Angelo Baracca


L’energia nucleare: una scelta cara, inutile, e pericolosa




Un rilancio improbabile

Le “luminose” prospettive di rilancio massiccio dei programmi nucleari semplicemente … non esistono! È interessante guardare all’andamento della potenza elettronucleare installata nel mondo, fig. 1. Dopo una crescita piuttosto rapida negli anni ’70, gli ordini di nuove centrali ebbero uno stop dopo l’incidente di Three Mile Island del 1979, la crescita proseguì per inerzia negli anni ’80 per il completamento delle centrali già in costruzione, ma rallentò sensibilmente negli anni ’90, fino ad appiattirsi, raggiungere un debole culmine attorno al 2005, e poi rallentare ad un tasso attorno a meno 2% all’anno. L’energia nucleare copre appena il 2% dei consumi finali mondiali di energia1.



Fig. 1





Questa tendenza non è destinata ad invertirsi nel futuro, poiché a fronte di qualche decina di nuove centrali in costruzione (e si dovrebbe vedere caso per caso cosa voglia dire “in costruzione”, in non pochi casi si tratta di progetti autorizzati, ma l’autorizzazione non significa costruzione, potrebbe venire annullata, o ceduta ad altre imprese), saranno centinaia le centrali oggi in funzione molto vecchie e vicine alla chiusura (su circa 440, un centinaio ha più di 30 anni, circa 300 hanno più di 20 anni). Inoltre i progetti in costruzione sono concentrati soprattutto in India, in Cina, in altri paesi asiatici, pochissimi riguardano i paesi più industrializzati: cosa che è stata denunciata espressamente da autorevoli organi d’informazione, New York Times e Financial Times.2 Anche le decisioni, o proposte, da parte di alcuni governi di prolungare di una decina d’anni la vita operativa delle centrali attuali quando giungano al termine, oltre ad essere pericolosa, riflette per lo meno il rinvio, se non la rinuncia, a ordinare nuovi reattori nucleari, sembrano cioè provvedimenti ponte, per prendere tempo e consentire il maturare di alternative migliori.



Un vero rilancio richiederebbe la costruzione di almeno un migliaio di centrali, con costo che si aggirerebbero tra 5.000 e 10.000 miliardi di Euro! Sembra difficilmente compatibile con la situazione economica attuale. Sui costi tornerò.



Una tecnologia vecchia e obsoleta

Da quanto detto si deduce che la tecnologia nucleare, lungi dall’essere la tecnologia avanzata di cui spesso si parla, è solo una tecnologia complessa, per di più vecchia e pericolosa: se dopo 60 anni è in condizione di stallo e non è, oggettivamente, stata capace di rinnovarsi, vuol dire che ormai è una tecnologia obsoleta. Del resto, per esempio, la società francese Areva, che dovrebbe commercializzare il nuovo reattore EPR, si trova in una situazione economica gravissima, perché il reattore non si vende e i pochi prototipi in costruzione incontrano enormi ritardi, problemi ed aumento dei costi. Anche se va detto che questa situazione non ci autorizza a dormire sonni tranquilli, perché la lobby nucleare è molto potente, gli affari in gioco sono miliardari, e le pressioni sui governi sono fortissime.



Dopo 60 anni, come dicevo, la tecnologia nucleare non si è rinnovata. Mentre dopo l’incidente di Chernobyl del 1986 anche i nuclearisti dicevano che non si possono più costruire questi reattori, in realtà quelli sui quali ora si punta al rilancio non sono nulla di nuovo: sono gli stessi reattori, ovviamente con migliorie ed aggiunta di sistemi di sicurezza, ma con gli stessi problemi dei precedenti (insicurezza, rifiuti radioattivi, ecc.: v. oltre). L’efficienza termodinamica (percentuale dell’energia prodotta che viene effettivamente utilizzata) rimane inchiodata a poco più del 30%, per caratteristiche intrinseche, chimico-fisiche, del combustibile: intanto il rendimento del ciclo combinato gas-vapore è schizzato oltre il 55%. Il solo fatto che l’energia di altissima qualità sviluppata nella fissione nucleare (corrispondente come qualità a milioni di gradi), sia utilizzata come calore a poche centinaia di gradi è una vera “strage termodinamica” che conferma il carattere obsoleto di questa tecnologia.



L’energia nucleare non sostituisce il petrolio, e non incide sulla dipendenza dal petrolio

Un’altra leggenda da sfatare è che l’energia nucleare sia l’alternativa al petrolio, il cui esaurimento non è lontano. Infatti con l’uranio si produce solo energia elettrica, che è meno di un quinto dell’energia consumata a livello mondiale, con poche variazioni nei vari paesi. L’energia nucleare non può in alcun modo sostituire gli altri 4/5 di consumi energetici, che vanno nei trasporti, usi domestici, agricoltura e altri usi.



Un esempio concreto è la Francia (su cui ritorneremo), che produce quasi l’80% dell’energia elettrica per via nucleare, ma importa più petrolio dell’Italia, e soprattutto ha i consumi di petrolio pro capite più alti d’Europa.



Anche l’uranio è una risorsa esauribile, e in via di esaurimento; i reattori di 4a generazione

Si tenga conto inoltre che anche l’uranio è una fonte primaria esauribile: la considerazione dei depositi minerari più ricchi valutano il loro esaurimento in 60-70 anni, ai ritmi di consumo attuali. Questo conferma l’inconsistenza di programmi nucleari che prevedrebbero la costruzione di centinaia di reattori, la cui costruzione richiederebbe decenni, e la cui vita operativa sarebbe di 60 anni! Esistono certamente molti altri depositi i cui minerali sono però più poveri di uranio: a parte l’ovvio aumento dei costi di estrazione, e dell’energia necessaria, vedremo in seguito quali problemi questo comporterebbe.



Si favoleggia dei futuribili reattori di “4a generazione”, che dovrebbero avere proprietà portentose: produrre più combustibile di quanto ne consumano (autofertilizzazione), produrre meno scorie, bruciare le scorie più pericolose prodotte fino ad oggi, prestarsi meno alla proliferazione militare, e via favoleggiando. Il problema di fondo è che questi nuovi reattori non esistono, neanche come prototipi, sebbene vi si lavori da decenni, e si parla della loro commercializzazione dopo il 2050: il che solleva legittimi dubbi, sembra che si stia brancolando più che realizzando programmi realmente praticabili, ed è veramente disonesto “promettere” risultati miracolosi da una tecnologia così complessa quando si è così lontani dal realizzarla, gli ostacoli potrebbero risultare innumerevoli, e i risultati quand’anche arrivassero potrebbero risultare ben diversi da quelli attesi (del resto la Francia ha sviluppato per 30 anni il programma di reattori veloci autofertilizzanti al plutonio, che è stato un colossale fallimento, tanto che Superphenix è stato definitivamente chiuso qualche anno fa: anche se la Francia ci ha ricavato di sviluppare la tecnologia del plutonio e il proprio arsenale nucleare militare).



Per la maggior parte dei paesi il nucleare non è una necessità, ma una complicazione

Quindi, nella maggior parte dei paesi (soprattutto in quelli più industrializzati) la scelta nucleare – come quasi tutte le altre scelte – non risponde a reali necessità, ma solo ad interessi speculativi del grande capitale, ed in particolare della potente lobby nucleare, e si rivela anzi spesso eccezionalmente costosa e profondamente inefficiente.



Facciamo due esempi: il paese “di punta” e uno dei fanalini di coda.



I problemi nucleari della Francia

La Francia è il paese al mondo che ha scelto di produrre la percentuale più alta di energia elettrica dal nucleare e viene spesso portata ad esempio di quanto sia utile il nucleare. In realtà la Francia da questa scelta così spinta sta incontrando grandi problemi, che si stanno tra l’altro vieppiù aggravando: anche se la situazione è coperta dallo Stato, che ha realizzato questa scelta e la sostiene come speculare al potente arsenale nucleare militare (la Force de frappe), il terzo al mondo, poiché l’intrinseco dual-use della tecnologia nucleare consente di ammortizzare, ridurre e nascondere molti costi (vi ritorneremo) e molti problemi (dall’estrazione/lavorazione dell’uranio, alla formazione dei tecnici, a laboratori e apparecchiature, alla gestione dei residui radioattivi, ecc.). Sul piano strettamente energetico, la Francia si è dotata, col nucleare, di un sistema energetico molto rigido. Le centrali nucleari sono intrinsecamente poco regolabili, non sono in grado di adeguarsi alle variazioni giornaliere della domanda di elettricità, per cui se il parco nucleare fornisce quasi l’80% della potenza deve arrivare a coprire i picchi della domanda: di conseguenza nelle ore di calo della domanda la Francia è costretta a vendere il sovrappiù sul mercato internazionale, ma trattandosi di momenti di minimo (i paesi europei non hanno differenze significative di orario) la domanda è scarsa e l’offerta è forte, per cui la Francia svende questa energia a prezzi molto bassi. Per contro, quando vi sono picchi eccezionali della domanda di elettricità (eccezionale condizione climatica) la Francia è costretta a importare energia che però, in condizione di picco, paga molto cara. Lo squilibrio è aggravato dal fatto che, per “giustificare” la scelta del “tutto nucleare”, la Francia ha promosso utilizzazioni interne dell’energia elettrica assurde e irrazionali, come il riscaldamento elettrico delle abitazioni, che costituisce il maggiore spreco energetico (di qualità dell’energia): anche per questo assurdo, e non per una “virtù” del nucleare, la Francia importa meno gas naturale dell’Italia.



Inoltre si deve precisare che, se è vero che l’utente francese paga l’elettricità molto meno dell’utente italiano nella bolletta (ma non meno della Germania o della Spagna, che hanno una penetrazione molto più limitata del nucleare!), non vi è dubbio che paga un sovrappiù, che nessuno sarà mai in grado di quantificare, occultato nelle imposte e destinato all’arsenale militare, nel quale, come dicevamo, sono nascosti molti costi del nucleare civile.



Ma questi non sono i soli problemi che la scelta nucleare ha creato alla Francia. Il paese infatti sta letteralmente “scoppiando” di residui radioattivi! Il problema è sempre più difficilmente gestibile, e se non è esploso è solo perché il governo lo copre il più rigorosamente possibile: il nucleare in Francia è un tabù, un presupposto della grandeur che non può assolutamente venire messo in discussione! (Come quando nel 1986 la nube radioattiva di Chernobyl invase anche la Francia, ma le autorità occultarono in modo assoluto i rischi alla popolazione: il nucleare non poteva creare problemi!). Recenti inchieste televisive3 hanno denunciato che la Francia ha nascosto e distribuito enormi quantitativi di residui a bassa attività dall’estrazione dell’uranio dalle miniere sul territorio, in zone abitate; per i residui più pericolosi la Francia, come tutti i paesi al mondo, non ha trovato una sistemazione; gli impianti di ritrattamento del combustibile esaurito di Marcoule e La Hague (la Francia è uno dei pochi paesi al mondo che ritratta il combustibile, v. oltre) sono tremendamente inquinanti, e inquinati. Ai primi di novembre 2010 un treno di scorie radioattive con un carico di 123 tonnellate di scorie radioattive, partito dalla Normandia, nell'ovest della Francia, e diretto al deposito di Gorleben in Germania, senza che venisse data informazione ufficiale alle popolazioni, è stato bloccato a Caen da alcuni militanti anti-nucleari, che hanno creato una catena umana sui binari; a Gorleben, mentre scriviamo, l’aspettano 40.000 dimostranti.



Gli assurdi, inutili e pericolosi programmi nucleari dell’Italia

Per l’Italia, ancor prima di denunciare i costi e i problemi di una ripresa del nucleare, si deve dire con molta chiarezza che non ne ha nessun bisogno! È una leggenda, che vergognosamente si fa credere all’opinione pubblica, che all’Italia manca energia elettrica, per cui è costretta ad importarla dalla Francia, che la vende a prezzi molto più bassi (abbiamo già spiegato il perché). I dati parlano chiaro, e chiunque può leggerli sul sito web della Terna (www.terna.it). L’Italia ha una potenza elettrica installata di circa 97.000 MW4, a fronte di un picco di domanda di circa 55.000 MW (tra l’altro negli ultimi anni, con la crisi, la domanda di elettricità è diminuita sensibilmente): il sovrappiù di potenza installata (42%, aumentato dal 38% di pochi anni fa) è il più alto d’Europa. È quindi chiaro come il sole che l’Italia non ha bisogno di più energia elettrica: ha invece un sistema elettrico molto inefficiente, e la speculazione fa il resto.



Per quanto riguarda l’inefficienza, e le tariffe, va sottolineato che la situazione non era così grave quando l’energia elettrica era nazionalizzata: per cui il primo obiettivo dovrebbe essere una “ripublicizzazione” dell’energia elettrica, da considerare alla stregua egli altri “beni comuni”: è evidente che la ripresa del nucleare, con l’allacciamento di unità di enorme potenza (ciascuna circa 1/60 della potenza complessiva), creerebbe ulteriori problemi all’inefficienza del sistema elettrico.



Per quanto riguarda la speculazione bisogna citare il fatto – allucinante – che malgrado l’enorme sovradimensionamento del parco elettrico nazionale, si continuano a costruire a tutto spiano nuove centrali termoelettriche: è evidente che proprio l’inefficienza del sistema e l’alto costo dell’elettricità in Italia offrono un terreno privilegiato di speculazione, che non ha nulla a che fare con i fabbisogni elettrici! Costruire una nuova centrale (di solito a gas, a ciclo combinato, con rendimento altissimo) costituisce un affare lautamente redditizio anche se essa funziona a piena potenza solo pochi mesi all’anno (si tenga conto che c’è una remunerazione anche per la sola disponibilità di allacciamento alla rete). Infatti, malgrado la sovrapotenza installata che abbiamo documentato, nell’ultima decina d’anni sono stati costruiti, senza alcun bisogno reale, circa 20.000 MW di nuova potenza (equivalenti a 13 centrali nucleari), più di 8.000 MW solo tra il 2006 e il 2008 (equivalenti a più di 5 centrali nucleari, che evidentemente avrebbero richiesto un tempo e una spesa enormemente superiori): qualcuno in Italia ha visto diminuire la bolletta elettrica in questi anni?! L’inganno è svelato, ma all’opinione pubblica si racconta un’altra storia.



I costi delle centrali nucleari

L’altra storia che si continua a voler far credere all’opinione pubblica è che l’energia elettronucleare sia conveniente. Il problema ha molte facce.



Il primo aspetto è quello del costo dei reattori nucleari. Purtroppo gli italiani, e i cittadini di altri paesi, sentono solo la voce dei governi: basterebbe che leggessero non un giornale rivoluzionario, ma il New York Times o il Financial Times per sentire un’altra storia. I costi delle centrali nucleari venivano valutati pochi anni fa sui 3-4 miliardi di $: ma alla resa dei conti le cose sono risultate molto diverse. È ormai divenuta proverbiale la vicenda del prototipo dell’EPR francese (quello di cui il governo italiano vorrebbe acquistare 4-8 esemplari) in costruzione in Finlandia, che avrebbe dovuto essere l’esempio della facilità e dell’economicità: iniziato nel 2005 per un costo previsto di 3 miliardi di Euro, ha incontrato una serie inenarrabile di problemi, i costi sono ormai saliti a 6 miliardi, e il completamento previsto per il 2009 va ormai di là dal 2012.



Ma questo è solo il caso più clamoroso. Il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha valutato5 che la costruzione di 21 reattori costerebbe 188 miliardi di $ (quasi 9 miliardi di $ l’uno). Il New York Times riporta costi di 8-9 miliardi di Euro per reattori in Gran Bretagna e in Bulgaria6. Le tristemente famose agenzie di rating Moody’s e Standard&Poor’s affermano “non siamo in grado di una determinazione definitiva dei costi complessivi”, “i costi complessivi oggi non esistono”, “è assolutamente impossibile fare stime definitive dei costi delle nuove centrali nucleari”.7


I costi dell’intero ciclo nucleare

Ma il costo della centrale è solo una voce nell’intero ciclo del nucleare: il quale va da processi “a monte” (estrazione del minerale dalle miniere, lavorazione dell’uranio, arricchimento, fabbricazione del combustibile) a processi “a valle” (gestione e custodia dei residui radioattivi, smantellamento delle centrali, chiamato decommissioning). Tutti processi che comportano costi elevati, spesso non ancora quantificabili dopo 60 anni, e molti problemi e rischi.


L’Uranio è contenuto in concentrazioni di circa lo 0,2 % nei minerali più ricchi che oggi si sfruttano (questo è inoltre un aspetto cruciale, come vedremo): il che significa che per ottenere 1 kg di uranio bisogna estrarre più di mezza tonnellata di rocce (radioattive). L’estrazione dell’uranio dal minerale richiede l’uso di solventi chimici: che lasciano enormi quantità di fanghi radioattivi, inquinanti e corrosivi. L’arricchimento dell’uranio (nell’isotopo U-235, che è appena lo 0,7% dell’uranio naturale) richiede grandi impianti e grande dispendio di energia.


Quando le sbarre di combustibile in un reattore sono esaurite e vengono estratte per essere sostituite, esse sono talmente radioattive e sviluppano una quantità di calore talmente grande che devono venire custodite per mesi in piscine nell’edificio del reattore, finché si disattivano in parte. Ma la loro destinazione successiva (trasporto, deposito, eventuale ritrattamento) comporta problemi, rischi e costi enormi. Il decommissioning delle centrali nucleari dismesse è un problema che è stato realizzato per un numero molto limitato di esse, e comporta tempi e costi che è difficile valutare, producendo inoltre ulteriori grandi quantitativi di scorie radioattive.


Addirittura dal punto di vista del bilancio complessivo di energia, se nel funzionamento la centrale produce energia (che all’inizio va a compensare quella spesa nei processi “a monte”), accumula peraltro un debito energetico crescente con il tempo, per l’aumento dei residui radioattivi che dovranno essere successivamente trattati: un fisico olandese, Jan Willem Storm van Leeuwen, ha eseguito valutazioni quantitative riassunte nel grafico di fig. 28, nel quale è evidente che il bilancio energetico complessivo sull’intero ciclo di vita di una centrale nucleare è molto deludente.



Fig. 2. Bilancio energetico dinamico dell’intero ciclo nucleare [per gentile concessione da: Jan Willem Storm van Leeuwen e Philip Smith, Nuclear Power: the Energy Balance, agosto 2005, http://www.stormsmith.nl/report20050803/Introduction.pdf]



Il problema insoluto, e sempre più grave, dei residui radioattivi

Per quanto i fautori dell’energia nucleare affermino che i residui radioattivi del ciclo nucleare non sono un problema, e che la tecnologia ha pronte le soluzioni, è invece un fatto incontrovertibile che nessun paese al mondo ha ancora risolto, in 60 anni, questo problema. Si deve anzi denunciare il modo in cui i programmi nucleari hanno potuto svilupparsi: rinviando questo problema e lasciando che si aggravasse, per dare la priorità alla costruzione di nuove centrali. In questo modo il problema è andato crescendo di gravità, come abbiamo accennato per la Francia.


Parliamo di “residui” e non di “scorie” radioattive perché non si tratta solo di “rifiuti”, poiché il combustibile esaurito contiene ancora uranio che può venire recuperato, e plutonio, il materiale più prezioso per la realizzazione di bombe nucleari: il combustibile esaurito può venire conservato tal quale, con tutte le precauzioni a cui abbiamo accennato, oppure può venire ritrattato, per estrarre appunto i componenti utili (v. paragrafo successivo).


I veri e propri rifiuti si distinguono in residui a bassa, media ed alta attività, la cui gestione e destinazione definitiva presentano problemi diversi. È fondamentale per questo anche la vita di un residuo radioattivo, cioè il tempo che deve passare perché esso si disattivi a livelli diciamo accettabili: vi sono residui che necessitano di rimanere custoditi ed assolutamente isolati dalla società umana e dall’ambiente per centinaia di migliaia di anni!9 Un assurdo in assoluto, se si pensa che conosciamo la storia del genere umano da meno di 10.000 anni: chiunque “garantisca” scientificamente la sicurezza di un deposito per questi residui per tempi così lunghi, o bara, o mente sapendo di mentire! Abbiamo creato problemi che non hanno soluzione. Il progetto più “avanzato” di deposito geologico per rifiuti con queste caratteristiche è stato quello degli USA a Yucca Mountain, ad ovest di Las Vegas, nelle cui gallerie dovevano essere conservate, in oltre 11.000 contenitori, 70.000 tonnellate di combustibile nucleare, 63.000 provenienti da centrali elettronucleari e 7.000 da impianti nucleari militari: il progetto nacque male, negli anni ’80, si sviluppò con un processo viziato sotto molti aspetti10, con costi attorno ai 10 miliardi di $, finché nel 2004 su ricorso dell’Accademia delle Scienze la Corte Federale della Columbia giudicò il progetto inadeguato dal punto di vista della sicurezza, ed infine Barack Obama lo ha definitivamente accantonato. E gli USA dovranno ripartire da capo!


La Finlandia sembra il paese più avanzato nella realizzazione di un deposito geologico, ma se ne parla per il 2020.


Quali possono essere i problemi è illustrato dal caso della Germania, che aveva realizzato un deposito per le scorie a medio-bassa attività nella miniera di sale di Asse, in bassa Sassonia: ma si è scoperto che il deposito non è sicuro come si credeva, si è scoperta una grave infiltrazione d’acqua con conseguenti rischi di crolli, si dovranno portare fuori i fusti (molti perdono), con enormi rischi e costi, si parla già di 10 miliardi di euro, pagati con denaro pubblico, e non dall’industria nucleare; inoltre non si sa esattamente quali tipi di scorie sia state depositate nel tempo e potrebbero essercene anche ad alta attività.11


In Italia i limitati e sfortunati programmi nucleari degli anni ’60-’80 hanno lasciato quantitativi relativamente limitati di residui radioattivi: si stimano 50.000-60.000 m3 (se fossero compattati, un cubo di lato 35-40 metri, destinati ad aumentare con il procedere del decommissioning delle 4 centrali), di cui 7.500 m3 ad alta attività (un cubo di lato una ventina di metri). Eppure dopo più di 20 anni dalla chiusura dei programmi nucleari, questi residui sono raccolti in una ventina di depositi temporanei, a volte in condizioni precarie (come nel caso delle piscine di Trino Vercellese, che avevano perdite (nei pressi scorre la Dora Baltea, affluente del Po); il combustibile esaurito è stato solo in parte ritrattato in Francia e per il resto è ancora depositato nelle piscine di disattivazione delle centrali, in cui dovrebbe invece rimanere circa un anno. I vari governi non hanno mai ottemperato all’obbligo di individuare il sito per il deposito nazionale dei residui radioattivi: tutti ricorderanno la storia… “all’italiana” dell’indicazione nel 2003 di Scanzano Jonico e dalla successiva rivolta popolare che fece accantonare il progetto.


Intanto la malavita fa affari d’oro con i traffici illeciti di rifiuti tossici e nucleari: eclatante il caso delle “navi dei veleni”12; Ilaria Alpi indagava in Somalia sui traffici di rifiuti e di armi.


Ritrattamento del combustibile esaurito

Il ritrattamento del combustibile esaurito è un processo che venne sviluppato per scopi militari, per estrarre il plutonio, che è l’esplosivo nucleare ideale. Il presidente Carter, che è un ingegnere nucleare, preoccupato dei rischi di proliferazione nucleare (v. oltre), negli anni ’70 decise che gli USA abbandonassero il ritrattamento: da allora essi adottano il monouso (once through) del combustibile, che quando è esaurito deve essere custodito in depositi, come abbiamo visto nel paragrafo precedente.


L’Inghilterra proseguì con il ritrattamento (gli impianti di Sellafield sono tremendamente inquinati e se ne denunciano gravissime perdite di sostanze radioattive nel mare e nell’ambiente (v. oltre). La Francia prosegue con il ritrattamento e, come si è detto, va incontro a problemi più gravi.


Il processo di ritrattamento è estremamente pericoloso e inquinante (il plutonio è una delle sostanze più tossiche, sia dal punto di vista radiologico che chimico), poiché le sbarre vengono sciolte in acidi, per cui aumenta di varie volte la quantità di scorie radioattive e tossiche.


Accenniamo solo al fatto che sul ritrattamento si è aperto negli USA uno scontro, poiché i programmi dei reattori di 4a generazione si baserebbero sulla generazione del plutonio nella reazione a catena (autofertilizzazione), e il suo riutilizzo come combustibile, e questo richiederebbe il ritrattamento del combustibile esaurito. La ripresa o meno del ritrattamento negli USA avrà probabilmente un peso molto importante sul futuro dei programmi nucleari.


Decommissioning degli impianti nucleari

Dicevamo che è difficile valutare i costi del decommissioning degli impianti nucleari perché vi sono pochi esempi al mondo. Ma alcuni dati sono drammatici. In Gran Bretagna – il paese che ha afrontato il problema in modo più organico – è stato valutato che lo smantellamento degli impianti attuali costerebbe ben 73,6 miliardi di £ (oltre 100 miliardi di Euro): una stima probabilmente ottimistica, poiché il solo smantellamento di Sellafield costerebbe 55 miliardi di £. Negli USA si dovrebbe pensare probabilmente a diverse centinaia di miliardi di $, a carico in parte dello Stato, in parte delle imprese private. Anche per la Francia il costo reale è probabilmente di quest’ordine di grandezza13, e sarebbe a carico dello Stato (cioè dei contribuenti).


Ridurre con il nucleare le emissioni di CO2?

Uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del nucleare è che esso non produrrebbe anidride carbonica, e sarebbe quindi la scelta ideale per risolvere i problemi dell’effetto serra e del riscaldamento globale. Anche questa affermazione è assolutamente falsa.


Fig. 3. Confronto delle emissioni totali di CO2 del ciclo combinato a gas e del ciclo nucleare completo (a parità di potenza): si noti la dipendenza cruciale delle emissioni dalla concentrazione dell’uranio nel minerale dal quale viene estratto. Si tenga conto che la scala orizzontale è logaritmica: intervalli uguali corrispondono a variazioni di un fattore 10 [Da: Jan Willem Storm Van Leeuwen e Philip Smith, “Can nuclear power provide energy for the future; should it solve the CO2-emission problem?”, 2005, http://www.stormsmith.nl].


È vero che durante il funzionamento del reattore la reazione a catena non sviluppa CO2, ma abbiamo descritto l’insieme delle fasi del ciclo “a monte” e “a valle”, le quali usano processi che indubbiamente producono CO2 (l’arricchimento dell’uranio, oltre a richiedere considerevoli quantità di energia, fornite da centrali termoelettriche a combustibili fossili, produce grandi quantità di clorofluorocarburi, gas serra molto più potenti della CO2). Una valutazione quantitativa complessiva, eseguita da Storm van Leeuwen e Smith14, porta ai risultati della fig. 3. Il ciclo nucleare produce oggi una quantità di CO2 minore della tecnologia meno inquinante, il ciclo combinato a gas, ma il fatto più rilevante è ancora una volta la drammatica dipendenza dalla concentrazione dell’uranio nel minerale da cui viene estratto: al diminuire di questa concentrazione le emissioni di CO2 aumenteranno vertiginosamente (basti pensare che se la concentrazione è 1/10, si deve estrarre, trattare, poi custodire una quantità 10 volte maggiore di ricce e scarti radioattivi), fino a superare le emissioni del ciclo a gas.


A prescindere da questa considerazione, una recente valutazione dell’autorevole rivista Nature è che per avere una riduzione sensibile della CO2 occorrerebbe costruire 2.000-3.000 reattori nucleari per il 2050 (10.000-30.000 miliardi di Euro!), che richiederebbero 2 nuovi impianti di arricchimento ogni anno (quelli che si contestano all’Iran), con gravi rischi di proliferazione militare.15


Il problema della sicurezza

I sostenitori del nucleare sostengono che i nuovi reattori nucleari sono assolutamente sicuri, e che mai potrebbe ripetersi una “Chernobyl”. Affermazione basata su calcoli probabilistici di dubbia validità (un evento con piccolissima probabilità può verificarsi sia in un tempo brevissimo che in un tempo lunghissimo), anche perché non ha alcun senso, ed è una pura mistificazione, il paragone tra la probabilità di un incidente grave in una centrale nucleare o in una centrale a gas: la seconda potrà anche causare molte vittime al momento, ma non avrebbe conseguenze di lunga durata, a differenza di un incidente in una centrale nucleare, le cui conseguenze durerebbero per migliaia di anni e colpirebbero le generazioni future.


Abbiamo sottolineato che le centrali che vengono proposte e costruite attualmente non sono sostanzialmente diverse da quelle precedenti, anche se hanno indubbi miglioramenti: ma non possono certo assicurare la conclamata impossibilità di incidenti gravi. L’incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986 ha avuto, e continuerà ad avere conseguenze sanitarie gravissime: anche se le Agenzie ufficiali si sono sbracciate per far credere che le conseguenze ammontano a addirittura a poche decine di vittime, studiosi e medici molto seri che lavorano nelle regioni direttamente colpite, a contatto con l’inquinamento e le vittime, valutano che il totale delle vittime in tutto l’arco di tempo potrebbe arrivare ad un milione di morti!16 La nube radioattiva di Chernobyl, trasportata nei diversi giorni in varie direzioni, ha coperto, con intensità variabili, praticamente tutto l’emisfero settentrionale (fig. 4).


Il solo rischio nucleare che possiamo accettare è quello assolutamente uguale a zero!


Rilasci ordinari di radioattività

Ma i possibili incidenti non sono che gli eventi estremi. Quello che i sostenitori del nucleare negano, o occultano, è che nel funzionamento ordinario non solo delle centrali, ma dell’intero ciclo nucleare, avvengono regolarmente rilasci di sostanze radioattività nell’ambiente. Nella centrale la fissione e l’attivazione di tutti i materiali e le sostanze producono gas e liquidi radioattivi: da un lato è assolutamente impossibile raccoglierli e trattenerli (gas rari radioattivi penetrano nei materiali e inevitabilmente fuoriescono, il trizio è il gas radioattivo più leggero e penetrante, che si produce anche nell’acqua di raffreddamento come acqua triziata); dall’altro sono regolarmente previsti nelle normative spurghi, sfiati liquidi e gassosi; questi sono poi inevitabili nelle operazioni di manutenzione e sostituzione delle barre di combustibile, nelle quali il nocciolo viene aperto.


Senza contare che l’invecchiamento dei materiali, soprattutto quelli sottoposti al flusso neutronico e ad agenti corrosivi (il boro come moderatore della reazione produce acido borico, corrosivo), per il quale si producono micro fessurazioni e altre perdite.


Emissioni e rilasci radioattivi avvengono in altre parti del ciclo nucleare: abbiamo discusso il problema dei depositi dei rifiuti, vi sono emissioni di radioattività anche nei trasporti di materiali radioattivi.


Fig.4. Distribuzione della nube di Chernobyl 10 giorni dopo l’esplosione, modellizzazione del Lawrence Livermore National Laboratory degli USA [Lange, R., Dickerson, M. H. & Gudiksen, P. H. (1992), “Dose estimates from the Chernobyl accident”, Nucl.Techn. 82: 311–322].


Danni sanitari e ambientali provocati dalle centrali nucleari

Anche se i sostenitori del nucleare ignorano o occultano sistematicamente questi fatti, si accumulano le prove dell’aumento di tumori, leucemie ed altre malattie nelle popolazioni che hanno vissuto nei pressi di centrali nucleari. Basti citare lo studio più significativo indipendente (ovviamente vi sono studi di parte che negano di trovare effetti dannosi: come avviene per gli effetti sanitari dei telefoni cellulari, dove si scopre che tutti gli studi che danno risultati negativi sono commissionati dalle ditte costruttrici). Lo studio17, noto con il nome di KiKK study18, commissionato dal governo tedesco, e successivamente verificato da un pool di esperti, dimostra un sensibile aumento dell’incidenza di tumori e leucemie infantili nei pressi delle centrali nucleari, del 120% per le leucemie, e del 60% per i tumori solidi, con effetti che diminuiscono regolarmente con la distanza.


I rischi di proliferazione delle armi nucleari

Last but not least, rimane il pericolo legato al peccato d’origine della tecnologia nucleare, il suo intrinseco, ineliminabile dual-use. Non vi sono differenze sostanziali tra le applicazioni militari e quelle civili: in primo luogo la tecnologia dell’arricchimento può produrre uranio arricchito al 2-4% per i reattori di potenza, o oltre il 90% per le bombe (altrimenti perché viene contestato, a ragione o a torto, il programma dell’Iran? Ma perché non venne arrestato il Pakistan, che invece ricevette aiuti clandestini da ogni parte. prima che realizzasse il proprio arsenale?); in secondo luogo, la reazione a catena produce sempre plutonio, che può venire separato con il processo di ritrattamento (lo hanno fatto non solo Israele e l’India, ma anche un paese come la Corea del Nord).


E allora non si può avere al tempo stesso la botte piena (di affari miliardari) e la moglie ubriaca (la proliferazione). Se i programmi nucleari dovessero davvero estendersi a moltissimi paesi, questi acquisirebbero il controllo della tecnologia, e disporrebbero di materiali idonei per going nuclear!


In conclusione. La tecnologia è vecchia, obsoleta, inutile e dannosa: dopo 65 anni l’era nucleare deve essere completamente chiusa (disarmo nucleare completo e controllato, chiusura e dismissione di tutte le centrali nucleari), e dovremo comunque convivere per millenni con i prodotti nucleari pericolosissimi e ineliminabili, nonché con le conseguenze sanitarie dell’inquinamento radioattivo diffuso che è stato prodotto.


Il nucleare è il moderno “fuoco di Prometeo”, e l’umanità che lo ha voluto sottrarre al controllo della natura (che non a caso non utilizza i processi nucleari sulla Terra, ma solo nei nuclei delle stelle) è destinata a portarne le conseguenze: ma se errare humanum est, perseverare è diabolico, suicida ed autodistruttivo.


(7 novembre 2010)



Inserito: 17 gennaio 2011

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem


1 I consumi finali di energia sono la somma dei consumi nei diversi settori finali, e si suddividono in: industria, trasporti, altri (agricolo, residenziale, commerciale e servizi pubblici) e usi non energetici. I consumi finali differiscono dall’energia totale prodotta a causa di altre trasformazioni e perdite (conversione dell’energia primaria in forme utilizzabili dai settori dei consumi finali, raffinerie di petrolio, trasformazioni e liquefazioni del gas, energia utilizzata nelle miniere, nell’estrazione di petrolio e gas, nella produzione di gas e calore), e dell’auto-uso. L’energia prodotta per via nucleare costituisce circa il 6 % della domanda di energia primaria mondiale, e circa il 2 % dei consumi finali.

2 Si veda ad esempio il preoccupato articolo: “New dawn now seems limited to the east”, Financial Times, 13 settembre 2010.

3 Ad esempio l’inchiesta “Presa Diretta” di Riccardo Jacona su Rai 3 del 19 settembre 2010: http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-e0326a48-2e52-4380-bd13-dec42532d1e3.html; precedenti inchieste di France-3, tradotte e divise in episodi nei seguenti siti:

i. http://www.youreporter.it/video_FRANCIA_Scorie_radioattive_per_infrastrutture_1;

ii. http://www.youreporter.it/video_URANIO_Lo_Scandalo_della_Francia_Contaminata_-_Vol_2_1;

iii. http://www.youreporter.it/video_URANIO_Lo_Scandalo_della_Francia_Contaminata_-_Vol_3_1.

4 Il Watt (W) è l’unità di misura fisica della potenza, cioè dell’energia sviluppata per unità di tempo (Joule al secondo). I multipli sono il kilowatt (kW), cioè mille Watt, il megawatt (MW), cioè un milione di Watt, il Gigawatt (GW), cioè un miliardo di Watt.

5 U.S. Department of Energy (DOE), Office of Public Affairs, “DOE announces loan guarantee applications for nuclear power plant construction”, 2 ottobre 2008: http://www.lgprogram.energy.gov/press/100208.pdf.

6 “New warnings costs of nuclear power”, New York Times, 31 agosto 2010.

7 Moody’s Investor Services, New nuclear generation in the United States, 2007, p. 10; Standard & Poor’s, “Comment. Escalating costs of new build: What does it mean?”, 15 ottobre 2008.

8 Jan Willem Storm van Leeuwen e Philip Smith, Nuclear Power: the Energy Balance, agosto 2005, http://www.stormsmith.nl/report20050803/Introduction.pdf. Indirizzo e-mail dell’autore: storm@ceedata.nl.

9 Per avere un riferimento, il plutonio-239 ha un tempo di dimezzamento di 24.000 anni, l’uranio-234 di 245.000 anni, l’uranio-238 di ben 4,5 miliardi di anni.

10 «How safe is Yucca Mountain?», remarks of Thomas B. Cochran, Vanderbilt University, 7 gennaio 2008, http://docs.nrdc.org/nuclear/files/nuc_08010701A.pdf: le citazioni sono da questo documento.

11 Ne ha parlato in modo efficace e documentato Riccardo Jacona nella puntata di Presa Diretta del 19 settembre 2010, cfr. nota 3.

12 Il traffico illecito di rifiuti pericolosi e radioattivi via mare: l'affondamento sospetto delle "navi dei veleni", http://www.zonanucleare.com/dossier_italia/navi_affondate_rifiuti_radioattivi/A_inchieste_indagini_procura.htm.

WWF e Legambiente , Dossier "Le navi dei veleni”, settembre 2004;

www.zonanucleare.com/dossier_italia/navi_affondate_rifiuti_radioattivi/F_navi_veleni_wwf_legambiente.htm;

Riccardo Bocca, “Motonave Rosso e giallo Ilaria”, L'Espresso, 3 febbraio 2005, p.62, www.zonanucleare.com/ dossier_italia/navi_affondate_rifiuti_radioattivi/L_espresso_ilaria_alpi_procura_reggio_calabria.htm.

13 Mycle Schneider, “The reality of France’s aggressive nuclear power nuclear push”, Bulletin of the Atomic Scientists, 3 giugno 2008, http://www.thebulletin.org/web-edition/op-eds/the-reality-of-frances-aggressive-nuclear-power-push

14 Jan Willem Storm Van Leeuwen e Philip Smith, “Can nuclear power provide energy for the future; should it solve the CO2-emission problem?”, 2005, http://www.stormsmith.nl.

15 Doyne, Farmer, Makhijani, Nature, Settembre 2010, pag. 293.

16 Alexey V. Nesterenko, Vassily B. Nesterenko e Alexey V. Yablokov, Chernobyl, Annals of the New York Academy of Sciences, 2009.

17 V. ad esempio Ian Fairlie, “Commentary: childhood cancer near nuclear power stations”, Environmental Health 2009, 8:43doi:10.1186/1476-069X-8-43, http://www.ehjournal.net/content/8/1/43; Ian Fairlie, “ Childhood Leukemias Near Nuclear Power Stations“, http://www.ippnw-europe.org/en/nuclear-energy-and-security.html?expand=176&cHash=abf6cd63d1

18 Epidemiologische Studie zu Kinderkrebs in der Umgebung von Kernkraftwerken.