazioni e associazioni anche
l’Istituto è costretto a fare a meno dei contributi statali, tagliati
nell’ultima manovra finanziaria di Tremonti prima
dell’estate. Sono oltre duecento (232 per la precisione) i centri di ricerca e
di studio a rischio di chiusura. Rappresentano il fiore
all’occhiello della cultura nazionale, in molti casi gestiscono un
patrimonio preziosissimo di documenti, volumi, ricerche e studi. Anche l’Istituto italiano per gli studi filosofici non se la
passa bene. Non che i governi siano mai stati particolarmente
generosi, tranne qualche eccezione, come ci spiega l’avvocato Gerardo Marotta, 83 anni, presidente a vita. Una storia, la
sua, che si intreccia con quella dell’Istituto.
Riconoscimenti internazionali, una laurea honoris causa dalla Sorbonne di Parigi, la Goethe-Medaille
dalla Germania, la medaglia d’argento Pietro il Grande
dall’Accademia russa di Mosca. Negli anni giovanili, dopo la laurea in legge, Marotta si avvicina all’Istituto italiano per gli studi
storici, quello fondato da Benedetto Croce, partecipa ai seminari del gruppo
Antonio Gramsci, poi a sua volta dà vita
all’associazione Cultura Nuova e, assieme al matematico
Renato Caccioppoli, al Circolo del cinema.
Dalla fine della guerra ai primi anni Cinquanta si forma a Napoli un movimento
politico e culturale. «Vennero personaggi del calibro di Vasco Pratolini, Natalino Sapegno,
Concetto Marchesi, Ranuccio Bianchi Bandinelli,
Massimo Mila, Norberto Bobbio. Organizzavamo mostre
di Renato Guttuso. Dal ’47 al ’54 facemmo
l’ira di Dio a Napoli, eravamo i padroni della cultura napoletana».
Negli anni Marotta accumula una biblioteca
impressionante, una mole di volumi provenienti da Parigi, Berlino e Londra. Nel
1954 Marotta lascia l’attività di animatore
culturale e si dedica completamente alla professione di avvocato. Nel giro di vent’anni lo studio legale che gestisce cresce d’importanza
fino a contare una decina di procuratori. Finché un
giorno, nel 1974, «si presentarono a casa mia il presidente dell’Accademia dei Lincei Enrico Cerulli ed Elena
Croce, la figlia del filosofo. Mi esposero il progetto di fondare un Istituto e
creare nuovamente un movimento culturale a Napoli simile a quello che avevo
contribuito a far nascere nei miei anni giovanili. Enrico Cerulli
era preoccupato del declino delle grandi correnti culturali dell’Europa.
Aveva in mente gli scritti di Francesco Saverio Nitti,
L’Europa senza pace, La decadenza dell’Europa, La tragedia dell’Europa. Nitti, come noto, accusava le classi dirigenti europee dopo
la Prima e la Seconda Guerra mondiale di non essere state
capaci di creare una federazione europea sul modello di quella degli
Stati Uniti d’America. Questa federazione non si è mai realizzata, neppure
oggi. La stessa Unione Europea assomiglia di più a una
variante della vecchia Società delle nazioni piuttosto che a una vera e propria
federazione. C’è un’analogia col destino dell’antica Grecia che non seppe fare
l’unità delle polis, nonostante gli avvertimenti di Pericle, e finì per diventare una mera appendice geografica dell’Europa
prima, una provincia sotto il dominio dei turchi dopo».
Nel maggio del 1975 nasce l’Istituto italiano per gli studi filosofici con l’ambizione di porsi in una dimensione culturale europea, di farsi luogo d’incontro fra grandi tradizioni di pensiero, come tra scienza e umanesimo, ad esempio, o tra liberalismo e neoidealismo. Globale, certo, ma anche in continuità con una tradizione locale, con le aspirazioni “universalistiche” di una borghesia intellettuale napoletana, storicamente priva di destinatari sociali, di un “popolo” di riferimento, e proprio per questo proiettata verso un contesto sovranazionale, verso una cultura cosmopolitica di cui, nella fattispecie, la filosofia neoidealistica fornirà strumenti e categorie “eterne” dello Spirito. La stessa formazione giuridico-filosofica di Marotta inizia con gli studi su Hegel e gli hegeliani di Napoli, «primo fra tutti quel Silvio Bertrando Spaventa, condannato a morte durante il regno del borbone Ferdinando II, poi costretto a rifugiarsi in esilio a Torino». Quando nasce l’Istituto Marotta assume la carica di presidente a vita e abbandona la professione di avvocato. Fin dai primi tempi la sede della biblioteca, allora in viale Calascione, diventa il luogo d’aggregazione di un movimento filosofico internazionale. Arrivano studiosi e borsisti da ogni parte d’Italia e d’Europa, «Kristeller dall’America, Gadamer dalla Germania, Ricoeur dalla Francia». Affluiscono anche fisici e chimici, il progetto è ambizioso, trovare una sintesi tra la filosofia novecentesca e la scienza. «Prigogine diventò presidente onorario dell’Istituto». A coronamento giunge nel ’93 anche il riconoscimento dell’Unesco che con un rapporto firmato da esponenti della cultura internazionale definisce l’Istituto «pari al mondo». In Europa l’Istituto farà sentire la sua voce quando negli altri paesi si discute dell’ipotesi di eliminare lo studio della filosofia e della cultura classica dai licei. E a proposito di personaggi politici, è Mitterrand tra quelli che con l’Istituto ha un rapporto assiduo. «ancora con un certo orgoglio – racconta Gerardo Marotta – quando nel 1989 intervenne perché portassimo a Parigi la nostra mostra sulla rivoluzione giacobina napoletana nell’ambito delle celebrazioni della rivoluzione francese». Seguono anni di riconoscimenti, titoli, persino dalle Nazioni Unite, «di tutto questo il governo italiano non si è accorto. Fu solo nel ’93 che Ciampi, allora presidente del consiglio, ci riconobbe spontaneamente il merito di aver costruito un grande Istituto senza finanziamenti pubblici, ricorrendo soltanto al mio patrimonio personale e di famiglia. Quell’anno le risorse dell’otto per mille vennero destinate all’Istituto, ben dieci miliardi di lire, con cui creammo duecento scuole di formazione nel Mezzogiorno. Il dovere dei governanti dovrebbe essere quello di sostenere e promuovere la cultura del proprio paese. In questo momento siamo senza soldi. Nel 2005 un emendamento alla finanziaria aveva ripristinato i contributi all’Istituto, ma gli effetti sono cessati il 31 dicembre del 2009. Per di più, di quei finanziamenti, abbiamo ricevuto solo una parte. Dobbiamo ancora avere gli arretrati dal 2007 al 2009, ma in realtà non li avremo mai perché lo Stato non può pagare per mancanza di cassa. Morale della favola, ancora una volta ho dovuto vendere i beni di famiglia».
Inserito: 11 ottobre 2010
Scienza e Democrazia/Science and Democracy