PAOLO DE BERNARDI

 

Media e violenza sociale

 Effetti neurologici e psicotici dei videogiochi per ragazzi

 

 

I. DEFINIZIONE DI PSICOSI: In generale per “psicosi” si intende quel disturbo della personalità che consiste nel perdere il senso del reale e quindi il contatto con esso. Il reale si mescola e non viene distinto da ciò che è fobia, allucinazione, sogno, ecc…

 

II. EFFETTI CLINICI – NEUROLOGICI (un po’ di rassegna stampa)

 

Choc da videogioco: ricoverato. Ragazzino di Lecco finisce in ospedale con le convulsioni. Il quattordicenne è caduto a terra con la bava ala bocca davanti allo schermo. Un malore di massa, convulsioni, in qualche caso vere e proprie crisi di epilessia. Settecento bambini ricoverati in ospedale pochi giorni prima di Natale e tutto per colpa di ‘Pikachu’, fantastica creatura di uno dei cartoni animati più popolari in Giappone: i troppi flash partiti dagli occhi del mostriciattolo con la faccia da topo e rimbalzati attraverso il video su quelli dei piccoli spettatori, sarebbero stati la causa secondo gli esperti, dello choc. L’hanno definita epilessia da bombardamento televisivo, un disturbo neurologico provocato anche dai videogames e che alcuni anni fa a Londra avrebbe addirittura provocato la morte di un ragazzino di 14 anni. Ed ecco adesso l’allarme anche in Italia. Un bambino di 9 anni di Colico (Lecco) che stava giocando con un videogames collegato al televisore di casa è improvvisamente crollato a terra in preda a una crisi convulsiva. (…) La madre ha sentito un tonfo. È subito accorsa e ha trovato il figlio riverso a terra, cianotico e con la bava alla bocca, in preda a una crisi convulsiva…la madre ha sentito un tonfo. È subito accorsa e ha trovato il figlio cianotico e con la bava alla bocca, in preda ad una crisi convulsiva.[1]

           

Avvisi di garanzia ai distributori di videogiochi troppo violenti. La magistratura di Torino indaga sul caso del ragazzo finito in ospedale. Roma. Il Magistrato ieri ha anche cominciato ad interessarsi al caso di Alessandro, il ragazzo di 16 anni ricoverato nel reparto psichiatrico di un ospedale torinese per una sorta di delirio che lo ha colto dopo aver giocato troppo a lungo a un videogame. Anche il tribunale dei Minorenni di Torino si sta occupando del caso del sedicenne vittima di ‘un’overdose’ da videogioco. Ora il ragazzo sta meglio – afferma Adriana Ruschena, primario del reparto di psichiatria del Mauriziano, che l’ha in cura – è uscito dallo stato confusionale in cui era caduto, ricorda anche criticamente quello che gli è successo. Tra psicologi, medici, operatori del settore, esperti a vario titolo il processo ai videogame è già aperto da tempo. I pediatri mettono in guardia contro l’esposizione prolungata dei bambini davanti alla televisione e ai videogiochi. Per gli esperti il bambino di Torino che crede di essere il protagonista del suo videogioco preferito ‘è un caso limite’, ma anche un campanello d’allarme. Il rischio maggiore è la creazione di un’identificazione, anche se parziale, fra situazioni e azioni che si compiono nei videogiochi e situazioni e azioni reali, con il rischio di creare delle turbative serie in una fase altamente critica dell’età evolutiva qual è quella preadolescenziale e adolescenziale, sottolinea il professor Giorgio Rondini ex-presidente della Società italiana di Pediatria (Sip) […] Ci sono stati casi di ragazzi che hanno giocato per 72 ore di seguito e hanno perso il senso della realtà”.[2] 

 

Di questo testo sottolineiamo la perdita di senso della realtà e di identificazione spersonalizzante col protagonista del videogioco quale tratto più rilevante del fenomeno ai fini del nostro discorso.

 

Due ore di videogioco: dodicenne colpito da una crisi epilettica. Genova. È ancora ricoverato in osservazione nel reparto di neuropsichiatria infantile nell’ospedale pediatrico Gaslini il dodicenne di Voltri colto l’altro ieri da violente crisi epilettiche dopo due ore di videogioco. I familiari hanno detto ai medici che il ragazzo – che non aveva mai sofferto di epilessia, come nessuno tra i parenti – avrebbe perso conoscenza in mattinata mentre stava giocando sulla sua ‘consolle’ ( un computer con joystick abilitato solo al videogame): crollato a terra avrebbe avuto forti scosse in tutto il corpo. Il ragazzo è stato rianimato dai medici del 118, sottoposto a sedativi e quindi trasportato prima all’ospedale San Carlo di Voltri e poi al Gaslini. Il ragazzo giocava allo stesso videogame, ‘Final Fantasy’ (un videogioco di ruolo altamente interattivo e molto in voga) da circa due mesi e passava diverse ore ogni giorno ‘attaccato’ alla ‘consolle’. […] Secondo il professor Gaggero, che è il coordinatore regionale ligure della Lega Italiana contro l’epilessia, casi di questo tipo sono frequenti (la settimana scorsa una bimba di 10 anni è stata ricoverata per un episodio analogo).[3]

 

Indigestione da videogames: tre bambini in ospedale. Città di Castello (Pg) Li chiamano ‘disturbi da videogames’ e ieri mattina hanno causato il ricovero nel reparto di pediatria dell’ospedale di Città di Castello di tre bambini, due tifernati e un biturgense. Diciamo subito che i sanitari ‘non confermano’ la diagnosi, comunque è certo il fatto che i piccoli, subito dopo l’arrivo nel nuovo nosocomio, presentavano convulsioni e i medici li avrebbero sottoposti in breve tempo a risonanza magnetica con (pare) esito negativo. I ragazzini ( dei quali naturalmente non sono state fornite le generalità e nemmeno l’età, uno di questi sarebbe figlio di un noto personaggio tifernate, ndr ) ora stanno bene ma nelle ultime ore avrebbero fatto indigestione di video games tramite computer. La singolarità dell’episodio è data dal quasi contemporaneo arrivo in ospedale dei genitori dei bambini ricoverati: uno di questi sembrava addirittura in condizioni peggiori (non rispondeva nemmeno alle sollecitazioni dei sanitari).[4]

 

Sedicenne ricoverato in ospedale dopo una crisi epilettica mentre era alla consolle. Genova. Se l’era appena comprato in saldo, quel cd: un regalo di Natale anticipato che si era aggiudicato nonostante i mugugni di mamma e papà. E così, con la furia che può avere un sedicenne ‘innamorato’ della play station, appena è tornato a casa Mauro (chiamiamolo così) s’è fiondato davanti alla tv e nel buio del salotto ha fatto esplodere i suoni e le raffiche di colori del suo ‘Tekken 3’ nuovo. Nemmeno un quarto d’ora dopo, il ragazzo è rimasto fulminato da quella che al padre è sembrata una violenta scarica elettrica, e subito dopo è svenuto. ‘Solo quando mi sono accorto che il salvavita non era scattato, ho capito che stava succedendo qualcos’altro’, racconta il genitore, spaventato a morte da quella crisi. Un attacco epilettico che ha portato Mauro direttamente al San Martino di Genova […] Certo è che il caso di Mauro non è più tanto raro, in questi tempi di iper-stimolazioni elettroniche e bombardamenti visivi: gli allarmi si susseguono, e sembra che i nuovi giochini abbiano il potere di mandare in tilt anche i cervelli di adolescenti che non avevano mai avuto prima problemi di epilessia. Il 26 gennaio di quest’anno – solo per raccontare gli ultimi casi – è successo a Verona: i genitori di ritorno dal lavoro hanno trovato la figlia di 12 anni ‘bloccata’ davanti al video, incapace di parlare o comunicare se non con suoni distorti. E il giorno prima, a Genova, Alessio, anche lui dodicenne, è crollato a terra in piena crisi epilettica. Più grave – ma per fortuna anche molto più raro – il caso di Alessandro, il sedicenne torinese, che nel novembre del ’99 è stato catturato dal mondo virtuale dei videogames per un mese intero, e ne è venuto fuori a forza di neurolettici e budini al cioccolato.[5]

           

Anche in questo testo merita che si sottolinei l’identificazione psicotica col personaggio del videogioco.

 

Come ultimo caso (anche se cronologicamente non ultimo) voglio riportare quello di Torino, riguardante un ragazzo assolutamente normale, bravo e diligente a scuola, lettore di libri, al quale un giorno i genitori regalarono la play station. Il caso è emblematico e prepara il passaggio al prossimo paragrafo dedicato agli effetti psicotizzanti del videogioco sui giovani. In questo caso la sindrome neurologico-clinica è pressoché coincidente con quella psicotica. Questo per dire che ci sono gli estremi per quantificare, misurare scientificamente, la corrispondenza tra danno neurologico e disturbo psicotico.

 

Alessandro stava attaccato alla play station giorno e notte. E alla fine, si era convinto di essere diventato Ken, un personaggio dei suoi giochi elettronici, dice Anna Ruschena, primario del reparto psichiatrico al Mauriziano di Torino. Ha uno sguardo smarrito il padre di Alssandro S., il sedicenne che da più di un mese è ricoverato nel reparto psichiatria dell’ospedale Mauriziano di Torino.  ‘Mio figlio aveva perso il senso della realtà. A furia di giocare giorno e notte con quelle maledette playstation, si era convinto di essere diventato Ken, il protagonista buono del suo videogioco preferito’ spiega affannato Mohamed, 49 anni, di Casablanca, giunto in Italia nel 1973. E, da allora, mai più rientrato in patria. Adesso Alessandro sta meglio, ha riaperto gli occhi sul mondo reale. Sta guarendo, spero presto torni a casa con noi, anche se in ospedale non mi sanno ancora dire quando. La vicenda di questo ragazzo che ha trascorso cinque giorni e cinque notti di fila incollato al video è stata un po’ semplificata, se vogliamo dirla tutta, sorride senza parere la Ruschena, che allude con delicatezza al clamore dei media sull’identificazione assoluta di Alessandro e Ken, il protagonista buono del gioco Street Fighter. In realtà lui si è immedesimato anche in altri personaggi virtuali, positivi o negativi, eroi del bene o del male. Perché nel suo stato psicotico, cioè di alterazione del rapporto con la realtà, l’aspetto fondamentale era la fuga dall’ambiente circostante […] In questi giorni ho scoperto, per esempio, che in Inghilterra, le psicosi da videogioco sarebbero piuttosto numerose.[6]

 

III. QUANTO SIA FACILE DETERMINARE IL COMPORTAMENTO GIOVANILE. (Ancora rassegna stampa) -Gli autori del massacro alla scuola superiore “Columbine” negli USA, dove furono uccisi 16 ragazzi[7] erano adolescenti appassionatissimi del cruentissimo videogioco “Doom” (intriso anche di riferimenti satanisti). È interessante notare che Eric Harris, uno dei giovani assassini, aveva riprogrammato il gioco con la riproduzione virtuale del suo ambiente scolastico[8].

           

Tornano i killer dei sassi, due morti. A Darmstadt in Germania una donna di venti e un’altra di quaranta anni uccise dai massi lanciati nella notte da un cavalcavia. Berlino. Torna l’incubo dei sassi killer, torna la paura dei cavalcavia, anche se l’allarme questa volta arriva dalla Germania. Due donne, una di venti e l’altra di 41 anni, che domenica notte erano alla guida delle loro auto sulla statale B3 Heidelberg–Francoforte vicino a Darmstadt, sono state uccise da due macigni lanciati da un cavalcavia. Sono morte sul colpo, vittime della follia di qualcuno che forse voleva imitare scene viste poco prima in un programma tv. Altre cinque persone sono rimaste ferite, una di queste in modo grave […] Sei auto sono state colpite. Non esiste al momento una pista, ma gli inquirenti non escludono che gli attentatori possano essere stati dei giovani ispirati da un telefilm trasmesso in tv dove si vedono scene con lancio di sassi sull’autostrada. Il film cominciava poco prima delle otto e poco dopo la fine, verso le nove, sono avvenuti gli omicidi[9].

           

Sospeso lo spot dei coltelli: un bimbo imitava Fiorello. Roma. Da oggi sarà sospeso lo ‘spot dei coltelli’ nel quale Fiorello lancia lame contro una donna e la centra in piena fronte. Lo ha deciso Infostrada dopo la denuncia di una madre di Como che ha raccontato come suo figlio di tre anni, subito dopo aver visto lo spot, è andato in cucina ed ha preso alcuni coltelli con l’intenzione di lanciarli contro la mamma e la sorellina: ‘Era convinto che non facessero male’ dice la donna.[10]

           

Quindicenne violenta il cuginetto. Vicenza. Un bambino di sei anni di Vicenza sarebbe stato oggetto di abuso sessuale da parte di un cugino di quindici anni. La vicenda è venuta alla luce dopo che la piccola vittima ha raccontato la violenza subita a suo fratello dodicenne che ha avvertito i genitori. L’adolescente, a sua volta, avrebbe ammesso le proprie responsabilità, precisando di aver voluto imitare i contenuti di alcuni filmati pornografici visti sul computer a casa di amici […] L’episodio di presunto abuso nei confronti del cuginetto di appena sei anni sarebbe maturato la scorsa estate, pare in agosto o inizio settembre, quando nella mente del giovane sarebbe scattata come una molla l’idea di provare a fare quanto aveva visto fare agli adulti nei filmati. Era la sua prima volta, visto che fino a quel momento non aveva avuto alcuna altra esperienza di natura sessuale e forse non ne conosceva la portata.[11]

           

Violentano bimba di nove anni. L’abbiamo visto fare in TV. Sassari […] La bambina di nove anni è stata per due settimane in balia di una banda di sette ragazzini: tre l’hanno ripetutamente violentata, gli altri quattro facevano da spettatori, senza muovere un dito né dire una parola (ridacchiavano, anzi) in sua difesa. Tutti più piccoli di 14 anni. Proprio in quei giorni in due trasmissioni tv molto seguite si era parlato a lungo delle violenze di gruppo a Torino e ad Ancona. E a qualcuno del branco è venuta la folle idea: perché non ci proviamo anche noi? […] I giochi proibiti sono cominciati a dicembre, stranamente in coincidenza con trasmissioni televisive sulle violenze – ha rimarcato il procuratore – peraltro messe in onda in ore di massimo ascolto.[12]

 

Può essere interessante concludere questo capitolo riportando le parole di uno dei manager della Microsoft (John Grande) allorché si trattava di scegliere tra tariffari mensili o orari dei videogiochi prodotti dal colosso di Seattle: “Un tariffario orario – dice il manager – scoraggia gli utenti a giocare per un tempo prolungato. Un tariffario mensile sufficientemente basso, invece, fa in modo che gli utenti sviluppino una dipendenza da gioco”.[13]

 

 

IV. CI SONO PRONUNCIAMENTI SCIENTIFICI IN MERITO?  Non credo di andare molto lontano dal vero dicendo che Craig Anderson sia il maggior esperto vivente nello studio del rapporto tra video–videogiochi e comportamenti dell’infanzia–adolescenza. Questo psicologo americano, Direttore del Dipartimento di Psicologia della Iowa State University, membro della American Psychological Society e della American Psychological Association, fa anche parte del Direttivo della International Society for Research on Aggression.  Anderson, dopo aver esaminato la letteratura degli ultimi 50 anni sul rapporto tra violenza dei media e aggressività, ha prodotto un vastissimo numero di studi, poggianti su basi sperimentali e pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra le quali ultimamente anche “Science[14]. Numerosi enti governativi hanno consultato Anderson sul tema del rapporto tra violenza nei media e aggressività giovanile e non solo giovanile; recentemente anche il Senato U.S.A. ha interpellato (2000) Anderson. Lo psicologo ha un sito internet dove è riportata la vastissima bibliografia che supporta le sue affermazioni, che sono così sintetizzabili.

 

- Per “esposizione alla violenza dei media” si intende tanto la TV–Cinema quanto i videogiochi, con l’avvertenza che l’effetto del videogioco sul comportamento è più efficace, perché il videogioco è interattivo.  

 

-Anderson fa notare che l’industria dei media finanzia pseudo–ricercatori e pseudo–esperti che su giornali, riviste e in TV devono rassicurare il pubblico circa la non esistenza di un legame tra esposizione alla violenza dei media e aggressività[15]. La certezza acquisita del legame tra violenza dei media e aggressività, in base alla letteratura medica, è un dato scientifico acquisito a partire dal 1975 a riprova di quanto siano efficaci l’insabbiamento e la controinformazione.

 

-È accertato che l’industria dei media investe maggiormente nella produzione di video e videogiochi violenti, affermando che sarebbero più richiesti dal pubblico Mentre invece statistiche condotte su giocatori di video games, hanno evidenziato come i fruitori trovassero divertenti e interessanti, a parimerito, anche quelli di tipo non violento, almeno quando i giocatori sono riusciti a procurarsene di quest’ultimo tipo. Gli studi di Anderson hanno evidenziato che la violenza nei media (soprattutto videogiochi) ha effetti negativi  sui bambini, sugli adolescenti e persino sui giovani adulti, siano essi di sesso maschile che femminile.

 

-Il principale e ripetuto argomento a cui abitualmente ricorrono coloro che vogliono minimizzare o negare una relazione tra violenza nei media e comportamenti aggressivi è il seguente: “è evidente ai ragazzi e perfino ai bambini che il videogioco, il film o il cartone animato sono una finzione. Il ragazzo sano sa distinguere tra realtà e ciò che non lo è”. Questo ragionamento porta a due conclusioni: a) la violenza nei media non ha conseguenze comportamentali; b) se ha conseguenze le ha solo su una strettissima minoranza di ragazzi con problemi di tipo psicotico o pre-psicotico.

 

-Anderson respinge decisamente questo argomento in due maniere: a) mostrando studi fatti su giovani adulti, come tali perfettamente in grado di distinguere tra realtà e finzione, dai quali si è evidenziata  la correlazione causale tra  esposizioni a violenza nei media e comportamenti aggressivi. b) I cartoni animati per bambini, ritenuti più sicuri, perché in essi è più facile il discernimento tra realtà e finzione, hanno anche essi l’effetto di aumentare i comportamenti aggressivi nei bambini.

 

-Anderson può concludere che tra esposizione alla violenza veicolata nei media e comportamento aggressivo vi è non semplicemente “connessione”, ma rapporto causale essendo molteplici le evidenze scientifiche.

 

In base a queste si può affermare che l’esposizione alla violenza nei media produce a breve termine: 1) Aumento di pensieri aggressivi; 2) Aumento di sentimenti aggressivi; 3) Aumento di comportamenti aggressivi[16].

 

Nel lungo termine, nella dinamica comportamentale dell’individuo, si producono sei conseguenze fondamentali che Anderson enumera[17] e accanto a ciascuna delle quali il sottoscritto aggiunge delle osservazioni, messe in corsivo, per distinguerle da quanto è affermato da Anderson

 

IV.1 L’esposizione alla violenza nei media può produrre fenomeni imitativi.

           

Osservazioni: abbiamo visto dalla lettura dei giornali sopra riportata come non infrequenti siano i fenomeni imitativi anche solo dopo aver visto films in TV o al cinema.Proviamo a fare una riflessione basata stavolta, non su studi scientifici, ma sul buon senso: se tutti i giorni il vostro bambino vede films e videogiochi dove i protagonisti viaggiano in quad; e questo accade quasi tutti i giorni per anni; ebbene, quando vostro figlio avrà 18 anni che cosa vi chiederà di comprargli: una bicicletta, un cavallo o forse qualcos’altro?

 

IV.2 L’insistente esposizione alla violenza nei media aumenta la generale suscettibilità nelle persone, e cioè una maggiore reattività di tipo aggressivo-violento

 

Osservazioni: Per “suscettibilità” si intende l’interpretare costantemente gli altrui atteggiamenti come provocatorii. Se il condomino del piano di sopra, annaffiando i fiori, fa cadere acqua sul mio terrazzo, ciò avviene non semplicemente perché è sbadato, ma perché mi manca di rispetto! Se qualcuno mi passa avanti nella fila allo sportello, non penso che lo faccia perché ha un’urgenza, ma sono incline a pensare che sia un prepotente (e come tale meriti una lezione).

 

IV.3 L’esposizione alla violenza nei media favorisce la fiducia nelle risoluzioni violente e aggressive, mentre per converso diminuisce la fiducia nelle soluzioni diplomatiche, pacifiche e dialogiche.

           

Osservazioni: Negli ultimi anni, ad esempio, le liti condominiali o tra vicini hanno avuto picchi statistici mai registrati prima. Le risoluzioni aggressive non solo si concretizzano nel sistematico ricorso ad avvocati, ma degenerano sempre più spesso, come dice la cronaca, in conflitti a fuoco, accoltellamenti, ecc. Perfino sulle questioni di precedenza nei parcheggi si può arrivare ad aggressioni e sparatorie.

 

IV.4 La ripetuta esposizione alla violenza nei media favorisce quel database cognitivo–comportamentale al quale l’individuo inevitabilmente attinge, non avendo ricevuto modelli cognitivi diversi.

 

Osservazioni: Se un individuo sin dall’infanzia, attraverso i media, ha sempre assistito ad un rapporto uomo-donna caratterizzato da violenza–stupro, come pressoché esclusivo modello comportamentale da parte dell’uomo verso la donna[18], ecco che il suo database cognitivo, essendo improntato a questo modello (prevalente e/o esclusivo), inclinerà o addirittura determinerà i suoi futuri comportamenti, a meno che altre agenzie formative (tipo famiglia, scuola) non intervengano con input cognitivi–comportamentali che sopraffacciano e/o confutino il modello veicolato da TV–cinema–videogiochi. Vogliamo davvero credere che non vi sia relazione tra aumento statistico della violenza sulla donna e insistente rappresentazione in TV e cinema[19] di scene in cui la donna è fatta oggetto di violenze? Allora faccio presente questo episodio. Tempo fa la Volkswagen dovette sospendere uno spot pubblicitario nel quale un pedone, invidioso di non potersi acquistare il nuovo modello di Volkswagen, allora uscito, la rigava con una moneta, mentre le passava accanto con un finto disinteresse. Si era scatenato, anche presso gli adulti, un fenomeno di emulazione, tanto che lo spot fu sospeso.

 

È perciò depistante dire sempre e solamente che  TV e cinema rappresentano la violenza che è nella società;va aggiunto che è vero e soprattutto il contrario:che è piuttosto  la società che  tende a mettere in atto i modelli cognitivi– comportamentali veicolati–imposti dai media, che sono il vero soggetto agente, a fronte di un tessuto sociale che è l’elemento passivo, esecutivo ed emulativo (se non fosse così le grandi aziende non investirebbero così tanto in pubblicità).

 

IV.5 L’esposizione alla violenza nei media favorisce rapporti coi propri simili improntati a ostilità piuttosto che a solidarietà[20].

 

Osservazioni: uno dei tratti più caratteristici che fanno la differenza tra le società tradizionali e quelle industriali, tra società rurali e civiltà urbana moderna, è certamente la scomparsa dei rapporti di solidarietà, cioè la volontà e la capacità di aiuto reciproco, specie nei momenti di difficoltà. Resta ancora pienamente attuale l’analisi di Simmel agli inizi del Novecento sul carattere blasé ( distaccato, indifferente) del borghese di città, che tutto valuta e misura sulla base del valore monetario. Quando il denaro diventa la misura di tutte le cose, ecco che inesorabilmente amicizia, amore, solidarietà scompaiono. La civiltà industriale e della moneta ha portato l’indifferenza nei rapporti umani; ma l’avvento del potere dei media, in particolare, dagli anni settanta in poi, con lo strapotere di Hollywood, ha favorito il prevalere di rapporti di ostilità tra gli individui. Si noti come negli ultimi quaranta anni la rappresentazione della violenza nei media sia andata statisticamente aumentando. Uno dei film maggiormente paradigmatici e che hanno fatto da battistrada alla crescente rappresentazione della violenza è “Arancia Meccanica”. Tale linea ha avuto il suo culmine in “Il silenzio degli innocenti” e “Hannibal”; e cioè nel presentare come “piacevole” l’esercizio di una violenza gratuita verso i propri simili. Viene presentato come piacere proibito (come tale invitante) l’esercizio di una violenza verso gli innocenti; fino a rappresentare quanto piacevole possa essere il cibarsi dei propri simili[21].

 

IV.6 La ripetuta esposizione alla violenza nei media fa decrescere il naturale rifiuto emotivo della violenza[22].   

 

Osservazioni: Il rifiuto emotivo alla violenza è, e dovrebbe essere, naturale, nel senso che viene istintivo rifuggire a scene, immagini, situazioni violente. Perché? Perché sarebbe autolesivo e contrario all’istinto di conservazione l’accettazione della logica della violenza. Accettare questa logica è dare il benvenuto al proprio carnefice, perché prima o poi comparirà uno più forte, più astuto, o semplicemente più vile di me, che mi colpirà….Quando l’ossessiva rappresentazione della violenza nei media fa decrescere o scomparire il naturale rifiuto emotivo della violenza, ecco che gli individui non ricorrono o non invocano più criteri di equità, di giustizia, non propendono più per soluzioni legali .Un popolo che sin dall’infanzia sia assuefatto alle immagini di violenza costituisce un’opinione pubblica maggiormente incline alla guerra, piuttosto che a soluzioni diplomatiche. Non è da stupire allora se sui teatri di guerra i “loro ragazzi” riescano ad uccidere con assoluta disinvoltura un bambino che si è arrischiato ad uscire dalla capanna per raccogliere un po’ di legna. Riescono ad uccidere chiunque per un qualsiasi banalissimo motivo, come se invece di persone fossero barattoli. Sparano anche su chi si arrende con le mani in alto o dopo che ha alzato bandiera bianca. Non c’è regole, non c’è lealtà, non c’è dignità. C’è solo una perfetta assuefazione alla violenza, quella alla quale si è abituati sin da piccoli.

 

V. L’INNOCENZA DEL MERCATO

Se scavo una buca profonda e poi la ricopro proprio là dove dovrà passare una corsa podistica e il giorno successivo un tale vi cade e muore, il magistrato mi affibbia l’omicidio volontario o il premeditato, dopo aver accertato che non potevo non sapere che lì passava la corsa. Ma la correttezza politica e sociologica dei nostri intellettuali arriva al punto che al gruppo dirigente delle case che producono videogiochi o film di esasperata violenza non imputano neppure colposità o preterintenzionalità nel voler introdurre caos e violenza nella società. I grandi produttori di violenza nei media, Hollywood inclusa, nessuno osa indicarli tra i principali responsabili dell’aumento della violenza sociale, neppure quando mettono in circolazione un videogioco nel quale è richiesta l’identificazione virtuale col protagonista (quello sei tu), il quale prova sommo diletto nello squartare con la motosega i passanti che incontra per strada. Il ragazzo, che è identificato col protagonista, deve, in altre fasi del gioco, rubare o incendiare macchine, uccidere la polizia ed infine identificarsi con uno spacciatore[23]. Il videogioco richiede che, impugnato il joystick il ragazzo faccia fare tali cose al proprio alterego virtuale. Si noti come sia richiesta l’identificazione psicotizzante. E soprattutto si tenga in considerazione che l’attività del videogioco non comporta solo coinvolgimento emotivo, bensì essa, come è stato dimostrato, implica anche notevoli modifiche di tipo fisiologico[24], come anche provato dalla rassegna stampa del par. II, dove si sono evidenziate patologie neurologiche a seguito di sovraesposizione ai video giochi

 

Ebbene chi osa imputare alla casa produttrice di tale gioco la volontà di produrre violenza e caos sociali, facendo leva sui giovani, anche quando come foglia di fico si adotta la scritta “raccomandato ai maggiori di 18 anni”? Anzi la cosa ha effetto contrario perché un quattordicenne ambisce a comprare il gioco consigliato ai maggiori di 16 anni e quello di 16 anni ambisce al videogioco riservato ai maggiori di 18 anni, per curiosità, per voglia di sentirsi adulto. E scopre che il piacere di cui va in cerca l’adulto è quello che consiste nel massacrare il prossimo.

 

Non è forse questo il messaggio di “Rule of Rose” dove bambini dalle fattezze demoniache picchiano a sangue e seppelliscono viva (dopo averle orinato addosso) la loro coetanea più piccola? Che messaggio sociale avrà voluto mandare il produttore-editore del videogioco dove il protagonista uccide il padre? La nostra intellighenzia politicamente corretta non osa imputare a questi editori neppure una blanda colposità nell’istigazione alla violenza sociale. Paradigmatica è la posizione del “Corriere della sera” che fa ricadere interamente sui ragazzi e non sulle case produttrici l’aumento della violenza sociale[25].

 

 

 VI. LA VICENDA DEL VIRGINIA TECH.  Il ventitreenne Killer de Virginia Tech che il 16 aprile 2007 ucciderà 32 persone del campus universitario aveva preparato un video da far conoscere al mondo dopo il suo suicidio nel quale appare chiaro che il suo immaginario era plasmato su film e videogiochi davanti ai quali passava ore della giornata.

 

Faccio parlare il Corriere della Sera[26], per non esser sospettato di forzatura dei fatti alla mia interpretazione: “Come in un macabro video-game Cho Seung Hui si mostra in guanti, giacca, berretto neri, pistole coltelli, martelli in pugno (….) ha tatuato sul braccio l’Ismail Ax, l’ascia di Ismail, il suo nome di battaglia nei Videogame” (p.20). “Egli ha imitato le scene dei film più famosi (….) Una miscela confusa con il virtuale che diventa cruda realtà (….) Come un qualsiasi ventenne, Cho aveva i suoi riferimenti in personaggi forti, magari creature vissute solo nei videogiochi o interpretate dagli attori nei film. Le testimonianze dicono che Cho passava ore davanti al computer, unico amico e compagno….Gli esperti hanno giocato a costruire paralleli. A cominciare da Lara Croft, l’eroina di uno tra i giochi più popolari. Cho impugna le due pistole esattamente come il personaggio virtuale. Quando invece ne punta una alla testa è Robert de Niro in “Taxi Driver”. Mentre sembra ammiccare a “Old Boy” film violento del coreano Park Chan-Wook, la foto dello studente mentre brandisce un martello” (p. 21). Ma voglio riportare altri retroscena della vicenda che può essere utile conoscere:“Il 17 aprile 2007 il Washington Post ha postato e ritirato dopo pochi minuti la notizia secondo cui Cho Seung Hui, il giovane killer di Blacksburg, era un appassionato del videogioco Counterstrike (prodotto dalla Valve di Washington) distribuito dalla Microsoft, come riferisce un avvocato della Florida che aveva già rappresentato le vittime della sparatoria avvenuta in un campus di Paducah, Kentucky, nel 1998. Successivamente il Post ha anche commentato che un fatto del genere ‘non è importante a sufficienza’. Il Post ha deciso e il resto del mondo dell'informazione si è adeguato: di Counterstrike non ne ha più parlato nessuno. Non si tratta solo dei soldi della Microsoft, ma anche della complicità di ambienti di governo nello sviluppo dei metodi di addestramento virtuale per soldati e poliziotti[27]. Dopo aver sviluppato questi software per addestrare ad uccidere istintivamente e senza riflettere, come automi, al governo c'è chi ha deciso di gettare il prodotto sul mercato, farci i soldi e rovinare la gioventù. Cho Seung Hui risulta inoltre iscritto nella sua università ad un corso di film e letteratura contemporanea sull'orrore che è stato offerto per la prima volta ad autunno. L'avvocato Kack Thompson ha letto sul sito del Washington Post, il giorno dopo la strage:’Diversi giovani coreani che conoscevano Cho Seung Hui dalle scuole superiori riferiscono che era un fanatico dei videogiochi violenti, in particolare di Counterstrike, popolarissimo gioco online della Microsoft in cui i giocatori entrano in formazioni terroristiche o antiterroristiche e si sparano l'un l'altro con armi di tutti i tipi’. Ma pochi minuti dopo, l'articolo era sparito, e l'avvocato che chiedeva spiegazioni si è sentito rispondere che sull'argomento c'erano articoli più nuovi. Thompson ha chiesto a Microsoft di sospendere le vendite di Counterstrike.


’Il vostro videogioco, un simulatore per killer, secondo una notizia apparsa sul Washington Post, lo ha addestrato per godere nell'uccidere e insegnandogli come si fa’ dice Thompson nella lettera personalmente indirizzata a Bill Gates. ‘Voi sapevate cinque anni fa che si parlò del vostro videogioco online Counterstrike già in occasione del massacro della scuola di Erfurt[28], tanto che la cosa all'epoca influenzò persino la corsa alla Cancelleria tedesca! E invece eccovi lì, a cinque anni dall'episodio di Erfurt, a vendere Counterstrike, senza aver fatto niente per eliminare questo simulatore di sterminio di massa dai vostri server, e sembra proprio che 'Virginia Tech' ne sia la conseguenza ... ”[29]. Ritengo non necessario fare commenti.

 

VII CONCLUSIONE. Se qualcuno ritiene che una gioventù abituata sin da piccola a vedere cartoni, films, documentari e videogiochi i cui protagonisti viaggiano solo e sempre in quad e che arrivato all’età adulta il ragazzo sceglierà con equiprobabilità il cavallo, la bici, la moto o il quad come mezzo di trasporto, è libero di farlo. Ognuno è libero di negare una relazione causale tra la plasmazione dell’immaginario e scelte di vita e comportamenti futuri. Si può quindi continuare ad alimentare il depistaggio sociologico che imputa al “disagio” la crescita della violenza sociale.

           

È evidente che la causa principale della ebollizione dell’acqua è il fuoco; il fatto che vi siano concause o elementi catalizzatori (il fatto che c’è l’ossigeno che fa da comburente, la pentola d’acciaio che fa da contenitore e conduttore) non sminuisce il ruolo causante del fuoco.   Che la violenza nei media, per operare efficacemente un aumento della violenza sociale e delle situazioni psicotiche a livello individuale abbia bisogno di catalizzatori e concause che possono essere lo sfascio della famiglia, la diffusione di droghe che spingono a comportamenti suicidi e/o omicidi, (come cocaina) o certi psicofarmaci antidepressivi. Ciò è evidente e innegabile. Ma ciò non sminuisce l’effetto causante del prodotto mediatico che nel giovane ha forte valore identificativo ed emulativo. Con tale forza ed incisività da produrre come visto all’inizio vere e proprie situazioni psicotiche con tanto di ricovero ospedaliero.

 

Dopo aver richiamato alla memoria il paragrafo I di questo lavoro, dove si è esposta la definizione di “psicosi”, possiamo concludere con le parole di Vincenzo Caretti, che sicuramente ora non appariranno esagerate . “Palermo. Nel 2040 la realtà virtuale sarà la droga più diffusa. L’allarme è di Vincenzo Caretti, professore associato di psicologia all’Università di Palermo. Lo psicologo invita a diffidare della bontà della rivoluzione tecnologica, perché l’individuo è catturato e posseduto dal gioco sino a perdere il controllo di sé. È una rivoluzione che confonde verità e simulazione: l’identità resta in bilico tra questi due mondi. Si creano, secondo il ricercatore,’nuovi sé’. Soggetti a rischio sono i bambini e adolescenti ,che non hanno il senso del confine tra uomo e macchina, ma anche le persone con fobie e problemi di relazioni affettive”.[30]

 

L’innocenza e l’inviolabilità del mercato sono state  per lo più sostenute nei seguenti termini.

 

Se gli OGM risultano dannosi non è perché il prodotto sia intrinsecamente non buono, ma perché alcuni individui sono ad essi allergici. Se la polluzione chimica pare aumentare l’incidenza del cancro, non è tanto causa della chimica in quanto tale, bensì ciò è dovuto a gruppi di individui geneticamente predisposti.

 

Se pare che il cibo industriale causi obesità ciò non può inficiare il diritto di quel cibo a stare sul mercato, che di per sé è innocente, e deve restare libero, piuttosto va ricercato il gene e poi modificato in quegli individui che “rispondono” male al cibo industriale.

 

Gli psicofarmaci più insidiosi, come Ritalin, Prozac ecc…( accusati di indurre compulsività suicide ed omicide) devono stare liberamente e innocentemente sul mercato, anche col nomignolo cretino e pericolosamente fuorviante di “pillole della felicità” (cosicché tanti infelici vi abbocchino). Se poi qualcuno o molti vi ricorrono impropriamente (credendo che una depressione si risolva con una pillola) la colpa è solo di questi ultimi.

 

Anche i videogiochi maggiormente istigatori alla violenza devono stare liberamente e innocentemente sul mercato, se poi ci sono ragazzi che si ammalano o assumono in modo psicotico comportamenti emulativi o di grave dipendenza è perché loro sono predisposti a quel tipo di patologia e /o comportamenti….

 

Tanto per capire a che livello giunga la schizofrenia del “politicamente corretto” faccio notare che negli Usa, nel maggio 2007, l’Associazione americana dei produttori cinematografici ha deciso di porre un veto ai minorenni per tutti quei film in cui compaiano scene di fumatori di sigarette, onde evitare che nei ragazzi si producano fenomeni di emulazione….

 

A livello di legislazione nazionale quanto a livello di legislazione europea ci si prodiga nel legiferare contro l’odio razziale, l’odio religioso, la xenofobia, l’antisemitismo ecc…., ma nessuno osa considerare la produzione di certi video e/o film come un’ istigazione a delinquere, oppure come un’istigazione all’odio antiumano, capace di produrre fenomeni emulativi.

 

Infatti se si osservano molti di questi videogiochi l’obiettivo principale in essi è uccidere il maggior numero di “gente comune” in maniera assolutamente gratuita.

Mentre normalmente e per il passato l’uccisione dell’altro uomo è finalizzata alla rapina, oppure ad ottenere una vendetta, oppure perché non si potrebbe fare altrimenti, ecc,….nelle ultime frontiere del videogioco violento ( dagli anni Novanta in poi) l’uccisione è puramente gratuita e ludica (Hollywood e “Arancia Meccanica” hanno fatto da battistrada). Anzi vi è una preferenza nell’uccidere i poveri, perché– non è da stupire– chi tira le fila di questo tipo di editoria ha finalità malthusiane e cioè ritiene che vi sarebbe bisogno di ridurre la popolazione mondiale, soprattutto nelle fasce più basse. Una delle principali norme comportamentali dei Pokemon (contrazione di Poket monsters, cioè “piccoli mostri” che si caratterizzano per la spiccata cattiveria delle azioni) così recita: “la prima regola è quella di uccidere, ammazzare soprattutto i poveri; prima che quelli diventino briganti che ammazzano te”[31].

 

 


APPENDICE     I :  Testo dell’intervento di Anderson al Senato Usa del 2000

 

 

Violent Video Games Increase Aggression and Violence

Craig A. Anderson, Ph.D.

Professor of Psychology & Chair, Department of Psychology
Iowa State University
of Science & Technology

 

Senate Commerce Committee hearing on "The Impact of Interactive Violence on Children"

Chaired by Senator Sam Brownback

 

Tuesday, March 21, 2000

 

U.S. Senator Sam Brownback
Kansas

Professor Craig A. Anderson
Iowa State University

   Distinguished Senators, ladies, and gentlemen. I am Craig Anderson, Professor of Psychology and Chair of the Department of Psychology at Iowa State University. I have studied human behavior for over 25 years. My first research publication, in 1979, concerned one potential contributing factor in the outbreak of riots. My first publication on video game violence appeared in 1987. Next month, the American Psychological Association will publish a new research article on video games and violence that I wrote with a colleague of mine (Karen Dill). The article will appear in the Journal of Personality and Social Psychology, the premier scientific outlet for research in social and personality phenomena. I recently wrote the "Human Aggression and Violence" articles for both the Encyclopedia of Psychology and the Encyclopedia of Sociology.

    I am very happy to be here to speak with you today about the problems of exposing people, especially young people, to interactive violence, that is, violent video games. Though there are many complexities in this realm of behavioral research, there is one clear and simple message that parents, educators, and public policy makers such as yourselves need to hear: Playing violent video games can cause increases in aggression and violence.

    A second message to take away from my report is also very important: There are good reasons to expect that the effects of exposure to violent video games on subsequent aggressive behavior will be even greater than the well-documented effects of exposure to violent television and movies. I'll return to this point in moment. 

TV & Movie Violence: Facts & Relevance

    But first, I want to highlight some facts concerning TV and movie violence, many of which were reported to a Senate hearing last year by Professor Rowell Huesmann of the University of Michigan

Fact 1. Exposure to violent TV and movies causes increases in aggression and violence. 

Fact 2. These effects are of two kinds: short term and long term. The short term effect is that aggression increases immediately after viewing a violent TV show or movie, and lasts for at least 20 minutes. The long term effect is that repeated exposure to violent TV and movies increases the violence-proneness of the person watching such shows. In essence, children who watch a lot of violent shows become more violent as adults than they would have become had they not been exposed to so much TV and movie violence. 

Fact 3. Both the long term and the short term effects occur to both boys and girls.

Fact 4. The effects of TV and movie violence on aggression are not small. Indeed, the media violence effect on aggression is bigger than the effect of exposure to lead on IQ scores in children, the effect of calcium intake on bone mass, the effect of homework on academic achievement, or the effect of asbestos exposure on cancer. 

    Why consider the TV and movie violence research literature when discussing video game violence? There are three main reasons. First, the psychological processes underlying TV and movie violence effects on aggression are also at work when people play video games. The similarities between exposure to TV violence and exposure to video game violence are so great that ignoring the TV violence literature would be foolish. Second, the research literature on TV violence effects is vast, whereas the research literature on video game violence is small. Researchers have been investigating TV effects for over 40 years, but video games didn't even exist until the 1970s, and extremely violent video games didn't emerge until the early 1990s. Third, because the TV/movie violence research literature is so mature there has been ample time to answer early criticisms of the research with additional research designed to address the criticisms. Thus, the various shoot-from-the-hip criticisms and myths created by those with a vested interest in creating and selling various kinds of violent entertainment media have been successfully tested and debunked. I'll describe some of the more popular ones in a few moments.

Video Game Violence: Scope & Research

    Now, let's consider facts derived from the relatively small research literature that is specifically focused on video games. 

Fact 1. Video games are consuming a larger amount of time every year. Virtually all children now play video games. The average 7th grader is playing electronic games at least 4 hours per week, and about half of those games are violent. Even though number of hours spent playing video games tends to decline in the high school and college years, a significant portion of students are playing quite a few video games. In 1998 3.3% of men entering public universities in the United States reported playing video games more than 15 hours per week in their senior year in high school. In 1999 that percentage jumped to a full 4%.

Fact 2. Young people who play lots of violent video games behave more violently than those who do not. For example, in the most recent study of this type exposure to video game violence during late adolescence accounted for 13-22% of the variance in violent behaviors committed by this sample of people. By way of comparison, smoking accounts for about 14% of lung cancer variance.

Fact 3. Experimental studies have shown that playing a violent video game causes an increase in aggressive thinking.  For example, in one study young college students were randomly assigned the task of playing a violent video game (Marathon 2) or a nonviolent game (Glider Pro). Later, they were given a list of partially completed words, such as mu_ _er. They were asked to fill in the blanks as quickly as possible. Some of the partial words could form either an aggressive word (murder) or a nonaggressive word (mutter). Those who had played the violent game generated 43% more aggressive completions than those who had played a nonviolent game.

Fact 4. Experimental studies have shown that playing a violent video game causes an increase in retaliatory aggression. For example, in one study participants were randomly assigned to play either  a violent game (Wolfenstein 3D) or a nonviolent game (Myst). Shortly afterwards, they received a series of mild provocations and were given an opportunity to retaliate aggressively. Those who had played the violent game retaliated at a 17% higher rate than those who had played the nonviolent game.

Fact 5. Experimental and correlational studies have shown that playing violent video games leads to a decrease in prosocial (helping) behaviors.

Why Media Violence Increases Aggression & Violence

    Why does exposure to violent media increase aggression and violence? There are several different ways in which watching or playing violent media can increase aggression and violence. The most powerful and long lasting involves learning processes. From infancy, humans learn how to perceive, interpret, judge, and respond to events in the physical and social environment. We learn by observing the world around us, and by acting on that world. We learn rules for how the social world works.  We learn behavioral scripts and use them to interpret events and actions of others and to guide our own behavioral responses to those events.  These various knowledge structures develop over time. They are based on the day-to-day observations of and interactions with other people, real (as in the family) and imagined (as in the mass media). Children who are exposed to a lot of violent media learn a number of lessons that change them into more aggressive people. They learn that there are lots of bad people out there who will hurt them. They come to expect others to be mean and nasty. They learn to interpret negative events that occur to them as intentional harm, rather than as a accidental mistake. They learn that the proper way to deal with such harm is to retaliate. Perhaps as importantly, they do not learn nonviolent solutions to interpersonal conflicts.

    As these knowledge structures develop over time, they become more complex and difficult to change. In a sense, the developing personality is like slowly-hardening clay.  Environmental experiences, including violent media, shape the clay. Changes are relatively easy to make at first, when the clay is soft, but later on changes become increasingly difficult. Longitudinal studies suggest that aggression-related knowledge structures begin to harden around age 8 or 9, and become more perseverant with increasing age.

    The result of repeated exposure to violent scripts, regardless of source, can be seen in several different aspects of a person's personality. There is evidence that such exposure increases general feelings of hostility, thoughts about aggression and retaliation, suspicions about the motives of others, and expectations about how others are likely to deal with a potential conflict situation.  Repeated exposure to violent media also reduces negative feelings that normally arise when observing someone else get hurt. In other words, people become desensitized to violence. Finally, exposure to violent media teaches people that aggressive retaliation is good and proper.

Violent Video Games vs. TV & Movies

    Earlier, I said that there are good reasons to expect that violent interactive media will have an even stronger effect on aggression and violence than traditional forms of media violence such as TV and movies. These several reasons all involve differences between TV and video games that influence learning processes. The following four reasons all have considerable research support behind them, but have not yet been extensively investigated in the video game domain.

Reason 1. Identification with the aggressor increases imitation of the aggressor. In TV shows and movies there may be several characters with which an observer can identify, some of whom may not behave in a violent fashion. In most violent video games, the player must identify with one violent character. In "first person shooters," for instance, the player assumes the identity of the hero or heroine, and then controls that character's actions throughout the game. This commonly includes selection of weapons and target and use of the weapons to wound, maim, or kill the various enemies in the game environment. Common weapons include guns, grenades, chain saws and other cutting tools, cars and tanks, bombs, hands, and knives.

Reason 2. Active participation increases learning. The violent video game player is a much more active participant than is the violent TV show watcher. That alone may increase the effectiveness of the violent story lines in teaching the underlying retaliatory aggression scripts to the game player. Active participation is a more effective teaching tool in part because it requires attention to the material being taught. 

Reason 3. Rehearsing an entire behavioral sequence is more effective than rehearsing only a part of it. The aggression script being rehearsed is more complete in a video game than in a TV show or movie.  For example, the video game player must choose to aggress, and in essence rehearses this choice process, whereas the TV viewer does not have to make any such choices. Similarly, in video games the player must carry out the violent action, unlike the violent TV viewer. Indeed, in many video games the player physically enacts the same behaviors in the game that would be required to enact it in the real world. Some games involve shooting a realistic electronic gun, for instance. Some virtual reality games involve the participant throwing punches, ducking, and so on. As the computer revolution continues, the "realism" of the video game environment will increase dramatically.

Reason 4. Repetition increases learning. The addictive nature of video games means that their lessons will be taught repeatedly. This is largely a function of the reinforcing properties of the games, including the active and changing images, the accompanying sounds, and the actual awarding of points or extra lives or special effects when a certain level of performance is reached. 

Myths

    I'd also like to comment briefly on a number of myths concerning media violence. Many of these myths have been around for years. Some come from well-intentioned sources that simply happen to be wrong; others are foisted on our society by those who believe that their profits will be harmed if an informed society (especially parents) begins to shun violent TV shows, movies, and video games.

Myth 1. The TV/movie violence literature is inconclusive. Any scientist in any field of science knows that no single study can definitively answer the complex questions encompassed by a given phenomenon. Even the best of studies have limitations. It's a ridiculously easy task to nitpick at any individual study, which frequently happens whenever scientific studies seem to contradict a personal belief or might have implications about the safety of one's products. The history of the smoking/lung cancer debate is a wonderful example of where such nitpicking successfully delayed widespread dissemination and acceptance of the fact that the product (mainly cigarettes) caused injury and death. The myth that the TV/movie violence literature is inconclusive has been similarly perpetuated by self-serving nitpicking.

   Scientific answers to complex questions take years of careful research by numerous scientists interested in the same question. We have to examine the questions from multiple perspectives, using multiple methodologies. About 30 years ago, when questioned about the propriety of calling Fidel Castro a communist,  Richard Cardinal Cushing replied, "When I see a bird that walks like a duck and swims like a duck and quacks like a duck, I call that bird a duck." When one looks at the whole body research in the TV/movie violence domain, clear answers do emerge. In this domain, it is now quite clear that exposure to violent media significantly increases aggression and violence in both the immediate situation and over time. The TV/movie violence research community has correctly identified their duck.

Myth 2. Violent media have harmful effects only on a very small minority of people who use these media. One version of this myth is commonly generated by parents who allow their children to watch violent movies and play violent games. It generally sounds like this, "My 12 year old son watches violent TV shows, goes to violent movies, and plays violent video games, and he's never killed anyone." Of course, most people who consume high levels of violent media, adults or youth, do not end up in prison for violent crimes. Most smokers do not die of lung cancer, either. The more relevant question is whether many (or most) people become more angry, aggressive, and violent as a result of being exposed to high levels of media violence. Are they more likely to slap a child or spouse when provoked? Are they more likely to drive aggressively, and display "road rage?" Are they more likely to assault co-workers? The answer is a clear yes.

Myth 3. Violent media, especially violent games, allow a person to get rid of violent tendencies in a nonharmful way. This myth has a long history and has at least two labels: the catharsis hypothesis, or venting. The basic idea is that various frustrations and stresses produce an accumulation of violent tendencies or motivations somewhere in the body, and that venting these aggressive inclinations either by observing violent media or by aggressive game playing will somehow lead to a healthy reduction in these pent-up violent tendencies. This idea is that it is not only incorrect, but in fact the opposite actually happens. We've know for over thirty years that behaving aggressively or watching someone else behavior aggressively in one context, including in "safe" games of one kind or another, increases subsequent aggression. It does not decrease it.

Myth 4. Laboratory studies of aggression do not measure "real" aggression, and are therefore irrelevant. This myth persists despite the successes of psychological laboratory research in a variety of domains. In the last few years, social psychologists from the University of Southern California and from Iowa State University have carefully examined this claim, using very different methodologies, and have clearly demonstrated it to be nothing more than a myth. Laboratory studies of aggression accurately and validly measure "real" aggression.

Myth 5. The magnitude of violent media effects on aggression and violence is trivially small. This myth is related to Myth 2, which claims that only a few people are influenced by media violence. In fact, as noted earlier the TV violence effect on aggression and violence is larger than many effects that are seen as huge by the medical profession and by society at large. Furthermore, preliminary evidence and well-developed theory suggests that the violent video game effects may be substantially larger.

For Good or Ill

    I have focused my remarks on the negative consequences of exposing young people to violent video games, and on the reasons why violent video games are likely to prove more harmful even than violent TV or movies. Although this may be obvious to many, I should also like to note that many of the characteristics that make violent video games such a powerful source of increased aggression and violence in society also can be used to create video games that enhance learning of lessons that are quite valuable to society. This includes traditional academic lessons as well as less traditional but still valuable social lessons.

Caveats

    Obviously, many factors contribute to any particular act of violence. There is usually some initial provocation, seen as unjust by one party or the other. This is followed by some sort of retaliatory response, which is in turn interpreted as an unjust provocation. This leads to an escalatory cycle that may end in physical harm to one or both parties. How people respond to initial provocations depends to a great extent on the social situation (most people are less likely to respond aggressively in church than they are in a bar), on their current frame of mind (those who have been thinking aggressive thoughts or who are feeling hostile are more likely to respond aggressively), and on the personality of the individual (habitually aggressive people are more likely to respond aggressively than habitually peaceful people). Short term exposure to media violence influences a person's frame of mind, and long term exposure creates people who are somewhat more aggressive habitually, but many factors contribute to current frame of mind and to habitual aggressiveness. However, even though one cannot reasonably claim that a particular act of violence or that a lifetime of violence was caused exclusively by the perpetrator's exposure to violent entertainment media, one can reasonably claim that such exposure was a contributing causal factor. More importantly for this hearing, my research colleagues are correct in claiming that high exposure to media violence is a major contributing cause of the high rate of violence in modern U.S. society. Just as important, there are effective ways of reducing this particular contributing cause. Educating parents and society at large about the dangers of exposure to media violence could have an important impact.

Unknowns

    The research literature on video games is sparse. There are numerous questions begging for an answer that is simply not yet available. Just to whet your appetite, here are a few questions I believe need to be addressed by new research.

1. Does explicitly gory violence desensitize video game players more so than less gory violence? If so, does this desensitization increase subsequent aggression? Does it decrease helping behavior?

2. What features increase the game player's identification with an aggressive character in video games?

3. What features, if any, could be added to violent video games to decrease the impact on subsequent aggression by the game player? For instance, does the addition of pain responses by the game victims make players less reluctant to reenact the aggression in later real-world situations, or do such pain responses in the game further desensitize the player to others' pain?

4. Can exciting video games be created that teach and reinforce nonviolent solutions to social conflicts? 

Conclusion Thank you for your interest in this issue. I'd be happy to address your questions at this time.

 

APPENDICE II

 

 

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Inserito: 19 giugno 2007

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem

 

 



[1]  “Il Giornale” 4-I-1998

[2]  “Il Messaggero” 17.XI.1999

[3]  “ Il Messaggero” 25.I.2000

[4]  “La Nazione” 12 IX 2000

[5]  “La Nazione” 10 XII 2000

[6]  “Oggi”, 1 XII 1999

[7]  “La Repubblica”, 21.IX.1999

[8] “[...] videogiochi e i film in cui si insegna ad uccidere sono stati inizialmente sviluppati per gli addestramenti delle reclute nell'esercito USA. In quei corsi d'addestramento i marines americani usavano una versione di 'Doom', proprio il game usato per addestrarsi da Michael Carneal, che nel 1997 uccise tre bambine a Paducah, nel Kentuky, colpendole con precisione alla testa". Da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili”  VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.

[9]  “La Nazione”, 29.II.2000

[10]  “La Nazione”,28.II.2001

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[11]  “La Nazione”, 19.XII.2006

[12]  “Corriere della Sera”, 25.I.2007

[13]  “Il Messaggero”, 24.VI.1997

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[14] ANDERSON CA, BUSHMAN BJ, The effects of media violence on society, in “Science”, 2002; 295, pp.2377-78.

 

 

 

[15] BUSHMAN BJ, ANDERSON CA. Media violence and the American public: scientific facts versus media misinformation. in “American Psychologist” 2001;56: pp.477-89.

 

[16] ANDERSON C.A. DILL K.E.,  Video Games and Aggressive Thoughts, Feelings, and Behavior in the Laboratory and in Life. in “Journal of Personality and Social Psychology” 2000,78, pp. 772-790

[17] ANDERSON C.A., Violent Video Games: Miths, Facts and Unanswered Questions, in “Psychological Science Agenda” (organo della American Psychological Association) ottobre 2003, v.16, n.5, pp. 1-3.

[18] LINZ DG, DONNERSTEIN E, PENROD S. Effects of longterm exposure to violent and sexually degrading depictions of women. in “Journal of Personality and Social Psychology” 1988;55: pp.758-68.

[19] ANDERSON C.A, Effects of violent movies and trait irritability on hostile feelings and aggressive thoughts. in “Aggressive Behavior”, 1997, 23, pp.161-178. 

[20] ANDERSON C.A.  MORROW M.,  Competitive aggression without interaction: Effects of competitive versus cooperative instructions on aggressive behavior in video games, in “Personality and Social Psychology Bulletin”, 1995, 21, pp. 1020-1030.

 

[21] “Un rapporto dell’Unesco del 1998 sostiene che la cultura internazionale della violenza è alimentata dalla violenza diffusa dai massmedia, in particolare quelli americani”. Da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili”  VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.

[22] Cosa accertata già da molti anni, cfr: CLINE VB, CROFT RG, COURRIER S., Desensitization of children to television violence. in “Journal of Personality and Social Psychology” 1973;27: pp.360-5.

 THOMAS MH, HORTON RW, LIPPINCOTT EC, DRABMAN RS, Desensitization to portrays of real life aggression as a function of television violence. in “Journal of Personality and Social Psychology” 1977;35: pp.450-8.

 

[23]  “La Nazione” 10.04.2007

[24] KROEPP MJ, GUNN RN, LAWRENCE AD, CUNNNINGHAM VJ, DAGHER A, JONES T et al. Evidence for striatal dopamine release during a video game. in “Nature” 1998;393:pp.266-8; BIRBAUMER N., Do games prime brain for violence?, in “New Scientist” 23 giugno 2005, p. 10

25 Sul “Corriere della Sera” del 28.XI.2006  scrive Sergio Romano:“Gli spettatori si abituano all’evoluzione dello stile e riescono, in grande maggioranza, a conservare intatto nella loro mente il confine tra la realtà e la finzione. Ma è certamente vero che una minoranza composta non soltanto da giovani, perde il senso di quella distinzione e finisce per ritenere lecito ciò che è frutto della fantasia. Dovremmo forse, a causa di questa minoranza, modificare con qualche forma di censura le regole che governano nelle nostre società la libertà di espressione? Dovremmo prendere una tale decisione anche se qualche governo autoritario, domani, potrebbe servirsi di queste norme per applicarle in altri casi? O non dovremmo piuttosto cercare di educare i giovani a separare la finzione dalla realtà?”. Questa posizione ricalca esattamente quella del “New York Times” che il 29 IV 2000, in occasione dell’anniversario della strage del Columbine assolveva i videogiochi da ogni responsabilità

 

 

 

 

 

26 “Corriere della Sera” 20 IV 2007

 

 

 

[27] “La stessa cultura si diffonde tra le forze di polizia in mano alle élite di potere indicate, come quelle di New York sotto Rudolph Giuliani, che si addestrano ad uccidere con simili videogiochi ad hoc. Una di queste squadre è quella che il 4 febbraio 1999 ha crivellato con 41 colpi di pistola il povero immigrante africano disarmato Amaud Diallo.”, da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili”  VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.

 

[28]Il 28 aprile il presidente dello Schiller Institute internazionale, Helga Zepp-LaRouche, ha diffuso una dichiarazione sulla strage verificatasi nel Ginnasio Gutenberg di Erfurt, commentando come’’in questa società c'è qualcosa di fondamentalmente errato’. Ha notato come la polizia abbia trovato a casa del giovane killer videogames per addestrarsi ad uccidere e film pieni di orrore e violenza”. Da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili”  VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.

[29] Tratto da http://www.movisol.org/07news065.htm. Per capire poi dove possa giungere la follia emulativa, leggiamo questa notizia Ansa del 17.V.07: “SYDNEY - Un giovane di Sydney ha creato un videogioco in internet basato sul massacro del mese scorso nel campus dell'università Virginia Tech, il più grave nella storia degli Usa, con 32 studenti uccisi da un collega. E ora chiede 'donazioni' per una cifra equivalente a oltre 1.900 euro per rimuoverlo dalla rete. Per altri 960 euro è disposto anche a chiedere scusa. A quanto riferisce oggi il Sydney Morning Herald, Ryan Lambourn di 21 anni è la mente dietro il gioco detto 'V-Tech Rampage', che offre ‘tre livelli di segretezza e uccisioni’, ed è ambientato in un facsimile del campus. Il protagonista, che si ispira al pluriomicida e suicida Cho Seung-huie, si muove tra il dormitorio in cui ebbe inizio la carneficina, l'ufficio postale, da dove mandò il suo manifesto video ad una rete Tv, e l'aula Norris, in cui compì la strage.
’Ho fatto già delle cose che hanno suscitato scandalo, ma mai così popolari", ha dichiarato al giornale Lambourn, aggiungendo di aver creato il gioco ‘perché è divertente’. Ha precisato che sono stati dei suoi amici a suggerirgli di chiedere donazioni per chiuderlo, un'idea che ha definito ‘buffa’. ‘L'idea delle donazioni è tanto per esagerare, per fare arrabbiare più persone. E ha funzionato’, aggiunge soddisfatto. La richiesta è inserita nel suo sito web in cui scrive: ‘Attenzione gente arrabbiata: toglierò questo gioco dal web se l'ammontare delle donazioni raggiungerà i 2000 dollari Usa, e chiederò anche scusa se arriverà a 3000’. Il gioco e il suo creatore sono stati ampiamente condannati e insultati in blog e forum internet”.

[30]  “La Nazione” 4.XI.2000

[31] La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili”  VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon