Marco Mamone Capria, Claudio Murolo

 

Sulla situazione attuale dell’università e della ricerca in Francia

 

 

In Italia nessuno lo sa, perché i principali media si sono ben guardati dal farne parola, ma in Francia le università sono in rivolta, con un movimento di massa che raccoglie i consensi della stragrande maggioranza del personale docente e non docente.

 

L’obiettivo polemico sono le riforme del governo di Nicolas Sarkozy, che si compendiano nella strategia ben nota anche nell’Italia del IV governo di Silvio Berlusconi: tagliare i fondi alle istituzioni pubbliche della ricerca e dell’istruzione e al tempo stesso accusarle di essere incapaci e improduttive, e “quindi” bisognose di essere privatizzate per sollevarsi da una crisi in parte creata dai tagli stessi, in parte immaginaria; il tutto condito con la solita retorica circa la “necessità” di una “valutazione della ricerca” – iniziativa che sarebbe benvenuta se significasse la partecipazione dei cittadini alla discussione degli obiettivi, dei metodi e dei risultati della ricerca, ma che in realtà è tutt’altro: la sottomissione della ricerca e dei ricercatori agli interessi dell’oligarchia imprenditoriale e finanziaria (e chissà come mai quasi nessuno – né in Francia né in Italia – parla mai di valutare la didattica, anzi, di farla valutare agli studenti... forse perché si tratterebbe di una valutazione che non si potrebbe fare “a porte chiuse”? )

 

La sintesi che segue, che offriamo come guida ai molti riferimenti indicati, è stata composta grazie alle segnalazioni di colleghi di oltralpe. Speriamo che serva a risvegliare le coscienze anche in Italia, visto che il movimento contro la pseudo-riforma Tremonti-Gelmini sembra essersi spento in un momento in cui avrebbe dovuto raddoppiare di intensità.

 

 

 

L’attacco della destra francese all’università e la rivolta degli universitari

La destra francese presentatasi alle elezioni con un riuscitissimo bluff come una destra moderata
si sta mostrando uno dei più pericolosi governi degli ultimi 50 anni per l'intero Stato francese
e per tutto ciò che riguarda i servizi pubblici.

 

In particolare i Ministeri della Pubblica Istruzione (Education nationale) e della Università e Ricerca stanno muovendo il più violento attacco della storia di Francia a queste pubbliche istituzioni, contro l'opposizione unanime della Francia universitaria e scolastica, coalizzata dopo il discorso bugiardo di Nicolas Sarkozy che ha indotto l’intera comunità universitaria ad esigere le scuse del presidente – 13.000 firme al 24.II.09,  http://excuses-sarkozy.fr.nf.

 

(Per le dichiarazioni di Sarkozy del 22 gennaio 2009 si consiglia il video:

http://www.youtube.com/watch?v=iyBXfmrVhrk, in cui sono intervallate da flash informativi che le sbugiardano).

 

Questi fatti hanno portato recentemente a manifestazioni di circa 2,5 milioni di francesi il 29 gennaio (manifestazione raggruppante anche varie altre categorie di personale) e di centinaia di migliaia di insegnanti universitari e studenti nella successiva manifestazione del 6 febbraio e del 19 febbraio in difesa della pubblica istruzione francese.


Attualmente il 50% dei corsi universitari in Francia è sospeso da circa 1 mese e la tensione e la protesta aumentano ogni giorno di più man mano che si scoprono il programma nascosto dietro la manovra sull’università.

 

La «strategia di Lisbona»

Il programma recondito è purtroppo di natura europea e risale alla cosiddetta strategia di Lisbona (definita dal Consiglio Europeo a Lisbona nel marzo 2000), preceduta dall’accordo della Sorbona e di Bologna (1998), che ha dato il via al 3+2 italiano, o 3-5-8 (L-M-D : Licence-Master-Doctorat in Francia), firmato da Berlinguer e Allègre.

 

Il fine ultimo (non quello ufficiale, evidentemente, formulato in termini vaghi e “positivi”, anche se non esattamente rassicuranti: «diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale») è quello di privatizzare le università, l'istruzione secondaria (licei) e primaria (scuole elementari), poi gli ospedali, e in futuro i corpi di polizia ecc…

 

(La citazione precedente è tratta da www.pubblica.istruzione.it/buongiorno_europa/lisbona.shtml).

 

Il disegno risale a diversi anni prima, e nasce in ambito anglosassone. Un libro del 1991 (cioè sette anni prima dell’accordo di Bologna!), scritto da (sir) Douglas Hague, Beyond Universities – A New Republic of the Intellect, descrive l’idea di «“università imprenditoriali”, concepite come ditte private che producono e vendono conoscenza all’interno di una “economia del sapere” mondializzata» (come spiega Yves Winkin, in

www.homme-moderne.org/societe/socio/winkin/bologne.html ) e sintetizza nella seguente frase il carattere “democratico” della trasformazione: «Se le università non si adattano, si farà a meno di esse».

 

Questi progetti hanno potuto concretizzarsi grazie all’AGCS (Accordo Generale per il Commercio dei Servizi) o GATS (General Agreement on Trade in Services), stabilito nel 1995 alle primissime riunioni di creazione della Comunità Europea. In vigore dal 1° gennaio 1995, il GATS, stipulato sotto l’influenza delle grandi multinazionali e con la compiacenza dei capi di governo, orientava immediatamente l’Unione Europa nella direzione politica del liberismo. Il liberismo è di solito chiamato “liberalismo” da chi vuole dargli un lustro che non merita: non c’è “libertà” senza le garanzie sociali che permettono di esercitarla – e il liberismo, appunto, non si fa scrupolo di calpestarle in nome del profitto.

 

Per inciso, è per questo tipo di ragioni che il popolo francese votò contro le prime versioni della Costituzione Europea.

 

(Per il GATS, vedi  www.beati.org/node/111 , www.beati.org/files/wto/gats_minacce.pdf ).

 

Gli effetti devastanti a lungo termine di questa politica di privatizzazione intensiva sono di ridurre progressivamente il potere degli Stati trasferendolo alle multinazionali (per gli scenari futuri fa riflettere il sito: www.syti.net/IT/AGCS.html ).

 

Nell’articolo di Isabelle Bruno, “maître de conférences” in scienze politiche all’università Lille 2, La stratégie de Lisbonne: une révolution silencieuse” e autrice di À vos marques, prêtscherchez ! – La stratégie européenne de Lisbonne, vers un marché de la recherche (febbraio 2008), si legge, verso metà:

 

“Europa sociale” contro “Europa competitiva”

Rendendo sistematico l’uso della valutazione, la strategia di Lisbona coniuga i suoi risvolti economico e sociale sullo stesso modo: l’imperativo della competitività. Con ciò disarma i partigiani di una “Europa sociale”, concepita come progetto di società che cerchi coesione non in una corsa generalizzata alla competitività, ma nella riduzione delle diseguaglianze mediante l’integrazione dei sistemi collettivi di solidarietà. Di contro, attrezza i reggenti di una “Europa competitiva” realizzando uno spazio di equivalenza europeo, in cui la misura comune non è al servizio dell’eguaglianza sociale e spaziale ma della messa in competizione dei popoli e dei territori. I mezzi non sono neutri rispetto ai fini. L’inadeguatezza della valutazione in materia sociale – più riluttante al riduzionismo statistico e alla temporalità gestionale – ha condotto così a una marginalizzazione dei processi dedicati alla sanità, alle pensioni o alla lotta contro la povertà.

 

Ed alla fine dell’articolo :

 

Benché la strategia di Lisbona riguardi tutti i cittadini, i suoi promotori negano loro di fatto ogni diritto di partecipazione e di resistenza privandoli di un’informazione indispensabile alla conduzione di un’azione che sia all’altezza delle poste in gioco, cioè una mobilitazione transnazionale.

www.homme-moderne.org/societe/politics/savoiragir/n05/lisbonne.html

 

Contro questa guerra silenziosa (la Strategia di Lisbona) dichiarata dal neoliberismo installatosi alla nascita dell’Unione Europea contro il popolo europeo, sono nati tutta una serie di appelli e un programma di “resistenza” e di opposizione, sostenuti e programmati da una moltitudine di associazioni ed istituti di rilievo internazionale, fra i quali la nostra ANDU (Associazione Nazionale Docenti Universitari).  Un esempio di appello è quello di Sauvons la Recherche (SLR):

www.sauvonslarecherche.fr/spip.php?page=article&id_article=2537  

 

Chi valuterà i “valutatori”?

Un secondo scopo, non meno strategico, è quello di sottomettere l'Università al potere delle imprese private affinché possano impadronirsi della sua produttività intellettuale e scientifica per pilotarla verso quei tipi di ricerca tecnologica che apportino solo risultati generanti profitto economico a brevissima scadenza, condannando così alla scomparsa le scienze umanistiche e tutte quelle che risultino “improduttive” nel senso anzidetto.


A questo scopo già il CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) francese, la più gloriosa istituzione scientifica Francese ed Europea, generatrice di una valanga di medaglie Fields e premi Nobel, è stato recentemente smantellato e smembrato in piccoli istituti di ricerca più facilmente “pilotabili”.

 

La manovra successiva si è estesa alle università e alle scuole, con proposte di riforma
che hanno rivoltato l'opinione pubblica e spinto a chiedere le dimissioni dei due ministri della Education nationale, Xavier Darcos (www.shesp.lautre.net/spip.php?article43), e dell’Enseignement Supérieur et de la Recherche, Valérie Pécresse.

 

Per dare un'idea più concreta, è stata prima creata un'Agenzia della Valutazione della Ricerca Scientifica (Agence d’Evaluation de la Recherche et de l’Enseignement Supérieur, AERES) alla cui direzione è stato designato – arbitro ultimo e supremo di tutte le valutazioni dei ricercatori! – una figura più losca e pericolosa che competente, Jean-François Dhainaut, una cui figlia dirige una società (Paris Biotech) in cui lavora il fratello di Sarkozy (per chi pensava che il familismo fosse un’esclusiva italiana...).

 

Dhainaut è stato anche all'origine dello scandalo de “La Arche de Zoé”, un’associazione avente sede al suo indirizzo privato e nota per la sottrazione di 103 bambini alle loro famiglie in Africa. Sulla vicenda incombe il gravissimo sospetto che i bambini rapiti fossero destinati a sperimentazioni umane (http://bellaciao.org/fr/spip.php?article80212).

 

 

Il governo cerca di guadagnarsi l’appoggio dei rettori ... con il sistema di sempre

La manovra delle riforme aveva cominciato a funzionare bene poiché attraverso la Legge sulla Libertà e Responsabilità delle Università (LRU del 10 agosto 2007) la ministra Pécresse aveva “abbagliato” i rettori delle università con un aumento salariale (“Premio Presidenza”) da 12.000 fino a 40.000 euro per le università più grandi, attribuendo per giunta ad essi poteri enormemente accresciuti, incluso il diritto di veto sul reclutamento dei futuri candidati ricercatori universitari anche dopo la vincita di un concorso! (www.rue89.com/2009/02/06/pecresse-veut-elle-acheter-les-presidents-duniversite

).

 

Si noti che in base alla LRU i docenti universitari non sarebbero già più funzionari dello Stato!

 

A partire dall’ottobre 2008 la Pécresse ha introdotto un nuovo contestatissimo decreto di riforma dello statuto degli insegnanti ricercatori, nel quale il rettore di un’università si vede attribuire anche il diritto di decidere separatamente per ognuno dei  docenti universitari il numero di ore di insegnamento (e senza limite massimo) secondo la formula: “più ore di insegnamento come punizione  ai ‘cattivi’ ricercatori”( o ai ricercatori ‘cattivi’?...).

 

In seguito, quando la rivolta di tutti gli altri universitari ha cominciato a diffondersi, anche i rettori delle università hanno capito di essere stati strumentalizzati (e/o comprati) e fatto drasticamente, anche se non unanimemente, marcia indietro con un esemplare discorso di ripudio tenuto alla Sorbonne.
(www.dailymotion.com/Mediapart/video/x8bnol_appel-de-la-sorbonne_news )

 

 

Distruggere la pubblica amministrazione: un complotto aperto

Queste tendenze vengono da lontano. Non bisogna nemmeno avanzare chissà quali congetture sui retroscena storici, visto che la natura del piano è stata in più occasioni spiegata senza mezzi termini.

 

Il 20 ottobre 2004 l’allora ministro della Funzione Pubblica sotto il governo Raffarin (2002-05), Renaud Dutreil (il suo collega al ministero dell’Economia era proprio Sarkozy), rilasciò le seguenti dichiarazioni, perfettamente esplicite. L’attacco ai pensionati e alla «rigidità della manodopera» con cui cominciano è chiaramente analogo a quello sferrato dalla destra italiana (compresa quella che sta... all’opposizione):

 

“I pensionati della pubblica amministrazione non rendono più servizi alla nazione. È gente inutile, ma che continua a pesare molto. La pensione di un pensionato è quasi il 75% del costo di un funzionario attivo. Bisognerà risolvere questo problema”.

 

“Il grande problema dello Stato è la rigidità della sua manodopera. Per far passare un funzionario dal primo al secondo piano di piazza Beauvau [dove risiede il Ministero degli Interni. NdC], ci vuole un anno. Non a causa delle scale [risate in sala], ma dei corpi. Ci sono 1400 corpi. 900 corpi vivi, 500 corpi morti [risate], come ad esempio l’amministrazione delle telecomunicazioni. Io sto per sostituirli con cinque filiere professionali che permetteranno la mobilità delle risorse umane: istruzione, amministrazione generale, economia e finanze, sicurezza sanitaria e sociale. Se non si fa così, la riforma dello Stato è impossibile. Perché i corpi danno riparo a impieghi inutili”.

 

“Al momento attuale, siamo un po’ cattivi con i funzionari. Il loro potere d’acquisto ha perduto il 4,5% a partire dal 2000”.

 

“Come tutti gli uomini politici di destra, ero impressionato dall’avversario. Ma penso che sopravvalutiamo notevolmente questa forza di resistenza. Quello che conta in Francia è la psicologia, sbloccare tutti questi lucchetti psicologici”. 

 

"È sulla Pubblica Istruzione che deve pesare lo sforzo principale di riduzione degli effettivi della pubblica amministrazione. Su 1,2 milioni di funzionari della Pubblica Istruzione, 800.000 sono insegnanti. Licenziare nei retrobottega della Pubblica Istruzione è facile, si sa come fare, con Eric Woerth [segretario di Stato alla Riforma dello Stato e attualmente ministro della Funzione Pubblica, NdC]: si prende un gabinetto di consiglieri e si cambiano i compiti lavorativi, si sopprimono alcune missioni. Ma per gli insegnanti è più delicato. Bisognerà fare una grande revisione gestionale [audit]”.

 

 Il problema che abbiamo in Francia è che la gente è contenta dei servizi pubblici. L’ospedale funziona bene, la scuola funziona bene, la polizia funziona bene. Allora bisogna farle un discorso, spiegare che siamo a un passo da una grande crisi –  è quello che fa molto bene Michel Camdessus [presidente del Fondo monetario internazionale dal 16.I.1987 al 14.II. 2000, e governatore onorario della Banca di Francia, NdC], ma senza gettare la gente nel panico, perché allora si chiude a riccio”.

http://filinfo.joueb.com/news/reforme-de-l-etat-renaud-dutreil-se-lache

 

In altre parole: il «problema» è che in Francia i servizi (sanità, scuola, polizia ecc.)... funzionano! Se si vuole privatizzarli, bisogna far sì che i cittadini ne diventino insoddisfatti. Quale mezzo migliore che indebolirli abbassando gli investimenti e al tempo stesso calunniarne i dipendenti accusandoli di essere incompetenti, improduttivi, ... fannulloni?

 

Prima ancora (siamo nel 1996), in un articolo, “La Faisabilité politique de l'ajustement, tratto dal Quaderno 13 dell’OCDE (Organisation de Coopération et de Développement Economiques) firmato da C. Morrisson, leggiamo il seguente passo, che mostra il carattere deliberato, programmato, delle politiche di penalizzazione della spesa pubblica che sono dilagate in Europa in questi anni:

 

La riduzione degli stipendi e dell’impiego nell’amministrazione [pubblica] e nelle imprese parapubbliche figura, di solito, fra le principali misure dei programmi di stabilizzazione. In linea di principio, essa è meno pericolosa politicamente del rialzo dei prezzi al consumo: suscita scioperi piuttosto che manifestazioni, e tocca le classi medie piuttosto che i poveri (ci sono pochi funzionari nel 40% dei più poveri). Ma benché questa misura si possa giustificare sotto il profilo dell’equità, nondimeno comporta rischi politici. In effetti, si tratta di settori in cui la proporzione di stipendi stabiliti in base ad accordi sindacali è più alta, in cui i dipendenti non corrono rischi se scioperano, al contrario che nel settore privato, e, infine, in cui lo sciopero può essere un’arma molto efficace: l’economia è paralizzata da uno sciopero dei trasporti o della produzione di elettricità; e lo Stato è privato di entrate se gli agenti del fisco cessano di lavorare. Lo sciopero degli insegnanti non è, in quanto tale, un impedimento per il governo, ma è indirettamente pericoloso, poiché libera la gioventù per le manifestazioni. Questi scioperi possono dunque diventare prove di forza difficili da gestire. Certo, il governo può sempre ristabilire la calma annullando le misure che hanno scatenato lo sciopero, ma facendo ciò, rinuncia a ridurre il deficit di bilancio. [p. 29]

 

Per ridurre il deficit di bilancio, una riduzione molto importante degli investimenti pubblici o una diminuzione delle spese di funzionamento non comportano rischi politici. Se si diminuiscono le spese di funzionamento, bisogna stare attenti a non diminuire la quantità di servizio, salvo ad abbassarne la qualità. Si possono ridurre, per esempio, i crediti di funzionamento a scuole o università, ma sarebbe pericoloso contrarre il numero degli allievi o degli studenti. Le famiglie reagiranno con violenza al rifiuto di iscrizione dei loro figli, ma non a un abbassamento graduale della qualità dell’insegnamento e la scuola può progressivamente e puntualmente ottenere un contributo dalle famiglie, o sopprimere un’attività. Questo si fa caso per caso, in una scuola ma non nell’istituto vicino, così da evitare un malcontento generale della popolazione.  [p. 30] 

www.oecd.org/dataoecd/24/23/1919068.pdf

www.oecd.org/document/33/0,3343,fr_2649_39263294_2513313_1_1_1_1,00.html


In tutti i casi quindi la strategia è chiara: dato che in Francia (e largamente anche negli altri paesi dell’Unione Europea) i servizi pubblici funzionano molto bene, bisogna far marcire le istituzioni pubbliche dall'interno, privandole dei finanziamenti, degradandone la vita professionale col rafforzamento della struttura gerarchica ecc. Si spingono così le pubbliche istituzioni verso l'agonia, la gente verso il ripudio di queste, col risultato di rendere “accettabile” la privatizzazione totale di tutti i servizi pubblici (accordi GATS del 1995). Coerentemente con il detto francese: “quand on veut tuer son chien, alors on dit qu'il a la rage” (quando si vuole ammazzare un cane, si dice che ha la rabbia).

 

Così, i nostri dipendenti, come Beppe Grillo chiama giustamente i membri del parlamento, sono al lavoro per deteriorare la qualità dell’esistenza quotidiana della nostra e delle future generazioni – e lo fanno con piena cognizione di causa, anzi nel quadro di un programma politico transnazionale, al quale danno man forte, se non altro con il silenzio-assenso, anche gli esponenti della pseudo-sinistra partitica.

 

(A proposito dell’Università, consigliamo i due articoli, simili, di Michel Saint-Jean e Isabelle This Saint-Jean: “Réformes et modernisation ou assassinat de la recherche et de l’enseignement supérieur?” www.sauvonslarecherche.fr/spip.php?article2186

Réformes de l’enseignement supérieur et de la recherche: une contre-révolution

www.sauvonsluniversite.com/spip.php?article804 )

 

 

Un nuovo ’68 alle porte?

Per queste ragioni (e centinaia di altre) invitiamo ad informarsi sul web di tutti questi fermenti. Non è escluso che un nuovo ’68 – questa volta più grave perché iniziato dai docenti universitari (per la prima volta nella storia) a cui si sono associati gli studenti – sia ormai alle porte.


Uno quadro completo della situazione attuale Francese e quotidianamente aggiornato è disponibile sui siti apartitici (cioè raggruppanti indifferentemente e mediamente esponenti di tutti i partiti) di  Sauvons La Recherche (SLR) et Sauvons L'Université (SLU):

 

SLR : www.sauvonsluniversite.com

SLU : www.sauvonslarecherche.fr/

 

che invitiamo a visitare periodicamente, così come il multi-sito trans-nazionale con sottopagine e traduzioni in diverse lingue dell’Unione Europea:

 

www.vagueeuropeenne.fr

 

SLR e SLU con l’appoggio di gruppi di altri paesi, chiamano ad una grande manifestazione europea contro la guerra sotterranea dichiarataci dai governi attuali e dalle multinazionali che li orientano, e che ci sta portando a una fine programmata della libertà scientifica e dell’accesso democratico all’università, e al regresso dell’intera società.

 

Altri interventi

 

 

 

·   Lettera in cui tre associazioni di scienziati (SMF-SFP-SCF) esprimono alla ministra Pécresse la loro indignazione per il discorso di Sarkozy del 22 gennaio sopra citato: http://smf.emath.fr/VieSociete/PositionsSMF/RecherchePositionsSMF.html 

         

·   Comunicato del 10 febbraio di membri della sezione matematica dell’Accademia delle Scienze e lettera di Odile Macchi, accademica, a Valérie Pécresse http://smf.emath.fr/VieSociete/PositionsSMF/RechercheAutresPositions.html 

 

·   Il dossier mastérisation del ministro Darcos: http://smf.emath.fr/Enseignement/Masterisation/

 

·   Articolo di  le Monde dell’11 febbraio " Parents si vous saviez...", firmato da professori universitari e di IUFM, rettori e accademici, tra cui Jean-Pierre Kahane. www.lemonde.fr/opinions/article/2009/02/10/formation-des-professeurs-parents-d-eleves-si-vous-saviez_1153316_3232.html

 

 

 

La mobilitazione dei popoli in Europa contro la strategia di Lisbona sta fortunatamente crescendo. Ricordiamo che la strategia di Lisbona, adottata congiuntamente dalle forze di destra e socialiste europee, è la risposta liberista dell’Unione Europea per organizzare nel quadro della mondializzazione la competizione e la concorrenza in Europa e nel mondo.

 

Al di là degli obiettivi pubblicizzati, si sta organizzando in realtà l’appropriazione da parte della finanza dell’insieme della società e di tutti gli aspetti della vita quotidiana, nel consenso tra i rappresentanti delle forze di destra e i socialisti.

 

Il brillante risultato è noto:

 

- sostegno massiccio ai mercati finanziari;

- esacerbazione della finanziarizzazione dell’economia;

- privatizzazione dei servizi;

- e milioni di disoccupati.

www.sauvonslarecherche.fr/spip.php?page=article&id_article=2537

 

 

 

 

Inserito: 26 febbraio 2009; revisione: 10 marzo 2009

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem/