PAOLO DE BERNARDI
Media
e violenza sociale
Effetti neurologici e psicotici dei videogiochi per
ragazzi
I. DEFINIZIONE DI PSICOSI: In generale per “psicosi” si intende quel disturbo della personalità che consiste nel perdere il senso del reale e quindi il contatto con esso. Il reale si mescola e non viene distinto da ciò che è fobia, allucinazione, sogno, ecc…
II. EFFETTI CLINICI – NEUROLOGICI (un po’ di rassegna stampa)
Choc da videogioco: ricoverato. Ragazzino di Lecco finisce in ospedale con le convulsioni. Il quattordicenne è caduto a terra con la bava ala bocca davanti allo schermo. Un malore di massa, convulsioni, in qualche caso vere e proprie crisi di epilessia. Settecento bambini ricoverati in ospedale pochi giorni prima di Natale e tutto per colpa di ‘Pikachu’, fantastica creatura di uno dei cartoni animati più popolari in Giappone: i troppi flash partiti dagli occhi del mostriciattolo con la faccia da topo e rimbalzati attraverso il video su quelli dei piccoli spettatori, sarebbero stati la causa secondo gli esperti, dello choc. L’hanno definita epilessia da bombardamento televisivo, un disturbo neurologico provocato anche dai videogames e che alcuni anni fa a Londra avrebbe addirittura provocato la morte di un ragazzino di 14 anni. Ed ecco adesso l’allarme anche in Italia. Un bambino di 9 anni di Colico (Lecco) che stava giocando con un videogames collegato al televisore di casa è improvvisamente crollato a terra in preda a una crisi convulsiva. (…) La madre ha sentito un tonfo. È subito accorsa e ha trovato il figlio riverso a terra, cianotico e con la bava alla bocca, in preda a una crisi convulsiva…la madre ha sentito un tonfo. È subito accorsa e ha trovato il figlio cianotico e con la bava alla bocca, in preda ad una crisi convulsiva.[1]
Avvisi di garanzia ai distributori di videogiochi troppo violenti. La magistratura di Torino indaga sul caso del ragazzo finito in ospedale. Roma. Il Magistrato ieri ha anche cominciato ad interessarsi al caso di Alessandro, il ragazzo di 16 anni ricoverato nel reparto psichiatrico di un ospedale torinese per una sorta di delirio che lo ha colto dopo aver giocato troppo a lungo a un videogame. Anche il tribunale dei Minorenni di Torino si sta occupando del caso del sedicenne vittima di ‘un’overdose’ da videogioco. Ora il ragazzo sta meglio – afferma Adriana Ruschena, primario del reparto di psichiatria del Mauriziano, che l’ha in cura – è uscito dallo stato confusionale in cui era caduto, ricorda anche criticamente quello che gli è successo. Tra psicologi, medici, operatori del settore, esperti a vario titolo il processo ai videogame è già aperto da tempo. I pediatri mettono in guardia contro l’esposizione prolungata dei bambini davanti alla televisione e ai videogiochi. Per gli esperti il bambino di Torino che crede di essere il protagonista del suo videogioco preferito ‘è un caso limite’, ma anche un campanello d’allarme. Il rischio maggiore è la creazione di un’identificazione, anche se parziale, fra situazioni e azioni che si compiono nei videogiochi e situazioni e azioni reali, con il rischio di creare delle turbative serie in una fase altamente critica dell’età evolutiva qual è quella preadolescenziale e adolescenziale, sottolinea il professor Giorgio Rondini ex-presidente della Società italiana di Pediatria (Sip) […] Ci sono stati casi di ragazzi che hanno giocato per 72 ore di seguito e hanno perso il senso della realtà”.[2]
Di questo testo sottolineiamo la perdita di senso della realtà e di identificazione spersonalizzante col protagonista del videogioco quale tratto più rilevante del fenomeno ai fini del nostro discorso.
Due ore di videogioco: dodicenne colpito da una crisi epilettica. Genova. È ancora ricoverato in osservazione nel reparto di neuropsichiatria infantile nell’ospedale pediatrico Gaslini il dodicenne di Voltri colto l’altro ieri da violente crisi epilettiche dopo due ore di videogioco. I familiari hanno detto ai medici che il ragazzo – che non aveva mai sofferto di epilessia, come nessuno tra i parenti – avrebbe perso conoscenza in mattinata mentre stava giocando sulla sua ‘consolle’ ( un computer con joystick abilitato solo al videogame): crollato a terra avrebbe avuto forti scosse in tutto il corpo. Il ragazzo è stato rianimato dai medici del 118, sottoposto a sedativi e quindi trasportato prima all’ospedale San Carlo di Voltri e poi al Gaslini. Il ragazzo giocava allo stesso videogame, ‘Final Fantasy’ (un videogioco di ruolo altamente interattivo e molto in voga) da circa due mesi e passava diverse ore ogni giorno ‘attaccato’ alla ‘consolle’. […] Secondo il professor Gaggero, che è il coordinatore regionale ligure della Lega Italiana contro l’epilessia, casi di questo tipo sono frequenti (la settimana scorsa una bimba di 10 anni è stata ricoverata per un episodio analogo).[3]
Indigestione da videogames:
tre bambini in ospedale. Città di Castello (Pg) Li
chiamano ‘disturbi da videogames’ e ieri mattina
hanno causato il ricovero nel reparto di pediatria dell’ospedale di Città di
Castello di tre bambini, due tifernati e un biturgense. Diciamo subito che i sanitari ‘non confermano’ la diagnosi, comunque è certo il fatto che i
piccoli, subito dopo l’arrivo nel nuovo nosocomio, presentavano convulsioni e i
medici li avrebbero sottoposti in breve tempo a risonanza magnetica con (pare)
esito negativo. I ragazzini ( dei quali naturalmente non sono state fornite le
generalità e nemmeno l’età, uno di questi sarebbe figlio di un noto personaggio
tifernate, ndr )
ora stanno bene ma nelle ultime ore avrebbero fatto indigestione di video games tramite computer. La singolarità dell’episodio è data
dal quasi contemporaneo arrivo in ospedale dei genitori dei bambini ricoverati:
uno di questi sembrava addirittura in condizioni peggiori (non rispondeva
nemmeno alle sollecitazioni dei sanitari).[4]
Sedicenne ricoverato in ospedale dopo una crisi
epilettica mentre era alla consolle. Genova. Se l’era appena comprato in saldo,
quel cd: un regalo di Natale anticipato che si era aggiudicato nonostante i
mugugni di mamma e papà. E così, con la furia che può avere un sedicenne
‘innamorato’ della play station, appena è tornato a casa Mauro (chiamiamolo
così) s’è fiondato davanti alla tv e nel buio del
salotto ha fatto esplodere i suoni e le raffiche di colori del suo ‘Tekken 3’ nuovo. Nemmeno un quarto d’ora dopo, il ragazzo è
rimasto fulminato da quella che al padre è sembrata una violenta scarica
elettrica, e subito dopo è svenuto. ‘Solo quando mi sono accorto che il
salvavita non era scattato, ho capito che stava succedendo qualcos’altro’,
racconta il genitore, spaventato a morte da quella crisi. Un attacco epilettico
che ha portato Mauro direttamente al San Martino di Genova […] Certo è che il
caso di Mauro non è più tanto raro, in questi tempi di iper-stimolazioni
elettroniche e bombardamenti visivi: gli allarmi si susseguono, e sembra che i
nuovi giochini abbiano il potere di mandare in tilt
anche i cervelli di adolescenti che non avevano mai avuto prima problemi di
epilessia. Il 26 gennaio di quest’anno – solo per raccontare gli ultimi casi –
è successo a Verona: i genitori di ritorno dal lavoro hanno trovato la figlia
di 12 anni ‘bloccata’ davanti al video, incapace di parlare o comunicare se non
con suoni distorti. E il giorno prima, a Genova, Alessio, anche lui dodicenne,
è crollato a terra in piena crisi epilettica. Più grave – ma per fortuna anche
molto più raro – il caso di Alessandro, il sedicenne torinese, che nel novembre
del ’99 è stato catturato dal mondo virtuale dei videogames
per un mese intero, e ne è venuto fuori a forza di neurolettici e budini al
cioccolato.[5]
Anche in questo testo merita che si sottolinei l’identificazione psicotica col personaggio del videogioco.
Come ultimo caso (anche se cronologicamente non ultimo) voglio riportare quello di Torino, riguardante un ragazzo assolutamente normale, bravo e diligente a scuola, lettore di libri, al quale un giorno i genitori regalarono la play station. Il caso è emblematico e prepara il passaggio al prossimo paragrafo dedicato agli effetti psicotizzanti del videogioco sui giovani. In questo caso la sindrome neurologico-clinica è pressoché coincidente con quella psicotica. Questo per dire che ci sono gli estremi per quantificare, misurare scientificamente, la corrispondenza tra danno neurologico e disturbo psicotico.
Alessandro stava attaccato alla play station giorno e
notte. E alla fine, si era convinto di essere diventato Ken,
un personaggio dei suoi giochi elettronici, dice Anna Ruschena,
primario del reparto psichiatrico al Mauriziano di Torino. Ha uno sguardo
smarrito il padre di Alssandro S., il sedicenne che
da più di un mese è ricoverato nel reparto psichiatria dell’ospedale Mauriziano
di Torino. ‘Mio figlio aveva perso il
senso della realtà. A furia di giocare giorno e notte con quelle maledette playstation, si era convinto di essere diventato Ken, il protagonista buono del suo videogioco preferito’ spiega affannato Mohamed,
49 anni, di Casablanca, giunto in Italia nel 1973. E, da allora, mai più
rientrato in patria. Adesso Alessandro sta meglio, ha riaperto gli occhi sul
mondo reale. Sta guarendo, spero presto torni a casa con noi, anche se in
ospedale non mi sanno ancora dire quando. La vicenda di questo ragazzo che ha
trascorso cinque giorni e cinque notti di fila incollato al video è stata un
po’ semplificata, se vogliamo dirla tutta, sorride senza parere la Ruschena, che allude con delicatezza al clamore dei media
sull’identificazione assoluta di Alessandro e Ken, il
protagonista buono del gioco Street Fighter. In realtà lui si è
immedesimato anche in altri personaggi virtuali, positivi o negativi, eroi del
bene o del male. Perché nel suo stato psicotico, cioè di alterazione del
rapporto con la realtà, l’aspetto fondamentale era la fuga dall’ambiente
circostante […] In questi giorni ho scoperto, per esempio, che in Inghilterra,
le psicosi da videogioco sarebbero piuttosto numerose.[6]
III. QUANTO SIA FACILE DETERMINARE IL COMPORTAMENTO GIOVANILE. (Ancora rassegna stampa) -Gli autori del massacro alla scuola superiore “Columbine” negli USA, dove furono uccisi 16 ragazzi[7] erano adolescenti appassionatissimi del cruentissimo videogioco “Doom” (intriso anche di riferimenti satanisti). È interessante notare che Eric Harris, uno dei giovani assassini, aveva riprogrammato il gioco con la riproduzione virtuale del suo ambiente scolastico[8].
Tornano i killer dei sassi, due morti. A Darmstadt in Germania una donna di venti e un’altra di
quaranta anni uccise dai massi lanciati nella notte da un cavalcavia. Berlino.
Torna l’incubo dei sassi killer, torna la paura dei cavalcavia, anche se
l’allarme questa volta arriva dalla Germania. Due donne, una di venti e l’altra
di 41 anni, che domenica notte erano alla guida delle loro auto sulla statale
B3 Heidelberg–Francoforte vicino a Darmstadt, sono state uccise da due macigni lanciati da un
cavalcavia. Sono morte sul colpo, vittime della follia di qualcuno che forse
voleva imitare scene viste poco prima in un programma tv. Altre cinque persone
sono rimaste ferite, una di queste in modo grave […] Sei auto sono state
colpite. Non esiste al momento una pista, ma gli inquirenti non escludono che
gli attentatori possano essere stati dei giovani ispirati da un telefilm
trasmesso in tv dove si vedono scene con lancio di sassi sull’autostrada. Il
film cominciava poco prima delle otto e poco dopo la fine, verso le nove, sono
avvenuti gli omicidi[9].
Sospeso lo spot dei coltelli: un bimbo imitava
Fiorello. Roma. Da oggi sarà sospeso lo ‘spot dei coltelli’
nel quale Fiorello lancia lame contro una donna e la centra in piena fronte. Lo
ha deciso Infostrada dopo la denuncia di una madre di
Como che ha raccontato come suo figlio di tre anni, subito dopo aver visto lo
spot, è andato in cucina ed ha preso alcuni coltelli con l’intenzione di
lanciarli contro la mamma e la sorellina: ‘Era convinto che non facessero male’ dice la donna.[10]
Quindicenne violenta il cuginetto.
Vicenza. Un bambino di sei anni di Vicenza sarebbe stato oggetto di abuso
sessuale da parte di un cugino di quindici anni. La vicenda è venuta alla luce
dopo che la piccola vittima ha raccontato la violenza subita a suo fratello
dodicenne che ha avvertito i genitori. L’adolescente, a sua volta, avrebbe
ammesso le proprie responsabilità, precisando di aver voluto imitare i
contenuti di alcuni filmati pornografici visti sul computer a casa di amici […]
L’episodio di presunto abuso nei confronti del cuginetto
di appena sei anni sarebbe maturato la scorsa estate, pare in agosto o inizio
settembre, quando nella mente del giovane sarebbe scattata come una molla
l’idea di provare a fare quanto aveva visto fare agli adulti nei filmati. Era
la sua prima volta, visto che fino a quel momento non aveva avuto alcuna altra
esperienza di natura sessuale e forse non ne conosceva la portata.[11]
Violentano bimba di nove anni. L’abbiamo visto fare in TV. Sassari […] La bambina di nove anni è stata per due settimane in balia di una banda di sette ragazzini: tre l’hanno ripetutamente violentata, gli altri quattro facevano da spettatori, senza muovere un dito né dire una parola (ridacchiavano, anzi) in sua difesa. Tutti più piccoli di 14 anni. Proprio in quei giorni in due trasmissioni tv molto seguite si era parlato a lungo delle violenze di gruppo a Torino e ad Ancona. E a qualcuno del branco è venuta la folle idea: perché non ci proviamo anche noi? […] I giochi proibiti sono cominciati a dicembre, stranamente in coincidenza con trasmissioni televisive sulle violenze – ha rimarcato il procuratore – peraltro messe in onda in ore di massimo ascolto.[12]
Può essere interessante concludere questo capitolo riportando le parole di uno dei manager della Microsoft (John Grande) allorché si trattava di scegliere tra tariffari mensili o orari dei videogiochi prodotti dal colosso di Seattle: “Un tariffario orario – dice il manager – scoraggia gli utenti a giocare per un tempo prolungato. Un tariffario mensile sufficientemente basso, invece, fa in modo che gli utenti sviluppino una dipendenza da gioco”.[13]
IV. CI SONO PRONUNCIAMENTI SCIENTIFICI IN MERITO? Non credo di andare molto lontano dal vero dicendo che Craig Anderson sia il maggior esperto vivente nello studio del rapporto tra video–videogiochi e comportamenti dell’infanzia–adolescenza. Questo psicologo americano, Direttore del Dipartimento di Psicologia della Iowa State University, membro della American Psychological Society e della American Psychological Association, fa anche parte del Direttivo della International Society for Research on Aggression. Anderson, dopo aver esaminato la letteratura degli ultimi 50 anni sul rapporto tra violenza dei media e aggressività, ha prodotto un vastissimo numero di studi, poggianti su basi sperimentali e pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche, tra le quali ultimamente anche “Science”[14]. Numerosi enti governativi hanno consultato Anderson sul tema del rapporto tra violenza nei media e aggressività giovanile e non solo giovanile; recentemente anche il Senato U.S.A. ha interpellato (2000) Anderson. Lo psicologo ha un sito internet dove è riportata la vastissima bibliografia che supporta le sue affermazioni, che sono così sintetizzabili.
- Per “esposizione alla violenza dei media” si intende tanto la TV–Cinema quanto i videogiochi, con l’avvertenza che l’effetto del videogioco sul comportamento è più efficace, perché il videogioco è interattivo.
-Anderson fa notare che l’industria dei media finanzia pseudo–ricercatori e pseudo–esperti che su giornali, riviste e in TV devono rassicurare il pubblico circa la non esistenza di un legame tra esposizione alla violenza dei media e aggressività[15]. La certezza acquisita del legame tra violenza dei media e aggressività, in base alla letteratura medica, è un dato scientifico acquisito a partire dal 1975 a riprova di quanto siano efficaci l’insabbiamento e la controinformazione.
-È accertato che l’industria dei media investe maggiormente nella produzione di video e videogiochi violenti, affermando che sarebbero più richiesti dal pubblico Mentre invece statistiche condotte su giocatori di video games, hanno evidenziato come i fruitori trovassero divertenti e interessanti, a parimerito, anche quelli di tipo non violento, almeno quando i giocatori sono riusciti a procurarsene di quest’ultimo tipo. Gli studi di Anderson hanno evidenziato che la violenza nei media (soprattutto videogiochi) ha effetti negativi sui bambini, sugli adolescenti e persino sui giovani adulti, siano essi di sesso maschile che femminile.
-Il principale e ripetuto argomento a cui abitualmente ricorrono coloro che vogliono minimizzare o negare una relazione tra violenza nei media e comportamenti aggressivi è il seguente: “è evidente ai ragazzi e perfino ai bambini che il videogioco, il film o il cartone animato sono una finzione. Il ragazzo sano sa distinguere tra realtà e ciò che non lo è”. Questo ragionamento porta a due conclusioni: a) la violenza nei media non ha conseguenze comportamentali; b) se ha conseguenze le ha solo su una strettissima minoranza di ragazzi con problemi di tipo psicotico o pre-psicotico.
-Anderson respinge decisamente questo argomento in due maniere: a) mostrando studi fatti su giovani adulti, come tali perfettamente in grado di distinguere tra realtà e finzione, dai quali si è evidenziata la correlazione causale tra esposizioni a violenza nei media e comportamenti aggressivi. b) I cartoni animati per bambini, ritenuti più sicuri, perché in essi è più facile il discernimento tra realtà e finzione, hanno anche essi l’effetto di aumentare i comportamenti aggressivi nei bambini.
-Anderson può concludere che tra esposizione alla violenza veicolata nei media e comportamento aggressivo vi è non semplicemente “connessione”, ma rapporto causale essendo molteplici le evidenze scientifiche.
In base a queste si può affermare che l’esposizione alla violenza nei media produce a breve termine: 1) Aumento di pensieri aggressivi; 2) Aumento di sentimenti aggressivi; 3) Aumento di comportamenti aggressivi[16].
Nel lungo termine, nella dinamica comportamentale dell’individuo, si producono sei conseguenze fondamentali che Anderson enumera[17] e accanto a ciascuna delle quali il sottoscritto aggiunge delle osservazioni, messe in corsivo, per distinguerle da quanto è affermato da Anderson
IV.1 L’esposizione alla violenza nei media può produrre fenomeni imitativi.
Osservazioni: abbiamo visto
dalla lettura dei giornali sopra riportata come non infrequenti siano i
fenomeni imitativi anche solo dopo aver visto films
in TV o al cinema.Proviamo a fare una riflessione
basata stavolta, non su studi scientifici, ma sul buon senso: se tutti i giorni
il vostro bambino vede films e videogiochi dove i
protagonisti viaggiano in quad; e questo accade quasi
tutti i giorni per anni; ebbene, quando vostro figlio avrà 18 anni che cosa vi
chiederà di comprargli: una bicicletta, un cavallo o forse qualcos’altro?
IV.2 L’insistente esposizione alla violenza nei media aumenta la generale suscettibilità nelle persone, e cioè una maggiore reattività di tipo aggressivo-violento
Osservazioni: Per “suscettibilità” si intende l’interpretare costantemente
gli altrui atteggiamenti come provocatorii. Se il condomino del piano di sopra,
annaffiando i fiori, fa cadere acqua sul mio terrazzo, ciò avviene non
semplicemente perché è sbadato, ma perché mi manca di rispetto! Se qualcuno mi
passa avanti nella fila allo sportello, non penso che lo faccia perché ha
un’urgenza, ma sono incline a pensare che sia un prepotente (e come tale meriti
una lezione).
IV.3 L’esposizione alla violenza nei media favorisce la fiducia nelle risoluzioni violente e aggressive, mentre per converso diminuisce la fiducia nelle soluzioni diplomatiche, pacifiche e dialogiche.
Osservazioni: Negli ultimi
anni, ad esempio, le liti condominiali o tra vicini hanno avuto picchi
statistici mai registrati prima. Le risoluzioni aggressive non solo si
concretizzano nel sistematico ricorso ad avvocati, ma degenerano sempre più
spesso, come dice la cronaca, in conflitti a fuoco, accoltellamenti, ecc.
Perfino sulle questioni di precedenza nei parcheggi si può arrivare ad
aggressioni e sparatorie.
IV.4 La ripetuta esposizione alla violenza nei media favorisce quel database cognitivo–comportamentale al quale l’individuo inevitabilmente attinge, non avendo ricevuto modelli cognitivi diversi.
Osservazioni: Se un individuo
sin dall’infanzia, attraverso i media, ha sempre assistito ad un rapporto
uomo-donna caratterizzato da violenza–stupro, come pressoché esclusivo modello
comportamentale da parte dell’uomo verso la donna[18], ecco che il suo
database cognitivo, essendo improntato a questo modello (prevalente e/o
esclusivo), inclinerà o addirittura determinerà i suoi futuri
comportamenti, a meno che altre agenzie formative (tipo famiglia, scuola) non
intervengano con input cognitivi–comportamentali che sopraffacciano e/o
confutino il modello veicolato da TV–cinema–videogiochi. Vogliamo davvero
credere che non vi sia relazione tra aumento statistico della violenza sulla
donna e insistente rappresentazione in TV e cinema[19] di scene in cui la
donna è fatta oggetto di violenze? Allora faccio presente questo episodio.
Tempo fa la Volkswagen dovette sospendere uno spot
pubblicitario nel quale un pedone, invidioso di non potersi acquistare il nuovo
modello di Volkswagen, allora uscito, la rigava con
una moneta, mentre le passava accanto con un finto disinteresse. Si era
scatenato, anche presso gli adulti, un fenomeno di emulazione, tanto che lo
spot fu sospeso.
È perciò depistante dire sempre e solamente che TV e cinema rappresentano la violenza che è
nella società;va aggiunto che è vero e soprattutto il contrario:che è
piuttosto la società che tende a mettere in atto i modelli cognitivi–
comportamentali veicolati–imposti dai media, che sono il vero soggetto agente,
a fronte di un tessuto sociale che è l’elemento passivo, esecutivo ed emulativo
(se non fosse così le grandi aziende non investirebbero così tanto in
pubblicità).
IV.5 L’esposizione alla violenza nei media favorisce rapporti coi propri simili improntati a ostilità piuttosto che a solidarietà[20].
Osservazioni: uno dei tratti più caratteristici che fanno la differenza tra le
società tradizionali e quelle industriali, tra società rurali e civiltà urbana
moderna, è certamente la scomparsa dei rapporti di solidarietà, cioè la volontà
e la capacità di aiuto reciproco, specie nei momenti di difficoltà. Resta
ancora pienamente attuale l’analisi di Simmel agli
inizi del Novecento sul carattere blasé ( distaccato, indifferente) del
borghese di città, che tutto valuta e misura sulla base del valore monetario.
Quando il denaro diventa la misura di tutte le cose, ecco che inesorabilmente
amicizia, amore, solidarietà scompaiono. La civiltà industriale e della moneta
ha portato l’indifferenza nei rapporti umani; ma l’avvento del potere
dei media, in particolare, dagli anni settanta in poi, con lo strapotere di
Hollywood, ha favorito il prevalere di rapporti di ostilità tra gli individui.
Si noti come negli ultimi quaranta anni la rappresentazione della violenza nei
media sia andata statisticamente aumentando. Uno dei film maggiormente
paradigmatici e che hanno fatto da battistrada alla crescente rappresentazione
della violenza è “Arancia Meccanica”. Tale linea ha avuto il suo culmine in “Il
silenzio degli innocenti” e “Hannibal”; e cioè nel
presentare come “piacevole” l’esercizio di una violenza gratuita verso i propri
simili. Viene presentato come piacere proibito (come tale invitante)
l’esercizio di una violenza verso gli innocenti; fino a rappresentare quanto
piacevole possa essere il cibarsi dei propri simili[21].
IV.6 La ripetuta esposizione alla violenza nei media fa decrescere il naturale rifiuto emotivo della violenza[22].
Osservazioni: Il rifiuto emotivo alla violenza è, e dovrebbe essere, naturale, nel
senso che viene istintivo rifuggire a scene, immagini, situazioni violente.
Perché? Perché sarebbe autolesivo e contrario
all’istinto di conservazione l’accettazione della logica della violenza.
Accettare questa logica è dare il benvenuto al proprio carnefice, perché prima
o poi comparirà uno più forte, più astuto, o semplicemente più vile di me, che
mi colpirà….Quando l’ossessiva rappresentazione della violenza nei media fa
decrescere o scomparire il naturale rifiuto emotivo della violenza, ecco che
gli individui non ricorrono o non invocano più criteri di equità, di giustizia,
non propendono più per soluzioni legali .Un popolo che sin dall’infanzia sia
assuefatto alle immagini di violenza costituisce un’opinione pubblica
maggiormente incline alla guerra, piuttosto che a soluzioni diplomatiche. Non è
da stupire allora se sui teatri di guerra i “loro ragazzi” riescano ad uccidere
con assoluta disinvoltura un bambino che si è arrischiato ad uscire dalla
capanna per raccogliere un po’ di legna. Riescono ad uccidere chiunque per un
qualsiasi banalissimo motivo, come se invece di persone fossero barattoli.
Sparano anche su chi si arrende con le mani in alto o dopo che ha alzato
bandiera bianca. Non c’è regole, non c’è lealtà, non c’è dignità. C’è solo una
perfetta assuefazione alla violenza, quella alla quale si è abituati sin da piccoli.
V. L’INNOCENZA DEL MERCATO
Se scavo una buca profonda e poi la ricopro proprio là dove dovrà passare una corsa podistica e il giorno successivo un tale vi cade e muore, il magistrato mi affibbia l’omicidio volontario o il premeditato, dopo aver accertato che non potevo non sapere che lì passava la corsa. Ma la correttezza politica e sociologica dei nostri intellettuali arriva al punto che al gruppo dirigente delle case che producono videogiochi o film di esasperata violenza non imputano neppure colposità o preterintenzionalità nel voler introdurre caos e violenza nella società. I grandi produttori di violenza nei media, Hollywood inclusa, nessuno osa indicarli tra i principali responsabili dell’aumento della violenza sociale, neppure quando mettono in circolazione un videogioco nel quale è richiesta l’identificazione virtuale col protagonista (quello sei tu), il quale prova sommo diletto nello squartare con la motosega i passanti che incontra per strada. Il ragazzo, che è identificato col protagonista, deve, in altre fasi del gioco, rubare o incendiare macchine, uccidere la polizia ed infine identificarsi con uno spacciatore[23]. Il videogioco richiede che, impugnato il joystick il ragazzo faccia fare tali cose al proprio alterego virtuale. Si noti come sia richiesta l’identificazione psicotizzante. E soprattutto si tenga in considerazione che l’attività del videogioco non comporta solo coinvolgimento emotivo, bensì essa, come è stato dimostrato, implica anche notevoli modifiche di tipo fisiologico[24], come anche provato dalla rassegna stampa del par. II, dove si sono evidenziate patologie neurologiche a seguito di sovraesposizione ai video giochi
Ebbene chi osa imputare alla casa produttrice di tale gioco la volontà di produrre violenza e caos sociali, facendo leva sui giovani, anche quando come foglia di fico si adotta la scritta “raccomandato ai maggiori di 18 anni”? Anzi la cosa ha effetto contrario perché un quattordicenne ambisce a comprare il gioco consigliato ai maggiori di 16 anni e quello di 16 anni ambisce al videogioco riservato ai maggiori di 18 anni, per curiosità, per voglia di sentirsi adulto. E scopre che il piacere di cui va in cerca l’adulto è quello che consiste nel massacrare il prossimo.
Non è forse questo il messaggio di “Rule of Rose” dove bambini dalle fattezze demoniache picchiano a sangue e seppelliscono viva (dopo averle orinato addosso) la loro coetanea più piccola? Che messaggio sociale avrà voluto mandare il produttore-editore del videogioco dove il protagonista uccide il padre? La nostra intellighenzia politicamente corretta non osa imputare a questi editori neppure una blanda colposità nell’istigazione alla violenza sociale. Paradigmatica è la posizione del “Corriere della sera” che fa ricadere interamente sui ragazzi e non sulle case produttrici l’aumento della violenza sociale[25].
VI. LA VICENDA DEL VIRGINIA TECH. Il ventitreenne Killer de Virginia Tech che il 16 aprile 2007 ucciderà 32 persone del campus universitario aveva preparato un video da far conoscere al mondo dopo il suo suicidio nel quale appare chiaro che il suo immaginario era plasmato su film e videogiochi davanti ai quali passava ore della giornata.
Faccio parlare il Corriere della Sera[26], per non esser sospettato di forzatura dei fatti alla mia interpretazione: “Come in un macabro video-game Cho Seung Hui si mostra in guanti, giacca, berretto neri, pistole coltelli, martelli in pugno (….) ha tatuato sul braccio l’Ismail Ax, l’ascia di Ismail, il suo nome di battaglia nei Videogame” (p.20). “Egli ha imitato le scene dei film più famosi (….) Una miscela confusa con il virtuale che diventa cruda realtà (….) Come un qualsiasi ventenne, Cho aveva i suoi riferimenti in personaggi forti, magari creature vissute solo nei videogiochi o interpretate dagli attori nei film. Le testimonianze dicono che Cho passava ore davanti al computer, unico amico e compagno….Gli esperti hanno giocato a costruire paralleli. A cominciare da Lara Croft, l’eroina di uno tra i giochi più popolari. Cho impugna le due pistole esattamente come il personaggio virtuale. Quando invece ne punta una alla testa è Robert de Niro in “Taxi Driver”. Mentre sembra ammiccare a “Old Boy” film violento del coreano Park Chan-Wook, la foto dello studente mentre brandisce un martello” (p. 21). Ma voglio riportare altri retroscena della vicenda che può essere utile conoscere:“Il 17 aprile 2007 il Washington Post ha postato e ritirato dopo pochi minuti la notizia secondo cui Cho Seung Hui, il giovane killer di Blacksburg, era un appassionato del videogioco Counterstrike (prodotto dalla Valve di Washington) distribuito dalla Microsoft, come riferisce un avvocato della Florida che aveva già rappresentato le vittime della sparatoria avvenuta in un campus di Paducah, Kentucky, nel 1998. Successivamente il Post ha anche commentato che un fatto del genere ‘non è importante a sufficienza’. Il Post ha deciso e il resto del mondo dell'informazione si è adeguato: di Counterstrike non ne ha più parlato nessuno. Non si tratta solo dei soldi della Microsoft, ma anche della complicità di ambienti di governo nello sviluppo dei metodi di addestramento virtuale per soldati e poliziotti[27]. Dopo aver sviluppato questi software per addestrare ad uccidere istintivamente e senza riflettere, come automi, al governo c'è chi ha deciso di gettare il prodotto sul mercato, farci i soldi e rovinare la gioventù. Cho Seung Hui risulta inoltre iscritto nella sua università ad un corso di film e letteratura contemporanea sull'orrore che è stato offerto per la prima volta ad autunno. L'avvocato Kack Thompson ha letto sul sito del Washington Post, il giorno dopo la strage:’Diversi giovani coreani che conoscevano Cho Seung Hui dalle scuole superiori riferiscono che era un fanatico dei videogiochi violenti, in particolare di Counterstrike, popolarissimo gioco online della Microsoft in cui i giocatori entrano in formazioni terroristiche o antiterroristiche e si sparano l'un l'altro con armi di tutti i tipi’. Ma pochi minuti dopo, l'articolo era sparito, e l'avvocato che chiedeva spiegazioni si è sentito rispondere che sull'argomento c'erano articoli più nuovi. Thompson ha chiesto a Microsoft di sospendere le vendite di Counterstrike.
’Il vostro videogioco, un simulatore per killer, secondo una notizia apparsa
sul Washington Post, lo ha addestrato per godere nell'uccidere e
insegnandogli come si fa’ dice Thompson nella lettera
personalmente indirizzata a Bill Gates.
‘Voi sapevate cinque anni fa che si parlò del vostro videogioco online Counterstrike già in
occasione del massacro della scuola di Erfurt[28],
tanto che la cosa all'epoca influenzò persino la corsa alla Cancelleria
tedesca! E invece eccovi lì, a cinque anni
dall'episodio di Erfurt, a vendere Counterstrike, senza aver fatto niente per eliminare questo
simulatore di sterminio di massa dai vostri server, e sembra proprio che
'Virginia Tech' ne sia la conseguenza ... ”[29].
Ritengo non necessario fare commenti.
VII CONCLUSIONE. Se qualcuno ritiene che una gioventù abituata sin da piccola a vedere cartoni, films, documentari e videogiochi i cui protagonisti viaggiano solo e sempre in quad e che arrivato all’età adulta il ragazzo sceglierà con equiprobabilità il cavallo, la bici, la moto o il quad come mezzo di trasporto, è libero di farlo. Ognuno è libero di negare una relazione causale tra la plasmazione dell’immaginario e scelte di vita e comportamenti futuri. Si può quindi continuare ad alimentare il depistaggio sociologico che imputa al “disagio” la crescita della violenza sociale.
APPENDICE I : Testo dell’intervento di Anderson al Senato Usa del 2000
Violent Video Games Increase
Aggression and Violence
Craig A. Anderson, Ph.D.
Professor of Psychology & Chair,
Department of
Senate Commerce Committee hearing on
"The Impact of Interactive Violence on Children"
Chaired by Senator Sam Brownback
U.S.
Senator Sam Brownback |
|
Distinguished Senators, ladies, and gentlemen. I am Craig Anderson, Professor
of Psychology and Chair of the Department of Psychology at
I am very happy to be here to speak with you today about the problems of
exposing people, especially young people, to interactive violence, that is,
violent video games. Though there are many complexities in this realm of behavioral research, there is one clear and simple message
that parents, educators, and public policy makers such as yourselves need to
hear: Playing violent video games can cause increases in aggression and violence.
A second message to take away from my report is also very important: There are
good reasons to expect that the effects of exposure to violent video games on
subsequent aggressive behavior will be even greater
than the well-documented effects of exposure to violent television and movies.
I'll return to this point in moment.
TV & Movie Violence: Facts &
Relevance
But first, I want to highlight some facts concerning TV and movie violence,
many of which were reported to a Senate hearing last year by Professor Rowell Huesmann of the
Fact 1.
Exposure to violent TV and movies causes increases in aggression and
violence.
Fact 2.
These effects are of two kinds: short term and long term. The short term effect
is that aggression increases immediately after viewing a violent TV show or
movie, and lasts for at least 20 minutes. The long term effect is that repeated
exposure to violent TV and movies increases the violence-proneness of the
person watching such shows. In essence, children who watch a lot of violent
shows become more violent as adults than they would have become had they not
been exposed to so much TV and movie violence.
Fact 3. Both
the long term and the short term effects occur to both boys and girls.
Fact 4. The
effects of TV and movie violence on aggression are not small. Indeed, the media
violence effect on aggression is bigger than the effect of exposure to lead on
IQ scores in children, the effect of calcium intake on bone mass, the effect of
homework on academic achievement, or the effect of asbestos exposure on
cancer.
Why consider the TV and movie violence research literature when discussing
video game violence? There are three main reasons. First, the psychological
processes underlying TV and movie violence effects on aggression are also at
work when people play video games. The similarities between exposure to TV
violence and exposure to video game violence are so great that ignoring the TV
violence literature would be foolish. Second, the research literature on TV
violence effects is vast, whereas the research literature on video game
violence is small. Researchers have been investigating TV effects for over 40
years, but video games didn't even exist until the 1970s, and extremely violent
video games didn't emerge until the early 1990s. Third, because the TV/movie
violence research literature is so mature there has been ample time to answer
early criticisms of the research with additional research designed to address
the criticisms. Thus, the various shoot-from-the-hip criticisms and myths
created by those with a vested interest in creating and selling various kinds
of violent entertainment media have been successfully tested and debunked. I'll
describe some of the more popular ones in a few moments.
Video Game Violence: Scope & Research
Now, let's consider facts derived from the relatively small research literature
that is specifically focused on video games.
Fact 1.
Video games are consuming a larger amount of time every year. Virtually all
children now play video games. The average 7th grader is playing electronic
games at least 4 hours per week, and about half of those games are violent.
Even though number of hours spent playing video games tends to decline in the
high school and college years, a significant portion of students are playing
quite a few video games. In 1998 3.3% of men entering public universities in
the United States reported playing video games more than 15 hours per week in
their senior year in high school. In 1999 that percentage jumped to a full 4%.
Fact 2.
Young people who play lots of violent video games behave more violently than
those who do not. For example, in the most recent study of this type exposure
to video game violence during late adolescence accounted for 13-22% of the
variance in violent behaviors committed by this
sample of people. By way of comparison, smoking accounts for about 14% of lung
cancer variance.
Fact 3.
Experimental studies have shown that playing a violent video game causes an
increase in aggressive thinking. For example, in one study young college
students were randomly assigned the task of playing a violent video game
(Marathon 2) or a nonviolent game (Glider Pro).
Later, they were given a list of partially completed words, such as mu_ _er. They were asked to fill
in the blanks as quickly as possible. Some of the partial words could form
either an aggressive word (murder) or a nonaggressive
word (mutter). Those who had played the violent game generated 43% more
aggressive completions than those who had played a nonviolent
game.
Fact 4.
Experimental studies have shown that playing a violent video game causes an
increase in retaliatory aggression. For example, in one study participants were
randomly assigned to play either a violent game (Wolfenstein
3D) or a nonviolent game (Myst).
Shortly afterwards, they received a series of mild provocations and were given
an opportunity to retaliate aggressively. Those who had played the violent game
retaliated at a 17% higher rate than those who had played the nonviolent game.
Fact 5.
Experimental and correlational studies have shown
that playing violent video games leads to a decrease in prosocial
(helping) behaviors.
Why Media Violence Increases Aggression &
Violence
Why does exposure to violent media increase aggression and violence? There are
several different ways in which watching or playing violent media can increase
aggression and violence. The most powerful and long lasting involves learning
processes. From infancy, humans learn how to perceive, interpret, judge, and
respond to events in the physical and social environment. We learn by observing
the world around us, and by acting on that world. We learn rules for how the
social world works. We learn behavioral scripts
and use them to interpret events and actions of others and to guide our own behavioral responses to those events. These various
knowledge structures develop over time. They are based on the day-to-day
observations of and interactions with other people, real (as in the family) and
imagined (as in the mass media). Children who are exposed to a lot of violent
media learn a number of lessons that change them into more aggressive people.
They learn that there are lots of bad people out there who will hurt them. They
come to expect others to be mean and nasty. They learn to interpret negative
events that occur to them as intentional harm, rather than as a accidental
mistake. They learn that the proper way to deal with such harm is to retaliate.
Perhaps as importantly, they do not learn nonviolent
solutions to interpersonal conflicts.
As these knowledge structures develop over time, they become more complex and
difficult to change. In a sense, the developing personality is like
slowly-hardening clay. Environmental experiences, including violent
media, shape the clay. Changes are relatively easy to make at first, when the
clay is soft, but later on changes become increasingly difficult. Longitudinal
studies suggest that aggression-related knowledge structures begin to harden
around age 8 or 9, and become more perseverant with increasing age.
The result of repeated exposure to violent scripts, regardless of source, can
be seen in several different aspects of a person's personality. There is
evidence that such exposure increases general feelings of hostility, thoughts
about aggression and retaliation, suspicions about the motives of others, and
expectations about how others are likely to deal with a potential conflict
situation. Repeated exposure to violent media also reduces negative
feelings that normally arise when observing someone else get hurt. In other
words, people become desensitized to violence. Finally, exposure to violent
media teaches people that aggressive retaliation is good and proper.
Violent Video Games vs. TV & Movies
Earlier, I said that there are good reasons to expect that violent interactive
media will have an even stronger effect on aggression and violence than
traditional forms of media violence such as TV and movies. These several
reasons all involve differences between TV and video games that influence
learning processes. The following four reasons all have considerable research
support behind them, but have not yet been extensively investigated in the
video game domain.
Reason 1.
Identification with the aggressor increases imitation of the aggressor. In TV
shows and movies there may be several characters with which an observer can
identify, some of whom may not behave in a violent fashion. In most violent
video games, the player must identify with one violent character. In
"first person shooters," for instance, the player assumes the
identity of the hero or heroine, and then controls that character's actions
throughout the game. This commonly includes selection of weapons and target and
use of the weapons to wound, maim, or kill the various enemies in the game
environment. Common weapons include guns, grenades, chain saws and other
cutting tools, cars and tanks, bombs, hands, and knives.
Reason 2.
Active participation increases learning. The violent video game player is a
much more active participant than is the violent TV show watcher. That alone
may increase the effectiveness of the violent story lines in teaching the
underlying retaliatory aggression scripts to the game player. Active
participation is a more effective teaching tool in part because it requires
attention to the material being taught.
Reason 3.
Rehearsing an entire behavioral sequence is more
effective than rehearsing only a part of it. The aggression script being
rehearsed is more complete in a video game than in a TV show or movie.
For example, the video game player must choose to aggress, and in essence
rehearses this choice process, whereas the TV viewer does not have to make any
such choices. Similarly, in video games the player must carry out the violent
action, unlike the violent TV viewer. Indeed, in many video games the player
physically enacts the same behaviors in the game that
would be required to enact it in the real world. Some games involve shooting a
realistic electronic gun, for instance. Some virtual reality games involve the
participant throwing punches, ducking, and so on. As the computer revolution
continues, the "realism" of the video game environment will increase
dramatically.
Reason 4.
Repetition increases learning. The addictive nature of video games means that
their lessons will be taught repeatedly. This is largely a function of the
reinforcing properties of the games, including the active and changing images,
the accompanying sounds, and the actual awarding of points or extra lives or
special effects when a certain level of performance is reached.
Myths
I'd also like to comment briefly on a number of myths concerning media violence.
Many of these myths have been around for years. Some come from well-intentioned
sources that simply happen to be wrong; others are foisted on our society by
those who believe that their profits will be harmed if an informed society
(especially parents) begins to shun violent TV shows, movies, and video games.
Myth 1. The
TV/movie violence literature is inconclusive. Any scientist in any field of
science knows that no single study can definitively answer the complex
questions encompassed by a given phenomenon. Even the best of studies have
limitations. It's a ridiculously easy task to nitpick at any individual study,
which frequently happens whenever scientific studies seem to contradict a
personal belief or might have implications about the safety of one's products.
The history of the smoking/lung cancer debate is a wonderful example of where
such nitpicking successfully delayed widespread dissemination and acceptance of
the fact that the product (mainly cigarettes) caused injury and death. The myth
that the TV/movie violence literature is inconclusive has been similarly
perpetuated by self-serving nitpicking.
Scientific answers to complex questions take years of careful research by
numerous scientists interested in the same question. We have to examine the
questions from multiple perspectives, using multiple methodologies. About 30
years ago, when questioned about the propriety of calling Fidel Castro a
communist, Richard Cardinal Cushing replied, "When I see a bird that
walks like a duck and swims like a duck and quacks like a duck, I call that
bird a duck." When one looks at the whole body research in the TV/movie
violence domain, clear answers do emerge. In this domain, it is now quite clear
that exposure to violent media significantly increases aggression and violence
in both the immediate situation and over time. The TV/movie violence research
community has correctly identified their duck.
Myth 2.
Violent media have harmful effects only on a very small minority of people who
use these media. One version of this myth is commonly generated by parents who
allow their children to watch violent movies and play violent games. It
generally sounds like this, "My 12 year old son watches violent TV shows,
goes to violent movies, and plays violent video games, and he's never killed
anyone." Of course, most people who consume high levels of violent media,
adults or youth, do not end up in prison for violent crimes. Most smokers do
not die of lung cancer, either. The more relevant question is whether many (or
most) people become more angry, aggressive, and violent as a result of being
exposed to high levels of media violence. Are they more likely to slap a child
or spouse when provoked? Are they more likely to drive aggressively, and
display "road rage?" Are they more likely to assault co-workers? The
answer is a clear yes.
Myth 3.
Violent media, especially violent games, allow a person to get rid of violent
tendencies in a nonharmful way. This myth has a long
history and has at least two labels: the catharsis hypothesis, or venting. The
basic idea is that various frustrations and stresses produce an accumulation of
violent tendencies or motivations somewhere in the body, and that venting these
aggressive inclinations either by observing violent media or by aggressive game
playing will somehow lead to a healthy reduction in these pent-up violent
tendencies. This idea is that it is not only incorrect, but in fact the
opposite actually happens. We've know for over thirty years that behaving
aggressively or watching someone else behavior
aggressively in one context, including in "safe" games of one kind or
another, increases subsequent aggression. It does not decrease it.
Myth 4.
Laboratory studies of aggression do not measure "real" aggression,
and are therefore irrelevant. This myth persists despite the successes of
psychological laboratory research in a variety of domains. In the last few
years, social psychologists from the University of Southern California and from
Iowa State University have carefully examined this claim, using very different
methodologies, and have clearly demonstrated it to be nothing more than a myth.
Laboratory studies of aggression accurately and validly measure
"real" aggression.
Myth 5. The
magnitude of violent media effects on aggression and violence is trivially
small. This myth is related to Myth 2, which claims that only a few people are
influenced by media violence. In fact, as noted earlier the TV violence effect
on aggression and violence is larger than many effects that are seen as huge by
the medical profession and by society at large. Furthermore, preliminary
evidence and well-developed theory suggests that the violent video game effects
may be substantially larger.
For Good or Ill
I have focused my remarks on the negative consequences of exposing young people
to violent video games, and on the reasons why violent video games are likely
to prove more harmful even than violent TV or movies. Although this may be
obvious to many, I should also like to note that many of the characteristics
that make violent video games such a powerful source of increased aggression
and violence in society also can be used to create video games that enhance
learning of lessons that are quite valuable to society. This includes
traditional academic lessons as well as less traditional but still valuable
social lessons.
Caveats
Obviously, many factors contribute to any particular act of violence. There is
usually some initial provocation, seen as unjust by one party or the other.
This is followed by some sort of retaliatory response, which is in turn
interpreted as an unjust provocation. This leads to an escalatory cycle that
may end in physical harm to one or both parties. How people respond to initial
provocations depends to a great extent on the social situation (most people are
less likely to respond aggressively in church than they are in a bar), on their
current frame of mind (those who have been thinking aggressive thoughts or who
are feeling hostile are more likely to respond aggressively), and on the
personality of the individual (habitually aggressive people are more likely to
respond aggressively than habitually peaceful people). Short term exposure to
media violence influences a person's frame of mind, and long term exposure
creates people who are somewhat more aggressive habitually, but many factors
contribute to current frame of mind and to habitual aggressiveness. However,
even though one cannot reasonably claim that a particular act of violence or
that a lifetime of violence was caused exclusively by the perpetrator's
exposure to violent entertainment media, one can reasonably claim that such
exposure was a contributing causal factor. More importantly for this hearing,
my research colleagues are correct in claiming that high exposure to media
violence is a major contributing cause of the high rate of violence in modern
U.S. society. Just as important, there are effective ways of reducing this
particular contributing cause. Educating parents and society at large about the
dangers of exposure to media violence could have an important impact.
Unknowns
The research literature on video games is sparse. There are numerous questions
begging for an answer that is simply not yet available. Just to whet your
appetite, here are a few questions I believe need to be addressed by new
research.
1.
Does explicitly gory violence desensitize video game players more so than less
gory violence? If so, does this desensitization increase subsequent aggression?
Does it decrease helping behavior?
2.
What features increase the game player's identification with an aggressive
character in video games?
3.
What features, if any, could be added to violent video games to decrease the
impact on subsequent aggression by the game player? For instance, does the addition
of pain responses by the game victims make players less reluctant to reenact the aggression in later real-world situations, or
do such pain responses in the game further desensitize the player to others'
pain?
4.
Can exciting video games be created that teach and reinforce nonviolent solutions to social conflicts?
Conclusion
Thank you for your interest in this issue. I'd be happy to address your
questions at this time.
APPENDICE II
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Inserito: 19 giugno 2007
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[2] “Il
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[3] “ Il
Messaggero” 25.I.2000
[4] “La Nazione”
12 IX 2000
[5] “La Nazione”
10 XII 2000
[6] “Oggi”, 1 XII
1999
[7] “La
Repubblica”, 21.IX.1999
[8] “[...] videogiochi e i film in cui si insegna ad
uccidere sono stati inizialmente sviluppati per gli addestramenti delle reclute
nell'esercito USA. In quei corsi d'addestramento i marines
americani usavano una versione di 'Doom', proprio il
game usato per addestrarsi da Michael Carneal, che nel 1997 uccise tre bambine a Paducah, nel Kentuky, colpendole
con precisione alla testa". Da La
nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in
“Solidarietà- Movimento internazionale per i diritti civili” VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso
http://www.movisol.org/pokemon.
[9] “La Nazione”,
29.II.2000
[10] “La
Nazione”,28.II.2001
[12] “Corriere
della Sera”, 25.I.2007
[14] ANDERSON CA,
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[20] ANDERSON C.A. MORROW M., Competitive aggression without interaction: Effects of competitive
versus cooperative instructions on aggressive behavior
in video games, in “Personality and Social Psychology Bulletin”, 1995, 21,
pp. 1020-1030.
[21] “Un rapporto dell’Unesco
del 1998 sostiene che la cultura internazionale della violenza è alimentata
dalla violenza diffusa dai massmedia, in particolare
quelli americani”. Da La nuova violenza
figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà-
Movimento internazionale per i diritti civili”
VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.
[22] Cosa accertata già da molti
anni, cfr: CLINE VB, CROFT
RG, COURRIER S., Desensitization of
children to television violence. in “Journal
of Personality and Social Psychology” 1973;27: pp.360-5.
THOMAS MH, HORTON RW, LIPPINCOTT
EC, DRABMAN RS, Desensitization to
portrays of real life aggression as a function of television violence. in “Journal of Personality and Social
Psychology” 1977;35: pp.450-8.
[23] “La Nazione”
10.04.2007
25 Sul
“Corriere della Sera” del 28.XI.2006
scrive Sergio Romano:“Gli spettatori si abituano all’evoluzione dello
stile e riescono, in grande maggioranza, a conservare intatto nella loro mente il
confine tra la realtà e la finzione. Ma è certamente vero che una minoranza
composta non soltanto da giovani, perde il senso di quella distinzione e
finisce per ritenere lecito ciò che è frutto della fantasia. Dovremmo forse, a
causa di questa minoranza, modificare con qualche forma di censura le regole
che governano nelle nostre società la libertà di espressione? Dovremmo prendere
una tale decisione anche se qualche governo autoritario, domani, potrebbe
servirsi di queste norme per applicarle in altri casi? O non dovremmo piuttosto
cercare di educare i giovani a separare la finzione dalla realtà?”. Questa
posizione ricalca esattamente quella del “New York Times”
che il 29 IV 2000, in occasione dell’anniversario della strage del Columbine assolveva i videogiochi da ogni responsabilità
[27] “La stessa cultura si diffonde tra le forze di
polizia in mano alle élite di potere indicate, come quelle di New York sotto Rudolph Giuliani, che si addestrano ad uccidere con simili
videogiochi ad hoc. Una di queste squadre è quella che il 4 febbraio 1999 ha
crivellato con 41 colpi di pistola il povero immigrante africano disarmato Amaud Diallo.”, da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento internazionale
per i diritti civili” VIII, 2, giugno
2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.
[28] “Il 28 aprile il
presidente dello Schiller Institute
internazionale, Helga Zepp-LaRouche,
ha diffuso una dichiarazione sulla strage verificatasi nel Ginnasio Gutenberg di Erfurt, commentando come’’in questa società c'è qualcosa di fondamentalmente errato’. Ha notato come la polizia abbia trovato a casa del
giovane killer videogames per addestrarsi ad uccidere
e film pieni di orrore e violenza”. Da La nuova violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento
internazionale per i diritti civili”
VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon.
[29] Tratto da http://www.movisol.org/07news065.htm. Per capire poi dove possa giungere
la follia emulativa, leggiamo questa notizia Ansa del 17.V.07: “SYDNEY - Un giovane di Sydney ha creato un
videogioco in internet basato sul massacro del mese scorso nel campus
dell'università Virginia Tech, il più grave nella
storia degli Usa, con 32 studenti uccisi da un collega. E ora chiede
'donazioni' per una cifra equivalente a oltre 1.900 euro per rimuoverlo dalla
rete. Per altri 960 euro è disposto anche a chiedere scusa. A quanto riferisce
oggi il Sydney Morning Herald,
Ryan Lambourn di 21 anni è
la mente dietro il gioco detto 'V-Tech Rampage', che offre ‘tre livelli di segretezza e uccisioni’, ed è ambientato in un facsimile del campus. Il
protagonista, che si ispira al pluriomicida e suicida
Cho Seung-huie, si muove
tra il dormitorio in cui ebbe inizio la carneficina, l'ufficio postale, da dove
mandò il suo manifesto video ad una rete Tv, e l'aula Norris,
in cui compì la strage.
’Ho fatto già delle cose che hanno suscitato scandalo, ma mai così
popolari", ha dichiarato al giornale Lambourn,
aggiungendo di aver creato il gioco ‘perché è divertente’.
Ha precisato che sono stati dei suoi amici a suggerirgli di chiedere donazioni
per chiuderlo, un'idea che ha definito ‘buffa’. ‘L'idea delle donazioni è tanto
per esagerare, per fare arrabbiare più persone. E ha funzionato’,
aggiunge soddisfatto. La richiesta è inserita nel suo sito web in cui scrive:
‘Attenzione gente arrabbiata: toglierò questo gioco dal web se l'ammontare
delle donazioni raggiungerà i 2000 dollari Usa, e chiederò anche scusa se
arriverà a 3000’. Il gioco e il suo creatore sono stati ampiamente condannati e
insultati in blog e forum internet”.
[30] “La Nazione”
4.XI.2000
[31] La nuova
violenza figlia dell’utopia mondialista, in “Solidarietà- Movimento
internazionale per i diritti civili”
VIII, 2, giugno 2000 leggibile presso http://www.movisol.org/pokemon