Giulia Bezzini, Cecilia Giontella

 

La nimesulide: storia e geografia di un famoso analgesico#

 

 

1. Premessa

Il 18 maggio 2007 appariva su La Repubblica [1], l’articolo qui di seguito riportato integralmente:

 

Il principio attivo

La ricetta

La vendita

L’ indagine

La nimesulide è il

principio attivo di

una serie di farmaci

antinfiammatori non

steroidei. Come molti

farmaci ha effetti

collaterali specie

sul fegato e sullo

stomaco. È

commercializzato in

Italia dal 1985,

dopo il via libera

dell’Agenzia Europea.

I farmaci griffati o

generici a base di

nimesulide possono

essere venduti dal

farmacista solo su

presentazione della

ricetta medica. Il

consumo degli

antinfiammatori in

Italia è molto diffuso

e spesso vengono

assunti senza tenere

conto degli effetti

collaterali.

L’Irlanda non

è il primo Paese

europeo ad avere

sospeso la

commercializzazione

della nimesulide.

Nel marzo del 2002

la stessa decisione era

stata presa dalle autorità

sanitarie finlandesi

e nel maggio dello

stesso anno da quelle

spagnole.

 

 

Dopo la sospensione di

Spagna e Finlandia,

il Comitato scientifico

dell’Emea, l’Agenzia

europea del farmaco,

a seguito dei controlli

durati due anni ha

stabilito che il rapporto

rischio/beneficio della

nimesulide era positivo.

 

 

Le autorità sanitarie irlandesi ritirano i farmaci a base di nimesulide dopo sei casi di insufficienza epatica grave

Aulin, Dublino vieta il principio attivo

l’Italia: dobbiamo rivalutare i rischi

 

ROMA –  Il principio attivo è la “nimesulide”. Il farmaco più conosciuto è l’Aulin , prodotto dalla multinazionale Roche. Da quando, tre giorni fa, le autorità sanitarie irlandesi hanno deciso di sospendere la vendita del prodotto in farmacia, in Europa è scattato l’allarme. L’Agenzia Italiana del Farmaco ha subito chiesto una rivalutazione del profilo di sicurezza all’Emea, l’Agenzia europea che vigila sui medicinali.

 

L’Emea ha deciso di prendere in esame il caso la prossima settimana. La “nimesulide” è un antinfiammatorio non steroideo commercializzato in Italia dal 1985. La decisione di ritirare il farmaco è stata presa dalle autorità irlandesi dopo la segnalazione, da parte della National Liver Transplant Unit dell’ospedale di St. Vincent di sei casi di insufficienza epatica grave che hanno richiesto il trapianto di fegato.

 

L’azienda farmaceutica Roche rassicura sull’utilizzo del farmaco, che ha un “altissimo profilo di sicurezza dimostrato dai circa 500 milioni di pazienti che ne hanno fatto uso negli ultimi 22 anni” e precisa alcuni punti.

 

“Si sta ancora valutando – sostiene in una nota – la presunta relazione tra l’utilizzo di nimesulide e i 6 casi di danni epatici verificatesi tra il 1999 e il 2006 segnalati dall’Unità Nazionale Trapianti di Fegato irlandese; il danno epatico è un raro evento avverso già noto per tutta la classe terapeutica dei farmaci antinfiammatori non steroidei, come indicato nel foglio illustrativo; uno studio pubblicato sul British Medical Journal il 5 luglio 2003 ha classificato come “molto rari” i rischi di epatopatia correlati all’assunzione e nello specifico non ha rilevato differenze tra l’uso di nimesulide e quello degli altri farmaci della stessa categoria; l’utilizzo di questo farmaco è già stato sottoposto a revisione dall’Agenzia Europea del Farmaco nel 2003, che ne ha confermato il rapporto positivo rischio/beneficio nell’ambito di un corretto impiego, in accordo con le indicazioni prescrittive. Si ricorda che il farmaco va assunto su prescrizione medica”. La Roche conferma infine “la piena collaborazione con Agenzia Italiana del Farmaco e il Ministero della Salute per fornire tutte le informazioni necessarie, e si ritiene fondamentale attenersi alle comunicazioni ufficiali delle Autorità sanitarie al fine di non generare eccessivi allarmismi”.

 

Ma i farmaci possono far male? “Tutti hanno effetti collaterali. Il fatto che non possano far male è fuori dal mondo –  spiega Stefano Vella, direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità – il farmaco è formato da elementi chimici che fanno sicuramente male perché hanno comunque un impatto sulla salute del paziente. Questo non vuol dire che non servano. Vengono autorizzati quando i benefici superano i rischi prodotti. Un esempio: il cortisone salva la pelle a tante persone, ma ha effetti collaterali devastanti. Il principio di cui si tiene conto è il rapporto rischi/benefici. L’importante è che i medici siano molto attenti nelle prescrizioni – conclude Vella – ma che soprattutto i pazienti capiscano che un farmaco non è una caramella e l’eventuale abuso può essere molto pericoloso”.

 

Intorno ad una fotografia che ha come oggetto un cassetto colmo di farmaci e sullo sfondo un farmacista in camice bianco, sono riportati i seguenti trafiletti:

 

6 casi

1985

25 milioni

2006

Irlanda

Italia

Ricerca

Consumi

Sei i casi di insuf-ficienza epatica grave che hanno richiesto il trapianto di fegato nei pazienti che hanno usato farmaci a base di nimesulide. Da qui la decisione.

I farmaci antinfiammatori a base di nimesulide sono stati commercializzati in Italia nel 1985. I con-sumi sono cresciuti in maniera esponenziale fino al 2001 e al 2002.

Da uno studio condotto nel 2001 dall’Istituto Superiore di Sanità le confezioni vendute furono 25 milioni. Dieci milioni i pazienti che hanno ingerito nimesulide. Età media 66 anni.

Nel 2006, ogni giorno, in Italia si sono consumati 7,2 dosi di nimesulide ogni mille abitanti, pari allo 0,8% del totale dei 30 farmaci a carico del Servizio sanitario na-zionale più consumati.

 

 

La notizia è stata riportata su tutti i quotidiani più importanti nello stesso giorno (La Stampa, il Corriere della Sera…) ed è stata trasmessa anche ai telegiornali. Il contenuto della notizia è molto simile, tranne piccole sfumature che tendono a calcare la mano sulla gravità o meno della situazione. Su una rivista medica, GdM Giornale del medico (Anno XXIII, n. 12) la notizia appare in data 21 maggio 2007 col titolo “Ritirata la nimesulide in Irlanda per sospetti gravi danni epatici” (da notare l’aggettivo “sospetti”). La notizia è collocata a pagina 15 ( il giornale consta di 23 pagine) ed è un trafiletto piccolo in fondo alla pagina sulla sinistra: solo un attento lettore avrebbe potuto notarla. Inoltre sottolineiamo il fatto che sulla prima pagina di tutti i numeri di questa rivista compaiono due pubblicità identiche, una alla sinistra e una alla destra del titolo, riguardanti l’Aulin, uno degli antinfiammatori più usati e conosciuti a base di nimesulide.

 

I contenuti delle notizie riportate sono chiari e in tutte si parla di un importante episodio avvenuto nel 2002.

 

Dalla lettura delle notizie sono emersi molti interrogativi tra cui uno in particolare: come mai in tutti gli articoli vengono citate Emea (Agenzia Europea per la Valutazione dei Farmaci), Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), Federfarma (associazione che raggruppa i titolari di farmacie), Nam (National Agency for Medicines, finlandese), Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei Consumatori)… ma non viene mai nominata l’autorevole voce americana a dire la sua?

 

La sensazione percepita dal lettore è che il “problema” sia confinato a livello europeo…

 

E inoltre: come mai i cittadini considerano la nimesulide un farmaco “da banco”? Sono loro ad essere “indisciplinati” o non hanno accesso ad informazioni corrette?

 

Per rispondere a questi interrogativi è stato necessario ripercorrere tutta la storia della nimesulide. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di raccontare in cosa consiste e a cosa serve l’iter procedurale per arrivare all’approvazione di un farmaco, come agisce la nimesulide e qual è il suo impiego.

 

Generalità sull’immissione in commercio e sul ritiro dal mercato dei farmaci

 

Anche se previsto nelle diverse normative nazionali, il ritiro di un farmaco dal mercato per comparsa di ADR (adverse drug reaction – reazioni avverse da farmaco) gravi e di un negativo bilancio rischi-benefici è un processo laborioso e difficile.

 

Così scrivono Stefano Cagliano (esperto di politica farmaceutica, lavora presso il Pronto Soccorso dell’ospedale di Belcolle a Viterbo) e Mauro Miselli (farmacista, docente di metodologia del monitoraggio sui farmaci all’Università di Modena e Reggio Emilia) in un articolo apparso su Le Scienze  [2].

 

Il primo motivo è la difficoltà di raccolta dei dati sulle ADR, sia per un deficit di segnalazione da parte dei medici, sia per una sensibilità inadeguata degli organismi istituzionali. […] Un problema diffuso è la disparità tra i fondi destinati alla sorveglianza post-marketing e quelli destinati all’autorizzazione al commercio. Per esempio, il Ministero della Sanità canadese incaricato della sicurezza sui farmaci dispone di un quinto dello stanziamento annuale di quello dedicato alle domande di registrazione, ed ha solo un quinto del personale. […] Un altro motivo di controversia sul ritiro di un farmaco dal mercato è la mancanza di consenso tra gli addetti ai lavori su quando si debba ricorrere ad una misura del genere. […]: se l’efficacia di un farmaco è ben documentata, che peso deve essere dato all’evento che suggerisce un provvedimento di revoca? Qui emergono notevoli differenze tra i vari Paesi. A un estremo si collocano politiche ultraprotettive nei confronti del farmaco (e della casa produttrice), dall’altro quelle ultraprotettive per la salute della popolazione. Per esempio, i farmaci contenenti l’associazione tra destropropoxifene e paracetamolo a scopo analgesico sono stati ritirati dal commercio in Svezia e Gran Bretagna per la segnalazione di decessi causati dal sovradosaggio, ma questo elemento non è stato ritenuto sufficiente in Francia.

 

[…] La qualità dei dati usati per decidere se ritirare un farmaco varia molto. Da un riesame dei dati resi pubblici dalle autorità statunitensi e britanniche su 11 farmaci negli anni tra il 1999 e 2001, è emerso che quattro sono stati ritirati solo sulla base di segnalazioni spontanee, e due in base alla dimostrazione di un effetto rilevante per il malato ottenuta da studi comparativi. Per questo si auspicava la pianificazione di studi prospettici che iniziassero nella prima fase di commercializzazione di un nuovo farmaco. Un terzo aspetto è che le autorità regolatorie non hanno tutte lo stesso potere in merito al ritiro dei farmaci dal mercato. Mentre in Canada il ministero della Sanità può decidere unilateralmente, negli Stati Uniti, la FDA (Food and Drug Administration) negozia con le case farmaceutiche la decisione di ritirare volontariamente i farmaci minacciando di rendere pubblici i rischi. Pertanto spesso è difficile determinare se il ritiro del farmaco sia stato deciso volontariamente dalla casa farmaceutica o sia piuttosto il risultato di pressioni. Infine, un aspetto a cui bisogna prestare attenzione è il conflitto di interessi. […] In Gran Bretagna, nel 1996, su 23 membri del British Committee on Safety of Medicines, tre avevano interessi in almeno 20 case farmaceutiche, sette in almeno 10 e venti in almeno 5.

 

La fase 4, la sperimentazione più importante

Cagliano e Miselli [2] descrivono poi l’attuale iter per l’introduzione in commercio di un nuovo farmaco:

 

Prima di essere messi in commercio, i farmaci vengono sperimentati gradualmente per testarne l’efficacia e, in qualche misura, anche la sicurezza, ovvero la maggiore o minore frequenza di effetti indesiderati. Il processo parte naturalmente dai cosiddetti “test pre-clinici” effettuati su cellule e su animali, che possono durare da 1 a 5 anni e forniscono le prime informazioni sull’eventuale tossicità del farmaco. Poi, se non ci sono brutte sorprese, si passa alla tappa successiva, quella dei test clinici, ovvero alla sperimentazione sull’uomo, che prevede quattro fasi per un periodo medio di 5-6 anni ma che possono durare da 2 a 10. Nella fase 1, il farmaco è somministrato a basse dosi ad una decina di volontari sani allo scopo di controllare in che modo venga metabolizzato dal corpo. La fase 2 coinvolge un primo gruppo di malati che potrebbero trarre benefico dal farmaco – in generale un centinaio – e mira a studiare gli effetti curativi, a precisare le dosi e i tempi della somministrazione e ad avere un primo bilancio tra rischi e benefici. La fase 3 serve a valutare con sufficiente certezza la reale efficacia del farmaco e stabilire se è meglio degli altri già in circolazione. In questa fase è in genere coinvolto un migliaio di malati, ma il numero varia in base alla frequenza del fenomeno di cui si vuole ridurre la frequenza, per esempio una malattia o un sintomo, e all’efficacia attesa. È in questa fase che si ricorre al metodo dello «studio controllato randomizzato», e si confronta il nuovo farmaco con un placebo o con un altro della sua stessa categoria già disponibile. Alla fine di ciascuna di queste tre fasi si discute se il rapporto tra i benefici attesi e i possibili danni è accettabile o inaccettabile, e si consente (o si blocca) l’ulteriore sviluppo del nuovo trattamento. Al termine dell’iter sperimentale, se ha dato buoni risultati, il farmaco viene registrato, ovvero se ne ammette la commercializzazione. Una volta che il medicinale è negli scaffali delle farmacie si entra nella cosiddetta fase 4, il periodo di sorveglianza post-marketing, durante la quale il farmaco è sotto osservazione per controllare che nella pratica clinica di tutti i giorni non sia fonte di brutte sorprese. È durante questo periodo che si riesce a fare il bilancio vero della sicurezza del farmaco: dopo, cioè, che è stato prescritto a un numero di pazienti sufficientemente ampio per far emergere effetti indesiderati poco comuni, ma a volte gravi. [Corsivo aggiunto]

 

Soprattutto dopo quest’ultima affermazione sorge spontaneo sospettare che i problemi relativi alle ADR nascano proprio a causa dell’iter appena descritto, a partire proprio dal primo passo, ossia dai test preclinici sugli animali. All’epoca del disastro del Talidomide, negli anni ’50, il premio Nobel Boris Chain aveva testimoniato che “nessun test su animali può dare risultati sicuri. In quella occasione

 

il verdetto del tribunale aveva accettato le testimonianze dei grandi scienziati che confermavano l’impossibilità di potersi accertare dell’innocuità di un farmaco provandolo su animali [3, pag. 217]

 

Ma il verdetto finale non fu, come ci si aspetterebbe, che le prove su animali devono essere legalmente vietate poiché, oltre che eticamente riprovevoli, sono inutili alla scienza.

 

La consapevolezza che un farmaco (il talidomide) potesse provocare un danno simile -scrivono Cagliano e Miselli [2] –  si tradusse nel 1962 nell’emendamento […] che ha ispirato le normative nazionali sulla registrazione e il controllo dei farmaci in gran parte del mondo. In quella norma si prese atto che per valutare ogni nuovo farmaco occorrono graduali passaggi, [tra cui una serie di prove su animali], il coinvolgimento di volontari sani e il consenso informato di chi partecipa alle ricerche. […]. Si concluse, cioè, che bastassero prudenza, un ingresso graduale sul mercato e, naturalmente, i presupposti farmacologici, perché il farmaco mantenesse le sue promesse e riservasse poche sorprese. […]. La Storia dimostra che il plausibile effetto farmacologico di una medicina e il suo collaudo nell’ambito controllato di qualche studio iniziale non ne fa una medicina sicura.  

 

Gli esami preclinici (cioè le prove su colture cellulari e su animali), quindi, vengono mantenuti e saldamente inseriti all’interno delle normative specifiche per l’approvazione dei farmaci [4, art. 8 comma 3, lettera l e Allegato I, parte I modulo 4]. Anche oggi è quindi opinione comune, anche se non avvalorata da nessuna prova scientifica, che i test sugli animali siano indispensabili [5].

 

Inoltre, se anche i trial clinici sono impostati in modo da valutare più i benefici prodotti dal farmaco che i rischi da esso provenienti, ciò suggerisce che gli effetti indesiderati sono rilevati incidentalmente ed in modo non sistematico.

 

Così quando il farmaco è assunto da decine di migliaia di malati (cioè nella fase 4), con caratteristiche non proprio simili a quelli coinvolti nei trial, possono esserci conseguenze inattese. Inoltre durante i primi studi clinici non ci si preoccupa troppo delle interazioni con altri farmaci. […]. Gli studi iniziali sono condotti (o su persone sane o) su malati con una diagnosi precisa, in genere con l’esclusione di anziani, bambini, donne in gravidanza, e questo condiziona ciò che si può scoprire sulla sicurezza del farmaco.[…] Osserva il Drug & Therapeutics Bulletin che «per avere una certezza del 95% di rilevare un evento che si verifica con una frequenza di 1 caso su 1000 devono essere esaminate 3000 persone», ma spesso i pazienti arruolati negli studi sono meno di 1000. Maggiore è il numero di persone esposte al farmaco, maggiori sono le probabilità di fare emergere effetti avversi gravi ma rari [2].

 

A scuola si dovrebbe insegnare che una teoria è scientifica se:

 

1) non è ambigua o contraddittoria;

2) ammette esperienze falsificanti o ripetibili (cioè è vera fino a prova contraria);

3) si ricercano attivamente esperienze falsificanti e si accetta un verdetto negativo.

 

Ora l’iter che attualmente prevede la commercializzazione di un farmaco, considerato “scientifico”, sembrerebbe eludere tutti e tre i punti appena enunciati.

 

Trovare gli animali su cui fare test pre-clinici non sembra essere un problema per nessuno. Trovare le persone, invece, comincia a diventarlo. Daniela Condorelli [6] scrive che

 

gli Occidentali sono sempre meno disposti a partecipare ai test, anche quando potrebbero avvantaggiarsene […]. La soluzione? La globalizzazione dei test. Perché un esperimento costa 10mila dollari in Occidente, 3mila in Russia e la metà in Africa. Così le CRO, le organizzazioni per la ricerca a contratto a cui si appoggia la ricerca, hanno sede ovunque. La Quintilies Transnational (una CRO, appunto) ha sedi in Sud America, Europa dell’Est, Africa ed Asia. Qui non solo trovi cavie ad ogni angolo, ti dicono pure grazie. “La maggioranza della popolazione gode solo dell’assistenza di base” pubblicizza la Quintilies “Partecipare ai test permettere di accedere a cure più sofisticate”. Proprio la Quintilies, in Sudafrica, è riuscita a reclutare per un trial 3000 persone in 9 giorni, la maggior parte delle quali non sempre si rende conto di prendere parte ad un test [cfr. anche 7]. Questi sono mercati vergini, dove le cavie non sono “contaminate” da anni di farmaci che potrebbero alterare le risposte ai test.

 

Il fatto è che poi i farmaci così sperimentati, una volta registrati, verranno introdotti in un mercato non vergine in cui, a voler essere ottimisti, si potranno almeno verificare problemi legati alle interazioni tra farmaci. Cagliano e Miselli [2] continuano:

 

Le dimensioni del danno da farmaci sono preoccupanti sia per la loro entità sia perché si tratta comunque di sottostime. In base ad uno studio condotto negli Stati Uniti, il 6-7% dei pazienti ricoverati in ospedale manifesta gravi reazioni avverse da farmaci e più di 100.000 americani muoiono ogni anno per effetti indesiderati da farmaci. Un’indagine conclusa nel 2006 negli Stati Uniti su un campione di 63 ospedali ha indicato che circa 700.000 persone ogni anno si rivolgono al pronto soccorso per ADR, dovuti nel 40% dei casi ad analgesici o antibiotici […]. Ma questi numeri non rispecchiano la realtà. In Gran Bretagna, un confronto diretto tra la segnalazione spontanea di reazioni avverse e un sistema di monitoraggio delle ADR su oltre 44.000 persone ha indicato che la percentuale di mancate segnalazioni può arrivare al 98%. Uno studio condotto in Francia ha stimato che è stata segnalata solo una reazione su 24.000 e che, anche in caso di reazioni gravi e non riportate in etichetta, il numero di segnalazioni è stato di 1 su 4600. […] In Italia però le segnalazioni di ADR sono più basse che altrove. Dal 2001 al 2005 hanno oscillato tra le 6000 e le 7000 l’anno, con differenze importanti da Regione a Regione e con un tasso ampiamente al di sotto dell’obiettivo ottimale di 30 segnalazioni per 100.000 abitanti raccomandata dall’OMS.

 

Ovvero: l’organo supremo per la tutela della salute a livello mondiale si aspetta candidamente che in un Paese come l’Italia, di circa 57 milioni di persone, in un anno ci siano circa 17.000 casi di reazioni avverse. Questo dato, quindi, per l’OMS sarebbe “normale” e non farebbe prevedere alcun provvedimento di indagine su come i farmaci vengono prodotti.

 

In teoria il numero ridotto potrebbe essere spiegato con differenze genetiche che rendono gli italiani più resistenti ai danni da farmaci […]. È invece più probabile che i medici italiani facciano semplicemente meno segnalazioni di ADR, magari solo perché tendono a non attribuire ad un farmaco la responsabilità del problema che assilla il malato. […]. A ciò si aggiunge il problema del tempo che intercorre fra il momento in cui si ha la prima conoscenza concreta di un grave effetto indesiderato e quello in cui intervengono le autorità regolatorie. L’iter che va dalla decisione dell’autorità al provvedimento concreto alla comunicazione ai medici e al pubblico è tutt’altro che efficiente . Ancora oggi succede che nessuna informazione sia diffusa né venga presa alcuna decisione fino a quando i dati disponibili non sono stati vagliati e discussi a lungo dall’autorità sanitaria e dal produttore. A volte il provvedimento può essere attuato senza un’informazione ufficiale, aggiornando semplicemente la scheda tecnica del farmaco. Il risultato finale è che il ritardo causato da questa inefficienza del sistema si somma a quello dovuto alle difficoltà insite nella raccolta di informazioni sulle reazioni avverse sospette, e così un maggior numero di malati corre un rischio evitabile.

 

Che cos’è la nimesulide

La nimesulide è un principio attivo che fa parte del gruppo dei farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) e commercializzata, a seconda della ditta produttrice, sotto il nome di Aulin, Mesulid, Nimesulene, Sulidamor ecc. Come tutti gli antinfiammatori, agisce sulle prostaglandine, composti chimici  prodotti dalle membrane cellulari di quasi tutti gli organi del corpo. I loro tessuti bersaglio sono solitamente gli stessi da cui vengono prodotte. Si formano velocemente, esercitano i loro effetti localmente e vengono successivamente degradate per via enzimatica o decadono spontaneamente.

 

Il meccanismo di formazione delle prostaglandine è detto via cicloossigenasica, nome derivante dall’enzima principale, la cicloossigenasi (Cox) che gioca una funzione regolatoria chiave nella sintesi delle prostaglandine. Della Cox esistono due isoenzimi distinti ma correlati:

 

-         la Cox-1 (o PGH sintasi-1) enzima costitutivo, presente nel rene, stomaco, fibre muscolari lisce, monocitipiastrine; le sue principali funzioni sono quelle di modulazione della citoprotezione gastrica (cioè produzione di muco e bicarbonati per contrastare la naturale acidità gastrica), della omeostasi vascolare (cioè del mantenimento dell’equilibrio dell’attività circolatoria) e del sostenere un normale funzionamento renale;

-         la Cox-2 (o PGH sintasi-2) enzima che di norma non è presente nei tessuti ma è indotto; la sua produzione viene attivata da quei meccanismi che stanno alla base del processo infiammatorio.

 

I farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) inibiscono l'enzima cicloossigenasi e sono ampiamente utilizzati per il trattamento delle malattie infiammatorie. I Fans classici infatti sono attivi indifferentemente sulle Cox-1 e sulle Cox-2, e si ipotizza che la tossicità associata ai Fans sia causata dalla inibizione di Cox-1, mentre le proprietà antinfiammatorie siano conseguenza della inibizione della Cox-2. Ciò ha suggerito che gli inibitori selettivi di Cox-2 (quale il meloxicam – Mobic) siano in grado di favorire un’attività antinfiammatoria con una tollerabilità renale migliore rispetto ai Fans convenzionali non selettivi.

 

C’è da fare una precisazione: recenti studi hanno mostrato come anche la nimesulide, Fans commercializzato quando ancora non era stata riconosciuta l’esistenza dei due isoenzimi, sembra agire in effetti come inibitore selettivo prevalente sulle Cox-2. Oggi, però, tra gli inibitori più selettivi di Cox-2 si hanno il celecoxib (Celebrex) e l’etoricoxib (Tauxib o Arcoxia) e il rofecoxib (il Vioxx) che hanno mostrato comunque non favorevoli a carico del sistema cardiocircolatorio.

 

La selettività per la Cox-2, infatti, può essere un’arma a doppio taglio, cioè da un lato garantire una riduzione del rischio di tossicità gastrointestinale, ma di converso essere anche responsabile di un incremento della frequenza di fenomeni tromboembolici e/o della mortalità totale, vista la più alta prevalenza degli eventi cardiovascolari rispetto a quelli gastrointestinali gravi. [dalle “Nuove note Aifa 2006-2007 per l’uso appropriato dei farmaci”]

 

Indicazioni e posologia della nimesulide

Le indicazioni d’uso della nimesulide per le formulazioni destinate ad un impiego sistemico devono essere limitate a:

 

-         trattamento del dolore acuto;

-         trattamento sintomatico dell’osteoartrite dolorosa;

-         trattamento della dismenorrea primaria;

 

per le formulazioni ad uso locale:

 

-         trattamento sintomatico del dolore associato a distorsioni e tendiniti traumatiche acute.

 

La posologia massima giornaliera non deve superare 100 mg per 2 volte al giorno.

 

La durata del trattamento deve essere il più breve possibile, in relazione alle condizioni cliniche del paziente.

 

Le fasce di pazienti in cui il farmaco non deve assolutamente essere usato:

 

-         i bambini (al di sotto di 12 anni);

-         le donne durante il terzo trimestre di gravidanza e in allattamento;

-         i pazienti con ridotta funzionalità epatica, con sintomi di danno epatico o che assumono altri farmaci epatossici;

-         i soggetti che fanno abuso di alcolici.

 

Questo è quanto stabilito dal CHMP, comitato scientifico dell’Emea, nel 2004, a seguito del processo di revisione della nimesulide avvenuto dopo gravi episodi di danni epatici verificatisi in Finlandia nel 2002.

 

Storia della nimesulide

Leggiamo su un sito di informazione medica (www.Xagenasalute.it):

 

La nimesulide è stata sintetizzata dalla 3M negli Stati Uniti e venduta ad una società farmaceutica svizzera, Helsinn Healthcare SA, che a sua volta la diede in licenza, per l’Italia, alla Boehringer Mannheim, che lanciò la nimesulide con il nome di Aulin nel 1985.

 

Ma analizziamo meglio questo fatto: la storia della nimesulide si intreccia con quella di un altro antinfiammatorio, il benoxaprofene. Nel 1982 il benoxaprofene (Opren) venne ritirato a causa della grave tossicità epatica. Il ritiro dal commercio avvenne dopo la morte di 61 pazienti, prevalentemente anziani, che stavano assumendo il benoxaprofene. Il Committee on Safety of Medicines (CSM) inglese ricevette 3.500 segnalazioni di reazioni avverse associate all’uso di tale antinfiammatorio. La prima segnalazione di mortalità si ebbe ad aprile-maggio del 1982; otto donne anziane che avevano assunto il farmaco svilupparono ittero colestatico, sei delle quali morirono.

 

Il caso del benoxaprofene portò ad un irrigidimento delle Autorità Sanitarie, con conseguente difficoltà per i farmaci antinfiammatori ad ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione […] Con molta probabilità anche 3M decise di non investire tempo e risorse per lo sviluppo clinico della nimesulide e ne cedette i diritti di commercializzazione alla piccola società farmaceutica svizzera con sede a Lugano, la Helsinn Healthcare SA. In modo sorprendente Helsinn Healthcare SA riuscì ad ottenere velocemente l’autorizzazione del Ministero della Sanità italiano alla commercializzazione della nimesulide, con il marchio Aulin.  

 

 

Nel 1998 Boehringer Mannheim fu acquistata dalla società farmaceutica svizzera Roche, una delle più grandi industrie farmaceutiche nel mondo.

 

Quindi la nimesulide, nata negli Stati Uniti, non è commercializzata nel paese di origine...

 

Andando più in dettaglio nella storia dello sviluppo di questo farmaco, sembra che esso sia una sorta di fallimento riciclato: il progetto originario mirava a produrre un chemioterapico molto infiltrante capace di uccidere selettivamente le cellule in rapida proliferazione, discriminando tra cellule “buone” e “cattive” sulla base del fatto che quelle “cattive” solitamente hanno un metabolismo molto più accelerato, che tende a diventare molto presto carente di ossigeno e glucosio. Il problema che venne fuori fu che la molecola era sì molto infiltrante e discriminava bene tra cellule “buone” e “cattive”, ma alla dose in cui aveva efficacia antitumorale, uccideva anche le cellule normali e soprattutto bloccava anche l’azione infiammatoria dei globuli bianchi.       

 

Quindi in pratica non era un’arma abbastanza intelligente o efficace per funzionare bene come antitumorale, ma comunque riusciva ad arrivare dovunque e bloccare le infiammazioni. Per un po’ tentarono di variare la struttura chimica per migliorarla, poi chi se ne occupava lasciò perdere e la nimesulide venne recuperata qualche anno dopo come antinfiammatorio di tipo particolare.

 

Geografia della nimesulide

Sono tanti altri i paesi nei quali tale antinfiammatorio non è disponibile (in oltre 150!): Gran Bretagna, Canada, Germania, Giappone, Finlandia, Spagna, Australia, Turchia...

 

Emblematico fu il caso della Finlandia che nel 2002 decise la sospensione del farmaco a causa di un aumento di segnalazioni di tossicità epatica (danni al fegato): nel periodo 1998-2002 giunsero alla National Agency for Medicines (NAM) finlandese, 109 segnalazioni di sospette reazioni avverse, per il 60% a carico del fegato; due pazienti furono sottoposti a trapianto di fegato ed uno addirittura morì. Le analisi condotte sulle segnalazioni di reazioni avverse evidenziarono che l’insorgenza di una reazione epatica si era verificata dopo una media di 50,8 giorni dall’inizio del trattamento (il 27% dei casi era insorto entro 7 giorni, il 35% tra 8 e 29 giorni, il 38% dopo 30 giorni).

 

Anche la Spagna, qualche mese più tardi (maggio 2002), decise la sospensione della vendita di questo farmaco.

 

Un’altra testimonianza dell’epatossicità della nimesulide fu messa in rilievo da una lettera inviata al British Medical Journal nel 2003 da Kunal Saha dell’Ohio State University Medical Center a Columbus negli Stati Uniti, riguardante la situazione indiana (se ne riporta la traduzione):

 

In India l’uso della nimesulide nei bambini crea sconcerto. Numerosi studi hanno mostrato che la nimesulide è associata ad effetti epatossici. La nimesulide non è usata negli Stati Uniti, e molti Paesi europei l’hanno bandita a causa di un’incidenza non accettabile di gravi reazioni avverse.

 

Sebbene alcuni studi abbiano indicato che la nimesulide possa essere utilizzata nei pazienti con osteoartrosi e problemi gastrici, altri farmaci come Acetaminofene (paracetamolo) rappresentano una migliore scelta come antipiretici o analgesici, specialmente per i bambini. Non c’è nulla di razionale nell’utilizzare la nimesulide come primo farmaco da scegliere per febbre e dolore. Studi pubblicati indicano che in India c’è un uso sfrenato di nimesulide. Infine sono disponibili 12 farmaci ad uso pediatrico a base di nimesulide, ciò sta ad indicarne un ampio uso tra i bambini.

 

A mala pena ogni seria sorveglianza post-marketing per reazioni avverse dovute all’uso del farmaco è assunta in India. Inoltre, a differenza dei paesi occidentali, i medici indiani non sono soggetti ad un reale controllo e perciò non necessariamente seguono con rapidità le nuove informazioni sugli effetti collaterali. I pazienti che ricevono la nimesulide dovrebbero essere direttamente monitorati per lo sviluppo di insufficienza epatica. Tuttavia, per ragioni economiche, è difficile per i pazienti indiani sottoporsi a questi controlli […]” [16].

 

Tutto questo ci fa capire la grande libertà che regnava sull’utilizzo di questo antinfiammatorio. Questi fatti portarono l’Emea [10], allertata soprattutto dalle autorità sanitarie finlandesi, a sottoporre la nimesulide ad un riesame, giungendo alla conclusione che il rapporto rischio-beneficio del farmaco fosse positivo. Ciò confermò il mantenimento della registrazione di questo prodotto in tutti gli stati dell’Unione Europea, inclusa la Finlandia, pur restringendo le indicazioni terapeutiche e aggiungendo altre controindicazioni nel riassunto delle caratteristiche del prodotto. L’unica cosa da fare, pertanto, era modificare il foglietto illustrativo!

 

La situazione italiana

L’Italia è uno di quei Paesi in cui si consuma molto nimesulide. Nel 2002 si è registrato il più alto consumo rispetto al resto d’Europa, e solo nel corso del 2006, secondo uno studio dell’associazione Codici, ogni giorno si sono consumate 7,2 dosi di nimesulide – 100 mg –  ogni mille abitanti.

 

In effetti per l’Italia si può parlare di frequente abuso di questo farmaco: si pensi a quante volte si sentono delle persone che per un mal di testa o di denti sono ricorse all’Aulin. Questo denota una grave superficialità, perché non tutti sanno che – come abbiamo ricordato sopra – la nimesulide è tossica per le cellule nervose che sono in deficit di ossigeno e glucosio, ovvero per le cellule in forte attività; e soprattutto non viene detto che la nimesulide bersaglia tutte le cellule. Quando si prende un farmaco contenente nimesulide per il mal di gola o di denti, in realtà non si è preso altro che un blando antitumorale che è particolarmente dannoso per quegli organi e tessuti (rene, fegato e stomaco) costituiti da cellule in rapida proliferazione.

 

Ciò nonostante, in Italia non si è assistito ad un’elevata casistica di effetti collaterali. Probabilmente lo si deve, oltre che ai difetti della farmacovigilanza descritti da Cagliano e Miselli, alla modalità d’impiego del farmaco, utilizzato più a scopo antidolorifico che antinfiammatorio quindi per brevi periodi di tempo (cefalee, dismenorrea, mal di denti, dolori da contusione ecc.), anche se il Sistema Sanitario Nazionale ne prevede la rimborsabilità (attraverso la nota 66) per il trattamento di problematiche infiammatorie croniche di tipo osteoarticolare. Ne nasce l’incongruenza che nel Sistema Sanitario Italiano la molecola è ufficialmente consacrata a quell’uso che risulta essere quello più a rischio nel provocare danni anche seri per la salute.

 

Quindi, in conclusione, farmaci tipo Aulin, nati come antitumorali, poi “riciclati” ad antinfiammatori, in Italia vengono usati prevalentemente a scopo antidolorifico o per curare sintomi similinfluenzali. Tale modalità rappresenta un abuso e un errore perché esistono altri antidolorifici (per es. il paracetamolo – Tachipirina, Efferalgan) che nascono come tali, e che, non agendo con lo stesso meccanismo antiprostaglandinico, sono in grado di essere meglio tollerati dal nostro organismo. Se però Aulin e simili vengono prescritti secondo l’uso che ne prevede il Sistema Sanitario Nazionale, quindi con una somministrazione di più lunga durata, ciò comporta una maggiore probabilità di andare incontro a gravi effetti collaterali (soprattutto a danno del fegato). Infatti, in molti paesi in cui la nimesulide è destinata a questo uso (in Finlandia molte segnalazioni di effetti collaterali riportano un uso prolungato – fino a 500 giorni di terapia – per patologie reumatiche quali l’osteoartrite), la molecola è stata ritirata dal commercio.

 

Ma allora da tutto questo capiamo che forse c’è qualcosa che non va… Oggi in Italia una scatola di Aulin costa circa 1 euro, ma dato l’enorme e spropositato consumo che se ne fa, sia perché funziona bene come antidolorifico (è infatti più forte rispetto a Tachipirina e simili per i motivi che abbiamo detto), sia perché facilmente acquistabile senza ricetta medica (ritorneremo su questo punto importante) e ad un prezzo molto basso, rappresenta un grosso guadagno per le industrie farmaceutiche che fino ad oggi non si sono preoccupate di controllare e correggere l’uso sbagliato che se ne fa.

 

Ma allora ci chiediamo: se in seguito allo scandalo finlandese del 2002 l’Emea, dopo due anni di valutazioni, ha detto che la nimesulide poteva continuare ad essere commercializzata considerando il suo profilo di sicurezza, come mai a distanza di cinque anni si è ripresentata in Irlanda una situazione analoga?

 

 

 

 

Il caso nimesulide: sviluppi recenti

 

L’Aifa ha monitorato in questi anni il profilo di sicurezza della nimesulide; metterà a disposizione i dati nazionali e parteciperà alla rivalutazione del farmaco a livello europeo. Nel frattempo l’agenzia ha richiamato i medici, farmacisti e cittadini alla scrupolosa osservanza delle informazioni relative al farmaco (da dispensare solo su ricetta) con riguardo al rispetto di indicazioni, controindicazioni, posologia.

 

Così risponde un giornalista di Salute di Repubblica, nella rubrica “Lettere alla redazione”, in merito alla domanda di un lettore sulle vicende della nimesulide [8].

 

Come già accennato in precedenza, il problema “nimesulide” era già saltato fuori qualche anno fa e, più precisamente, in Finlandia nel 2002. Relativamente a quella occasione, si leggeva su La Repubblica:

 

Le autorità sanitarie finlandesi hanno deciso di sospendere in via cautelativa tutti i farmaci che contengono il principio attivo Nimesulide […] dopo la segnalazione di un caso sospetto di morte per insufficienza epatica. [9].

 

In quest’ultimo articolo si legge che il principio attivo è contenuto in Italia in quindici antinfiammatori e antidolorifici Il commento dell’allora ministro della salute Sirchia nello stesso articolo è stato benevolo e tranquillizzante:

 

“Stiamo valutando, anche se non abbiamo alcuna evidenza in questo senso si procederà esaminando le schede delle valutazioni per verificare se in Italia sono stati rilevati casi analoghi, ma a noi, fino ad oggi, non sono arrivate segnalazioni di effetti collaterali gravi. Occorre poi che i nostri dati vengano confrontati con quelli degli altri paesi europei prima di prendere decisioni”.

 

In realtà i problemi legati ai FANS sono già noti da tempo: a pag. 239 de La Figlia dell’Imperatrice [3] si legge il comunicato dell’agenzia CP di Montreal del 4 agosto 1984 in cui si imputava ai FANS il decesso di almeno 10 persone in Canada.

 

Comunque, tornando al punto, se da un lato è possibile che in Italia ci siano meno effetti collaterali, non si può escludere che i medici italiani facciano semplicemente meno segnalazioni di ADR… E poi, secondo il Ministro, serve tempo: bisogna verificare se i dati sono affidabili, in barba al principio di precauzione…

 

Insomma, se queste sono state le affermazioni dell’Autorità, che cosa avrebbe dovuto dire la Roche, la multinazionale produttrice di Aulin, l’antinfiammatorio più diffuso contenete nimesulide?

 

Eravamo già stati informati venerdì scorso e abbiamo inviato subito i nostri dati sulla sicurezza e gli effetti collaterali del farmaco al Ministero della Salute - afferma Claudio Rossi, responsabile del marketing Aulin - ma negli ultimi dieci anni non abbiamo registrato che pochi casi di disturbi lievi. Siamo tranquilli, in Italia si vendono due milioni e mezzo di farmaci con il principio attivo Nimesulide al mese e non ci sono mai stati problemi” [9]

 

N. B. Ammettendo un ipotetico costo di circa 1€ a confezione per questi farmaci venduti, il guadagno delle case produttrici è di 2.500.000 di euro al mese solo con il nimesulide...

 

Nonostante le raccomandazioni “benevole” del 2002, oggi la nimesulide è tornata a far parlare di sé. Sul sito “paginemediche.it”si legge [11]:

 

[...] l’AIFA ha diramato una nota nella quale si chiarisce che il profilo di sicurezza della nimesulide è sempre sotto costante monitoraggio e che l’agenzia «parteciperà attivamente alla rivalutazione del farmaco a livello europeo». L’AIFA ricorda anche che la nimesulide può essere venduta solo dietro prescrizione medica e questo monito coglie impreparati quei cittadini che hanno sempre acquistato la nimesulide senza dover mai presentare alcuna ricetta.

 

Di fronte alle inevitabili polemiche, accese dopo che migliaia di cittadini italiani hanno scoperto di aver avuto accesso al farmaco senza aver mai dovuto presentare alcuna ricetta, Federfarma replica con una nota nella quale dichiara chei farmaci a base di nimesulide non sono mai venduti nelle farmacie italiane come medicinali Otc (over the counter), cioè senza ricettae chenessun farmacista ne consiglia l’uso se non è strettamente necessario, proprio per via delle possibili controindicazioni al fegato dovute al sovradosaggio, già note a tutti da tempo”; nonostante ciò, Federfarma si è impegnata a inviare a tutti i farmacisti una circolare che mette in guardia da un uso poco accorto e dal vendere il farmaco senza ricetta medica”.

 

Alla decisione irlandese fa eco il commento dei medici internisti, riuniti nei giorni scorsi in convegno, che ricordano come per anni la nimesulide abbiagoduto della fama di farmaco non molto rischioso, ma come ogni anno si registri un numero abbastanza preoccupante di pazienti che subiscono danni epatici e dell’apparato gastroenterico causati proprio da questa molecola”.

 

Ora, ammesso che il rapporto rischi-benefici della nimesulide sia positivo, da quello che leggiamo il problema principale non sembra riguardare il principio attivo che provoca reazioni avverse ma i cittadini ed il fatto che non sanno prendere la medicina… Ma se questo è veramente il problema, perché non avviare da parte del Ministero della Salute o chi per lui una bella campagna di informazione capillare, che informi seriamente i cittadini e che non si limiti solo a sostituire una frase nel foglietto illustrativo?

 

Sul sito di Altroconsumo si legge in merito alla nimesulide:

 

[la nimesulide] rappresenta una vera e propria particolarità farmaceutica: il nostro paese infatti assorbe da solo il 60 per cento del consumo mondiale di questo principio attivo, che invece è già stato ritirato dal mercato in Finlandia e Spagna. […] ricordiamo che la nimesulide richiede ricetta medica proprio perché i suoi effetti collaterali (e in particolare quelli al fegato) sono più pesanti di quelli degli altri antinfiammatori. [12]

 

Anche su un articolo pubblicato il 18 maggio 2007 sul sito del Corriere della Sera [13] è messo in evidenza l’allarme da parte dei medici internisti italiani i quali sottolineano il fatto che “per molto tempo la nimesulide ha goduto della fama di un farmaco non molto rischioso”. Allo stesso tempo mettono in evidenza che le ADR per la nimesulide esistono e come, al contrario di quanto affermato da Sirchia [9]:

 

[...] ogni anno, noi medici internisti, osserviamo un numero abbastanza preoccupante di pazienti che subiscono danni epatici e dell'apparato gastroenterico causati proprio da questa molecola. […]. La nimesulide viene considerata una molecola di facile uso - spiega il presidente - quasi fosse un farmaco da banco, ma è tutt'altro che un medicinale innocuo.

 

A questo punto può venire in mente che i cittadini non sappiano prendere la medicina perché per anni chi l’ha prescritta loro non era informato abbastanza bene sui danni che essa poteva produrre sull’organismo, trattando questo principio attivo con troppa superficialità.

 

Ma chi informa i medici sui rischi e i benefici di un certo principio attivo?

 

Si è già sottolineato come nello studio di un nuovo farmaco venga data più importanza alla ricerca del “beneficio” piuttosto che alla ricerca del “rischio” connesso al suo utilizzo per cui, già in partenza, è difficile avere un quadro chiaro sull’effettiva efficacia di quel farmaco.

 

A tale circostanza si sommano altre due situazioni molto sfavorevoli per la salute del cittadino.

 

La prima (anche questa già analizzata) si riferisce al fatto che, specialmente in Italia, le comunicazioni di ADR agli enti preposti alla farmacovigilanza sono pochissime e quindi non ci sono abbastanza dati a disposizione adatti a percepire che quel principio attivo faccia male.

 

La seconda è legata al fatto che, come ribadito nell’art. 113 del D. Lgs. 219/2006 [4], la pubblicità ai medicinali possa essere fatta direttamente dalle case farmaceutiche ai signori medici. Il comma 1 del citato articolo dice esattamente

 

“[…] per pubblicità dei medicinali si intende qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali; essa comprende in particolare la pubblicità dei medicinali presso persone autorizzate a prescriverli o a dispensarli, compresi gli aspetti seguenti:

1) la visita di informatori scientifici presso persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali;

2) la fornitura di campioni di medicinali;

3) l’incitamento a prescrivere o a fornire medicinali mediante la concessione, l’offerta o la promessa di vantaggi pecuniari o in natura, ad eccezione di oggetti di valore intrinseco trascurabile;

4) il patrocinio di riunioni promozionali cui assistono persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali;

5) il patrocinio dei congressi scientifici cui partecipano persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali, in particolare il pagamento delle spese di viaggio e di soggiorno di queste ultime in tale occasione”,

 

cioè una specie di “lavaggio del cervello” da parte delle case produttrici verso chi dovrebbe consigliare il meglio per la salute del cittadino.

 

L’Aulin viene venduto davvero solo su prescrizione medica?

A tutto svantaggio dei cittadini è anche il comportamento dei farmacisti: gli unici prodotti a base di nimesulide vendibili senza prescrizione medica sono i gel antinfiammatori; per gli altri, in forma di compresse o bustine granulate, la ricetta è obbligatoria! Queste sono le norme e Federfarma sottolinea come il medicinale “non viene mai venduto senza ricetta e nessun farmacista ne consiglia l’uso se non è strettamente necessario, proprio per via delle possibili controindicazioni al fegato dovute al sovradosaggio” [11]. Ma la realtà è un’altra!

 

Trascriviamo una pagina dal sito del Giornale (www.ilgiornale.it) che fa vedere come stanno le cose:

 

Sette farmacie sparse nella zona di Porta Genova, Corvetto e stazione Centrale. Il gioco è semplice: si entra, si chiede dell’Aulin o comunque un antidolorifico a base di nimesulide e si aspetta la reazione del farmacista. Risultato? Ben tre commessi prelevano la confezione richiesta dagli scaffali e la pongono nelle mani del cronista, camuffato da cliente, senza battere ciglio. Solo una giovane dipendente abbozza una domanda: - Lo ha già preso altre volte?- Sì. E spariscono le titubanze.

 

Altri due titolari oppongono qualche resistenza, almeno all’inizio. – Ma lo vuole davvero? Non ha sentito che casino è uscito in Irlanda? Sono morte anche delle persone…– . – Le suggerisco il Momendol, che è migliore e meno pericoloso dell’Aulin – . Basta insistere un poco, però, per ottenere la confezione desiderata. Anche se uno dei due farmacisti precisa: – Detesto l’Aulin e lo sconsiglio, ma se proprio mi rompe le palle glielo vado a prendere –. Alla ricetta non si fa alcun cenno.

 

In un’altra farmacia non è possibile acquistare alcun medicinale a base di nimesulide senza ricetta. Peccato, però, che come sostitutivo per curare un acuto mal di denti si indichi l’Oki. Un altro antinfiammatorio per cui sarebbe necessaria la prescrizione del medico. Solo in un esercizio, la farmacia Nazionale di corso Colombo, il prontuario farmaceutico è rispettato al cento per cento. Come antidolorifico viene fornito un prodotto a vendita libera, il Voltadol. – Ha letto che polemica sulla nimesulide? Senza ricetta proprio no –, sentenzia una commessa. Una farmacia su sette, insomma, supera a pieni voti il test.

 

Tutto questo è accaduto, come si capisce dal testo, dopo la diffusione della notizia del ritiro dal commercio della nimesulide da parte delle autorità irlandesi. E se questo tipo di indagine fosse stata condotta prima di tale episodio?

 

Comunque, a seguito della sospensione della nimesulide in Irlanda, l’Aifa si è mossa ed ha pubblicato nel suo bollettino di maggio-giugno 2007 [14] un resoconto sulle ADR prodotte dalla nimesulide in Italia nel periodo 2001-2007 e, da quanto si legge, non c’è da stare molto allegri soprattutto se si ricorda che gli Italiani sono un po’ pigri [2] ad inviare segnalazioni ADR:

 

Nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza sono inserite 738 segnalazioni di sospette reazioni avverse (ADR) alla nimesulide insorte tra il 1 gennaio 2001 al 17 maggio 2007; di queste segnalazioni 360 (48,8%) sono costituite da casi gravi, 19 (2,6%) sono state fatali. Le segnalazioni di ADR alla nimesulide, sia le totali sia quelle epatiche, hanno avuto un picco intorno al 2002, probabilmente per effetto del primo referral, ed in seguito sono andate progressivamente diminuendo. […]. I dati (in tabella I) mostrano come i disordini epatobiliari risultino la terza causa più frequente di ADR associata all’uso di tale farmaco. 102 segnalazioni riguardano reazioni epatobiliari: di queste 9 casi sono stati fatali, 70 gravi, 10 non gravi ed in 13 la gravità non è stata riportata.

 

L’uso della nimesulide nella maggioranza dei casi è stato di breve durata (da 1 a 8 giorni), le esposizioni superiori al mese sono state molto limitate.[…]. Reazioni epatiche sono state segnalate anche con altri FANS sebbene in modo molto più sporadico. […] Nella figura 2 viene riportato il confronto del numero delle segnalazioni totali ed epatiche a nimesulide, diclofenac, ibuprofene, ketoprofene e ketorolac. [….]. I dati nazionali confermano per la nimesulide un profilo di maggiore epatotossicità, rispetto alle altre molecole considerate, anche se si tratta di reazioni molto rare. I dati indicano anche una quota non trascurabile di reazioni gravi gastrointestinali.

 

In conclusione i dati italiani:

 

1) confermano la maggiore epatotossicità rispetto agli altri antinfiammatori;

2) confermano che le reazioni epatiche sono comunque molto rare;

3) suggeriscono l’ipotesi di una reazione di idiosincrasia a causa della breve durata del trattamento;

4) sembrano indicare, per la presenza di altri farmaci sospetti e/o concomitanti potenzialmente in grado di dare reazioni epatiche, una “percezione” di innocuità della nimesulide;

5) confermano infine la necessità di identificare ulteriori soluzioni regolatorie diverse e più efficaci di quelle adottate nel corso del precedente referral, dato che la nimesulide continua ad essere prescritta a pazienti con controindicazioni (pregresse epatiti, storia di abuso di alcool, uso concomitante di farmaci epatotossici). […]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Ovvero: La nimesulide, oltre ad essere un farmaco inutile (ce ne sono altri che hanno gli stessi effetti), è anche il più dannoso di tutti. Quello che viene spontaneo chiedersi è a che pro tenerlo ancora in commercio?

 

Inoltre, come mai la nimesulide continua ad essere prescritta “male” cioè, come specificato nel punto 5, a pazienti con controindicazioni? Quest’affermazione insospettisce molto perché sembra insinuare che, chi dovrebbe tutelare più da vicino la salute delle persone, cioè i medici, in realtà non sappiano (o non vogliano) fare il suo lavoro! Se questa interpretazione fosse corretta è comprensibile anche il motivo che spinge i medici a non segnalare le ADR in Italia: sarebbe una pura e semplice ammissione della propria incapacità. Come già sottolinea Ruesch [3, pag. 243], i medici in generale sono riluttanti “a ritenere responsabili di decessi farmaci che essi hanno prescritto, poiché questo li esporrebbe a una valanga di processi per incompetenza professionale che farebbero salire alle stelle i premi assicurativi sulla responsabilità”.

 

Della vicenda nimesulide sui giornali si è parlato per un tempo molto limitato e senza scendere nei dettagli del problema. Come è possibile che i cittadini vengano a conoscenza di un problema che li riguarda così da vicino con un’informazione del genere?

 

Il caso nimesulide è solo la punta dell’iceberg: i farmaci ritirati dal mercato sono un’infinità non solo nel passato ma anche nel presente. Esempio: il 31 agosto 2007 l’AIFA ha ritirato dal mercato il silomat – clobutinolo - un sedativo per la tosse (da banco in forma di sciroppo, con ricetta ripetibile sotto forma di gocce) commercializzato dal 1961 dalla Boehringer Ingelheim Italia; l’ADR più comune è l’aritmia ma in Italia non erano mai giunte finora segnalazioni in proposito! Eppure, ripetendo recentemente studi non-clinici (ancora animali!) ed uno studio clinico su volontari sani, si sono accorti che lo studio clinico (e quello pre-clinico? non viene più nominato nel seguito) indica possibilità di aritmia nei soggetti sani trattati con clobutinolo. Il tutto è stato reso noto nell’agosto 2007 [15][1]).

 

L’Aifa nel rapporto promette [14]:

 

tutti i dati disponibili, inclusi eventuali dati aggiuntivi provenienti dai Centri trapianti degli Stati Membri, verranno rivisti dal CHMP che esprimerà la propria opinione sul mantenimento in commercio, o su una sospensione o revoca della nimesulide, nella riunione di luglio.

 

L’EMEA ha reso noto il suo parere il 21 settembre 2007 pronunciandosi inequivocabilmente: i benefici continuerebbero ad essere superiori ai rischi, per cui il farmaco deve rimanere saldamente in commercio. [17]

 

Ma allora, che cosa si fa allora per “placare gli animi”? Vengono aggiunte delle precauzioni:

 

Il CHMP ha raccomandato che il trattamento con nimesulide venga limitato ad un massimo di 15 giorni e che, di conseguenza, tutte le confezioni contenenti più di 30 dosi (compresse o bustine) siano tolte dal mercato. Si consiglia ai medici di basare la propria decisione di prescrivere nimesulide su una valutazione dei rischi complessivi del singolo paziente.

 

Tuttavia, nelle Faq messe a disposizione dall’Aifa sul suo sito si legge [18]:

 

Il CHMP riconosce che non è noto il meccanismo che determina gli effetti epatici della nimesulide e che ciò rende difficile prevedere se il singolo paziente che assume il farmaco può essere a rischio di sviluppare reazioni epatiche. Il Comitato ha specificato che la nimesulide non deve essere utilizzata contemporaneamente ad altri farmaci che possono ugualmente causare danno epatico o in pazienti con danni epatici preesistenti. Inoltre, raccomanda di adottare ulteriori misure di sorveglianza, di condurre studi per valutare il rischio di danno epatico nei pazienti che assumono nimesulide e di diffondere una nota informativa agli operatori sanitari per sottolineare le corrette modalità di utilizzo della nimesulide.

 

Ma com’è possibile stare tranquilli se l’Emea stessa ha bisogno di ulteriori studi per poter capire come funzionano le reazioni epatiche avverse? Dato che il farmaco è rimasto in commercio, seppur con qualche restrizione (spero non solo) burocratica, ci sembra di capire che gli “studi” caldamente auspicati dall’Aifa continueranno ad essere  perpetuati sulla pelle dei malati, senza neanche informarli adeguatamente…

 

 

Ultimi aggiornamenti

Dalle Note Aifa del 25 gennaio 2008 arrivano i seguenti aggiornamenti

 

Nimesulide, precisazioni sul numero di confezioni dispensabili per ricetta

 

Informazioni in merito ai recenti provvedimenti dell’AIFA concernenti le modalità di prescrizione e dispensazione dei medicinali a base di nimesulide.

 

In riferimento ai recenti provvedimenti concernenti le modalità di prescrizionee dispensazione dei medicinali a base di nimesulide, è stato posto all’AIFA il quesito se il farmacista è tenuto a respingere (o ad evadere parzialmente) una prescrizione di 2 scatole di nimesulide contenenti 30 unità posologiche e se la ASL può non ammettere al pagamento la seconda confezione, in caso di prescrizione SSN con nota 66.

 

Al riguardo si precisa che è stata in più occasioni evidenziata la necessità di non superare i quindici giorni di trattamento con nimesulide in relazione al rischio di epatotossicità.

 

Anche in assenza di provvedimenti specifici che vietano una prescrizione di 2 confezioni da 30 unità posologiche, le evidenze disponibili e tutte le raccomandazioni emanate dalle autorità regolatorie devono portare a comportamenti prudenziali limitando la terapia a 15 giorni.

 

Ciò premesso il farmacista può evadere parzialmente la prescrizione fornendo al paziente una sola confezione e trattenendo la ricetta.

 

Ne consegue che sarà rimborsata una sola confezione da parte della ASL in caso di prescrizione SSN con nota 66.

 

Il 25 marzo 2008 appare un’altra notizia, quasi invisibile sulla stampa nazionale:

 

La 24enne morta a Bari era affetta da malformazione cardiaca

 

BARI – Una forte malformazione cardiaca della quale non era a conoscenza: è quanto emerge dal primo esame autoptico sulla 24enne morta nella notte tra sabato e domenica dopo aver preso un espressino al bar, a Bari, e dopo aver bevuto, sciolto nell’acqua, il contenuto di una bustina di antinfiammatorio, per curare un attacco di emicrania. Sulla sua morte è stata aperta un’inchiesta contro ignoti. La donna, Michelina Pascazio, madre di un bimbo di tre anni, del quartiere ex Enziteto di Bari, quella notte è uscita di casa per fare un giro in centro con la sorella e alcuni amici. In un pub avrebbe bevuto sostanze alcoliche, forse una birra. Poi intorno alle 3, in un bar del centro storico della città, un espressino: immediatamente dopo è stata colta da malore e accompagnata dalla sorella e dagli amici in ospedale dove però i sanitari non hanno potuto far altro che constatarne la morte dopo tentativi di rianimazione. Il Pubblico ministero di turno, Carmelo Rizzo, ha disposto l'autopsia e affidato l’incarico al medico legale Vinci e al tossicologo Gagliano Candela. Nell’abitazione dove la ragazza viveva con il suo bambino, i genitori, il fratello e la sorella, sono stati sequestrati la confezione dell’antinfiammatorio e altri farmaci. Pare che da alcuni giorni prendesse spesso un farmaco a base di Nimesulide a causa di frequenti mal di testa. “Non c’è nessun pericolo che una persona possa morire così per il Nimesulide, neanche se associato a alcol o caffè” ha spiegato Luciano Caprino, farmacologo dell’Università La Sapienza di Roma. [Corsivo aggiunto]. [19]

 

L’agenzia ANSA precisa il parere del prof. Caprino nel modo seguente (stessa data)

Farmaci: farmacologo, Nimesulide non pericolosa

(ANSA) - ROMA, 25 MAR - È estremamente difficile che il Nimesulide abbia avuto qualche responsabilità nella morte della ragazza a Bari. Lo afferma Luciano Caprino, farmacologo dell'università La Sapienza di Roma. “Non è mai stato descritto nessun episodio del genere seguito all'assunzione - spiega l'esperto - l'unica controindicazione che è emersa da questo farmaco, che si usa da più di trent'anni, è che in Finlandia ha provocato delle epatiti, ma non c'entra con questo episodio” .

Caprino apparentemente ignora che per la nimesulide sono stati descritti effetti avversi gravi, e anche decessi, riguardanti sistemi diversi da quello epatobiliare. Comunque è la logica che merita di essere sottolineata: una segnalazione di una reazione avversa non vale se non rassomiglia a una segnalazione già acquisita...

I cittadini possono dormire sonni tranquilli, quindi?...

Gli articoli del 23 maggio 2008 e del 22 giugno 2008 riportati qui di seguito sembrano rispondere a questa domanda in modo inequivocabile...

 

Mazzette per evitare i controlli sull'Aulin

Farmaci e tangenti, filmata la consegna di soldi al vice capo dell'Aifa

(di Mario Pappagallo, apparso sul Corriere della Sera il 23 maggio 2008 [20]):

MILANO — Tra i 30 indagati del nuovo scandalo farmaci c'è anche un neosindaco. Carlo Della Pepa, 46 anni, medico e ricercatore della farmacologia di Torino, eletto a Ivrea per una coalizione di centrosinistra. Il suo capo è il farmacologo di Torino Mario Eandi. Poi manager di primo piano della Bayer, Umberto Filippi e Roberto Ceresa (ex Lega Nord).

Incontri con il «numero uno» dell'Aifa (l'Agenzia italiana per l'approvazione e la sorveglianza sui farmaci) Nello Martini sono agli atti dell'inchiesta torinese guidata da Raffaele Guariniello. E che oltre alla corruzione ipotizza un sistema che potrebbe avare arrecato danni alla salute dei cittadini. Un esempio: il caso Aulin. Nimesulide è la molecola, Aulin è il farmaco più noto tra i molti in commercio che contengono questo principio attivo. Un anti-infiammatorio (Fans) che può anche avere gravi effetti collaterali sul fegato. Mai approvato negli Stati Uniti e in Giappone. Ritirato nel
2002 in Spagna e Finlandia. E nel maggio 2007 in Irlanda dopo che sei pazienti subirono un trapianto di fegato per sopravvivere alle lesioni causate dall'abuso del farmaco.

L'Italia nicchia, a chi ne chiede il ritiro viene risposto che i benefici in un certo sono superiori ai rischi. Basta rispettare l'obbligo di prescrizione da parte del medico. Di verifiche e studi per appurarne la reale pericolosità non se ne parla. Solo monitoraggio. Perché? La risposta in un filmato di due minuti. Un mediatore passa una mazzetta a Pasqualino Rossi per «lasciare tranquillo» l'Aulin. Un regista con le stellette ha immortalato immagini e suoni del pagamento in contanti, la gioia del numero due dell'Aifa (rappresentante anche nell'Emea, l'agenzia europea per i farmaci), la sua corsa in banca per coprire il conto in rosso. Un corto da YouTube agli atti della richiesta di 20 ordinanze cautelari, su 30 indagati (ma forse saranno di più dopo gli interrogatori di oggi in carcere a Roma), da parte della procura di Torino dopo due anni di inchiesta sull'Aifa partita (gennaio 2006) da alcuni dossier per l'approvazione di alcuni farmaci bioequivalenti o generici. I provvedimenti, firmati dal gip torinese, riguardano Pasqualino Rossi (carcere) e Antonella Bove (arresti domiciliari), dirigenti Aifa. Altre ordinanze (tre in carcere, tre in casa) riguardano procuratori delle aziende: Matteo Mantovani, Sante Di Renzo, Mario Umbri, Piera Campanella e Francesca Fiorenza. Un sesto manager è ancora ricercato: sarebbe all'estero.

Tutto registrato, immagini e suoni. Prove contenute nelle 700 pagine della richiesta di 20 arresti, che poi il Gip ha «sintetizzato » in soli otto arresti e 400 pagine di ordinanza. Anche Nello Martini, che smentisce di essere indagato, è protagonista di intercettazioni chiave: le cimici degli investigatori (i carabinieri dei Nas di Torino, Roma, Padova e Alessandria), per esempio, ne avrebbero registrato parola per parola un incontro con i vertici della Glaxo in un albergo di Verona. Che cosa si sono detti è agli atti. Come agli atti è la storia della figlia di un funzionario Aifa assunta da una delle aziende di cui il padre doveva essere tra l'altro «controllore». Da ieri tutto è in mano anche della procura di Roma, che su buona parte dell'inchiesta è competente. Dei 30 capi d'accusa dell'inchiesta, solo sette resteranno al vaglio dei magistrati torinesi. Inevitabile il contraccolpo nel dicastero del Welfare e della Salute. Il ministro Maurizio Sacconi ha deciso l'avvio di una commissione d'indagine composta da tre «autorevoli esperti»: dovrà fornire le prime valutazioni tra sette giorni, poi un più completo rapporto entro il 31 luglio 2008. All'esame un sistema molto raffinatosi dopo lo scandalo che 15 anni fa ha coinvolto Duilio Poggiolini e la Cuf, l'equivalente dell'Aifa di allora. Il filone sul sangue infetto (Hiv ed epatiti B e C) è ancora aperto. A Napoli dovranno decidere su Poggiolini, estraneo a tutto il ministro della Sanità dell'epoca Giovanni De Lorenzo. L'Aifa fu istituita ex novo anche per cancellare lo scandalo Poggiolini. Evidentemente però qualcosa non ha funzionato.

 

L'ITALIA DEGLI SCANDALI

 

Pillole pericolose, si indaga su 12 morti. Il gip sospende il direttore dell'Aifa

 

Otto persone già in carcere per un giro di mazzette collegate alle licenze. Il direttore dell'Agenzia Martini è indagato per disastro colposo: sospeso per due mesi insieme alla sua vice (di Viviana Ponchia -23 giugno 2008 da Quotidiano.net). [21]

 

TORINO, 22 giugno 2008 - "VOGLIO RICREARE un clima di fiducia con i cittadini e le associazioni degli ammalati", diceva nell’estate del 2004 il veronese Nello Martini, prendendo le redini dell’Agenzia italiana del farmaco. L’Aifa era stata appena istituita ex novo (prima si chiamava Cuf), anche per cancellare l’ombra dello scandalo Poggiolini.

 

Cronaca di 15 anni fa. Cronaca di ieri è la momentanea decapitazione dei vertici dell’Aifa. Martini, finito nell’inchiesta sui farmaci che a maggio aveva portato il pm torinese Raffaele Guariniello a chiedere i suoi primi arresti (otto) in 40 anni di carriera, è stato sospeso per due mesi dalla direzione assieme a Caterina Gualano, dirigente dell’ufficio che autorizza la messa in commercio delle medicine.

Non lo ha deciso il ministero, anche se il sottosegretario con delega alla salute, Ferruccio Fazio, assicura che all’inizio della prossima settimana saranno disponibili le conclusioni dell’indagine predisposta da una apposita commissione di esperti. L’ha deciso il gip Emanuela Recchione accogliendo la richiesta della procura di Torino, cui evidentemente i tempi per una rimozione cautelare dall’alto sembravano ampiamente scaduti.

 

MARTINI, 61 anni, è indagato per disastro colposo nell’inchiesta dai mille risvolti aperta da Guariniello su alcuni farmaci messi in vendita dopo controlli irregolari. La maggior parte dei 30 capi d’accusa (dalla corruzione all’ipotesi che è costata a Martini la sospensione), è passata per competenza ai giudici romani. Guariniello ha tenuto per sé un filone su cui continua a lavorare in segreto. C’è chi dice abbia a che fare con una dozzina di decessi sospetti in tutta Italia, quindi sull’eventuale nesso casuale fra quelle morti e le mazzette pagate, sui danni che corruzione e compiacenze nelle procedure per autorizzare i medicinali avrebbero potuto causare alla salute pubblica.

 

DOPO due anni di indagini e il colpo di scena di ieri, ora è plausibile che il ministero, battuto in tempestività dalla magistratura, sia costretto a commissariare un’agenzia di vitale importanza per il paese. L’inchiesta era nata nel gennaio del 2006, muovendo i primi passi attorno alla mancata sperimentazione che poteva garantire guadagni illeciti alle aziende del settore. Uno studio di bioequivalenza su un farmaco generico era risultato completamente falso, ma nessuno pensava ci fossero rischi per i consumatori. Cattivi pensieri vennero collegando le mazzette alla non sospensione di farmaci (come il nimesulide, principale componente dell’Aulin) ritenuti a rischio da altri paesi.

 

GUARINIELLO, partendo dalle bustarelle, è arrivato a imbastire l’ipotesi di un sistema che potrebbe avere arrecato danno alla salute della gente. Perché Spagna e Finlandia hanno ritirato l’Aulin nel 2002 e l’Italia no? Le intercettazioni qualche risposta la forniscono: pagamenti in contanti per lasciare in pace i «farmaci amici». Lo stesso Nello Martini è vittima delle cimici degli investigatori, che hanno registrato alla virgola un incontro con i vertici della Glaxo in un albergo di Verona. Nell’ordinanza, il gip motiva la sua sospensione con la «gravità indiziaria esposta nell’inchiesta» e scrive che i due dirigenti dell’Aifa «ciascuno per le proprie competenze, hanno causato questa situazione e impediscono che siano prese misure adeguate alla risoluzione delle pendenze, al ritiro delle scorte e all’eliminazione del pericolo».

 

L’INDAGINE di Guariniello riguarda in particolare i tempi di autorizzazioni alle variazioni. La legge prevede una parentesi dai 60 ai 90 giorni, ma in certi casi fra domanda e risposta sarebbero passati anche sette anni. Ad aspettare che cosa? Forse a far fuori i fondi di magazzino, visto quello che rileva il giudice: «Anche quando arriva l’autorizzazione alla variazione, nella massima parte dei casi l’Aifa autorizza lo smaltimento delle scorte». Nel provvedimento si parla di «disfunzioni organizzative» dell’agenzia. Per il direttore Martini l’ipotesi è reato colposo, ma gli inquirenti individuano «una colpa cosciente».

 

 

 

 


Bibliografia

 

 

(1)           Reggio M. “Aulin, Dublino vieta il principio attivo l’Italia: dobbiamo rivalutare i rischi”. La Repubblica, 18 maggio 2007, pag. 35

 

(2)           Cagliano S., Miselli M. “Il danno da farmaci”. Le Scienze, n. 467 luglio 2007, pp. 64-71.

 

(3)           Ruesch H., “La figlia dell’Imperatrice”. Stampa Alternativa, Viterbo 2006.

 

(4)           Decreto Legislativo 24 aprile 2006 n. 219. Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e

successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE.

 

(5)           Il punto di vista. Sperimentazione animale. http://www.airc.it/ricerca-oncologica/il-

punto-di-vista.asp

 

(6)           Condorelli D. “Cavie! Nel Sud del mondo si offrono corpi a basso prezzo. Un romanzo

di Le Carré? No, un vero scandalo”. D, la Repubblica delle Donne, anno 12 n. 556, 07/072007.

 

(7)           Pfizer, multinazionale farmaceutica usa bambini come cavie per un farmaco. 09/05/2006.

http://www.laleva.org/it/2006/05pfizer_multinazionale_farmaceutica_usa_bambini_come_cavie_per_un_farmaco.html

 

(8)           “Ritirato il nimesulide. che cosa fa l’Italia”.  Salute di repubblica, giovedì 31 maggio 2007 pag. 58, rubrica “Lettere alla redazione”.

 

(9)           Reggio M. Farmaci, in Finlandia scatta l'allarme Aulin. 20 marzo 2002.

http://www.repubblica.it/online/cronaca/bayerdue/aulin/aulin.html

 

(10)       Committee for Proprietary Medicinal Products (CPMP) opinion following an article

31 referral nimesulide containing medicinal products. EMEA, 7 May 2004 CPMP/1724/04 http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/referral/nimesulide/172404en.pdf

 

(11)            Nimesulide: amica o nemica?

http://www.paginemediche.it/it/magazine/magazine/farmacologia-clinica/news/detail_60500_nimesulide-amica-o-nemica.aspx?c1=30&c2=399

 

(12)           Irlanda: divieto di vendita per la nimesulide 18-05-2007

http://www.altroconsumo.it/map/src/164513.htm

 

(13)           Molti casi di danni al fegato da nimesulide. 18/05/2007.

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/05_Maggio/17/aulin_vietato.shtml

 

(14)           Nimesulide ed epatotossicità. Boll. di informazione sui farmaci, anno XIV n. 3, 2007,

pagg. 112-116.

http://www.agenziafarmaco.it/aifa/servlet/wscs_render_attachment_by_id/111.13656.1184830158893.pdf?id=111.13662.1184830160499

 

(15)           http://www.agenziafarmaco.it/aifa/servlet/wscs_render_attachment_by_id/111.114567.11

88572359215.pdf?id=111.113589.1188570384846

 

(16)           Saha K. 2003: “Use of Nimesulide in Indian children must be stopped”

http://bmj.bmjjournals.com/cgi/content/full/326/7391/713

 

(17)           EMEA “European Medicines Agency recommends restricted use of nimesulide-containing medicinal products” 21 settembre 2007” Doc. Ref. EMEA/432604/2007. http http://www.emea.europa.eu/pdfs/general/direct/pr/43260407en.pdf  

 

(18)           AIFA. Domande e risposte su Nimesulide. http://www.agenziafarmaco.it/wscs_render_attachment_by_id/111.164127.1190376446839c9f2.pdf?id=111.164133.1190376447125

 

(19)           http://www.rtgpuglia.it/leggi_news.asp?ID=5869

 

(20)           “Mazzette per evitare i controlli sull'Aulin” Farmaci e tangenti, filmata la consegna di soldi al vice capo dell'Aifa. Mario Pappagallo, Corriere della Sera,  23 maggio 2008

http://www.corriere.it/cronache/08_maggio_23/aulin_mazzette_controlli_torino_2eed67d6-288a-11dd-97ea-00144f02aabc.shtml

 

(21)           “Pillole pericolose, si indaga su 12 morti. Il gip sospende il direttore dell'Aifa” (di Viviana Ponchia, 23 giugno 2008, Quotidiano.net)

http://qn.quotidiano.net/cronaca/2008/06/22/98875-pillole_pericolose_indaga_morti.shtml)

 

 

 

Inserito: 6 luglio 2008

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem

 

 

 



# Le autrici ringraziano Marco Mamone Capria per l’attenta correzione delle bozze e per i preziosi suggerimenti forniti durante la stesura del testo.

[1] A proposito della vicenda nimesulide, l’Aifa pubblica sul suo sito a luglio 2007 il nuovo bollettino di farmacovigilanza (http://www.agenziafarmaco.it/aifa/servlet/wscs_render_attachment_by_id/111.6924.118459

7835572.pdf?id=111.6930.1184597836806) in cui addossa quasi totalmente la colpa sia ai pazienti che comprano medicinali senza ricetta sia ai farmacisti che glieli vendono. L’Aifa fa intendere che se il nimesulide ha obbligo di ricetta medica un motivo ci sarà. In particolare l’agenzia sottolinea che: “nel decidere quali farmaci possano essere lasciati all'automedicazione, le autorità regolatorie tengono conto della sicurezza: si lasciano liberi da ricetta i farmaci più sicuri, che abbiano un buon margine terapeutico e con un dosaggio tale da ridurre al minimo i possibili rischi. Ma se i pazienti hanno a disposizione  liberamente (ovvero i farmacisti glieli concedono) anche farmaci che richiedono la ricetta i rischi sono maggiori, perché questi farmaci sono stati concepiti per essere usati sotto il controllo del medico”. Se la vicenda della nimesulide fa sorgere il sospetto che, in generale, i medici non siano in grado di selezionare i pazienti con controindicazioni dagli altri, la vicenda del Silomat, anche non compiendo troppe indagini, induce a pensare che anche i medicinali di automedicazione possano produrre seri problemi, al contrario di quanto affermato nel comunicato suddetto. Il problema quindi non deriverebbe dai pazienti che assumono male le medicine ma dalle medicine stesse.