Marino Ruzzenenti
La storia
controversa del piombo tetraetile
[anticipazione da Industria e ambiente, Annali della Fondazione Micheletti, n. 9, Brescia 2008]
Il Novecento è per molte ragioni un secolo controverso, segnato da indubbi progressi della condizione umana, ma anche da immani tragedie. In genere si ritiene che l’industrializzazione e l’innovazione tecnica ad essa correlata siano fattori indiscutibilmente positivi. In realtà vi sono innumerevoli “casi” che potrebbero testimoniare l’opposto[1]. Quello del piombo tetraetile, in questo senso, è forse quello più esemplare.
L’automobile, l’idolo del XX
secolo
Negli anni Ottanta del secolo scorso anche in Italia, sull’onda di quanto avviene da tempo in Europa, si comincia a discutere della necessità di abbandonare la benzina super al piombo, per sostituirla con una nuova benzina, “verde”, priva di questo metallo particolarmente tossico. Dal 1994 tutte le automobili in costruzione sono alimentate da benzina “verde” e da diversi anni è ormai l’unica benzina in commercio nei Paesi sviluppati.
In verità, anche la benzina “verde” sembra esserlo più di nome, che di fatto. Certamente meno tossica della vecchia super al piombo, ma non per questo innocua. Sia perché comunque la combustione nei motori a scoppio produce importanti emissioni di ossidi di azoto e, quindi, di polveri fini che contribuiscono in modo significativo allo smog che attanaglia in particolare i centri urbani[2], sia perché gli additivi antidetonanti che hanno sostituito il piombo, come il benzene, sono comunque nocivi e cancerogeni, anche se in parte trattenuti dai catalizzatori delle marmitte.
Il risultato è che mediamente nei centri urbani il contributo del traffico veicolare alle emissioni di benzene nell’aria è di circa l’80%[3]. Ma quel “verde” suggerisce l’illusione di un’innovazione finalmente amica dell’ambiente e della vita e sembra promettere un futuro per una macchina tanto magica, quanto problematica, che comunque ha marcato in profondità il Novecento.
In effetti, oggi come agli inizi del secolo scorso, la grande preoccupazione della tecnologia e dell’industria è la promozione dell’automobile come simbolo della modernità. E l’automobile fin dall’inizio è inscindibilmente legata alla velocità e ad una sorta di rivoluzione antropologica, colta con mirabile intuito dai poeti del tempo.
Noi affermiamo – scriveva Marinetti nel Manifesto del
Futurismo del 1905
- che la magnificenza del mondo si è arricchita di una
bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile[4]
da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito
esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più
bello della Vittoria di Samotracia.
Che cosa abbia rappresentato e rappresenti l’automobile è ben espresso
da un’ingenua pubblicità dell’epoca:
Quando Dio creò la donna, lo
fece sicuramente col nobilissimo intento di allietare con una leggiadra
presenza la vita dell'uomo…, ma certo non immaginava di scatenare nel maschio
quel turbine di passioni spesso non del tutto edificanti. Molti millenni dopo
l'intelligenza umana creò uno sbuffante marchingegno meccanico…, ma al pari del
Creatore non aveva ipotizzato che quel mezzo a quattro ruote che si muoveva
autonomamente avrebbe ampiamente travalicato, nella mente di milioni di
persone, la funzione per cui era stato ideato, diventando un vero e proprio
feticcio dei tempi moderni, un oggetto del desiderio, secondo soltanto alla
donna, su cui sfogare la passione a volte insana e pericolosa della velocità.
Ed ancora Marinetti, nella poesia dedicata All’automobile da corsa[5],
così conclude la sua lirica ispirata:
[…] Più presto!… Ancora più
presto!…
E senza posa, né riposo!…
Molla i freni! Non puoi?
Schiantali, dunque,
che il polso del motore
centuplichi i suoi slanci!
Urrrrà! Non più contatti con
questa terra immonda!
Io me ne stacco alfine, ed
agilmente volo
sull’inebriante fiume degli
astri
che si gonfia in piena nel
gran letto celeste!
Dunque la velocità è la cifra non solo tecnica, ma anche culturale ed
ideologica che caratterizza fin dall’inizio la nuova invenzione. E le società
europee e nordamericane, fra le prime ad essere investite dai “bolidi”[6]
su quattro ruote, ne furono completamente rimodellate, come le esistenze dei
loro cittadini. Si può dire che l’automobile diede l’impronta al secolo
passato. Ancora oggi, nonostante le innumerevoli criticità nel frattempo emerse
(emissioni inquinanti, esaurimento dei combustibili)[7]
e a dispetto di chi da tempo ne intravedeva il tramonto irreversibile[8],
questo idolo della modernità sembrerebbe destinato ad occupare un ruolo
dominante[9].
La velocità croce e delizia
dell’automobile
Nasce
l’automobile e con essa nascono, ovviamente, le corse. La velocità è la prima
qualità apprezzata in assoluto dagli automobilisti e da sempre le case
costruttrici, nei loro manifesti pubblicitari, rappresentano anche graficamente
questa performance.
Tuttavia, per
alcuni decenni, questa corsa alla velocità era frenata dal fastidioso “battito
in testa” dei motori. Infatti, prima che i carburanti fossero perfezionati,
fino agli anni Trenta, accadeva spesso agli automobilisti di essere avvertiti
della fatica del motore da una serie di allarmanti rumori metallici, quasi che
i pistoni, prolungando la loro corsa al di là del punto morto superiore, arrivassero
a battere sul cielo dei cilindri. Il tormento per il motore era notevole, e la
perdita di potenza immediata; l'automobilista cambiava marcia, passando a
quella inferiore e la teneva fino a quando la salita era superata, o fino a
quando un nuovo battito in testa lo costringeva a passare ad una marcia ancora
più bassa.
A cosa è dovuto questo fenomeno, detto scientificamente “detonazione”? Essa sarebbe una conseguenza dell'autoaccensione del gas a valle del normale “fronte di fiamma”; cioè quando il cilindro è pieno di miscela e dalla candela scocca la scintilla, la combustione si estende formando un “fronte di fiamma”, ma vi sono delle zone dove la miscela si accende da sé (per questo si parla di autoaccensione), davanti (a valle) del fronte di fiamma. Ovviamente la velocità apparente del fronte di fiamma nella detonazione è supersonica, dell'ordine di migliaia di metri al secondo.
Sulla via delle più alte potenze la detonazione era uno sbarramento difficile da superare, e di grande importanza; infatti, a parità di benzina, l'unico modo per non incorrervi era quello di tener molto basso il rapporto di compressione. Ma è proprio sul rapporto di compressione che i costruttori dovevano puntare per aumentare il rendimento del motore senza aumentare il consumo e produrre motori capaci di imprime all’automobile velocità superiori.
Come eliminare il “battito in
testa” e dare più potenza ai motori
In particolare negli anni Venti si sviluppa il dibattito tra scienziati, ricercatori, industriali su come sia possibile eliminare il “battito in testa” e aumentare il rendimento dei carburanti. In quel periodo anche la rivista dei chimici italiani, Giornale di chimica industriale ed applicata, si impegna su questo tema tanto importante per i futuro dell’automobile (e della salute umana, si scoprirà poi).
Come si è detto, nei motori a combustione interna la compressione della miscela esplosiva ha una notevole influenza sul rendimento del motore e quindi sul consumo di carburante, che è tanto minore quanto più elevata è la compressione. Il rapporto di compressione, cioè il rapporto fra la cilindrata totale e il volume della camera di esplosione, non può però superare un certo valore, altrimenti la miscela gassosa s'infiamma spontaneamente prima che intervenga l'azione della scintilla elettrica.
A quel tempo, tra il 1925 e il 1926, i redattori della rivista degli industriali chimici italiani sembrano già più che consapevoli della problematica e anche della possibili soluzioni tecniche:
il massimo rapporto di compressione
sopportato dalla miscela gassosa aria-carburante dipende dalla costituzione
chimica di questo; mentre per la benzina leggera esso può raggiungere il valore
5, per il benzolo può arrivare a 7 e per l'alcool è ancora più elevato, invece
per il petrolio da ardere non arriva a 3. Quando si impiegano delle benzine
ordinarie, che contengono prodotti pesanti (e che, dato l'aumento del consumo,
sempre più ne conterranno in avvenire), essendo questi più sensibili ad
infiammarsi per compressione, l'aumento del rapporto di questa provoca l'accensione
prematura della miscela esplosiva, e per conseguenza il noto fenomeno della detonazione,
che rende irregolare la marcia del motore. Le cause di tale fenomeno sono
state e sono ancora molto discusse, così che per spiegarlo sono già state
emesse varie teorie […]. La detonazione viene annullata o grandemente ridotta
mediante l'aggiunta al carburante di piccole quantità di determinati composti[10].
Questo dibattito, che coinvolge diversi studiosi a livello internazionale, avviene, però, dopo che una “soluzione” si è ormai imposta con la forza della convenienza economica e della potenza irresistibile che le case automobilistiche statunitensi andavano conquistando nel mondo.
Il piombo tetraetile, antidetonante portentoso
Il protagonista della straordinaria impresa è il chimico americano Thomas Midgley. Nato nel 1889, dopo la laurea viene assunto, nel 1916, da Charles Kettering (1876-1958), noto inventore di moltissimi marchingegni nel campo automobilistico. In quel tempo le automobili vanno incontro al noto inconveniente del “battito in testa”. Midgley si ripromette di trovare un additivo che impedisca la detonazione della miscela; forse un colorante rosso avrebbe potuto assorbire il calore che si libera durante la compressione e Midgley prova ad aggiungere alle miscele che sta studiando, tutti i coloranti rossi che trova in commercio.
La leggenda vuole che una domenica, quando tutti i negozi erano chiusi, Midgley, in mancanza di meglio, abbia aggiunto alla benzina dello iodio, che é rosso e che si trovava in una boccetta in laboratorio. La benzina colorata con lo iodio non detonava più ma lo iodio costava troppo[11].
Midgley comprende così che la causa della
detonazione non dipende da difetti meccanici del motore, ma dalle
caratteristiche fisiche e chimiche del combustibile. Pare che, in seguito,
abbia provato 33.000 sostanze, finché, il
9 dicembre 1921, assieme a C. A. Hochwait, scopre che basta addizionare 0,9 cm3
di piombo tetraetile ad una libbra di cherosene per ottenere un carburante che
presenti le migliori proprietà antidetonanti fino ad allora trovate. O meglio,
è il composto meno costoso e più efficace, formato da un atomo di piombo
centrale al quale sono legati quattro residui alchilici di etile, Pb(C6H5)4.
Il piombo tetraetile è un prodotto metallorganico
noto già da tempo. È un liquido incolore, oleoso, che fu preparato per la prima
volta da Buckton in Germania nel 1859 facendo agire il cloruro di piombo sullo
zincoetile, e tale metodo fu seguito anche in Inghilterra da Frankiand e
Lawrance nel 1879, e nel 1893 in Italia dal prof. Andrea Ghira […] quando,
assistente del prof. Nasini nel laboratorio di chimica generale della R.
Università di Padova, determinò crioscopicamente il peso molecolare del composto
in questione, sciolto nel bromuro di etilene, ed il suo potere rifrangente,
per dedurne la rifrazione atomica del piombo. Nel corso di tale studio il prof.
Ghira ottenne piccole quantità di piombo tetraetile anche con un'altra
reazione, facendo cioè reagire l’ioduro di etile sopra una lega di piombo e
sodio. I tedeschi Pfeiffer e Truskier nel 1904 l'ottennero invece facendo agire
l’ioduro di etile sul cloruro di piombo in presenza di magnesio e in soluzione
eterea, mentre […] (1924) Jolibois e Normand in Francia l'hanno preparato per
azione del cloruro di piombo sull'ioduro di etil-magnesio, ed ottenuto allo
stato di purezza distillando quindi
nel vuoto il prodotto grezzo. Invece, secondo il brevetto inglese 216.083, del
14 agosto 1923, il quale ha — come di consueto — una larga comprensione, il
Midgley fa agire il piombo metallico sugli alogenuri alchilici in presenza di
un agente riduttore ed anche, preferibilmente, in presenza di un catalizzatore;
così si formano composti dialchilici di piombo, che si scindono quindi in
piombo metallico e composti tetraalchilici. Come esempio, egli dà il seguente:
si riscalda una lega di sodio e piombo, di composizione corrispondente a Na4Pb,
con bromuro di etile e piridina aggiungendo man mano acqua; il piombo tetraetile
formatosi viene asportato per distillazione in corrente di vapore d'acqua[12].
Identificato l'antidetonante, in effetti, il problema successivo per
Midgley era quello di trovare un processo che ne consentisse la sua produzione
industriale, su larga scala. Midgley prova a preparare il piombo tetraetile
facendo reagire etile di zinco su cloruro di piombo; ma con questo processo le
rese sono molto basse. Vengono, perciò, tentati molti altri processi e nel 1922
a Deepwater (Ohio), nell'impianto della Du Pont, inizia appunto la produzione
di piombo tetraetile per reazione di una lega sodio-piombo con ioduro di
metile, in presenza di un catalizzatore. (Dopo pochi mesi - nell'aprile 1922 -
lo ioduro di metile viene sostituito con
bromuro di metile, più economico). I risultati sono però ancora insoddisfacenti
finché a Bayway, nello stabilimento della Standard Oil del New Jersey, ha
inizio la produzione di piombo tetraetile utilizzando per la prima volta su
scala industriale il processo Kraus-Callis in cui il cloruro di metile
sostituisce il bromuro di metile e non occorre più il catalizzatore, processo
che si imporrà nel mondo intero[13].
Tuttavia, l’impiego del piombo presenta alcuni problemi. Durante la combustione della benzina, il piombo si trasforma in ossido di piombo che incrosta le “candele” e i cilindri del motore, un inconveniente che può essere evitato se si usa piombo tetraetile miscelato con bromuro di etile. Per produrre il bromuro di etile occorre estrarre il bromo dall’acqua di mare e nasce così una nuova industria[14]. Da quel momento la produzione del piombo tetraetile rappresenta una fra le più grandi imprese chimico-industriali degli Stati Uniti e, successivamente, d’Europa.
Risolto così felicemente il problema del “battito in testa” dei motori a combustione interna, se ne creano però di altri serissimi sul piano sanitario.
Durante la combustione, anche per tenere “puliti” i cilindri, il piombo presente nella benzina fuoriesce dal tubo di scappamento sotto forma di bromuro di piombo, volatile, che per decenni avrebbe avvelenato l’aria delle città e i polmoni di milioni di persone[15]. Ma anche nei processi produttivi, come si vedrà, migliaia di lavoratori sono stati esposti a forme più o meno gravi di intossicazione da piombo.
La produzione del piombo
tetraetile nel mondo e in Italia
Comunque il piombo tetraetile si impone a livello mondiale come la soluzione del problema del “battito in testa”. Questo composto verrà prodotto in grandi quantità a partire dagli anni Trenta fino agli anni Ottanta, esclusivamente per essere impiegato come antidetonante nelle benzine. La sua produzione, quantitativamente, seguirà quindi lo sviluppo e la diffusione degli autoveicoli nel corso del Novecento, ma anche degli aeroplani dotati di motori a combustione interna. Gli Stati Uniti raggiunsero il massimo della produzione nel 1968 con circa 400.000 tonnellate/anno e con quattro compagnie produttrici: la Du Pont de Nemours & Company con capacità produttiva totale di 150.000 t/a, la Ethyl Corporation con 175 t/a, la Houston Chemical Corporation con 45.000 t/a e la Nalco Chemical Company con 30.000 t/a[16]. Da questo anno inizierà negli Usa il lento declino della produzione di questo composto e del suo impiego come antidetonante.
In Europa l’andamento della produzione segue un’analoga curva, anche se con alcuni anni di ritardo: solo agli inizi degli anni Settanta, e solo alcuni Paesi (Svizzera, Svezia e Norvegia, Repubblica federale tedesca) inizieranno a ridurre il tenore di piombo nelle benzine[17].
Ancora negli anni Ottanta la produzione del piombo tetraetile stimata in Europa sarebbe oscillata tra le 83.000 t/a (1983) e le 84.000 t/a (1984).
In Italia, sono stati operativi quattro impianti. Il primo è quello storico della Società Lavorazioni Organiche e Inorganiche Spa (S.L.O.I.) che produceva piombo tetraetile, prima in via sperimentale a Ravenna dal 1935, poi, sul piano industriale, a Trento a partire dal 1939, con capacità produttiva, nel 1975, di 8.000 t/a, chiusa nel 1978 a seguito di un grave incidente[18].
Dal 1973 al 1980 ha operato ad Aprilia (Latina) l’I.K., Industria Chimica Additivi Prodotti Petroliferi e Affini Spa, con un impianto della capacità di 6.000 t/a[19]. A Fidenza (Parma), dalla fine degli anni Quaranta al 1973, è stato attivo l’impianto della Compagnia Italiana Petroli (C.I.P.) che produceva piombo tetraetile e mercaptani (il più noto di questi composti, a base di metano e zolfo, è impiegato come odorizzante nel metano domestico)[20].
Infine l’ultimo impianto, rimasto in funzione fino al 1993[21], è quello di Bussi sul Tirino (Pescara) della SIAC (Società Italiana Additivi per Carburanti Spa, 50% Octel Associated e 50% Montedison) che iniziò la sua attività nel 1966, con una capacità produttiva al 1982 di 23.000 t/a[22].
La tossicità del piombo
Quando fu iniziata la produzione
di piombo tetraetile, si vedrà più avanti, un gruppo di operai fu
immediatamente colpito da intossicazione acuta. Il piombo è l’82° elemento nella tavola periodica. Il suo numero
atomico è 82 e il peso atomico 207,19. È un metallo noto dall’antichità ed è
relativamente abbondante sulla crosta terrestre (13gr/ton, al 36° posto), dove
si trova soprattutto nel minerale galena o solfuro di piombo, PbS. Il cristallo
ha una struttura cubica a facce centrate. Il piombo è un metallo lucido e bluastro;
è piuttosto morbido, molto malleabile e duttile ed è un mediocre conduttore di
elettricità. È molto resistente alla corrosione, ma al contatto con l’aria si
ossida e annerisce. Tubature di piombo, che portano le insegne dell'impero
romano e venivano usate come scarichi dei bagni, sono tuttora funzionanti.
Il piombo ha molteplici utilizzi, che recentemente si cerca di limitare appunto a causa della consapevolezza della sua tossicità e del danno indotto dalla sua dispersione non controllata nell'ambiente. Viene impiegato negli accumulatori, nelle munizioni, nelle tubature, in vernici come il minio, come schermo contro le radiazioni, e in leghe con lo stagno per saldature.
Il piombo figura al 2° posto nella lista delle sostanze pericolose
indicate dall'ATSDR (Agency for Toxic Substances and Disease Registry)
nordamericana nel 1999. La nocività di questo metallo è nota da molto tempo,
specie nelle sue manifestazioni acute (colica saturnina). Tuttavia,
recentemente, come è accaduto per numerosi altri agenti inquinanti, la dose
considerata critica è stata notevolmente abbassata. Fino a circa trent'anni fa,
l'avvelenamento cronico da piombo era definito dalla presenza di una dose
superiore a 80µg/dl[23]
nel sangue, mentre attualmente viene considerata 'alta' una dose di Pb di 30
µg/dl e potenzialmente nocive, specie nello sviluppo, quantità uguali o
superiori a 10µg/dl (0.1ppm).
Assorbito essenzialmente attraverso la respirazione e la nutrizione, il
piombo non viene metabolizzato, ma per larga parte escreto, mentre il resto
(circa 20%) si distribuisce nei tessuti e in particolare: nel sangue, ove
circola quasi esclusivamente negli eritrociti; nei tessuti minerali (ossa e
denti), ove si accumula; nei tessuti molli (reni, midollo osseo, fegato e
cervello).
La presenza di Pb nel sangue, all'interno dei globuli rossi e in
massima parte legato all'emoglobina, provoca anemia, che deve però considerarsi
non un sintomo, ma una manifestazione tardiva dell'avvelenamento da Pb.
Attraverso il sangue, il Pb si distribuisce in tutti gli altri tessuti. Per la
sua capacità di 'imitare' il calcio, e quindi soprattutto in caso di
insufficiente assunzione di calcio, il piombo si accumula nelle ossa e vi
costituisce una componente stabile. Tale componente può essere mobilizzata, e quindi
rientrare in circolo nel sangue, in particolari stati fisiologici di stress
(gravidanza, allattamento, malattie), ma anche come conseguenza di un
accresciuto apporto di calcio nella dieta. Questo accumulo stabile di Pb nelle
ossa rende molto lenta la guarigione dalla piombemìa, anche dopo un completo
allontanamento dall'agente tossico.
Il piombo è in grado di danneggiare praticamente tutti i tessuti, in
particolare i reni e il sistema immunitario. La manifestazione più subdola e
pericolosa dell'avvelenamento da piombo è quella a carico del sistema nervoso.
Negli adulti il danno da piombo si manifesta soprattutto con neuropatia
periferica, che si ritiene dovuta a un processo di demielinizzazione delle
fibre nervose. L'esposizione intensa ad elevate dosi di piombo (da 100 a
200µg/dl) provoca encefalopatia, i cui sintomi sono: vertigini, insonnia,
cefalea, irritabilità e successivamente crisi convulsive e coma. La neuropatia
da piombo colpisce soprattutto nello sviluppo, con turbe comportamentali e danni
cognitivi. Studi epidemiologici hanno mostrato una forte correlazione fra il
livello di piombo nel sangue e nelle ossa e scarse prestazioni in prove
attitudinali (test QI o psicometrici); una simile correlazione è stata
accertata anche in studi comportamentali su animali esposti al piombo subito
dopo la nascita. Il processo di apprendimento avviene attraverso la formazione
e il rimodellamento delle sinapsi e l'effetto tossico del piombo su questo
processo suggerisce che questo metallo danneggi specificamente la funzione
sinaptica. La particolare vulnerabilità dei bambini è accresciuta dal fatto che
essi sono particolarmente esposti all'assunzione di piombo, per esempio se
nutriti con latte artificiale preparato con acqua ricca di piombo, ovvero per
ingestione di frammenti di vernice al piombo.
L'avvelenamento da piombo viene curato con farmaci che esercitano
un'azione 'chelante' sul metallo, ovvero molecole in grado di legare il piombo
formando un complesso stabile che viene escreto. I farmaci più utilizzati per
questa terapia sono il calcio-EDTA (calcio disodico edetato), il diemercaprolo
(DMSA o BAL) e la penicillammina, un derivato della penicillina che però non ha
azione antibatterica, ma solo chelante.
La tossicità del Pb deriva in larga misura dalla sua capacità di
‘imitare’ il calcio, ovvero di
sostituirsi ad esso in molti dei processi cellulari fondamentali che dipendono
dal calcio.
Il piombo può attraversare la membrana cellulare mediante diversi
sistemi, non ancora completamente chiariti.
Una volta entrato nel citoplasma, il piombo continua la sua azione di
mimica distruttiva, occupando i siti di legame per il calcio su numerose
proteine calcio-dipendenti. Il piombo si lega alla calmodulina, una proteina
che, nel terminale sinaptico, funziona come sensore della concentrazione di
calcio libero e da mediatore del rilascio di neurotrasmettitore. Inoltre,
altera il funzionamento dell'enzima proteina chinasi C, una proteina
praticamente ubiquitaria di importanza fondamentale per numerose funzioni fisiologiche.
La chinasi C viene normalmente attivata da un modulatore esterno alla cellula
(ormoni, neurotrasmettitori ecc), attraverso una catena enzimatica e in modo
dipendente dal calcio. La proteina attivata, fra l'altro, influenza
direttamente l'espressione di geni IERG (immediate early response genes: geni a
risposta immediata). Il piombo presenta un'elevata affinità per i siti di
legame specifici del calcio su questa proteina; dosi picomolari sono in grado
di prendere il posto di dosi micromolari di calcio.
In sistemi cellulari modello, è stato mostrato come il piombo sia in
grado di stimolare l'espressione genica con un meccanismo mediato dalla
proteina chinasi C e si presume che tale effetto possa avere relazione con
alterazioni del funzionamento sinaptico. Il piombo supera agevolmente la
barriera emato-encefalica, con una velocità tale da potersi considerare un
potente neurotossico a livello centrale. In questo caso il meccanismo di
penetrazione non è completamente chiarito, ma l'ipotesi più probabile è che
esso sia trasportato passivamente come ione PbOH +. Nel cervello sembra che il
piombo si accumuli negli astrociti che lo sequestrano, proteggendo in questo
modo i più vulnerabili neuroni. Evidentemente questo accumulo origina spesso un
danno cellulare. In queste cellule, come presumibilmente nei neuroni,
l'ingresso del piombo è mediato attraverso i canali del calcio.
Gli effetti del piombo sul cervello, con il conseguente ritardo mentale
e deficit cognitivo, sono mediati da una sua interferenza con i tre principali
sistemi di neurotrasmissione: il sistema dopaminergico, quello colinergico e
soprattutto quello glutammatergico. L'effetto del piombo sui primi di questi
due sistemi (dopaminergico e colinergico) sono accertati, ma scarsamente
descritti dal punto di vista dei meccanismi.
È noto, invece, come il piombo interferisca direttamente con l'azione
del glutammato, il fondamentale neurotrasmettitore del cervello. Il glutammato
esplica la sua azione di stimolazione eccitatoria dei neuroni legandosi a
recettori di membrana che appartengono a diverse famiglie. Dosi micromolari di
piombo sono in grado di bloccare il flusso di ioni attraverso il canale di
membrana associato a una classe specifica di recettori del glutammato
(denominati tipo NMDA). I recettori NMDA, appunto attraverso il funzionamento
del canale ionico, svolgono un ruolo fondamentale nella trasmissione sinaptica
eccitatoria e, per certe loro caratteristiche peculiari, appaiono coinvolti nei
processi di formazione delle reti neuronali, e quindi nelle funzioni della
memoria e dell'apprendimento. Sono proprio questi recettori che appaiono uno
dei bersagli critici del piombo nei neuroni del sistema nervoso centrale. Come
ciò sia in grado di alterare lo sviluppo cognitivo è tuttora ignoto[24].
Il piombo è stato classificato
dall’Istituto per le ricerche sul cancro (Iarc di Lione) dell’Oms come probabilmente cancerogeno per
l’uomo (classe 2A)[25].
Gli effetti sulla popolazione
Con tutta evidenza, il piombo è davvero una brutta bestia per la salute umana. E nel corso di oltre mezzo secolo, possiamo solo immaginare quali siano stati gli effetti di una diffusione in ambiente, negli Usa ed in Europa, e quindi in tutto il mondo, di milioni di tonnellate di piombo tetraetile. Si pensi che negli Stati Uniti, in dieci anni, dal 1961 al 1971, le concentrazioni del piombo nell’aria di alcune città aumentò del 65%[26].
La “pandemia”, allora in corso, da piombo tetraetile è così descritta negli anni Ottanta dal medico igienista Aldo Sacchetti, nel suo L’uomo antibiologico:
Classico
è l’esempio del piombo, divenuto l’inquinante pandemico più diffuso da quando,
nel 1923, alcuni suoi composti organici furono aggiunti alle benzine per elevarne il potere antidetonante (cioè per non far "battere in
testa" il motore). Da allora ‑
non essendo il metallo degradabile in alcun modo ‑ il suo livello nell’atmosfera,
nelle acque di pioggia, nel terreno, negli alimenti, perfino negli oceani e
nei ghiacciai della Groenlandia e dell'Antartide si è elevato in misura
impressionante. Veleno inattenuabile di ogni cellula, di ogni forma di
vita animale o vegetale, il piombo è ormai talmente incorporato nella biosfera
da renderne imprevedibili le conseguenze.
Dato il suo alto peso specifico e la bassa tensione di vapore, in
condizioni naturali il piombo nell'aria dovrebbe essere praticamente zero.
Nessuna specie vivente ha elaborato difese per non riceverlo dall'atmosfera. Le
piante hanno imparato a limitarne l'assunzione dal terreno, l'uomo a non
assorbirne, mediamente, più di un decimo se lo ingerisce. Ma dai motori a
combustione interna il piombo viene espulso in particelle per la massima parte
inferiori al micron, sotto forma di aerosol trapassante direttamente nel sangue
dagli alveoli polmonari.
Più del
90% del piombo distribuito dal torrente circolatorio si deposita nelle ossa. La
parte residua esercita la sua azione tossica su tutti gli altri tessuti.
Interagendo con il fosfato inorganico, ostacola la fosforilazione ossidativa
nei mitocondri (i microscopici organi respiratori di ogni cellula) e
compromette alla radice i processi energetici dell'organismo. L'effetto è
aggravato dall'inibizione di diversi enzimi (come la deidratasi dell'acido
delta‑aminolevulinico, l'uroporfirinogeno‑decarbossilasi,
l’emesintetasi) indispensabili per la formazione dell'emoglobina e di altre
cromoproteine fondamentali della catena respiratoria. L'ossigenazione dei
tessuti è infine ulteriormente ridotta dall'azione vasospastica esercitata sia
direttamente dal piombo, sia da alcuni metaboliti (protoporfirine) che si accumulano
nel sangue in seguito alla stessa inibizione enzimatica.
Il
piombo non conosce parità di sesso. Le donne, per una relativa carenza cronica
di ferro e forse anche per motivi ormonali, si dimostrano a esso più sensibili
(almeno per quanto concerne la biosintesi dell'emoglobina). Attraversa il
filtro placentare, danneggiando e provocando effetti teratogeni nel feto. Si
combina con i gruppi fosforici degli acidi nucleici: il significativo aumento
di aberrazioni cromosomíche nei linfociti dei lavoratori esposti conferma
l'azione lesiva sul genoma (il materiale genetico cellulare). L'Agenzia
internazionale di Lione per le ricerche sul cancro considera alcuni composti
del piombo (acetato, subacetato, cromato, fosfato) come dotati di sufficiente
evidenza di cancerogenicità negli animali da esperimento.
Sul sistema nervoso il piombo agisce alterando i neuroni e la guaina
mielinica che li avvolge e modificando i gradienti di concentrazione
intraneuronica del calcio, con riflessi sulla liberazione di acetilcolina e
noradrenalina, i due più comuni mediatori chimici nella trasmissione degli
impulsi. Perfino in soggetti il cui sangue presenta livelli di piombo oggi
considerati "normali" (ma che gli alterati equilibri ambientali fanno
presumere almeno duecento volte più elevati di quelli dell'era preindustriale)
si può osservare un abbassamento della velocità di conduzione dei nervi periferici o l'instaurarsi di potenziali
spontanei, rivelati da piccole contrazioni muscolari involontarie. Ugualmente
precoci possono essere i sintomi a livello encefalico: modificazioni dell'umore
e del comportamento, deficit dell'orientamento e della memoria, astenia,
insonnia, cefalea, elevazione della soglia uditiva e allungamento dei tempi di
reazione, soprattutto visivi; diminuzione delle capacità discriminative
percettive; calo delle prestazioni fisiche e mentali.
Nei bambini si manifesta una riduzione del quoziente
intellettivo e del coordinamento psicomotorio, con turbe del comportamento
(distraibilità, incostanza, timidezza, frustrazione, impulsività,
iperattività). A giudizio quasi unanime degli insegnanti, nelle scuole
elementari cittadine gli alunni che accusano tali disturbi sono oggi molto più
numerosi di una trentina di anni fa. Questi fanciulli sarebbero da sottoporre a
test biochimici di esposizione al piombo. Accertamento che in Italia non viene
quasi mai richiesto, né suggerito.
Il 7,4%
dei bambini statunitensi controllati attraverso il programma statale di
sorveglianza presentava, nel 1977, indici di intossicazione e la piomboemia dei
ricoverati in un istituto per ritardati mentali del New Jersey raggiungeva, nel
1979, livelli superiori a 200 microgrammi per 100 ml (cinque volte più elevati
del massimo tollerabile per un adulto). Perciò negli USA, da alcuni anni, si è
installata una doppia rete di distributori di carburanti: quella delle benzine
al piombo, riservate ai veicoli di vecchia produzione, e quella delle benzine
apiombiche, destinate alle vetture nuove, nelle quali il diverso diametro del
bocchettone non consente di introdurre l'altro tipo di carburante.
Nel 1981 un autorevole
consigliere medico del governo inglese, Sir Henry Yellowlees, si pronunciò
decisamente per l'abolizione totale dell'additivazione di piombo ai carburanti.
Ulteriori indagini confermavano infatti la grave insidia che questo metallo
rappresenta per il sistema nervoso infantile. Il Dott. Herbert Needleman, del
Children's Hospital di Boston, aveva rilevato, in oltre duemila bambini, una
significativa corrispondenza fra aumentato livello del piombo nei denti decidui
e minore quoziente intellettivo. Ad analoghi risultati erano pervenuti studi
condotti a Glasgow considerando anche gli effetti dell'esposizione prenatale,
dato che la piomboemia del feto è direttamente correlata a quella materna.[27]
I siti in cui è stato prodotto
il piombo tetraetile: inquinamento diffuso e danni alla salute dei lavoratori
Ma che cosa è accaduto nelle fabbriche che hanno prodotto il piombo tetraetile in Italia?
Qui ci troviamo di fronte soprattutto a due problemi: l’inquinamento del territorio in cui erano ubicati gli impianti e l’intossicazione prodotta sui lavoratori che vi sono stati impiegati nel corso dei decenni.
Dei quattro impianti interessati alla produzione del piombo tetraetile due sono stati inseriti nei 50 siti inquinati di interesse nazionale, la Compagnia Italiana Petroli di Fidenza e la SLOI di Trento[28].
Non si hanno notizie dei siti di Aprilia e di Bussi sul Tirino, ma è probabile che anche in quei luoghi il problema fino ad ora all’apparenza dormiente prima o poi sia destinato al risveglio.
Il caso della CIP di Fidenza: bonifica realizzata?
La CIP, nota a Fidenza come “fabbrica della morte” lascia una pesante eredità sul territorio della città, quando chiude l’attività nel 1973. In verità per oltre un decennio l’inquinamento viene ignorato, come il classico sporco affrettatamente spazzato sotto il tappeto. Bisogna attendere il 1986 perché un’indagine rilevi la presenza di elevatissime concentrazioni di piombo nell’area ed il problema riemerga nella sua gravità. Occorreranno, quindi, più di venti anni perché si giunga finalmente alla bonifica, un risultato comunque eccezionale se confrontato con altri casi analoghi. Tra il 1988 e il 1991 si esegue lo studio geolitologico ed idrogeologico del sito e si certifica l’inquinamento del suolo e delle falde acquifere che coinvolge anche l’area dell’adiacente ed ancora attiva Carbochimica. In seguito a ciò il sindaco di Fidenza impone il divieto di utilizzo di acqua attinta da pozzi privati nella zona a nord dell’area industriale. Sempre nel 1991, il comune e la Provincia chiedono alla Regione Emilia Romagna l’inserimento dell’area ex C.I.P. nel piano di bonifica delle aree inquinate (art. 5 l. n. 441/1987).
Successivamente, il Piano Regolatore Generale del Comune di Fidenza approvato con deliberazione della Giunta Provinciale n. 1470 del 6 dicembre 1996, ha perimetrato l’area ex CIP all’interno di uno strumento urbanistico attuativo denominato “P.P.Log.”, insieme all’adiacente insediamento della Carbochimica s.p.a. ed al podere “Loghetto” di proprietà comunale, con l’obiettivo di governare in modo unitario la riqualificazione produttiva dell’area immediatamente a nord del rilevato ferroviario. Tra il 1996 e il 1998, a seguito di una convenzione tra Regione Emilia Romagna, ENEA, C.C.R. di Ispra e Comune di Fidenza, viene eseguito lo studio di caratterizzazione del sito industriale[29]. Si rileva che la contaminazione al suolo si estende fino ad una profondità di tre metri, ad eccezione di due porzioni denominate “G” ed “R” nelle quali è presente rispettivamente una contaminazione da piombo tetraetile, ed una contaminazione da piombo che si estende anche oltre tale profondità.
Il rapporto definisce gli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell’area, con particolare riferimento alle piscine nelle quali sono stati raccolti i fanghi finali delle lavorazioni contenenti alte concentrazioni di piombo tetraetile, per le quali si prevede la rimozione, come azione prioritaria. Quindi, nel 1998, la Giunta regionale approva il “Programma generale degli interventi di bonifica dei siti contaminati, aree pubbliche e aree private” nel quale figura l’area ex CIP e prevede il finanziamento dell’intervento di rimozione delle piscine per un importo di £.1.620.000.000. Si giunge così al 2001, quando a seguito di specifica richiesta dell’amministrazione comunale, la bonifica dell’area ex CIP, insieme a quella di altre aree inquinate presenti nel territorio comunale, viene inserita tra quelle ammesse a finanziamento con decreto del ministero dell’ambiente del marzo 2001[30].
Così il decreto ministeriale descrive il sito:
Perimetrazione.
L'area d'indagine è stata
interessata da diverse sorgenti d'inquinamento derivanti dall'attività delle
industrie operanti sul sito. Fino alla fine degli anni quaranta, l'area è stata
utilizzata da un'azienda della Montecatini – Montedison per la produzione di
acido fosforico e fertilizzanti fosfatici. Successivamente l’area è stata
utilizzata dalla Compagnia Italiana Petroli (C.I.P.) per la produzione di
piombo tetraetile e mercaptani, che è continuato fino al 1973. Dal 1973 ad oggi
è rimasta inutilizzata. Il sito, contaminato da piombo tetraetile, IPA ed altre
sostanze organiche, confina ad est con la ditta Carbochimica, tuttora
produttiva, che ha fortemente inquinato il suolo da idrocarburi e sta
bonificando l'area ad ovest della C.I.P. mediante pompaggio di idrocarburi
dalla falda freatica. Le aree site in località Vallicella, Formio, sedi di
discariche dismesse di rifiuti urbani e speciali, ubicate in aree golenali,
presentano inquinamenti di sostanza organica e metalli pesanti ed i fenomeni
erosivi dello stirane ne hanno parzialmente messo a nudo i rifiuti. L'area di
S. Nicomede, contaminata dalle ceneri dell'impianto di incenerimento dismesso,
è ubicata in area esondabile dello Stirone medesimo.
Principali caratteristiche ambientali.
La litologia superficiale
dell'area è costituita da materiali mediamente permeabili (sabbie e limi).
Morfologicamente il sito è collocato in una fascia di alta pianura, solcata da
numerosi corsi d'acqua (torrente Stirone, torrente Rovacchia e canale Cavo
Venzola). La falda superficiale è situata alla profondità media di 2,5 m sotto
il piano campagna, mentre la falda acquifera regionale ha la profondità media
di 5,0.
La vulnerabilità della falda
e dei corpi idrici superficiali presenti nell'area, l'esondabilità dei corsi
d'acqua limitrofi, la collocazione nelle vicinanze del centro urbano di
Fidenza, la tipologia e pericolosità degli inquinanti (piombo tetraetile, IPA)
rendono lo stato di compromissione dell'area ad elevato rischio ambientale e
sanitario
Costi di messa in sicurezza e/o bonifica.
I costi di interventi di
bonifica per le aree è stato stimato in circa 39 miliardi di lire.
La bonifica dell'area
Carbochimica, già in parte realizzata, trova la copertura finanziaria per il
suo completamento all'interno delle economie disponibili nelle casse della
regione Emilia Romagna derivanti dai finanziamenti PTTA 94/96 con l'erogazione
di un contributo di 1.279 miliardi da autorizzarsi da parte del Ministero. I
costi degli interventi più urgenti sono stimati paria circa 17,7 miliardi.[31]
Il 26 giugno
del 2001, il consiglio comunale di Fidenza autorizza l’acquisizione, con le
modalità ed alle condizioni previste dal Tribunale di Parma, dell’area
industriale della ex Compagnia Italiana Petroli Spa, per 40 milioni di lire. Si
firma inoltre la convenzione con la Regione che prevede il finanziamento di £
300 milioni pari a € 154.937,07, a totale copertura della spesa prevista per le
attività di progettazione e studio puntuale dell’area; il 30 ottobre successivo le bonifiche di Fidenza accedono ai
finanziamenti ministeriali (D. M. 468/2001).
A febbraio del 2002 si espleta la gara per la progettazione della bonifica dell’area ex CIP (40.000 euro) affidata allo studio Zanettini di Parma e iniziano i lavori previsti con il primo step: la predisposizione del Piano di caratterizzazione inviato il 20 maggio 2002 per la valutazione da parte delle sedi ministeriali competenti. Con decreto del 16 ottobre 2002 “Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Fidenza” sono state individuate le aree da sottoporre ad interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza, bonifica, ripristino ambientale e attività di monitoraggio individuate nella cartografia ad esso allegata. Nel 2003, in occasione della conferenza di servizi tenutasi al Ministero dell’Ambiente, il 19 marzo si decide di verificare l’esigenza di interventi di messa in sicurezza d’emergenza relativamente alla rimozione di fanghi e scorie presenti nella piscina ed in due vasche, allo svuotamento e bonifica di quattro serbatoi interrati ed alla realizzazione di una barriera idraulica per impedire la contaminazione delle acque di prima falda.
Il progetto (1.767.412,80 euro) viene inviato alla Regione per accedere ai finanziamenti. Espletata la gara d’appalto per i lavori, la ditta aggiudicatrice risulta la S.E.A.L. s.r.l. con sede in Livorno che il 15 ottobre inizia i lavori di cantierizzazione di messa in sicurezza dell’area ex CIP.
Quindi il processo di
bonifica avanza abbastanza speditamente:
nel marzo del 2004 si tiene la conferenza di servizi presso il ministero
dell’Ambiente per l’approvazione del
progetto preliminare di bonifica dell’area ex CIP, concordando sulla necessità
di sottoporre ad interventi di messa in sicurezza d’emergenza anche l’area di
Carbochimica s.p.a. e di integrare la messa in sicurezza già in corso nell’area
di proprietà comunale denominata ex CIP.
Nel 2005 il Comune acquista
Carbochimica e dà il via alle opere urgenti di messa in sicurezza, mentre a
fine settembre viene dichiarato approvabile dalla conferenza ministeriale il
progetto definitivo di bonifica dell’area ex CIP e vengono individuati
ulteriori e conclusivi interventi da eseguire in emergenza all’interno
dell’area. Nel 2006 si concludono le messe in sicurezza di emergenza dell’area
ex CIP che corrisponderebbero a circa il 70% dell’intervento di bonifica e si
completa l’integrale demolizione dell’area di cui viene lasciata come ricordo
del suo passato industriale la sola torre dell’acqua[32].
Si è già ricordato che l’impianto più antico di produzione del piombo tetraetile in Italia è quello della SLOI, Società Lavorazioni Organiche e Inorganiche Spa, funzionante sperimentalmente prima a Ravenna dal 1935, poi, su base industriale, a Trento a partire dal 1939.
Le vicende di questa fabbrica
sono particolarmente drammatiche e culmineranno nel 1978 con la traumatica
definitiva chiusura. Il 14 luglio del 1978, 100.000 abitanti della città di
Trento rischiano un avvelenamento da piombo con conseguenze difficilmente
immaginabili. L’incubo per l’intera città dura alcune ore: l’esplosione di 200
quintali di sodio, causata da un banale
acquazzone, ha seriamente minacciato di estendersi alle cisterne di piombo
tetraetile, situate a poche decine di metri. L’acqua, a
contatto col sodio, scatena una reazione chimica violenta: scoppia il sodio e
dallo stabilimento esce una palla di fuoco coperta da una nube che avanza verso
la città.
È notte e dalle case di Cristo Re la gente esce in pigiama e scappa. Se le fiamme raggiungono il piombo, è una catastrofe. L’“Alto Adige”, il giorno dopo, titola: Rischio nella notte: Trento un enorme cimitero per 100.000 persone. La reazione di una parte della popolazione e dell’opinione pubblica impone quindi la chiusura della fabbrica, ordinata dal sindaco Tononi il 18 luglio, ed il sequestro degli impianti da parte della magistratura[33].
Scampato il pericolo, la città
“dimentica” la SLOI. Solo dopo oltre 20 anni, quando si torna a parlare per
possibili riusi urbanistici di quel sito dimenticato, a Nord di Trento, paradossalmente è la stessa SLOI che avrebbe fatto causa al Comune di Trento
per chiedere un risarcimento miliardario dei danni: vince la causa in primo e
secondo grado, ma la perde successivamente in
Cassazione. Solo allora “incredibilmente il Comune
chiede, a sua volta, il risarcimento dei danni, che però viene respinto, perché
è passato troppo tempo. Doveva svegliarsi prima”[34].
Nel 2001 anche la SLOI viene inserita dal Ministero dell’Ambiente nei
siti inquinati di interesse nazionale:
Perimetrazione del sito.
Il sito è costituito dalle
aree occupate dalle antiche industrie chimiche Carbochimica (S = circa 5
ettari) e Sloi (S = circa 5,5 ettari), ubicate nella piana alluvionale della
Val d'Adige a nord della città di Trento, denominata Campotrentino
caratterizzata dalla presenza di un reticolo di fosse, che originariamente
servivano per il drenaggio delle campagne, trasformatesi, a seguito
dell'urbanizzazione, in collettori di raccolta delle acque meteoriche.
La Carbochimica […]
La Sloi, attiva dalla fine
degli anni '30, produceva piombo tetraetile ed altre sostanze altamente tossiche.
Lo stabilimento fu chiuso nel 1978, su ordinanza del Sindaco di Trento, a
seguito di un incendio che provocò la fuoriuscita di una nube tossica di vapori
di soda caustica. Attualmente gli impianti sono stati smontati e i fabbricati
parzialmente demoliti.
Gli inquinanti tipici
rilevabili nell'area della ex Carbochimica sono costituiti da I.P.A., solventi
aromatici e fenoli; […]
Gli inquinanti tipici
rilevabili nell'area dell'ex Sloi sono costituiti da piombo totale, piombo
organico e mercurio (derivante dall'impianto cloro ‑ soda). La
contaminazione da piombo tetraetile è presente nel terreno di riporto e
nell'orizzonte limoso e, come rilevato dalle analisi allegate al progetto
definitivo, è massiccia anche in profondità nei terreni dell'acquifero, dove è
in atto una sua lenta degradazione che origina fasi solubili e polari (piombo
trietile e dietile), in parte adsorbite dalla frazione argillosa del limo ed in
parte trasportate dalle acque di falda. La diminuzione esponenziale delle
concentrazioni di questi composti nelle acque di falda con l'aumento della
distanza dall’impianto dismesso è attribuibile non solo alla diluizione e alla
dispersione ma anche alla biodegradazione. Le rogge interessate dagli antichi
scarichi della fabbrica presentano notevole contaminazione delle acque (fossa
Armanelli) e dei sedimenti di piombo totale di piombo organico e di mercurio.
Le aree ex industriali in
oggetto si trovano nella piana alluvionale di Trento Nord, compresa tra i
conoidi del torrente Avisio e del Fersina e limitata dai massicci cartonatici
del Soprassasso e del Calisio.
Il corso dell'Adige,
rettificato ed arginato, defluisce sul fianco occidentale del fondovalle ad una
distanza di circa 500 metri. Il sistema idrografico è costituito da un reticolo
di fosse, che originariamente servivano per il drenaggio delle campagne,
trasformatesi, a seguito dell’urbanizzazione, in collettori di raccolta delle
acque meteoriche: le rogge confluiscono nel Rio Lavisotto, che raccoglie le acque
provenienti dal Monte Calisio. I corsi d'acqua adiacenti alle ex aree
industriali e quindi anche il Lavisotto sono stati interessati dagli scarichi
delle antiche industrie e presentano quindi un inquinamento diffuso.
La successione
stratigrafica, dall'alto verso il basso, è la seguente: materiale di riporto
(pochi metri), limi passanti a sabbie fini (circa 5 metri), ghiaie sabbiose e
sabbie con ghiaia (circa 7 metri: sede dell'acquifero principale), lente di
limi (max circa 2 metri), sabbie fini (5 ‑ 10 metri), alternanze di
sabbie fini con lenti di limi (fino alla profondità di circa 40 m sotto il
p.c.).
La falda acquifera, che è di
tipo semiconfinato (K = 3 x 10-3 m/s), scorre in direzione sud con
pendenza di circa 0.1 ‑0.2%: la soggiacenza media della falda è di circa
2 metri. Esistono numerosi pozzi nell'area, che emungevano elevate quantità di
acqua, molti dei quali non sono più utilizzabili in quanto inquinati.
La vastità dell'area, la sua
collocazione nel contesto urbano, il pericolo connesso alla tipologia degli
inquinanti (piombo organico, naftalene, solventi aromatici e fenoli) ed alla
presenza di rifiuti industriali, la vulnerabilità della falda, la presenza di
un sistema idrografico costituito da una fitta rete di canali dì acqua superficiale
portano a ritenere che il sito presenti caratteristiche di elevato rischio
ambientale e sanitario
Costi di
messa in sicurezza e/o bonifica.
Il costo degli interventi di
bonifica relativi alle due aree industriali è stato stimato pari a circa 115
miliardi di lire. Il costo della bonifica delle rogge è stimato in 85 miliardi
dei quali 80 per le rogge di competenza pubblica e 5 per quelle di competenza
privata. I1 costo totale di bonifica è quindi stimabile in circa 200 miliardi
di lire.
Nel periodo 1994 ‑
1997, nelle aree della Carbochimica e della Sloi, sono state effettuate dalle
strutture pubbliche e private sia un monitoraggio continuo dei piezometri
installati sia una serie di prelievi ed analisi chimiche di campioni di aria,
terreni, acque superficiali e di falda. Nel 1996 le analisi chimiche sono
state estese in modo sistematico anche alle rogge, sulla base delle risultanze
di un'analisi di rischio effettuata dalla P.A.T. (UWG '96). Nel 1995 sono stati
redatti per le due aree ex industriali dei progetti definitivi sulla base di
appositi criteri guida, che hanno comportato la preventiva realizzazione di una
vasta campagna di sondaggi (oltre 200), campionamenti ed analisi chimiche.
Nello stesso periodo sono stati presentati i progetti preliminari per le fosse
pubbliche e private.
Progetto di messa in sicurezza e/o
bonifica.
Approvazione, da parte della
Commissione tutela ambientale della provincia autonoma di Trento, ed esecuzione
di un progetto di bonifica e rimozione dell’amianto giacente negli edifici
dell’impianto industriale ex Sloi. Recinzione di tutti i siti inquinati (aree
ex industriali e fosse). Monitoraggi cadenzati e definiti sulla base di
appositi protocolli sia delle acque superficiali sia di quelle di falda.
Progetto della barriera idraulica per l'intercettazione e la depurazione della
falda inquinata in uscita dall’area ex Carbochimica. Progetto di
disattivazione, mediante by pass a monte, del flusso idrico del tratto
inquinato della fossa Armanelli. Istituzione di una vasta area di controllo
edilizio con prescrizioni di qualificazione dei suoli, delle acque e divieto di
emungimenti che possono provocare movimentazione in falda degli inquinanti.
Disattivazione di pozzi ad
uso irriguo nelle aree circostanti i siti inquinati ed in particolare quelli
ricadenti nel pennacchio dell’ex Carbochimica.[35]
Mentre il progetto di bonifica è andato avanti per l’ex
Carbochimica, con l’estrazione degli IPA dai terreni, per l’ex SLOI i problemi
tecnici e di costi, ancora oggi, sembrano insormontabili. Le concentrazioni di
piombo tetraetile nei terreni sono altissime e penetrate per decine di metri
del sottosuolo, cosicché, ancora nel 2005 “della fabbrica, chiusa nel 1978, non
restano che le inquietanti rovine alle porte di Trento, divenute luogo di
ritrovo dello spaccio e dell'immigrazione clandestina. E un'eredità terribile:
180 tonnellate di piombo tetraetile inquinano tutta l'area in profondità,
35.000 metri cubi di terreno. Una bomba ecologica sulla quale - dopo la distruzione
annunciata entro il 2005 dei resti della fabbrica - è prevista la costruzione
di abitazioni. Solo che nessuno ha idea di come portare a termine la bonifica”[36].
In effetti vi sarebbe un progetto urbanistico per queste aree
che rappresentano uno dei punti chiave per la
connessione tra il centro storico ed il recente polo terziario e direzionale di
Trento nord, ma anche per la relazione dei due assi viari nord-sud di via
Brennero e via Maccani. Il principale ostacolo allo sviluppo di queste aree è costituito
appunto dalla natura del terreno che le ricopre entrambe, in particolare della
ex Sloi. Con la variante al Piano Regolatore Generale del 1994 rientrano come
"Zone CCP" nelle quali è consentita l’edificazione mediante un piano
ad hoc con procedure attuative speciali.
La nuova struttura urbana è stata già delineata in una
proposta dall’Arch. Vittorio Gregotti che garantisce la connessione tra via
Brennero e via Maccani mediante un asse viario che attraversa diagonalmente
l’area. Le relazioni tra le parti sono comunque assicurate nell’ipotesi
dell’interramento o meno del tratto cittadino di ferrovia mediante una grande
piastra sopraelevata con funzione di piazza pubblica. Il progetto si
caratterizza morfologicamente per la scelta di edifici a torre collegati tra
loro da blocchi orizzontali all’interno dei quali trovano posto diverse
attività: un centro commerciale, tunnel per il passaggio di assi viari e per la
linea ferroviaria, garage. Gli edifici a torre con funzione residenziale,
commerciale, terziario ed albergo si distribuiscono secondo una composizione
unitaria all’interno degli spazi pubblici pavimentati e riservati al verde[37].
Ma, come si diceva, non se ne è fatto ancora nulla e la
prospettiva rimane incerta. Fino al 2005 “hanno
dormito nella ex fabbrica mediamente 30 persone a notte, e ancora oggi questo
accade, nella totale indifferenza delle istituzioni”[38].
Solo nel febbraio 2006, con l’inizio dei lavori preliminari sul sito, vengono
definitivamente sfrattati i migranti dell’Est europeo, che vi soggiornavano in
condizioni disumane ed esposti agli inquinanti tossici.
I
rumeni sono stati portati via a gruppi dalla SLOI, ognuno con la sua borsa di
plastica piena dei loro piccoli averi. Qualche vestito, dei medicinali e i
documenti. E poi iniziata la fase due. C’erano 26 persone che avevano bisogno
di un letto e i dormitori stanno già registrando il tutto esaurito[39].
Ma le esigenze di una rapida restituzione del sito alla
comunità e di una sua razionale riqualificazione urbanistica si scontrano con
le difficoltà, tuttora insormontabili, di una bonifica soddisfacente, in
particolare dell’area ex SLOI. D’altronde è impensabile avviare lavori di
urbanizzazione e di edificazione nell’adiacente ex Carbochimica, con accanto la
“bomba ecologica” dell’ex SLOI ancora innescata.
Il tema ha impegnato
nel maggio 2007 il Consiglio comunale di Trento che, al termine di una
discussione alquanto tesa, ha assunto un orientamento di saggia cautela:
Il
progetto di bonifica e valorizzazione urbanistica di Trento Nord è stato al
centro del confronto di questa sera in Consiglio comunale. L’aula ha approvato
a larghissima maggioranza (38 sì e 4 astenuti) l’ordine del giorno sulle aree
inquinate dell’ex Sloi ed ex Carbochimica presentato dalla consigliera Micaela
Bertoldi (Trento Democratica) e sottoscritto anche da Margherita, Verdi, Sdi,
Italia dei Valori, Popolari-Udeur e Rifondazione comunista. Il testo chiede al
sindaco e alla giunta di mantenere una visione unitaria nell’approccio al
disinquinamento dell’area, ponendo come priorità assoluta la salvaguardia della
salute dei cittadini. In questo quadro si inserisce anche la richiesta di
sottoporre alla valutazione dei consiglieri una proposta urbanistica di
riqualificazione che sia compatibile con un sicuro ed effettivo disinquinamento
delle zone. L’ordine del giorno, inoltre, mette nero su bianco la volontà del
Consiglio comunale di essere costantemente informato sullo stato di conoscenza
scientifica raggiunto e in particolare sulle tecnologie idonee per la bonifica.
Da
parte dei consiglieri sia di maggioranza sia dell’opposizione è arrivata la
forte condivisione sulla necessità di un disinquinamento totale dell’intera
area. In merito è stata sollevata qualche perplessità del consigliere Giuseppe
Filippin (Lega Nord) che, puntando il dito contro l’ipotesi di due distinti
piani di lottizzazione, ha con accenti forti ribadito la totale contrarietà
della posa di un solo mattone se non successivamente al totale completamento
della bonifica. Affermazioni sposate in pieno anche da Giorgio Manuali (Forza
Italia) che non ha nascosto l’intenzione del proprio partito ad un’opposizione
durissima se questo principio non verrà rispettato. La tesi della visione
unitaria è stata sottolineata anche da Nicola Salvati (Trento Democratica) che
ha invitato la giunta a procedere senza fughe in avanti, attendendo il tempo
necessario per la scoperta di un’efficace sistema di bonifica dei terreni
inquinati dell’ex Sloi, sui quali si addensano i maggiori dubbi. L’invito
all’attesa è stato espresso anche da Paolo Monti (Patt). Dalla Margherita,
invece, è arrivata la richiesta di inviare al vaglio del Ministero all’Ambiente
la documentazione senza compiere, però, stralci né fughe in avanti. Il
presidente della Commissione urbanistica, Marco Dalla Fior, ha tentato di
rassicurare l’aula sottolineando che è la legge stessa ad imporre un progetto
completo di bonifica per ex Carbochimica ed ex Sloi; se il piano guida non
soddisferà questo requisito – ha spiegato - non potrà essere approvato a Roma.
Rassicurazioni in questa direzione erano già arrivate anche dall’assessore
Alessandro Andreatta che nel suo intervento ha ribadito che “il disinquinamento
dell’area e la riqualificazione urbanistica devono procedere di pari passo,
secondo un’interdipendenza che la stessa normativa impone”. E in linea con la
richiesta contenuta nell’ordine del giorno ha aggiunto che l’aspetto
urbanistico e quello ambientale saranno parte del piano guida che il Consiglio
dovrà esaminare nei prossimi mesi. “Non potrà esserci disinquinamento senza
riqualificazione urbana così come non potrà esserci riqualificazione urbana
senza disinquinamento.[40]
Anche i tecnici, fino ad ora, sembrano muoversi con molta
prudenza ed incertezza. Il 30 novembre 2007, l’ingegner Gabriele Rampanelli dell’Apat,
interpellato in proposito dall’Amministrazione provinciale di Trento, mentre
indicava tecnologie di provata efficienza, ancorché costose, per la bonifica
delle acque di falda (assorbimento su carboni attivi con processi combinati di
trattamento), per i terreni, in conclusione, indicava delle ipotesi da
sperimentare in futuro per valutarne l’efficacia: verificare l’efficienza di tecniche di bioremediation del
piombo organico; verificare l’applicabilità di tecniche di ossidazione chimica
ed elettrochimica dei terreni contaminati; verificare l’applicabilità di
tecniche di vetrificazione sui terreni contaminati[41].
Insomma Trento, a trent’anni dalla chiusura traumatica della
fabbrica, si trova ancora in grandi difficoltà a gestire l’eredità di un
disastro ambientale annunciato.
Il lungo, solitario calvario
egli operai della SLOI.
Il 1939 è un anno cruciale: il
fascismo trionfante con la recente proclamazione dell’Impero si accinge alla
titanica impresa della “conquista del mondo” a fianco della Germania hitleriana
e del Giappone. Il piombo tetraetile
diventa un prodotto strategico per l’aeronautica
militare. Carlo Randaccio, bolognese, giovane
assistente universitario di chimica, amico del gerarca fascista Starace, dopo aver sperimentato la produzione in piccola
quantità del piombo tetraetile a Ravenna, costruisce la fabbrica a Trento ed
inizia nel 1939 la produzione a livello industriale. A quei tempi è l’unica
fabbrica in Europa.
Viene scelto il Trentino probabilmente perché vicino alla Germania (l’Austria
era già stata fagocitata) e lontano dai potenziali nemici.
Padron Randaccio si è sempre
definito un pioniere, quasi un eroe nazionale, per aver dato un contributo al
fascismo e alla guerra fornendo - unico imprenditore dell’Europa nazi-fascista
- all’aeronautica militare il piombo tetraetile.[42]
Ed in effetti per tutto il periodo della guerra la produzione sarà
esclusivamente militare, perché con lo scoppio del conflitto il governo
italiano vieta l’uso civile del piombo tetraetile.
La localizzazione fu imposta dal regime, per ragioni strategiche e
militari, in località Campotrentino, accanto all’industria aeronautica Caproni.
A nulla valsero le proteste e l’opposizione dei contadini: ad essi vennero
requisiti i terreni con un contratto capestro che li impegnava a
non vantare fin d’ora nessuna
pretesa di indennizzo per le normali esalazioni provenienti dagli impianti
SLOI”. Ciononostante, nel 1942 “tredici contadini citarono in giudizio la SLOI,
perché i suoi fumi avevano distrutto il raccolto delle ciliegie e ucciso i
bachi da seta. La SLOI fu condannata al rimborso dei danni[43].
Ma i maggiori pericoli investono fin da subito i lavoratori.
Inizialmente sono occupati 250 operai, guidati da personale specializzato
addestrato a Ravenna. Che cosa accade a questi operai lo sappiamo dalle
ricerche condotte nel periodo 1937-1942 dal medico Savoia, primario
dell’Ospedale Maggiore di Bologna, esperto e consulente della SLOI. Egli arriva
persino ad eseguire ricerche sperimentali su vari lotti di cavie poste, non in
condizioni artificiali di avvelenamento da laboratorio, ma nei reparti di
produzione dove operano i lavoratori. Ebbene, attraverso questi esperimenti
constata che in un reparto la tossicità era tale da uccidere gli animali in
36-58 ore.
Ma il dottor Savoia riconosce subito anche le inevitabili intossicazioni
a carico degli operai:
Forse nessun altro tossico
professionale può colpire così diffusamente, insidiosamente ed insieme
acutamente le maestranze come il piombo
tetraetile. Le percentuali nostre di
denunciati all'INFAIL (Istituto
Nazionale Fascista Assicurazione Infortuni sul Lavoro) per malattia
professionale, sono, secondo gli
stabilimenti e gli anni
di produzione, le seguenti:
stabilimento di
Ravenna
1936 (ultimo trimestre-inizio della produzione in
piccola scala) 2 0 %
19 37 8 0 %
1938
9%
19 3 9 (raggiungimento produzione massima) 16 %
1 9 40 1 2 %
stabilimento
di Trento
1940 (secondo semestre-inizio della produzione con
carattere saltuario)
1941 (produzione quintuplicata rispetto a quella massima di Ravenna) 5%
[I
dati relativi agli anni 1942-43 per lo stabilimento di Trento, ricostruiti su
documentazione residua di quegli anni di guerra e ripresi da una pubblicazione
scientifica successiva, sono:
1942
13%
1943
50%]
Tali cifre, di per se
stesse gravi, - conclude il dottor Savoia - sono ben lungi dal rispecchiare il numero reale degli avvelenamenti lievi, in quanto la quasi
totalità dei nostri operai ne viene colpita, sia pure fugacemente e con facile
reversibilità, date le nostre provvidenze profilattiche tempestive. Ci si limita, in pratica, a
denunciare soltanto i casi meno
lievi o quegli operai, assai
rari, che preferiscono ricorrere
all'Istituto assicuratore anziché essere curati da noi ed adibiti, nel frattempo, a lavori leggeri e
salubri. Se si dovessero denunciare tutti i casi lievi e sospetti, in
breve gli stabilimenti di piombo tetraetile dovrebbero chiudere i battenti,
sospendendo così la loro produzione indispensabile all'aviazione in pace e
soprattutto in guerra[44].
Nel dopoguerra la fabbrica riprende la produzione per usi civili, andando incontro ad una notevole espansione con la motorizzazione di massa in seguito al boom economico. Solo nel 1967 la legge italiana dichiara queste fabbriche “insalubri di prima classe”. Ma il calvario dei lavoratori continua.
La testimonianza di Odilia Zotta, all’epoca giovane neo sociologa, ricostruisce con efficacia gli episodi salienti di questa storia[45]:
Impossibile dire quanti
operai sono passati dalla SLOI.
Il turn-over è altissimo; molte lavorazioni dentro la fabbrica sono appaltate a
ditte esterne. Si sa invece come vengono selezionati i
nuovi assunti. Il Trentino, negli anni ’50 e ’60 è una provincia povera, agricola; molti contadini aspirano al
lavoro nell’industria. Alla SLOI vengono scelte persone giovani, sane e robuste; d’altra
parte si può scegliere.
In due momenti gli operai
fanno conoscere alla città e alle istituzioni le loro condizioni di lavoro. Fra il dicembre ’64 e il gennaio ’65, un lungo sciopero di due mesi contro il licenziamento di 40
operai per scarso rendimento – ma in realtà perché malati – fallisce per
isolamento e per fame. In quell’occasione
anche Aldo Moro da Roma aveva tentato inutilmente una mediazione. Il clima
interno alla fabbrica è sempre stato particolarmente pesante. Padron Randaccio, anche se il
fascismo è finito da più di un ventennio, continua a farsi chiamare Herr Karl.
Il 30 ottobre ’69, in pieno “autunno caldo” (l’autunno cioè
delle grandi manifestazioni operaie), un gruppo di operai SLOI
si presenta in Regione e incontra l’assessore alla Sanità. Gli
operai si presentano con questo slogan: “In ogni litro di benzina c’è un po’
della nostra salute” e lo stesso giorno distribuiscono in città un documento
dov’è scritto: “Alla SLOI
noi moriamo, perché siamo costretti a lavorare in un ambiente nocivo, lavorando
il piombo che attraverso le esalazioni ci fa diventare vecchi e malati a trent’anni”. Lo stesso giorno viene diffuso un volantino del movimento (forse è una delle
prime volte che viene usata a Trento la sigla Lotta Continua) titolato “Alla SLOI si muore”.
Da quel momento la città e le
istituzioni non possono più ignorare il dramma di questi lavoratori. Come
risposta, le autorità si incontrano, scrivono
documenti, spediscono telegrammi; ma in fabbrica tutto continua come prima.
Il 14 febbraio ’70 il medico di fabbrica Aldo Danieli
viene costretto alle dimissioni e denuncia al Servizio
Medico Regionale la gravissima situazione: tassi di piombo nel sangue trattati
come numeri del lotto. Pochi mesi dopo, il 10 novembre ’70,
anche il nuovo medico di fabbrica Giuseppe De Venuto si dimette con una
durissima lettera di denuncia.
In questo periodo incomincio
ad interessarmi della SLOI. Mi ero appena laureata in
sociologia. Facevo parte del movimento (come quasi tutti gli studenti di questa
facoltà in quel momento). Nel 1969 - ’70 la linea del
movimento era quella di uscire dalla scuola e andare nei quartieri, davanti
alle fabbriche, per conoscere il territorio. Si diceva: “la
sociologia non si studia solo sui libri”. Facevo “lavoro politico” (questa è
l’espressione colla quale veniva definito il
“volontariato” di quegli anni) nel comitato di quartiere di S. Pietro, sede
anche del Soccorso Rosso (avvocati e studenti che seguivano i processi; gli
avvocati facevano difese gratuite e noi facevamo una sorta di segreteria).
Dopo le dimissioni di De
Venuto, la Procura della Repubblica di Trento è costretta ad aprire
un’inchiesta. L’associazione Pro Cultura organizza un
dibattito pubblico. In una sala strapiena, intervengono operai SLOI, sindacalisti, medici, avvocati, studenti. Le denunce
sono violentissime. Ne ricordo due.
Il prof. Reggiani
dell’università di Padova racconta dei casi di delirio, demenza, pazzia, di
distruzione del sistema nervoso, dei quali, come medico, è stato
testimone. “Le corsie (dell’Istituto di Medicina del Lavoro di Padova) sono
sempre piene di operai della SLOI; non
c’è in tutto il Veneto una situazione sanitaria così grave, così preoccupante”.
Uno studente di sociologia
dice: “So di certo che un esperto militare straniero ha chiesto dati in vista
di una eventuale utilizzazione del piombo tetraetile
in caso di guerra chimica. La struttura aziendale è quella dei campi di
concentramento, il disinteresse della popolazione è lo stesso che si aveva per
i ghetti degli ebrei”.
L’avvocato Canestrini, quella
stessa sera, sottolinea “la necessità di far
costituire parte civile gli operai intossicati e i familiari delle vittime”.
In quel periodo ho incontrato
molti familiari di operai morti, proponendo loro la
costituzione di parte civile. Ho un ricordo vivo di quegli incontri. Mi
presentavo a casa loro e suonavo. Non era facile entrare, perché la diffidenza
era enorme. Ma quando le mogli, le madri ti accoglievano in cucina, sentivo storie incredibili: raccoglievo lo sfogo di queste
donne che nessuno della fabbrica o delle istituzioni aveva mai cercato, che
portavano dentro di sé la sofferenza non solo del lutto, ma anche
dell’imbroglio e della menzogna subite.
Un esempio
per tutti: Silvana Andreatta di Pinè, vedova di
Giuliano Venturini. Ha 29 anni quando muore il marito, nel 1968, e
resta sola con due bambini. Il marito era stato assunto alla SLOI da poco. Era stato licenziato per
insubordinazione, perché, con un altro operaio, si era rifiutato di
compiere un lavoro pericoloso (entrare nei fusti del piombo per pulirli
manualmente). Ma lui aveva bisogno di lavorare. Ha
chiesto scusa alla direzione, ottenendo l’annullamento del licenziamento. Dopo
qualche mese viene ricoverato al manicomio di Pergine e in pochi giorni muore. La moglie mi ha fatto
vedere il certificato di morte, dove c’era scritto “morto per etilismo”. Ma Giuliano era astemio.
Potrei raccontare molte altre
storie drammatiche.
All’inizio del 1971 si
costituiscono le prime parti civili. Questo passo fa molta
paura alla SLOI. Il 1971 è l’anno delle bombe
a Trento. Anche la sede del nostro comitato di quartiere viene
colpita con quattro bombe incendiarie, presumibilmente di matrice fascista. La
Magistratura ordina delle perizie mediche sul tasso di piombo nel sangue di
tutti gli operai e di un campione di abitanti del
quartiere di Cristo Re e rilevazioni sull’inquinamento dentro e fuori la
fabbrica. I dati raccolti dal Laboratorio d’igiene denunciano livelli di intossicazione e di inquinamento impressionanti.
Bisogna intervenire, ma c’è
un palleggiamento vergognoso di responsabilità. Finalmente, il 2 luglio ’71, il Procuratore della Repubblica Agostini
ordina la chiusura della fabbrica. Segue l’occupazione della fabbrica da parte
di un gruppo di operai (che temono di perdere il
lavoro) e impiegati venuti da Bologna, con l’assedio alla casa di Agostini. Il fascicolo scotta. Agostini
lo passa di mano. Dopo qualche giorno, c’è già l’ordine di riapertura a titolo
di prova per fare una superperizia: in realtà la produzione del piombo continua
per anni ancora.
L’indagine giudiziaria,
partita con le dimissioni di De Venuto nel ’70, solo
dopo 5 anni (il primo processo SLOI è del ’75) arriverà al primo dibattimento. Nel frattempo, con
un’operazione che ha visto connivente anche qualche avvocato della difesa, le
parti civili sono state tutte risarcite con qualche milione ed estromesse dal
processo. Due ex-operai e tre familiari sono stati sentiti come testimoni.
Brevissime però le testimonianze soprattutto dei familiari.
Silvana Andreatta ha dichiarato: “Sono stata tacitata e risarcita. A 29 anni
sono rimasta sola con due bambini, uno di 7 e l’altro di 18 mesi. La vita di un
uomo non ha prezzo”. Le è stato detto: “Lei può andare a casa tranquilla” e la
donna si è allontanata piangendo.
Paolina Fedrizzi,
madre di Sergio Righetto: “Mio figlio aveva 23 anni quando è morto. Dopo 14
anni mi hanno dato 3 milioni. Adesso mi dichiaro pentita di avere preso quel
denaro, ma l’avvocato Ravagni mi ha detto che, se non
firmavo, non prendevo più niente”.
Parla solo un minuto la terza
vedova. Si chiama Lidia Chiogna, suo marito era Vincenzo Nardelli:
“A me e a mio figlio – ha detto- hanno dato 3 milioni”. Vincenzo era morto nel
1964, dopo poco più di un mese dall’assunzione e due
soli giorni di ricovero in ospedale. Dall’autopsia risultava
un’intossicazione acuta da piombo tetraetile. Seguì un’inchiesta giudiziaria e
un’assoluzione in istruttoria del direttore della fabbrica e dell’addetto alla manutenzione delle maschere antigas, perché “appare
plausibile che l’evento sia in effetti dovuto ad una
indebita manomissione della maschera da parte dello stesso Nardelli”.
La moglie, oltre a raccontarmi che il marito aveva ben
conosciuto le maschere antigas durante la guerra, mi aveva anche riferito un
episodio inquietante: subito dopo il decesso, un impiegato della SLOI era andato a casa per ritirare la
chiave dell’armadietto personale.
Il primo processo si chiude
con due condanne lievi (per Randaccio e un direttore)
e l’assoluzione dell’altro direttore.
Nel ’78 c’è un secondo processo riguardante
l’infortunio di un operaio. Due sono gli imputati: Randaccio
viene condannato (anche questa volta con una condanna
lieve) e il direttore assolto.[46]
Si chiude così il sipario sulle sofferenze degli operai della SLOI,
“fabbrica della morte”.
Già negli anni Venti si
lavorava alla benzina verde, abbandonato in ossequio al profitto.
Ma questa immane tragedia poteva essere risparmiata all’umanità fin dall’inizio. Il piombo tetraetile, “perfetto” da un punto di vista industriale, evidenzia da subito seri problemi sanitari per la sua elevata tossicità. Nel 1924, quando è appena iniziata la produzione del piombo tetraetile, nell’impianto di Bayway negli Usa si verificano tra gli operai 45 casi di avvelenamento da piombo, di cui quattro mortali. L’opinione pubblica si allarma e parte della stampa inizia una campagna in cui è particolarmente attivo il New York World. La Ethyl Gasoline Corporation, creata appositamente dalla General Motors, sospende la produzione mentre viene insediata una Commissione Federale, costituita da eminenti scienziati, nominata dal Surgeon General dell’US Pubblic Health Service.
Il rapporto finale della Commissione stabilisce, però, che le intossicazioni si verificano solo nelle industrie che producono piombo tetraetile e in certi addetti ai garages non adeguatamente ventilati, raccomandando quindi l’adozione di tecnologie produttive e di cautele protettive in grado di prevenire dette intossicazioni. Per quanto riguarda l’impiego, la Commissione conclude che il piombo tetraetile non è da considerarsi tossico e pericoloso nelle quantità presenti nella benzina, per cui nel 1926 la produzione riprende a pieno ritmo. Si stabilisce solo che questa benzina “piombata” non deve essere impiegata altrimenti che nei motori a scoppio, ad esempio non per smacchiare, e non deve venire in contatto con la pelle; per questo viene colorata di rosso e un’apposita disposizione di legge, riportata sulle targhette di tutte le pompe anche in Italia, avverte: “contiene piombo… Deve essere usata solo come carburante per motori a scoppio e venduta solo con la diretta immissione nei serbatoti dei veicoli”[47]. Sappiamo, come poi è andata a finire.
Il danno provocato alla salute pubblica dal piombo tetraetile è particolarmente importante, quando con la motorizzazione di massa degli anni Sessanta e Settanta, si comincia a percepire il contributo che i gas di scarico danno alla formazione dello smog nelle grandi città. È l’EPA, l’Agenzia di protezione dell’ambiente degli Usa, che lancia l’allarme, prima che per il piombo, per le emissioni di ossido di carbonio, di ossidi di azoto e di idrocarburi dai motori degli autoveicoli. Vi sarebbe un modo per contenerle, la marmitta catalitica, ma questa non era compatibile con il piombo presente nelle benzine, che l’avrebbe immediatamente resa inefficiente.
Insomma, la benzina al piombo è dannosa alla salute non solo per il suo specifico antidetonante supertossico, ma anche perché impedisce l’installazione di filtri capaci di ridurre in generale le emissioni. Ciò sarà possibile con la cosiddetta benzina “verde”, nella quale il piombo tetraetile verrà sostituito con antidetonanti organici, privi di piombo, compatibili con l’installazione di catalizzatori sugli scarichi degli autoveicoli. Tutto ciò dà inizio ad un lungo ventennale processo, avviato nei primi anni Settanta e concluso nel 1994, che porta all’abbandono, almeno in Europa e negli Usa, del piombo tetraetile come antidetonante.
L’industria
petrolifera non ha trovato di meglio che sostituirlo addizionando alle benzine
una miscela di benzene e di altri composti aromatici[48], anche loro tossici e
pericolosi tanto che la benzina che li contiene non è né “verde” - come si
sente dire continuamente, con un ammiccamento alla “verdità”
dell’ecologia - né ecologica: il nome merceologico è “benzina senza
piombo”.
L’unica
soluzione accettabile per avere una benzina ad alto numero di ottani e un po’
meno inquinante e pericolosa consiste nell’addizionarla con alcol etilico
anidro ricavato per via microbiologica da zuccheri, amidi, cellulosa, cioè da
una gran varietà di materie prime di origine agricola o forestale,
continuamente riprodotte dai cicli biologici alimentati dal Sole. Nonostante
difficoltà tecniche e problemi di costi, la miscela benzina/alcol etilico - un
carburante un po’ più “verde”, questa volta - ha elevato numero di ottano
ed è meno inquinante di qualsiasi tipo di benzina commerciale. Inoltre la
produzione di alcol carburante darebbe vita o risolleverebbe molti settori
legati all’agricoltura e ai boschi, all’industria delle fermentazioni (che sono
poi le prime “biotecnologie” inventate dagli umani) e della distillazione
dell’alcol, fornirebbe come sottoprodotti mangimi per il bestiame[49].
Ebbene, la realtà è che fin dall’inizio
di questa storia era ben note le alternative al piombo tetraetile. Proprio
nella fase di momentanea interdizione da parte dell’US Pubblic Health Service,
tra il 1925 e il 1926, si sviluppa un dibattito scientifico sulla rivista dei
chimici industriali italiani. In esso, in considerazione dei supposti danni alla
salute, si ipotizzano antidetonanti diversi dal piombo tetraetile, a base di
composti organici, mentre viene esplicitamente riconosciuta la forte capacita
antidetonante dell’alcool etilico o etanolo. Le preoccupazioni sanitarie sono
condivise all’epoca dagli stessi tecnici della Fiat:
Come è noto, il più
potente antidetonante fino ad ora conosciuto è il piombo tetraetile che
aggiunto alla benzina, in quantità
piccolissima, permette di portare la compressione da 5 a 7, ma la
straordinaria tossicità di questo corpo è un grande ostacolo al diffondersi del
suo uso. [Anche se la Commissione d’inchiesta Usa ha tolto il divieto], rimane
sempre il pericolo grave per il personale che deve preparare la miscela, senza
contare che la fama poco lieta ormai acquistata da questo antidetonante non è
certo fatta per renderne l’uso generale[50].
Ma è l’ingegner Raffaele Ariano ad
approfondire il tema con due articoli scientifici che, da un canto,
cercano di spiegare il fenomeno della
detonazione e, dall’altro, sulla base di sperimentazioni effettuate, ipotizza
di “usare come antidetonanti delle sostanze organiche”, tra cui, primo della
lista, il benzolo o benzene[51]. Ma
ciò che appare ancor più interessante è che è già ampiamente nota all’epoca la
capacità antidetonante dello stesso etanolo. Conoscenza, sperimentalmente
accertata, proprio negli studi per capire la genesi del fenomeno della
detonazione. Scrive Ariano, nel 1925:
La detonazione era nel
passato attribuita ad una accensione prematura della miscela combustibile; si
diceva in sostanza che aumentando il grado di compressione si innalzava la
temperatura della miscela e si poteva così raggiungere la sua temperatura di ignizione.
Ciò è stato riconosciuto falso; ché la possibilità di detonare è connessa con
la qualità dei combustibili usati. Così ad esempio, nel mentre idrocarburi
della serie paraffinica, o loro miscele, possono dar luogo a detonazione, i
corpi aromatici [benzene, ecc. nda] non detonano, né detona l’alcool [o
etanolo, nda][52].
Ma ciò che fa assumere alla vicenda i
risvolti di un “crimine contro l’umanità” è che lo stesso Charles
Kettering, prima fondatore della Delco (Dayton Engineneering Laboratories
Company) poi capo della divisione ricerca della General Motors in cui lavorò
Midgley, e tra i maggiori azionisti GM, fosse
pienamente a conoscenza delle alternative, in particolare l’alcool etilico da
cellulosa.
Anzi, da documenti desecretati nel 1991
dalla General Motors, relativi al periodo dal 1919 agli anni Venti,
risulterebbe che Kettering ipotizzasse esso stesso che la benzina al piombo
dovesse servire per la transizione a carburanti alternativi e rinnovabili come
l’etanolo, in previsione della penuria del greggio, ipotizzata all’epoca per
gli anni Quaranta o Cinquanta.
Sennonché, i suoi partners di General
Motors e Standard Oil, visti i guadagni realizzabili con il piombo tetraetile e
verificate le nuove possibilità di rifornimento di greggio, abbandonarono
l’idea, investendo tutto sul piombo tetraetile[53]. Va
considerato, infatti, che l’etanolo non era brevettabile, mentre il piombo
tetraetile sì, permettendo enormi profitti alla General Motors, alla Du Pont,
alla Standard Oil. Ma, da sole, queste corporations non sarebbero state in
grado di imporre al mondo intero il loro inutile e micidiale prodotto, se non
fossero state sostenute da Robert Kehoe, tossicologo, dal 1925 al 1953 capo
consulente medico della Ethil Gasoline Corporation (GM, Standard Oil of New
Jersey) e dal ministro della Sanità statunitense negli anni Venti e primi anni
Trenta, Hugh Cumming, nonché da altri “illustri” scienziati componenti della Surgeon General’s Committee dell’US
Pubblic Health Service e da tanta “autorevole” stampa, come, ad esempio, il
“New York Times”. Ciò emerge con evidenza dalla ricerca condotta dall'avvocato
newyorkese J. L. Kitman, resa nota in un lungo saggio da lui pubblicato sul
settimanale The Nation del 20 marzo
2000[54].
È superfluo trarre conclusioni da questa vicenda. L’uso del piombo tetraetile come antidetonante è stato, a tutti gli effetti, un crimine contro l’umanità, anche perché era tecnicamente evitabile e quindi non necessario per assicurare gli sviluppi dell’automobile. È anche un esempio lampante di come la scienza, asservita agli interessi economici delle corporations, si renda corresponsabile di questi crimini, ma soprattutto abdichi consapevolmente al proprio statuto che pone al centro la ricerca libera e indipendente della verità[55].
Inserito: 18 giugno 2008;
correzione refusi: 16 febbraio 2009
Scienza e Democrazia/Science and Democracy
[1]European Environment
Agency, Late lessons from early warnings: the precautionary principle
1896–2000, Environmental issue report No 22, EEA,
[2] Apat, Qualità dell’ambiente urbano. III rapporto, Apat,
Roma 2006. pp. 31-133.
[3] Ivi, p. 44.
[4] Si noti il maschile, perché in effetti per un certo
periodo vi fu un dubbio sul genere del neologismo con cui denominare il nuovo
meccanismo. Finché prevalse il femminile, forse per la suggestiva metafora con
la donna cara all’immaginario maschile.
[5] Filippo Tommaso Marinetti, La ville charnelle, in
E. Gioanola, Poesia italiana del Novecento, Librex, Milano 1989.
[6] Bolidi è il titolo di una godibile
pubblicazione che tratteggia la comparsa in Italia ai primi del Novecento di
questi straordinari mezzi di locomozione: Giorgio Boatti, Bolidi, Quando gli
italiani incontrarono le prime automobili, Mondadori, Milano 2006.
[7] Per un’analisi critica degli effetti indesiderabili della
società dell’automobile si veda Guido Viale, Tutti in taxi. Demonologia
dell’automobile, Feltrinelli, Milano 1996.
[8] Già poco dopo la metà del secolo scorso, due grandi
intellettuali, Mumford, sociologo ed urbanista statunitense, e perfino un “uomo Fiat”, come Peccei, economista italiano di fama mondiale,
preconizzavano che l’automobile stava vivendo i suoi “ultimi anni di gloria”:
Lewis Mumford, Il modo-di-morire
americano, “New York Review of Books”, 23 aprile 1966 (tradotto e
pubblicato in “Capitalismo Natura
Socialismo”, a. 5, n. 13, febbraio 1995, pp. 64-77) e Aurelio
Peccei, Il crepuscolo di un idolo, “Preuves”, n. 6, II semestre 1971,
pp. 39-43.
[9] Per i rapporti che intercorrono tra l’automobile e la
dislocazione del potere nelle relazioni internazionali, si veda, Hosea Jaffe, L’imperialismo
dell’auto. Auto + petrolio = guerra, Iaca
Book, Milano 2004.
[10] Note di
redazione. Gli antidetonanti, ”Giornale
di chimica industriale ed applicata”, a. VII, n. 10, ottobre 1925, p. 571.
[11] Giorgio Nebbia, Thomas
Midgley (1889-1944), “Chimica News”, n. 10, 38-39
(novembre 2005).
[12] Note di
redazione. cit.
[13] Elsa Pizzoli Mazzacane, Sviluppo e declino del
piombo tetraetile, in Atti del
XIII congresso nazionale di merceologia, Messina – Taormina 10-13
ottobre 1988, vol. 2°, Istituto di merceologia, Facoltà di Economia e
commercio, Università di Messina, Messina 1989, pp. 1230-1231.
[14] Ibidem.
[15] Giorgio Nebbia, op.
cit.
[16] Elsa Pizzoli Mazzacane, Op. cit., p. 1236.
[17] Ivi, p. 1239.
[18] Ibidem.
[19] Ibidem.
[20] Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
territorio, Decreto 18 settembre 2001,
n. 468, Regolamento recante:
«Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale»
[21] http://www.bussiparcoindustriale.com/ilparcoindustrialedibussisultirino/storiadelsito/0,,29702-7-0,00.htm
[22] Elsa Pizzoli Mazzacane, Op. cit., p. 1240.
[23] Per la comprensione delle misure: µg, microgrammo, un
milionesimo di grammo, ovvero g 10-6 ; dl, decilitro, ovvero un
decimo di litro.
[24] Agency for Toxic Substances and Disease Registry, Lead,
www.atsdr.cdc.gov/tfacts13.pdf; scheda sulla tossicità del piombo, del prof. Franco Gambale,
coordinatore del Progetto Phyles e Dirigente di Ricerca del CNR, in www.phyles.ge.cnr.it/htmlita/htmlcurricula/gambale0.html
[25] IARC. Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of
Chemicals to
Man
.
Geneva
: World Health Organization, International Agency for Research on
Cancer,1972-PRESENT. (Multivolume work).,p. V23 345 (1980)
[26] Elsa Pizzoli Mazzacane, Op. cit., p. 1237..
[27] A. Sacchetti, L’uomo antibiologico. Riconciliare
società e natura, Milano, Feltrinelli, 1985, pp. 30-32.
[28] Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
territorio, Decreto 18 settembre 2001,
n. 468, cit.
[29] Si veda anche: Matteo Bacchiega, Migrazione dei
metalli pesanti nei sedimenti sottostanti un sito contaminato da attività
industriale (ex area C.I.P.-Fidenza): indagine geochimico-mineralogica,
Tesi di laurea in Scienze biologiche alla Facoltà di Scienze matematiche,
fisiche e naturali dell’Università degli Studi di Bologna, relatore Federico
Lucchini, a. a. 1997-1998.
[30] Comune di Fidenza, Storia di una bonifica,
http://www.comune.fidenza.pr.it/comune/allegato.asp?ID=193775
[31]Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio,
Decreto 18 settembre 2001, n. 468,
cit.
[32] Comune di Fidenza, Storia di una bonifica,
cit.
[33] Antonio Cristofolini, Manuela Dematté, Giuseppe
Ferrari, Luigi Sardi, Vincenzo Todesco, Odilio Zotta, Incubo nella città, UCT,
Trento ottobre 1978, pp. 7-8..
[34] Odilia Zotta, La SLOI di Trento come il
Petrolchimico di Marghera, Trento, 4 ottobre 2003, in
http://www.verdideltrentino.org/SLOI_fabbrica%20della%20morte.htm
[35] Ministero dell'Ambiente e della Tutela del
territorio, Decreto 18 settembre 2001,
n. 468, cit.
[36] Mattia Pelli, Trento, fa ancora paura la fabbrica della
morte, “Liberazione”, 16 novembre 2005.
[37]
http://www.casacitta.tn.it/cms-01.00/articolo.asp?idcms=176&idGrp=219
[38] Maddalena Di Tolla, La SLOI di ieri e di oggi. Da
fabbrica della morte a ghetto per disperati, “Questotrentino”, n° 2, 28 gennaio 2006
[39] Mara Deimichei, Al via i lavori alla SLOI,
sfrattati i rumeni, “Trentino”, 11
febbraio 2006.
[40] Comune di Trento,
Bonifica e riqualificazione di Trento Nord,
approvato l’ordine del giorno, Comunicato stampa del Consiglio comunale, 8 maggio 2007.
[41] Gabriele Rampanelli, Sperimentazioni per la
bonifica del sito contaminato da Piombo organico di Trento Nord, Apat-TNO,
Workshop, Venezia, 30 novembre 2007,
http://www.apat.gov.it/site/_files/Doc_megasiti/RAMPANELLI.pdf
[42] Antonio Cristofolini e altri, Op. cit., p. 11.
[43] Ivi, p. 14.
[44] Ivi, pp. 16-17.
[45] Per un approfondimento si veda sempre Antonio
Cristofolini e altri, Op. cit.. Si veda anche Francesco Carnevale,
Alberto Baldasseroni, Mal di lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Laterza,
Bari 1999, pp. 98-100.
[46] Odilia Zotta, La SLOI di Trento come…, cit.
[47] Note di
redazione. Gli antidetonanti,
cit.; Antonio Cristofolini e
altri, Op. cit.., pp. 54-55; Elsa Pizzoli Mazzacane, Op. cit., p.
1231-32.
[48] Fra questi i più
diffusi, il metil-terziar-butil-etere (MTBE) e l’etil-terziar-butil-etere
(ETBE). L'uso di MTBE è stato recentemente bandito negli Stati Uniti per
l'effetto inquinante per le falde acquifere e in quanto cancerogeno. L'ETBE
viene preso ultimamente in maggiore considerazione in quanto parzialmente
proveniente da fonte rinnovabile. Esso consiste infatti in un prodotto di
reazione tra isobutilene ed etanolo, quest’ultimo potenzialmente di origine
agricola.
[49] Giorgio Nebbia, Il bioetanolo,
http://www.fondazionemicheletti.it/magazine.asp?id_call=405&articolo=y&id_sezione=13
[50] G. Ferreri, Laboratorio Ricerche e Controlli Fiat, Antidetonanti
nuovi, “Giornale di chimica industriale ed applicata”, a. VIII, n. 6,
giungo 1926, p. 314.
[51] Raffaele Ariano, Detonazione e antidetonanti”, “Giornale
di chimica industriale ed applicata”, a. VIII, n. 9, settembre 1926, p. 475 -
476.
[52] Raffaele Ariano, Gli antidetonanti”, “Giornale
di chimica industriale ed applicata”, a. VII, n. 10, ottobre 1925, p. 573.
[53] Bill Kovarik, Charles
F. Kettering and the 1921 Discovery of Tetraethyl Lead in the Context of
Technological Alternatives. Originally presented to the Society of
Automotive Engineers Fuels & Lubricants Conference,
[54] Sergio Finardi, Benzina e altri veleni. Storia di
un crimine, 2000.
www.gaiaitalia.it/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=77
[55] Sul tema dell’asservimento della ricerca scientifica
agli interessi economici dominanti si veda Lorenzo Tomatis, Il fuoriuscito, Sironi,
Milano 2005.