Marino Ruzzenenti
Il problema rifiuti
Discarica o
“termovalorizzazione”, una falsa alternativa
L’ennesima emergenza campana ha
rilanciato il mito della “termovalorizzazione” come
soluzione efficiente del problema rifiuti. Brescia, con il suo grandioso
inceneritore dell’Asm (Azienda dei servizi
municipalizzati), è stata riproposta dalla gran cassa
dei media nazionali come il Modello per una corretta e moderna gestione dei
rifiuti.
Effettivamente l’impianto di Brescia fu ideato e
realizzato esplicitamente per porsi come apripista della svolta a livello nazionale verso l’incenerimento[1], in “alternativa” alla
consolidata pratica del “tutto in discarica”. A tal fine, attorno
all’inceneritore di Brescia, fin dall’inizio, vennero
convocati eminenti esponenti della scienza accademica ed istituzionale
impegnandoli a certificare l’eccellente performance della nuova soluzione a
“tecnologia complessa”. Ma ad un’analisi critica
attenta, sono legittimi alcuni interrogativi.
La cosiddetta “termovalorizzazione”
è davvero un’alternativa?
Quella scienza mobilitata dalla lobby
dell’incenerimento si è dimostrata indipendente ed attenta al bene comune, cioè agli interessi generali della popolazione presente e
futura?
Da qui l’interesse in
questa sede del “caso inceneritore Asm di Brescia”.
Primo protagonista dell’operazione Asm fu
l’ingegner Paolo Degli Espinosa, autorevole esperto
dell’Enea, ma anche membro del Comitato scientifico di Legambiente,
capace quindi di offrire il prestigio della “scienza” insieme al marchio
“ambientalista”. Fu lui ad elaborare all’interno della Commissione
tecnico-scientifica, costituita nell’estate del 1991 da Asm[2], il cosiddetto “sistema integrato” per la
gestione dei rifiuti solidi urbani, anche definito con la metafora del
“doppio binario” (“modello” copiato poi in tutti i Piani rifiuti che indicano
come sbocco l’incenerimentoe sostanzialmente fatto
proprio dal “Decretone ambientale”[3] del
ministro Matteoli del passato governo Berlusconi): un binario, da privilegiare, costituito dalla
riduzione, dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio in una prima fase,
entro il 1997, ipotizzato al 36%, elevato successivamente al 50%; il secondo
destinato all’incenerimento della “parte secca dei rifiuti non altrimenti
riciclabile”, con recupero di energia. Il “sistema integrato” poneva
apparentemente in ordine di priorità gli obbiettivi classici di una corretta
impostazione (pur con la controversa fase dell’incenerimento): “ridurre la produzione di rifiuti e dove ciò non sia
possibile, separarli, riciclarli, recuperarne il contenuto energetico e alla
fine smaltirne correttamente i residui”[4], parole d’ordine su cui si volle fondare il
“patto ambientalista” con la città, che vedeva nelle 266.000 tonnellate di
rifiuti all’anno da destinare alla combustione il limite massimo di equilibrio
del sistema.
Come sono andate in realtà le cose
L’inceneritore
progettato da Degli Espinosa risultò in realtà di dimensioni quasi doppie
(circa 500.000 t/a a cui nel 2004 si aggiunse una terza linea, fin dall’inizio
predisposta, per un totale di 800.000 t/a). La raccolta differenziata certificata
dall’Osservatorio della Provincia di
Brescia (non quella gonfiata di Asm) è pari al 33,22% nel 2006[5], inferiore all’obiettivo del 35% previsto per il
marzo 2003 dal vecchio decreto Ronchi e assai lontano da quelli fissati dalla
nuova normativa (45% al 31 dicembre 2008 e 65% al 31 dicembre 2012)[6]; ma,
ciò che più conta, è stata annullata dal continuo aumento del rifiuto pro
capite prodotto (grazie all’assimilazione spinta degli speciali)[7],
passato da kg/die 1,24 nel 2005 a kg/die 1,69 nel 2006, per cui
a Brescia in 10 anni il rifiuto indifferenziato è rimasto sempre lo
stesso, mai intaccato dalla RD: era Kg/die pro capite
1,10 nel 1995, sostanzialmente come nel 2005 (1,09) e nel 2006 (1,11)[8], pressoché uguale a quello avviato allo smaltimento
in Campania, Kg/die 1,19[9].
Va segnalato che laddove, come nel Consorzio Priula
di Treviso, si
opera davvero una raccolta differenziata di qualità, con il “porta a porta” e
la tariffa puntuale[10] che
premia i cittadini virtuosi, il rifiuto pro capite indifferenziato, ovvero la “parte secca dei rifiuti non altrimenti
riciclabile” è circa Kg/die 0,20, meno di un quinto
di quello di Brescia e con un rifiuto prodotto in totale pari a kg/die 1,00, addirittura inferiore a quello bresciano avviato allo smaltimento, ovvero
all’inceneritore, che deve rimanere elevatissimo perché si traduce in tanti
“bei soldini” per Asm. Insomma è ampiamente
dimostrato che l’inceneritore ha
annullato la raccolta differenziata, con buona
pace del cosiddetto “sistema integrato” elaborato dall’ingegner Paolo Degli Espinosa.
A questo punto entra in campo un nuovo protagonista, il professor Gian Paolo Beretta, esponente accademico, con il compito di
certificare come l’incenerimento dei rifiuti sia una tecnologia ecologicamente
valida, meritevole quindi di essere finanziata con denaro pubblico per
compensare i benefici che l’ambiente ne ricaverebbe, in termini di emissioni climalteranti evitate e di energia rinnovabile impiegata in
sostituzione di quella fossile. Per questo Asm conia un termine assolutamente nuovo per nominare
l’inceneritore, “termoutilizzatore”, rimasto
copyright esclusivo di Asm, per cui nel resto
d’Italia la lobby dell’incenerimento ha dovuto inventare un altro eufemismo, “termovalorizzatore”.
Lo studio del professor Gian Paolo Beretta,
ordinario di fisica termica dell’Università di Brescia è apparentemente
convincente[12] e si basa su dati “scientifici”, che considerano
per tonnellata di rifiuti quanta CO2 produce una discarica (kg/t
690), quante sono le emissioni dell’inceneritore con la combustione (Kg/t 1070), quanta CO2 viene però
evitata con il recupero energetico (Kg/t -760), quanta CO2 è
riassorbita da fotosintesi (kg/t - 860) essendo i rifiuti inceneriti per l’80%
vegetali (sic!). Il risultato finale sarebbe che l’inceneritore, per tonnellata
di rifiuti bruciati eviterebbe emissioni di CO2 pari a 1240 kg/t[13] rispetto alla discarica. Analogamente, reiterando
il confronto con
la discarica da cui non si recupera pressoché nulla, il nostro professore
certifica i vantaggi energetici dell’inceneritore, a quell’epoca funzionante
con “sole” 265.000 tonnellate di rifiuti: 178 GWh di
energia elettrica[14] e
46.000 tonnellate equivalenti di petrolio risparmiate[15]. Lo
studio del professor Beretta venne
presentato nel 2000 ad un convegno internazionale, frutto di un’elaborazione a
più mani insieme ad un dirigente di primo piano della stessa Asm, l’ingegner Bonomo.[16]
Andrebbe subito contestato il dato sull’80% vegetale del rifiuto
incenerito, perché, in realtà la componente vegetale
utile alla combustione (l’umido, ovviamente, non lo è), secondo i dati stessi
di Asm sopra riportati, sarebbe pari al 28%. Quindi già lo stesso inceneritore produce di per sé un
surplus di gas serra, stimabile in alcune centinaia di milioni di tonnellate di
CO2. Il problema è che, oltre all’inesattezza sopra rilevata, il
calcolo è basato su un presupposto del tutto inconsistente, come abbiamo
ampiamente dimostrato, cioè che l’inceneritore sia
alternativo alla discarica, mentre invece l’inceneritore è alternativo alla
raccolta differenziata ed al riciclaggio. Corre l’obbligo solo di ricordare che
l’inceneritore di Brescia produce ogni anno 180.000 tonnellate di rifiuti
speciali, in forma di scorie e polveri, di cui 30 mila pericolosi, mentre, se
si applicasse a Brescia il “modello Priula”, i
rifiuti da smaltire sarebbero circa 100.000 tonnellate. Ma per l’inceneritore
si dovrebbero conteggiare anche i 5 miliardi di m3 di aria inquinata, anch’essa “rifiuto”, pari a circa 3
milioni di tonnellate (almeno 800.000 solo di CO2), per cui un
inceneritore andrebbe considerato in realtà,
come con un involontario lapsus freudiano è stato denominato
dall’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Brescia, un “impianto di termogenerazione di rifiuti [sic!]”.[17]
È un’evidenza questa difficile da contestare, e che inficia alla radice lo
studio del professor Beretta.
Ed è un po’ penoso che la ricerca scientifica accademica non si avveda di questo macroscopico abbaglio e si presti a
sostenere una propaganda tanto palesemente infondata.
Il confronto, invece, va ovviamente compiuto con la raccolta differenziata ed il riciclaggio. Qui dobbiamo ricorrere innanzitutto a
studi europei ed internazionali per avere dei dati attendibili.[18]
Lo studio europeo, che copre 15 stati membri e un orizzonte temporale
2000-2020, analizza unicamente gli impatti di CO2, a flusso costante
di rifiuti delle diverse tecniche di trattamento confrontando alcuni scenari
(dal massimo riciclaggio, al riciclo e compostaggio, alla discarica con
recupero di biogas e all’incenerimento con “recupero” energetico) e giungendo
alla conclusione che “la raccolta separata alla fonte, seguita dal riciclaggio
per carta, metalli, tessili, plastiche e compostaggio
della parte biodegradabile, genera in assoluto il più basso flusso di gas serra
[…] dall’analisi dei quattro scenari europei considerati, quello di massimo
riciclo e quello di riciclo e compostaggio comportano
le migliori performance complessive rispetto alla produzione dei gas serra”,
notevolmente superiori agli altri due scenari.[19]
Una conferma viene anche da un’elaborazione di Ambiente
Italia[20] e da studi compiuti negli Stati Uniti che
giungono sostanzialmente ad analoghi risultati[21].
Sulla base di questi studi, l’ingegner Massimo Cerani,
ricercatore indipendente[22], ha dimostrato come il “modello Priula” (riduzione del rifiuto a 1 Kg/die
pro capite, e 75% di raccolta differenziata avviata al riciclaggio) applicato
al “caso” di Brescia, comporti un vantaggio, rispetto all’incenerimento, di
circa 1 milione di tonnellate annue di CO2 evitate[23].
In conclusione, anche rispetto ai gas serra l’inceneritore Asm, se confrontato, come deve essere, con il riciclaggio,
non solo non “va in direzione del protocollo di Kyoto”[24], come sostiene Asm, ma
è una macchina estremamente dannosa all’ambiente, per
emissioni di grandi quantità di CO2 che potrebbero essere evitate
con una corretta gestione dei rifiuti. Considerazioni analoghe si possono
trarre anche per l’energia ricavata, se correttamente confrontata, non con la
discarica, ma con il riciclaggio.
Sulla base dei dati Asm, il rendimento energetico
rispetto al potere calorifico presente nei rifiuti trattati sarebbe del 24%[25], da cui però andrebbe
sottratto il consumo energetico per l’impianto di trattamento fumi, per la
mobilizzazione dei rifiuti in entrata ed in uscita, ecc. ecc. Si tratta di una
macchina per produrre energia con il calore a bassissima efficienza, meno della
metà di una moderna centrale turbogas a ciclo
combinato, capace di un rendimento
almeno del 55%.
Anche per quanto riguarda il recupero/risparmio energetico del riciclaggio
l’elaborazione di Ambiente Italia[26] e lo studio statunitense già citato[27]
giungono ad analoghi risultati, dimostrando come il vantaggio del riciclo
sull’incenerimento è mediamente tre volte maggiore, in termini energetici.
Sulla base di questi studi l’ingegner Cerani ha ricavato un
valore di risparmio energetico derivante dallo scenario del “Modello Priula”, applicato a Brescia, pari a 1600 GWh annui, a fronte
di una produzione di energia da incenerimento con recupero energetico nell’impianto
di Asm Brescia Spa di meno
di 500 GWh annui tenuto conto delle perdite e degli autoconsumi e considerando i soli rifiuti urbani inceneriti[28]. Insomma, anche in questo caso un vantaggio a
favore del riciclaggio di oltre 1000 GWh,
l’equivalente, per dirla con la propaganda Asm[29], dei consumi elettrici domestici di quattro città
come Brescia e di 300 mila tonnellate di petrolio!
Ciononostante lo studio del professor Beretta è
diventato la Bibbia e non si è manifestata a tutt’oggi una qualche resipiscenza,
neppure di fronte a una simile mole di evidenze,
documentate sulla base di dati inoppugnabili, relativi ad un decennio di
funzionamento dell’inceneritore Asm di Brescia. Anzi
questo studio è ancora oggi il supporto “scientifico” alla propaganda di Asm per cui il proprio
inceneritore avrebbe permesso, ad esempio nel 2007, “un risparmio energetico di
150 mila tonnellate di petrolio e la mancata immissione in atmosfera di 470
mila tonnellate di anidride carbonica” e
avrebbe generato “570 milioni di chilowattora di elettricità”[30], pari all’illuminazione di due città.
Ma soprattutto è sulla base di questo genere di
“studi scientifici” che Asm e la lobby
dell’incenerimento hanno potuto convincere i decisori politici e i mass media
che l’incenerimento dei rifiuti è “la” soluzione del problema, vantaggiosa per
l’ambiente e per fronteggiare la penuria energetica, quindi meritevole di
essere lautamente assistita da copiosi finanziamenti pubblici. Così,
prontamente, l’allora ministro delle attività produttive Pier Luigi Bersani, già nel 1999, emanava un decreto legislativo che
considerava "fonti rinnovabili", tra gli altri, "la
trasformazione in energia elettrica dei rifiuti organici ed inorganici o di
prodotti vegetali"[31]. Ed il sostegno economico a questa tecnologia sarà rilevantissimo, con un premio sul prezzo dell’energia
prodotta del 200%! (In sostanza un KWh
prodotto con i rifiuti viene pagato, con i soldi dei cittadini versati in
bolletta, tre volte il prezzo di mercato).
Questa è anche la dimostrazione più clamorosa che si tratta di un impianto
assolutamente antieconomico, se non fosse lautamente
finanziato con denaro pubblico sotto forma di incentivi per le energie
rinnovabili, detti Cip6. Si tenga presente, tra l’altro - scandalo che si
aggiunge a scandalo -, che i contributi Cip6 concessi all’incenerimento dei
rifiuti sono i più elevati in assoluto, equiparati al fotovoltaico,
pari 203,93 €/MWh rispetto a
143,78 €/MWh concessi agli impianti eolici e a 151,65
€/MWh agli impianti idroelettrici[32]. In questo modo, tra l’altro, il nostro Paese ha di fatto ammazzato nella culla il bambino delle energie
veramente rinnovabili (solare e derivati) a cui ancora nel 2006 è stato
destinato un misero 11% delle risorse pubbliche, contro il 18%
all’incenerimento dei rifiuti e il 71% al termoelettrico da residui di
raffinazione e petrolio[33].
I Cip6, in dieci anni,
sono stata una vera manna per l’inceneritore di Brescia:
1999: 49.394 milioni di lire;
2000: 59.693 milioni di lire;
2001: 74.649 milioni di lire
[totale dal 1999 al 2001: 183.736 milioni di
lire = 94.892.000 di euro];
2002: 38.133.000 euro;
2003: 41.475.000;
2004: 55.315.000;
2005: 60.303.000;
2006: 63.419.000;
2007: 22.585.000 (1° trimestre l’intero gruppo)
Dalla metà del 2004 entra in funzione la terza linea: per
le prime due linee si possono calcolare mediamente, dal 2002 al 2007, circa
40.000.000 di euro all’anno per 5 anni e mezzo: 220.000.000 in totale (dal secondo trimestre
2007 dovrebbe essere terminato il contributo per le prime due linee e continuare
solo quello per la terza linea)[34].
Le entrate Cip6 per le prime due linee sono dunque pari a circa 315 milioni
di euro, rispetto ad un investimento per l’impianto,
dichiarato da Asm, di circa 180 milioni di euro
(sarebbero di più, circa 200 milioni, ma vanno dedotti i costi strutturali per
la predisposizione della terza linea). L’impianto, per quanto concerne le prime
due linee, dunque, risulta ripagato con denaro
pubblico quasi due volte l’ammontare dell’investimento.
Parlare delle emissioni di una macchina inutile e che produce solo sprechi
economici, energetici ed ambientali, sembra in verità assurdo.
Se non serve, perché perdere tempo in discussioni su quanto e se
inquina? Tuttavia, poiché il tema sembra
appassionare diversi luminari della scienza, non ultimo il professor Umberto
Veronesi[35], dobbiamo occuparcene.
Fin dall’inizio l’inceneritore Asm fu celebrato
per emissioni pressoché vicine allo zero. Anzi, poiché
sostituirebbe, grazie al teleriscaldamento, migliaia di caldaie private più
inquinanti, l’inceneritore pulirebbe addirittura l’aria di Brescia. Così
titolava un giornale locale:
L’assessore Brunelli [dei Verdi nda] in visita all’impianto. Asm:
aria più pulita col termoutilizzatore.[36]
Dunque l’inceneritore era da poco entrato in funzione che arrivò l’autorevole approvazione
dell’Istituto Mario Negri: “Uno studio del famoso centro farmacologico
promuove a pieni voti il termoutilizzatore […]. È
‘ pulito’ il termoutilizzatore
Asm di Brescia”.[37]
Sennonché il “famoso centro farmacologico”
proprio rispetto all’incenerimento non si presentava certo come Ente
indipendente e al di sopra di legittimi sospetti di essere “di parte”. Già
nel 1994, con tempestività esemplare, dopo un anno dalla decisione di Asm di costruire
l’inceneritore, battezzato, come si è detto, per l’occasione “termoutilizzatore”, promuoveva con la Fondazione Lombardia
per l’Ambiente del prof. Antonio Ballarin Denti (attore, quest’ultimo, che ricomparirà più
avanti) un convegno internazionale con
il titolo significativo “termoutilizzazione
dei rifiuti”.[38]
Perché non vi fossero dubbi sul “marchio” Asm
apposto al convegno scientifico, la relazione centrale era tenuta dallo stesso
presidente della municipalizzata bresciana, ingegner Renzo Capra.[39]
Forse fu anche in seguito a quel convegno che
l’Istituto Mario Negri sarebbe stato chiamato, come struttura privata a surroga
dell’inadempienza pubblica, per misurare
periodicamente (due volte all’anno) le emissioni di microinquinanti al camino
dell’inceneritore di Brescia, misurazioni effettuate, ovviamente, nelle
migliori condizioni di esercizio. Questo istituto è certamente autorevole, ma
il suo “prendere parte” nel caso specifico venne
confermato dalle posizioni che il suo animatore ed ispiratore assunse
pubblicamente schierandosi proprio a sostegno degli inceneritori. Silvio
Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, è infatti tra i firmatari del manifesto "Galileo 2001
per la libertà e la dignità della Scienza” in cui si bolla di “oscurantismo” e
“fondamentalismo ambientalista”, tra l’altro, ogni posizione che contrasta gli
inceneritori come soluzione per il trattamento dei rifiuti o che si oppone alla
proliferazione delle grandi infrastrutture ed al ritorno all’energia nucleare.[40] Ciò
che risulta grave, in questa vicenda, è che il controllo delle emissioni più
problematiche (diossine, PCB e metalli pesanti) dell’inceneritore più grande
d’Europa, collocato in pieno centro urbano, sia rimasto appannaggio di una
struttura privata in aperta violazione di quanto disponeva a suo tempo la
Delibera autorizzativa. Questa, infatti, prescriveva alcuni strumenti
molto precisi tesi a garantire un controllo sulle emissioni reali e sulle
ricadute ambientali delle stesse, insomma sugli “impatti futuri” dell’impianto,
decidendo “di demandare, per quanto di propria competenza, all’Ente
responsabile per il servizio di Rilevamento dell’inquinamento atmosferico di Brescia la verifica ed il controllo dell’adempimento da
parte dell’azienda di quanto riportato nel deliberato, mediante la costituzione
di apposita struttura tecnica qualificata”[41] e che
“la struttura di controllo dovrà effettuare con periodicità una campagna
di rilevamento per la misura delle concentrazioni al suolo – immissioni” [42]. Ebbene l’Arpa di Brescia, a dieci anni di funzionamento
dell’inceneritore, non
si è mai dotata di una propria “apposita struttura tecnica qualificata” e
neppure ha mai effettuato alcuna “campagna di rilevamento per la misurazione
delle concentrazioni al suolo – immissioni”.
Comunque, dopo l’avvio dell’impianto, non
poteva mancare una Commissione per il collaudo insediata dalla stessa Asm, presieduta dal professor Evandro Sacchi, del Politecnico di Milano e
costituita da altri cattedratici, che sancì dopo un anno e mezzo di attività:
“Il termoutilizzatore supera la prova sul campo con
emissioni […] da premio”.[43] Ma Evandro Sacchi non era proprio un
osservatore indipendente avendo fatto parte della Commissione
tecnico-scientifica costituita da Asm nel 1993 e che
elaborò il progetto dell’inceneritore.
L’operazione promozionale, sostitutiva della mancata
valutazione d’impatto ambientale[44],
si concluse infine con la pubblicazione delle
relazioni di alcuni docenti universitari[45], appositamente convocati presso la Facoltà di Medicina dell’Università di
Brescia il 5 maggio 1999, con la quale si sarebbe
inteso portare al livello massimo l’escalation
di performance eccellenti
registrate dall’impianto fin dal suo avvio. Il compito di porre il timbro della
scienza sulla validità ambientale dell’impianto Asm veniva affidato in particolare al professor Antonio Ballarin Denti, oggi professore di fisica dell’ambiente dell’Università cattolica di
Brescia, allora titolare della cattedra
di controllo degli inquinanti dell’Università
di Milano, lo stesso che, nella veste di esponente della Fondazione Lombardia
per l’Ambiente, nel 1994 aveva organizzato, con l’Istituto “Mario Negri”, il
convegno sulla “termoutilizzazione dei
rifiuti”, di cui si è già detto (notare il neologismo copyright Asm)[46] e che sarà poi consulente della stessa Asm per l’elaborazione nel corso degli anni del Rapporto
di sostenibilità del gruppo Asm.
Lo studio sulle emissioni prodotto dal professor Ballarin
Denti era basato su di un modello matematico che considerava il livello di
emissioni indicato come limite accettabile dalla normativa vigente e recepito
nel progetto, la deposizione degli inquinanti al suolo, il livello medio della
concentrazione attuale nei suoli di Brescia (operazione peraltro alquanto
discutibile sul piano della valutazione del rischio) e i limiti massimi
previsti dalla normativa vigente (ma, pur essendo la pubblicazione del marzo
2000, veniva “ignorato” il D. M. 471/1999,
che introduceva limiti molto più restrittivi) e
giungeva alla conclusione che occorrerebbero dai 1200 ai 12600 anni per
inquinare fino a saturazione i suoli, almeno per quanto riguarda mercurio,
cadmio, piombo e diossine[47]. Insomma, sembrava “scientificamente” provato che
l’inceneritore fosse sostanzialmente innocuo
all’ambiente, sottovalutando dati già allora evidenti, di una grave
contaminazione da diossine e PCB in una parte della città di Brescia a sud
dell’industria chimica Caffaro, unica produttrice
nazionale di PCB[48].
Venendo all’oggi, dunque,
l’ingegner Renzo Capra, presidente di Asm,
può così affermare che il proprio inceneritore avrebbe emissioni paragonabili a
“60 auto diesel”[49] affermazione propagandistica basata su quella,
presunta scientifica, per cui inciderebbe per uno 0,…% sulle polveri fini
presenti nell’aria di Brescia. Quest’ultima è la sorprendente conclusione a cui
giunge uno studio[50] “confezionato in casa” dall’Assessorato
all’Ambiente del Comune di Brescia, azionista di maggioranza di Asm, e finanziato dalla stessa Asm
con un fondo concesso all’Assessorato “verde”, in cambio del sì alla terza
linea dell’inceneritore[51];
studio avallato dall’università di Brescia, Dipartimento di Elettronica per
l’Automazione di Ingegneria, la cui competenza in tema ambientale risulta oscura.
Sta di fatto che questa è diventata la “Verità”, comprovata purtroppo da
esponenti dell’Università di Brescia (professoressa Giovanna Finzi, ingegner Marialuisa Volta) che a tutt’oggi
non si sono mai premurati di chiarire il loro ruolo, quando vengono chiamati in
causa per ammantare simili affermazioni con l’autorità della scienza
accademica.
In verità questo studio, anche ad un’analisi superficiale, presenta dei
limiti macroscopici.
Innanzitutto lo studio, per ridurre la rilevanza delle emissioni dell’impianto,
considera un’area di 30 Km di lato, pari a 900 Km2, mentre le
emissioni dell’inceneritore ricadono in massima parte in un
area ben più ristretta, che va da un minimo di 2 a un massimo di 8 km di
distanza, a seconda delle direzioni,[52] cioè mediamente pari a circa 100 Km2
(e già con questo “trucco” la percentuale emissiva si riduce di circa 10 volte).
In secondo luogo si considerano solo le polveri misurate ai camini, in
realtà polveri grossolane (PTS), in gran parte trattenute ovviamente dai filtri
a maniche, e non le diverse emissioni (ossidi di azoto,
ossido di carbonio, di zolfo, acido cloridrico, ammoniaca, ecc.) che
determinano la formazione, a contatto con l’atmosfera, in grande quantità, di
particolato secondario ultrafine (PM2,5 e PM0,1). Questo particolato, del tutto
ignorato dallo studio in questione, risulta essere quello più pericoloso per la
salute umana, come attestato da una letteratura scientifica ormai consolidata,[53] ed in
particolare dalla ricerca europea nota come CAFE 2005:[54] questa evidenzia come gli ossidi di azoto a
contatto con l’aria vengano trasformati con un fattore 0.8 in particolato
secondario PM2,5, che questo PM2,5 è
direttamente collegato ai disturbi della salute (malattie cardiocircolatorie,
respiratorie, tumori al polmone) e che quindi gli ossidi di azoto dovrebbero essere ridotti del
50%, ridimensionando le emissioni. Inoltre studi recenti hanno messo in evidenza come le particelle ancora più piccole,
inferiori ad 1 micron, PM0,1 dette anche nanopolveri,
presenti in grandi quantità nel particolato secondario degli inceneritori, siano estremamente pericolose per la salute
umana.[55]
Come sappiamo è certificato dall’Arpa che dai camini dell’inceneritore escono ogni anno circa 643 tonnellate di sostanze che sono
precursori accertati di particolato ultrafine (400 di ossidi di azoto, 110 di
ammoniaca, 78 di acido cloridrico, 55 di ossido di zolfo)[56].
Con procedure pressoché analoghe lo studio conclude
che il contributo alle emissioni di diossine in ambiente dell’inceneritore di
Brescia sarebbe pari allo 0,02% (sic!).[57]
I modelli matematici degli scienziati a confronto con la realtà*
Consideriamo innanzitutto le PM10. Che la realtà fosse
ben diversa dalla propaganda Asm era deducibile anche da quanto veniva evidenziato dalle
centraline di monitoraggio dell’Arpa. L’unica centralina destinata a rilevare
le PM10 installata nella zona Sud, quella adiacente
all’inceneritore, quando era in funzione nell’anno 2001 in via Bettole,
segnalava 157 giorni di supero del livello, allora, di attenzione, ma ora di allarme (50 mg/m3), mentre erano
“solo” 67 i giorni di supero per la
centralina “Broletto” collocata in centro storico in zona a traffico limitato.[58]
Fu così che la centralina di via Bettole venne disattivata senza alcuna spiegazione.
Ebbene, nonostante questa grave carenza del sistema di
monitoraggio, la centralina del Broletto nel 2005 ha rilevato 142 giorni di
supero della soglia di allarme (50 mg/m3), per cui, ipotizzando una proporzionale
sottostima come nell’anno 2001 delle concentrazioni reali della zona Sud,
Brescia oltrepasserebbe di gran lunga il numero di giornate di superi
registrati a Milano, pari a 154 giorni, collocandosi al primo posto negativo
della graduatoria regionale. Un’ulteriore prova della
sottostima delle centralina del Broletto viene fornita dalla stessa Arpa[59]: tra il 28 gennaio e il 27 marzo 2005 fu
collocata una centralina mobile di traffico nei pressi della tangenziale Sud di
Brescia, quella dell’inceneritore, che
rilevò una media di PM10 di 79 μg/m3 rispetto ai 60,8 μg/m3
rilevati per lo stesso periodo dalla centralina del Broletto[60], che conferma quindi una sottostima di circa il
25%.
A questo punto, il fatto che Brescia goda della
peggiore qualità dell’aria della Lombardia (e quindi forse d’Europa)
risulterebbe incomprensibile se si accreditasse quanto viene irresponsabilmente
pubblicizzato dal Comune di Brescia, proprietario di Asm
Spa, cioè che i gruppi termoelettrici e l’inceneritore emetterebbero
complessivamente meno dell’1% delle PM10 dell’area di Brescia[61].
Comunque, nonostante i palesi e colpevoli tentativi di nascondere la gravità reale
dello stato dell’aria a Brescia, l’Arpa non può non constatare che la
situazione dal 2002 è costantemente peggiorata: il valore limite per la
protezione della salute umana (50 μg/m3) superato per 100 giorni nel 2002
è stato oltrepassato per 149 giorni nel 2005[62] e per 166 giorni nel 2007,[63] quando ai sensi del DM 60/2002 non dovrebbe
essere superato per più di 35 giorni.
A certificare che la realtà è opposta a quella raccontata da Asm, Comune ed Università di Brescia, è uno studio dell’Apat del Ministero dell’Ambiente.[64] L’Apat nazionale, un
po’ più indipendente da Asm che non il Comune di
Brescia, è quanto mai esplicita nell’imputare al sistema industriale
(comprensivo del teleriscaldamento alimentato dalle centrali termiche e
dall’inceneritore Asm) le maggiori quote di
inquinamento dell’aria:
Le città di Venezia, Taranto, Livorno e
Brescia sono caratterizzate da un forte contributo dovuto agli impianti industriali.
Nel caso di Brescia è rilevante l’apporto del teleriscaldamento (incluso nel
macrosettore aggregato industria).
E l’Apat quantifica il contributo delle emissioni industriali agli
ossidi di azoto (NOx)
nell’aria di Brescia in circa il 60% del totale mentre quello delle PM10 è
superiore addirittura al 70% (gli ossidi di zolfo oltre il 90%). Se quindi si
tiene conto che le emissioni
degli altri 158 camini industriali censiti dal Comune assommano a 148.754
kg/anno di NOx[65], mentre il solo polo
energetico Asm ne emetterebbe 1.480.400 (1.139.200
dalle centrali a carbone e ad olio e 341.200, l’inceneritore, dato quest’ultimo
in verità sottostimato)[66] si comprende come
l’inceneritore di Brescia abbia un impatto rilevante sulle emissioni di NOx e quindi di PM10. In sostanza quasi il 90% delle emissioni di NOx di
origine industriale, e circa il 50% del totale comprensivo del traffico, sono
prodotte dal polo energetico Asm (di queste oltre il
10% solo dall’inceneritore, almeno il 21% di quelle di origine industriale),
altro che “meno dell’1%”, come asserisce lo studio confezionato pro domo sua
dal Comune!
PCB e diossine
Vediamo infine il problema controverso dei microinquinanti, in particolare
PCB e diossine.
Uno dei punti forti del “modello Brescia” è che, a
differenza della Campania, grazie alle efficienti tecnologie impiegate, i
rifiuti non creerebbero particolari problemi sanitari o danni ambientali
evidenti. In effetti a Brescia vengono mandati allo
smaltimento più o meno gli stessi
quantitativi di rifiuti urbani della Campania, ovvero 1,1 kg/die/ pro capite, mentre sono state tumulate nel territorio
decine di milioni di tonnellate di rifiuti speciali, scorie industriali
soprattutto, e ancora oggi se ne
importano milioni di tonnellate/anno.
Insomma Brescia, come la Campania, presenta una
spiccata vocazione per i rifiuti[67], con
la differenza che a Brescia questi sono “smaltiti” in impianti fra i più
“moderni”. Sennonché “smaltimento” è in verità un
termine ampiamente ingannevole: come si è visto anche nel caso
dell’inceneritore, i rifiuti, sottoposti a particolari trattamenti, anche
termici, non spariscono nel nulla, si trasformano in altre sostanze, in certi
casi più tossiche, e quindi sono allontanati dagli occhi favorendo la rimozione
del problema e l’illusione di una soluzione definitiva.
Questa è la differenza che balza maggiormente in
evidenza nel caso Brescia, cioè che i rifiuti non sono
per strada e che vi è una pletora di impianti e piattaforme tecnologiche per lo
smaltimento. Eppure a Brescia stranamente vi sono inquietanti analogie con la
Campania: nel latte di aziende dei dintorni della città si è recentemente
scoperta una presenza di diossine fuori norma; si nota inoltre un’elevatissima
e anomala incidenza di tumori al fegato, due volte la media nazionale,
esattamente come in Campania[68]. Ma
il Registro Tumori dell’Asl insiste nel sostenere che tutto ciò è dovuto
all’eccesso di consumo di alcol da parte di bresciani
ed a degenerazioni di epatiti virali[69]. Va
segnalato che l’ing. Renzo Capra, presidente di Asm, ha fatto parte del Comitato scientifico del Registro
tumori dell’Asl, di cui è anche finanziatore, finché,
in seguito alle proteste degli ambientalisti, recentemente l’Asl ha pensato bene di lasciarlo fuori[70]. Ma ad un’analisi più attenta sembra difficile escludere una
qualche responsabilità dell’inquinamento ambientale nell’alta incidenza
tumorale che in generale si registra nel Bresciano.
Ora, di fronte alla diossina nel latte delle aziende operanti a sud
dell’inceneritore, emersa sul finire del 2007, le versioni ufficiali che le autorità
si sono affrettate a fornire tendono ad assolvere pregiudizialmente l’impianto Asm. Una sorta di atto di fede.
L’inceneritore sarebbe estraneo, perché le
diossine sarebbero originate da mangimi acquistati in altre zone, come avrebbe imprudentemente dichiarato il Presidente di Asm, ing. Renzo
Capra “[…] è stato accertato che la colpa è di mangimi provenienti da fuori” [71]. Sennonché sarebbe risultato
che le 18 aziende della zona sud di Brescia, che avevano le diossine nel latte
al di sopra dei limiti raccomandati dall’Ue per la
tutela della salute (2 pg/gr
di grasso), nel momento in cui hanno smesso di alimentare le mucche con i
propri prodotti vegetali, siano rientrate nella norma[72].
Venuta a mancare simile argomentazione, si ripropone la versione buona per ogni evento, cioè che la
colpa sarebbe dell’inquinamento storico, precedente alla costruzione
dell’inceneritore:
Quel
che è certo secondo Brunelli [Assessore all’Ambiente
del Comune di Brescia dei Verdi. nda]
è che bisogna guardare altrove rispetto all’inceneritore «perché affermare che l'inquinamento del terreno è dovuto al termoutilizzatore non ha senso, dal momento che
è stato dimostrato [dallo stesso Comune, proprietario di Asm
nda]
che le diossine emesse
nell'arco di dieci anni di attività
non riescono ad accumularsi e penetrare significativamente nel terreno, perché presenti in quantità trascurabile, e soprattutto con effetti ridotti perché nel tempo si modificano, una volta emesse nell'atmosfera». Guardare altrove, dunque, e per questo Brunelli
suggerisce di concentrare
l'attenzione sulla storia
industriale di Brescia, dal secolo
scorso e anche prima, quando ancora
non esistevano
sistemi e norme per limitare i danni delle emissioni ambientali.[73]
Quindi vengono citati i
campionamenti del territorio bresciano (città e
comuni dell’hinterland), svolti negli anni ’94, ’96 e ’97 a cura dell’Asl di Brescia, finalizzati a conoscere lo stato dei suoli
prima dell’avviamento dell’inceneritore, che avrebbero segnalato “la presenza
di tracce di inquinanti (PCB e metalli pesanti)
al di sopra dei limiti di legge, in un range,
per quanto attiene i PCB, tra i 20 e i 200 μg/kg di terreno”.[74]
Se ciò fosse stato vero, cioè se fin d’allora si
avesse avuta consapevolezza che i terreni attorno all’inceneritore erano già
contaminati, un normale principio di
precauzione avrebbe dovuto indurre il Comune di Brescia a bloccare la
costruzione del proprio inceneritore (terminata nel 1998) in quell’area,
assolutamente inidonea ad ospitarlo, visto che dallo stesso vengono emessi PCB,
diossine e metalli pesanti.
Comunque è opportuno ricordare che
il “bianco” fatto allora negli anni ’94,
’96 e ’97 attorno al costruendo
inceneritore doveva servire a verificare periodicamente come la situazione
potesse mutare con l’impianto funzionante, altrimenti sarebbero stati soldi e
risorse buttati al vento (o meglio il solito fumo negli occhi della popolazione
e degli ambientalisti!). In effetti così era previsto
nelle stesse conclusioni del secondo rapporto dell’Asl
di Brescia del 1998, relativo alle campagne 1996 e 1997, che recitava
testualmente:
[...] dovrà
essere proseguita l’opera di monitoraggio ambientale dal punto di vista
generale attraverso: - periodico ricampionamento dei punti della zona attorno all’impianto
finora prelevati negli anni 1994 (gennaio)
- 1996 (gennaio) e 1997 (dicembre); in tal senso il prossimo
campionamento è prevedibile per la fine 1999 al termine del periodo di
esercizio provvisorio [dell’inceneritore].
Non solo. Come già si è ricordato, la Delibera G. R. L. n. 40001 del 2 agosto 1993, che autorizzava la
costruzione dell’inceneritore, all’Allegato B5-1 prescriveva testualmente che
“la struttura di controllo [Arpa nda] dovrà effettuare con periodicità una campagna di rilevamento per
la misura delle concentrazioni al suolo – immissioni”.
Ebbene, dopo 10 anni di funzionamento dell’inceneritore e di accumulo al suolo di PCB e diossine non biodegradabili,
non è stato fatto assolutamente nulla, né a “fine 1999” né dopo, forse proprio
perché si temono sorprese non gradite.
Eppure,
da parte delle Associazioni ambientaliste informali che si sono sempre battute
per la tutela delle salute dei cittadini e che hanno
mantenuta ferma la critica all’inceneritore, più volte queste indagini sono
state sollecitate alle autorità competenti.[75]
Ma
non se ne fece nulla, in attesa che scoppiasse il caso
del latte alla diossina.
Anche per questo, oggi, gli atti di fede sulla bontà dell’impianto non sono
credibili, soprattutto
da parte di coloro che ostentano di essere pragmatici e non ideologici: ebbene,
dovrebbero semplicemente pretendere che si faccia, in modo sistematico e
continuativo, una nuova campagna di monitoraggio, sia con prelievi sui terreni
circostanti l’inceneritore, compresa la famosa zona Sud e Sud-Est colpita dal
latte alla diossina, sia con campionatori passivi,
come da anni chiedono alcuni ambientalisti, inascoltati.
In particolare sono necessarie almeno due campagne di prelievi sui terreni
nei “punti della zona attorno all’impianto [di incenerimento]
prelevati nel 1994, 1996, 1997” cioè nella zona Sud Sud-Est, di Brescia,
ripetendo la stessa metodologia, al fine di poter compiere un indispensabile
confronto tra la situazione attuale, dopo 10 anni di funzionamento
dell’inceneritore, e quella rilevata ante operam.
Finché queste indagini non vengono completate e
rese pubbliche, tutti sono legittimati a ritenere che le emissioni
dell’inceneritore siano tutt’altro che estranee alla diossina nel latte.
Del
resto, non pochi sono gli indizi a carico dell’inceneritore. In verità vi potrebbe essere
un’altra fonte sospetta, che potrebbe rappresentare una concausa, cioè le
acciaierie. Sennonché questi impianti hanno generalmente camini molto bassi
(20-30 metri), le cui ricadute, quindi, sono molto circoscritte e difficilmente
possono coinvolgere 18 aziende agricole. L’inceneritore, invece, con un camino
di 120 metri, diffonde le emissioni in un raggio di alcuni
chilometri. In ogni caso, come più volte è stato sollecitato, si tratta di
compiere analoghe indagini sui terreni attorno all’Alfa Acciai e ad altri
impianti metallurgici “sospetti”.
Infine
vanno verificate le effettive emissioni di diossine e PCB dall’inceneritore. Le
diossine misurate 2-3 volte l’anno in regime “perfetto” di funzionamento, sono risultate presenti, ovviamente, ma al di sotto dei limiti di
legge per m3 (<0,1 ng/Nm3).
Tuttavia bisogna tener conto che di m3 all’anno ne escono circa 5 miliardi e che ogni
anno le immissioni al suolo si accumulano. Non solo, le recenti vicende di
sequestro degli inceneritori di Terni, Trieste, Montale (PT), ma anche la
letteratura scientifica, dimostrano che nelle fasi di
accensione e spegnimento le diossine fuoriescono in quantità incontrollabili;
ma a Brescia, nonostante le numerose richieste degli ambientalisti “informali”,
in queste fasi non sono mai state misurate. Anche le sperimentazioni delle
misurazioni in continuo, in atto sulla terza linea, non sono per
nulla risolutive: sia perché effettuate saltuariamente per brevi
periodi, quindi ancora una volta probabilmente escludendo le fasi “critiche”,
sia perché gestite da una ditta privata e non certificate, a quanto risulta, da
nessun ente pubblico di controllo.[76] E ancora, i superi anomali di emissioni di
PCB fino a 108,30 ng/Nm3 nel novembre 2002
e 188,8 nel luglio 2003[77]
(limite raccomandato dall’Ue 50 ng/Nm3)
non hanno ancora trovato alcuna spiegazione e inducono l’ipotesi che spesso
questo fenomeno possa ripetersi, con emissioni globali molto elevate, vista
l’enorme portata dei camini.
Infine, è
recentissima, una novità che getta una luce inquietante sull’intera vicenda: la
presenza di elevate concentrazioni di PCB e diossine nell’aria di Brescia. I dati sono stati resi noti il 20 marzo 2008, e sono
relativi ad una
campagna di rilevamento delle diossine, PCB e alcuni metalli nell’aria di
Brescia, effettuata tra il 2 ed il 21 agosto 2007, cioè nel periodo feriale, e
promossa dall’Istituto superiore di Sanità[78].
Tutte le misure dimostrano
una situazione di inquinamento da diossine diffuso e rilevantissimo
(media di 83 fg/m3), molto superiore alla
situazione estiva di Mantova (4,42 – 6,24 fg/m3)
e di Augsburg in Germania (14-15 fg/m3),
doppia del valore dell’area urbana di Milano, in estate, (39,75 fg/m3, Fanelli 1997), di gran lunga superiore
alle concentrazioni medie annue rilevate nell’aria di Firenze (7,3 – 19,7 fg/m3, Arpa Toscana 1996-2000), addirittura superiore a quella rilevata a
Taranto nei dintorni della grande acciaieria Ilva, nel giungo 2007 (38,4 - 67,8
fg/m3 – Arpa Puglia 2007). Al dato di Brescia si deve aggiungere un
valore medio di 25 fg/m3 dovuto al
contributo di tossicità (TEQ) dei PCB-diossina simili
(83+25=118 fg/m3) che contribuisco quindi
in modo tutt’altro che trascurabile alla tossicità complessiva (Si noti che a
Taranto tale contributo oscilla tra 1,9 e 23,4 fg/m3
– Arpa Puglia 2007).
I PCB totali rilevati, inoltre, sono estremamente
alti ( 1.008,76 – 8.723,90 pg/m3) in tutti
i campioni.
In generale, quindi,
da questa prima campagna di indagine emerge che l’aria di tutto
il territorio cittadino risulta fortemente contaminata da diossine e PCB. Va
rimarcato, nel caso di Brescia, che in agosto, periodo del rilevamento, il
traffico veicolare è notevolmente ridotto e le acciaierie, altra possibile
fonte di immissione, sono ferme. Nella città di
Brescia rimane in funzione a pieno regime solo l’inceneritore Asm, fonte pacificamente riconosciuta di immissione
in ambiente di diossine e PCB (anche se il Comune di Brescia, proprietario
dell’impianto, come abbiamo visto, sostiene che le quantità siano irrilevanti).
Le conclusioni degli Enti promotori dell’indagine non sono condivisibili:
ritenere che i dati rappresentino una situazione “normale per area fortemente antropizzata” è scorretto in quanto, in considerazione del
periodo di agosto
nel quale è stata effettuata la campagna, emerge una situazione molto più inquinata e
critica rispetto ad aree utilizzabili per confronto. Il termine “antropizzata” è inoltre un eufemismo fuorviante ed inaccettabile, perché non sono gli umani di per sé a
produrre diossine, ma ben precisi apparati artificiali, impianti industriali in
particolare, che, nel caso in questione
e per quel periodo di agosto, anche sulla base della casistica prospettata nell’indagine,
sono essenzialmente riconducibili all’inceneritore Asm-A2A. A questo punto è
difficile escludere che questo sia imputabile di tale straordinaria presenza di
diossine e PCB nell’aria di Brescia. Ma, poiché le
diossine dall’aria sono destinate a depositarsi sui terreni, è inevitabile che
le stesse entrino nella catena alimentare, nel foraggio e dunque nel latte.
Come si vede, alla luce di questi dati sull’inquinamento dell’aria, anche la vicenda del
latte alla diossina acquisterebbe una nuova valenza, che sembrerebbe chiamare
in causa ancora una volta l’inceneritore, che a priori non può non essere
considerato fra le cause possibili.
È superfluo ripetere, quindi, che le ulteriori
campagne di misurazioni previste devono
essere integrate allo scopo di individuare specifiche fonti attive che
determino una situazione di inquinamento allarmante. È necessario che una
campagna venga effettuata effettivamente nel periodo
invernale (dicembre), che venga verificato, come previsto, l’inquinamento anche
in aree più lontane dall’abitato come già indicato dal Comune ( monte
Maddalena), e che a ciò siano associate anche misurazioni nell’area in zona
sud-ovest, a S. Polo e nei dintorni dell’inceneritore, dove insistono fonti di
immissione importanti tutt’ora in attività.
Come è stato ampiamente dimostrato, il “modello Asm” di
Brescia fa acqua da tutte le parti.
L’inceneritore produce all’infinito enormi quantità di rifiuti da
tumulare in discarica e altri dispersi nell’aria. È nemico della raccolta differenziata, di fatto a Brescia addirittura sotto zero. È
nemico del protocollo di Kyoto, perché emette circa 1
milione di tonnellate/anno di CO2 in più rispetto al riciclaggio.
Anche sul piano energetico, comporta sprechi pari a circa 1000 GWh/anno rispetto al
riciclaggio. È una macchina inoltre
antieconomica, che si regge solo sui truffaldini contributi Cip6.
Sicuramente, infine,
crea problemi per le emissioni in ambiente. La controversia se
queste siano accettabili, perché relativamente
contenute, o incompatibili con la tutela della salute umana, appare dunque
oziosa. Poiché si tratta di una macchina sbagliata per il trattamento dei
rifiuti, inefficiente sul piano energetico ed economico, non ha alcun senso
accettare anche solo un possibile od ipotetico rischio per la salute umana da
un impianto
inutile se non dannoso.
Ci si potrebbe interrogare perché tanti esponenti della scienza accademica
e non si siano così alacremente impegnati a
“dimostrare” le virtù di una tecnologia che ci allontana da una corretta
gestione del problema, che possiamo così riassumere: negazione dello stesso
concetto di rifiuto, da considerarsi sempre materia preziosa da riusare,
recuperare, rigenerare, evitandone qualsiasi dispersione in ambiente. Peraltro, anche dal punto di vista tecnologico, oltre che
occupazionale, questa filiera “virtuosa” sarebbe di straordinario interesse.
Purtroppo ha il limite di presentarsi nella forma di iniziative
sociali, economiche ed imprenditoriali, disperse sul territorio, una sorta
di costellazione di piccole unità,
interessanti per la partecipazione democratica ed una cittadinanza attiva, ma
incapaci di fare “lobby”.
Attività di lobby in cui è campione il complesso industriale e tecnologico
dell’incenerimento, espressione di grandi imprese (sia produttrici degli
impianti, sia multiutilities che li gestiscono), il quale ha la forza di imporre i suoi interessi, contro il
bene comune rappresentato dall’ambiente e dalla salute dei cittadini, ma anche
da un futuro vivibile per le generazioni che verranno.
Purtroppo la storia ci insegna che quando la
scienza si è messa al servizio dei poteri forti ne sono derivati guai per
tutti. Le lezioni del passato sono molte,[79] ma,
sembra, ancora non sufficienti.
Inserito:
15 aprile 2008; revisione: 24 maggio 2008
Scienza e Democrazia/Science and Democracy
[1] Marino Ruzzenenti, L’Italia
sotto i rifiuti, Jaca Book, Milano 2004.
Si veda anche:
www.ambientebrescia.it/inceneritoreAsm.html
[2] Una scelta per la città, “Voi e Noi”, periodico di notizie
per gli utenti di Asm, n. 50, novembre 1992.
[3] Dlgs
n. 152"Norme in materia ambientale", 3 aprile 2006.,
artt. 177-213.
[4] Una scelta per la città, cit.
[5] Provincia di Brescia, Osservatorio provinciale
dei rifiuti, Rifiuti
urbani e raccolta differenziata. Dati completi anno
2006, Brescia 2007, p. 71.
[6] Dlgs n. 152, cit. art. 205.
[7] La normativa concede ai
Comuni la possibilità di assimilare agli urbani i rifiuti speciali prodotti da
attività economiche, quali negozi, centri commerciali, ristoranti, artigiani e
piccole imprese: questi rifiuti sono già differenziati
alla fonte (in genere imballaggi o scarti monomateriale)
e vanno ad aumentare artificiosamente la RD, ma anche il rifiuto prodotto. In
questo caso, invece di comuni “ricicloni”, è più
corretto parlare di comuni “raccoglioni”: questi
aumentano artificiosamente il rifiuto urbano, che a rigore dovrebbe essere solo
quello domestico, intercettando grandi quantità di
speciali per far apparire una certa
percentuale di RD, mantenendo però immutato in valore assoluto il rifiuto
urbano da smaltire.
[8] Provincia di Brescia, Osservatorio provinciale
dei rifiuti, Rifiuti
urbani e raccolta differenziata. Dati completi anno
2006, Brescia 2007, p. 73.
[9] Apat, Rapporto rifiuti
2007, p. 27.
[10] Ad esempio nel Consorzio Priula
in provincia di Treviso, www.consorziopriula.it
[11] Gian Paolo Beretta,
prof. ordinario di fisica termica dell’Università di Brescia, Il termoutilizzatore di rifiuti solidi urbani ed assimilabili
dell’Asm di Brescia: aspetti energetici, tecnologici
e ambientali, in Rifiuti, energia, ambiente. Il Termoutilizzatore di Brescia, “Quaderno
di sintesi Asm”, n. 54, marzo 2000, p. 13.
[12] Gian Paolo Beretta, op. cit. pp.
31-36.
[13] Ivi, pp. 31-32.
[14] In verità andrebbero conteggiati anche 190 GWh termici, destinati al
teleriscaldamento presente nella città di Brescia, che non vengono considerati
in questa sede, essendo ininfluenti in un contesto nazionale. Comunque sul tema controverso del teleriscaldamento si veda
l’analisi critica di Massimo Cerani, Alcune
considerazioni generali sulla proliferazione di progetti di teleriscaldamento:
sempre una scelta sostenibile?, “Medicina
democratica”, nn. 168-172, luglio 2006 - aprile 2007,
pp. 62-66.
[15] Ivi, p.27-28. I dati si
riferiscono, però, a 265 t. di rifiuti bruciati nel primo anno di operatività dell’impianto.
[16] A. Bonomo - Asm
Brescia SpA, F. Zanelli and G.P. Beretta
- Department of Mechanical Engineering Università di Brescia, Fuel Savings
and Reduction of Greenhouse Gases in a Large Waste-to-Energy Cogeneration
Facility, Proceedings of the 35th Intersociety Energy Conversion
Engineering Conference, Las Vegas, Nevada, 24-27 July 2000.
[17] Lettera
dell’Assessorato all’Ambiente della Provincia di Brescia, Impianto di termogenerazione di rifiuti di Brescia.
Realizzazione 3° linea, alla Regione Lombardia, Direzione Generale
Territorio e
Urbanistica prot. n.
0075721/02, 16 luglio 2002.
[18] AEA Technology, Waste
management options and climate ch’ange. Fila report to the European Commission,
2001; Solid waste management and greenhouse gases, a life cycle assessment of emissions and
sinks. EPA, USA, 2002.
[19] Sintesi delle conclusioni del rapporto Waste management options and climate change, cit., in A. Fiume, M. Cerani, Prima la materia, poi l’energia. Criteri fisici
per orientare i modelli di utilizzo delle risorse e la
gestione integrata dei rifiuti, testo della conferenza pubblica
dell’associazione energETICA, Brescia, 5 giugno 2003, p. 22.
[20]
Istituto di Ricerche Ambiente Italia, Il riciclo ecoefficiente.
Potenzialità ambientali, economiche ed energetiche, Edizioni Ambiente, Milano 2006, tabella 57, p. 115.
[21] Dr. Jeffrey Morris, The Environmental & Economic Waste Caused by Incineration, Sound Resource Management
[22] Massimo Cerani, A
proposito di rifiuti: prima la materia o l’energia?, “Medicina
democratica”, nn. 168-172, luglio 2006 - aprile 2007,
pp. 67-80.
[23] Massimo Cerani,
Rifiuti urbani: le R
magiche: Riduzione, Raccolta differenziata, Riciclaggio in alternativa alla discarica ed all’incenerimento,
relazione al Convegno Per un futuro senza rifiuti, Brescia, 9 febbraio
2008, slide 25.
[24] Fabrizio Meloni, Un termovalorizzatore
che può illuminare due città, “Il Brescia”, 8
gennaio 2008.
[25] Gian Paolo Beretta,
prof. ordinario di fisica termica dell’Università di Brescia, Il termoutilizzatore…, cit., p.
27.
[26] Istituto Ambiente Italia, op.
cit., tabella 56, p.
114.
[27] Dr. Jeffrey Morris, op. cit.
[28] Massimo Cerani, Rifiuti
urbani, cit., slide 25.
[29] Fabrizio Meloni, Un termovalorizzatore…, cit.
[30] Fabrizio Meloni, Un termovalorizzatore
che può illuminare due città, “Il Brescia”, 8
gennaio 2008.
[31] Art, 2, DLgs n.79, 16 marzo 1999,
“Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato
interno dell'energia elettrica”, “Gazzetta Ufficiale”, n. 75 del 31marzo 1999.
[32] Autorità per l’energia elettrica ed
il gas, Relazione annuale sullo stato dei servizi e sull’attività svolta, Roma,
31 marzo 2006, p. 41.
[33] Ibidem
[34] I dati sono trascritti dai bilanci Asm per gli anni di riferimento.
[35] Nella puntata di “Che tempo che fa”, andata in onda
il 20 gennaio 2008, il professor Umberto Veronesi – già ministro della Sanità
dal 2000 al 2001 sotto il governo Amato – chiama in causa “pile e pile di volumi che dimostrano quello che dico”. “Tutte le
ricerche e le inchieste che abbiamo svolto direttamente non registrano nessun
aumento di tumori nelle popolazioni che vivono nelle vicinanze dei termovalorizzatori; mi riferisco naturalmente agli impianti
dotati delle ultime tecnologie in materia”.
[36] “Giornale di Brescia”, 28 febbraio 1999.
[37] L’istituto “Negri”: inceneritore sicuro, “Bresciaoggi”, 4 agosto 1998.
[38] Istituto di Ricerche Farmacologiche “M. Negri” e Fondazione Lombardia per
l’Ambiente, La termoutilizzazione nello
smaltimento dei rifiuti, atti del convegno internazionale, Milano,
25-26 ottobre 1994.
[39] Renzo Capra, Termodistruzione
e recupero di energia, ivi, pp. 199-208.
[41] Delibera G. R. L. n. 40001
del 2 agosto 1993, punto 11b
[42] Delibera G. R. L. n. 40001 del 2 agosto 1993, Allegato tecnico, B5, 1.
[43] M. Matteotti, Il termoutilizzatore
è collaudato, “Giornale di Brescia”, 12 febbraio 2000.
[44] L’inceneritore di
Brescia, il più grande d’Europa, è del tutto privo di valutazione d’impatto
ambientale (VIA). Per le prime due linee non venne
fatta perché all’epoca la Direttiva europea che l’imponeva non era ancora stata
recepita nel nostro ordinamento. Anche per la terza linea, Asm,
con una serie di escamotage, si è sottratta alla VIA
prima di realizzare l’impianto, cercando di rimediarvi nel 2005 con una
procedura “finta” ad impianto in funzione, senza peraltro evitare la condanna dalla Corte di Giustizia europea
per mancata VIA. Cfr: Sentenza della Corte di
Giustizia europea, 5 luglio 2007, Inadempimento di uno Stato – Valutazione
dell’impatto ambientale di determinati progetti – Recupero dei rifiuti –
Realizzazione della “terza linea” dell’inceneritore di rifiuti di Brescia –
Pubblicità della domanda di autorizzazione – Direttive
75/442/CEE, 85/337/CEE e 2000/76/CE, causa C‑255/05.
[45] Asm, Rifiuti, energia, ambiente. Il Termoutilizzatore
di Brescia, “Quaderni di sintesi”, n. 54, marzo
2000.
[46] Istituto di Ricerche Farmacologiche “M. Negri” e Fondazione Lombardia per
l’Ambiente, La termoutilizzazione …, cit.
[47] A. Ballarin Denti, Le
emissioni del Termoutilizzatore ASM di Brescia:
sistemi di monitoraggio e di analisi dei dati, in Asm, Rifiuti, energia, ambiente. Il Termoutilizzatore
di Brescia, cit.
[48] Marino Ruzzenenti, Un
secolo di cloro e.. PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia, Jaca
Book, Milano 2001.
[49] Massimo Tedeschi, Capra: “Siamo i
migliori perché investiamo”,
“Bresciaoggi”, 10 gennaio 2008.
[50] Comune di Brescia, Assessorato all’Ambiente,
Università degli Studi di Brescia, Dispersione atmosferica di inquinanti emessi da diverse sorgenti sul territorio bresciano, Brescia marzo 2005.
[51] Comune di Brescia, Delibera di Giunta nr. 3935 del 30 gennaio 2002.
[52] Arpa Brescia, studio e verifica delle emissioni di
micro e macro inquinanti prodotte dall’inceneritore
di Brescia, Brescia 30 giungo 2004, pp. 78-87.
[53] M. E. Jennkin, K. C.
Klemitshaw, Atomos. Environ., 2000 34, 2499; Greenpeace research laboratories, Incenerimento
e salute umana, Università di Exter (Gb), 2000, traduzione in italiano del 2003 a cura di Greenpeace e Wwf Italia, http://www.greenpeace.it/inquinamento/rifiuti/gda/incenerimentoesalute.pdf;
M. Armaroli, C. Po, “La chimica e l’industria”,
maggio 2003 e novembre 2003; R. Rossi, F. Prodi, F. Dondi, S. Piva, R. Gerdol, T. Nanni, Università di
Ferrara 2005
[54] International
Institute for Applied Systems Analysis, Vaseline scenarios for the clean air
for
[55] Ernesto Bugio, Il diavolo brucia, “L’Ecologist italiano”, n. 5, settembre 2006, pp. 46-51;
Stefano Montanari, Nanopatologie, ambiente
e inceneritori, “Medicina democratica”, nn.
168-172, luglio 2006 - aprile 2007, pp. 5358.
[56] I dati relativi all’inceneritore
per gli anni 2000 e 2001 relativi a NOx
(Arpa), HCl
e SOx (Asm) sono tratti da Comune di Brescia, Rapporto
dell’Osservatorio sul funzionamento del Termoutilizzatore
di Brescia relativo agli anni 2000 e 2001, marzo 2002, pp. 15-20, mentre
quelli relativi a NH3, nel periodo ottobre-dicembre 2001, sono tratti
da Arpa di Brescia, Campagna monitoraggio
Termoutilizzatore Asm -
anno 2001, 16 gennaio 2002. Dalle due linee, per inferenza, abbiamo stimato
le emissioni complessive.
[57] Comune di Brescia, Assessorato
all’Ambiente, Università degli Studi di Brescia, Dispersione…, p. 70.
* [Per le unità di misura, si osservi che m g (microgrammo) è 10-6 g, ng (nanogrammo ) è 10-9 g, pg (picogrammo) è 10-12 g, fg (fentogrammo) è 10-15 g .(NdC)]
[58] Comune di Brescia, Rapporto
annuale sulla qualità dell’aria 2001, p. 8.
[59] Arpa Brescia, Rapporto sulla
qualità dell’aria in Brescia e provincia, 2005, tab. 3.5.
[60] Comune di Brescia, Qualità dell’aria a Brescia, wwww.comune.brescia.it
[61] Comune di Brescia, Assessorato all’Ambiente,
Università degli Studi di Brescia, Dispersione…, cit., p. 80.
[62] Arpa Brescia, Rapporto…, cit.
[63] Marco Tedoldi, Smog e
Pm10: alle spalle un altro anno “nero”, “Giornale di Brescia”, 8 gennaio
2008.,
[64] Apat, Ministero
dell’Ambiente, Qualità dell’ambiente urbano. III
rapporto, Roma 2006.
[65] Comune di Brescia, Settore ambiente
ed ecologia, Rapporto annuale sulla
qualità dell’aria per il 2001, p.
27.
[66] Asm spa
di Brescia, Studio di Impatto Ambientale “Progetto
di riqualificazione della centrale del teleriscaldamento Lamarmora”,
marzo2006, p. 105. Secondo i dati di Arpa, relativi
all’inceneritore, la quota a carico di quest’ultimo è sottostimata, e sarebbe
almeno pari a circa 400.000 tonnellate.
[67] Sul problema dei rifiuti speciali, trattati in enormi
quantità del Bresciano si veda:
www.ambientebrescia.it/OsservazioniPianoRifiuti.pdf
[68] Per questo si veda: Celestino Panizza, L’alta incidenza
dei tumori epatici a Brescia è solo dovuta all’alcol ed ai virus dell’epatite?,
www.ambientebrescia.it/Tumorifegato.pdf
[69] “Giornale di Brescia”, 10 novembre 2007.
[70] Asl di Brescia, Delibera n.
166 del 18 marzo 2008.
[71]
Massimo Tedeschi, Capra: “Siamo i migliori perché investiamo”, “Bresciaoggi”, 10 gennaio 2008.
[72] Pietro Gorlani, Latte al PCB, ora è sicuro: la responsabilità è dei terreni, “Bresciaoggi”,
11 gennaio 2008.
[73] Lisa Cesco, Per l'assessore Brunelli «l'agricoltura
nell'hinterland è ormai quasi impraticabile Bisogna riconvertire», “Bresciaoggi”, 19 dicembre 2007.
[74] Pietro Gorlani, Alla Pastori una mucca al PCB. Valori
tre volte più alti della legge, “Bresciaoggi”,
25 gennaio 2008.
[75] M. Ruzzenenti, L’Italia
sotto i rifiuti, cit.
[76] Comune di Brescia, Settore Ambiente
ed ecologi, Rapporto dell’Osservatorio sul Termoutilizzatore,
anni 2004 e 2005, Brescia 2006, p. 9.
[77] Istituto di ricerche farmacologiche
“Mario Negri”, Ricerca di macro e microinquinanti nell’emissione aeriforme delle linee 1 e 2 del termoutilizzatore
Asm di Brescia, novembre 2002 e luglio 2003.
[78] Istituto Superiore di sanità, e
Comune di Brescia, Risultati
della prima campagna del piano di Monitoraggio della qualità dell’Aria per la determinazione di microinquinanti
organici ed inorganici nell’ambito della Valutazione di Rischio nel Sito di
Interesse Nazionale “Brescia- Caffaro”, Brescia
20 marzo 2008
[79] European
Environment Agency, Late
lessons from early warnings: the precautionary principle 1896–2000, Environmental
issue report No 22, EEA,