Jenner Barretto Bastos Filho

 

Il controllo democratico della scienza e della tecnologia:

una metodologia necessaria

 

 

1. I convegni Scienza e Democrazia

Questa è la quarta edizione del convegno internazionale Scienza e Democrazia/Science and Democracy (SD). Le tre edizioni precedente hanno svolto un ruolo di singolare importanza sia per la ampiezza dei temi trattati e discussi, sia per l´atteggiamento politico coraggioso dei suoi partecipanti davanti a una lotta contro mega poteri, sia ancora per la profondità, consapevolezza ed atteggiamento etico dimostrato. L'altra caratteristica rilevante dei convegni SD è la diversità di persone a emettere pareri. Questa diversità va al di là della comunità accademica nel senso ristretto del termine. Penso che anche per questa ragione i convegni SD sono in grado di coinvolgere una comunità di intellettuali di ampio spettro sempre aperta alla critica e così tutte le tre edizioni precedente sono state specialmente singolare. Altri esempi di convegni che hanno privilegiato il confronto fra le teorie rivali furono quelli coordinati  da Franco Selleri (Selleri, 1998) e  da Michele Barone e Selleri (1994, 1995). A mio parere questa caratteristica costituisce un upgrade nella qualità delle discussioni e che sfortunatamente tanti altri convegni non presentano.  

 

Il primo libro uscito nel 2003 (Mamone Capria, 2003) intitolato Scienza e Democrazia non è semplicemente una raccolta dei contributi del primo convegno realizzato nei giorni 20-21 aprile 2001 in Napoli, presso il Palazzo Serra di Cassano, sede del Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Di solito questo libro costituisce un documento elaborato a partire dei contributi presentati nel 2001 i quali furono rivisti diverse volte  e con importante aggiunte. Inoltre, diverse altri contributi furono aggiunte formando un materiale ricco e armonioso. I contributi contenenti nel libro dialogano fra loro di una maniera singolare e interessantissima. Lo spettro di temi fu classificato così: parte 1- Comunità scientifica e comunicazione con il pubblico; parte 2- Controversia scientifica e soppressione del dissenso; parte 3: Scienza, industria e politica sanitaria; parte 4- Responsabilità istituzionale e giornalistiche.

 

Il secondo libro uscito nel 2006 (Mamone Capria, 2006) intitolato Scienze, Poteri e Democrazia va, nel stesso senso del primo, al di là di una semplice raccolta dei contributi presentati nel secondo convegno svolto dal 12 al 14 giugno 2003 anche in Napoli e nella stessa sede del Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, il Palazzo Serra di Cassano. Questo libro riunisce contributi che furono classificati così: parte 1- Questione di conoscenza e poteri; parte 2- Fattori di rischio e movimenti di cittadini; parte3- Il diritto di critica nella comunità scientifica; parte 4- Storie della scienza.

 

La motivazione per realizzare il secondo convegno è stata così giustificata da Mamone Capria:

 

La decisione di rinnovare l'appuntamento è nata della consapevolezza che se i rapporti tra scienza e democrazia si articolano in forme sempre nuove e pongono sempre nuovi problemi, allora la riflessione su di essi deve affiancare tale varietà di manifestazioni , anche prendendo atto periodicamente dello stato dell'arte su temi già trattati. (Mamone Capria, 2006, p. 7)     

 

Nella sua terza edizione il convegno Scienza e Democrazia è stato svolto dal 20 al 22 di ottobre 2005, sempre in Napoli e nella stessa sede del Istituto Italiano per gli Studi Filosofici dove siano stati svolti gli altri due precedente convegni. La motivazione per farlo è la stessa espressa sopra. 

 

Siamo adesso arrivati alla quarta edizione di Scienza e Democrazia. In questo saggio voglio presentare, parzialmente con base in alcuni contributi degli altri tre precedente convegni, diverse motivi per i quali il controllo democratico del sviluppo scientifico e tecnologico deve ancora ogni volta di più stare a portata di tutti che hanno responsabilità sociale.



2. Il problema

Il problema che vogliamo trattare in questo lavoro può essere formulato molto generalmente attraverso la seguente domanda: quale deve essere il giusto atteggiamento dei cittadini per quanto riguarda l'importante problema del controllo democratico della scienza e della tecnologia nelle società democratiche ?

 

In primo luogo dobbiamo dire che la parola “cittadini” è essenziale nella formulazione sopra nel senso in cui questo spettro comprende gli scienziati, gli insegnanti, gli artisti, i giornalisti e tutti gli altri che appartengono alla società civile. Nessun controllo endogeno fatto da qualsiasi corporazione professionale sta al di sopra ogni sospetto. L'affidabilità di qualsiasi controllo dipende dalla sua pluralità, apertura alla critica, disponibilità a portare avanti la discussione, e anche dall’assenza di conflitto di interessi.[1]

 

A questo riguardo possiamo dire che nei convegni di Napoli abbiamo avuto diverse opportunità di discutere la grande difficoltà di stabilire una demarcazione  rigida fra “esperti”  e laici. Mamone Capria (2006a, p.156) scrive a proposito che «di esperti (nel senso vero del termine) ne se trovano infatti sia tra i professionisti che tra i non professionisti (che chiameremo laici)». Questo tema è stato discusso da diverse angolature e anche al di là del senso ristretto del controllo democratico della scienza, sia come paragone fra i dilettanti ed i professionisti nel contesto della musica (Siminovich 2006), sia nella relazione fra “pari” e “dispari” e anche della possibilità di autonomia delle persone (Bastos Filho, 2003, 2005, 2006), sia come critica razionale delle scienze (Mamone Capria, 2003a), sia come denuncia contro il conformismo che costituisce la quasi assoluta mancanza di confronto genuino fra le idee (Rovito, Scherillo 2003; Viggiani, 2003) ecc. È interessante aggiungere a questo proposito l'argomento di Henrique Cesar da Silva (Silva, 2006) secondo il quale la divulgazione scientifica è una interlocuzione fondamentale anche per gli scienziati perché essi sono laici nei temi nei quali non sono professionisti. Questo significa che tutti sono al stesso tempo professionisti e laici, secondo il tema in discussione.    

           

In secondo luogo dobbiamo dire che in un paese come il Brasile – e pensiamo che la situazione sia simile in altri paesi dell'America Latina – il problema del controllo democratico della S&T è normalmente concepito con serissime riserve ed addirittura con ostilità. L'origine di queste riserve e di queste ostilità è il consenso secondo cui la scienza, la tecnologia e l'educazione scientifica giocano un ruolo di prominente importanza per quanto riguarda lo sviluppo di tutti i paesi. A maggior ragione questo è vero per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo. Però, come da una premessa su cui esiste un consenso giusto si può trarre una conclusione sbagliata, così si dice che criticare molto severamente le cose cattive che esistono nell’establishment dominante della Big Science, in medicina e in una scienza che diventa sempre più bellica e controllata dai megapoteri, contribuirebbe ad allontanare i giovani dalle scienze e dalle carriere scientifiche. L'altro argomento, collegato a questo e spesso divulgato, è che questa cosa del controllo democratico della scienza e della tecnologia potrebbe andare bene per i paesi sviluppati, ma non per noi che abbiamo bisogno di svilupparci. Infatti abbiamo bisogno di scienza, di tecnologia e di insegnanti di scienze nella scuola secondaria (principalmente di matematica e di fisica) e questa carenza è abbastanza preoccupante. Questa preoccupazione è stata espressa nella Agenda 21 brasiliana che ha scelto 6 assi tematici, fra i quali Scienza e Tecnologia per lo sviluppo sostenibile. La nostra opinione è che l'atteggiamento che consiste nell’evitare la critica alle cose cattive che accadono nella scienza e nella tecnologia, allo scopo di non stimolare nei giovani l'allontanamento dalla scienza ed addirittura presunte ostilità, costituisce un grande errore. È come dire che l'inquinamento non sarebbe un problema dei paesi in via di sviluppo ma solo dei paesi sviluppati. Invece tutti noi sappiamo che, senz'altro, l'inquinamento esiste dappertutto ed è un serissimo problema planetario. È come dire anche che  le cose cattive che accadono nel mondo della scienza non colpiscono noi dell’America Latina, mentre di fatto ci colpiscono tutti, sia in America Latina sia in qualsiasi altra parte del mondo. Anzi, spesso colpiscono ancora più severamente noi latinoamericani.

 

In terzo luogo dobbiamo superare la barriera che consiste in considerare qualsiasi critica all'Istituzione della Scienza come parte di un atteggiamento oscurantista. È importante affermare che vogliamo criticare l'Istituzione della Scienza che è diventata strumento di oppressione dei popoli e non la Scienza sana che va d'accordo con i più alti principî etici. Per questa ragione è assolutamente necessario criticare l'approccio semplicemente manicheo e profondamente corporativo secondo cui chi non è a favore delle cose deplorevoli che accadono all'Istituzione della Scienza allora sarebbe contro la Scienza.

           

Lo scopo del presente contributo è quello di studiare come possiamo contribuire ad aggirare gli ostacoli serissimi che si interpongono all'esercizio del giusto controllo democratico della scienza e della tecnologia.

 

 

3. Come formulare il problema del controllo democratico della scienza? (un primo approccio a partire del mio paese)

Il 31 gennaio del 2008 forse il più influente giornale  brasiliano, la Folha de São Paulo, ha pubblicato, firmato dal suo editorialista Hélio Schwartsmann, un articolo intitolato Ciência sob Ataque (“Scienza sotto attacco”), nel quale criticava la ministra brasiliana del ambiente Marina Silva a causa della sua difesa a favore del insegnamento nelle scuole del paese delle teorie creazioniste assieme con le teorie evoluzioniste. Possiamo forse interpretare che Marina Silva reputa che così si permetterebbe una più grande possibilità di confronto fra le teorie creazioniste e le teorie evoluzioniste. Nel momento in cui ha dichiarato la sua opinione la ministra usciva da un evento creazionista al quale era stata invitata a partecipare. Infatti la ministra ha parlato delle teorie che, secondo lei, sono «alternative» al darwinismo. L'editorialista ha argomentato che in quanto cittadina di uno Stato democratico  e di diritto lei ha la prerogativa di adottare il suo punto di vista personale e la sua religione, però in quanto ministra di un Stato laico non dovrebbe farlo.

 

In maniera simile l'editorialista critica Antony Garotinho e Rosinha Garotinho, entrambi ex governatori dello Stato del Rio de Janeiro, per aver introdotto l'insegnamento del creazionismo nelle scuole della rete statale locale quando essi hanno governato quello Stato brasiliano. Marina Silva, Antony Garotinho e Rosinha Garotinho sono evangelici.

         

A nostro avviso, il punto più importante non è il pericolo di confusione fra le teorie scientifiche e quelle religiose perché queste hanno criteri diversi di validità. Il punto che consideriamo molto rilevante, e che passa sfortunatamente inosservato nell'argomentazione dell'editorialista, è la sua attitudine di reverenza davanti alla scienza – o più precisamente davanti  all'Istituzione della Scienza –  come se questa fosse al di sopra ogni sospetto. In effetti, in un paese come il Brasile dobbiamo incentivare la scienza in virtù del fondamentale ruolo svolto da questa per lo sviluppo del paese e della formazione del personale qualificato. Ma proprio per questo dobbiamo anzitutto incentivare la scienza creativa e originale e non questa caricatura cognitiva che è diventata la carriera scientifica dominata e manipolata dall’establishment dominante. La vera scienza ha una importante dimensione di liberazione e di autonomia. Però l'istituzione della scienza dominata da interessi spuri non ha necessariamente lo scopo progressista che aveva ai tempi di Galileo.

          

Il Gruppo di Napoli costituisce un necessario contrappunto a una situazione del genere. Questo Gruppo non è costituito  da  detrattori della vera scienza. Proprio al contrario, questo Gruppo difende alti principî etici ed epistemologici e reagisce contro la venalità, la soppressione della verità e la nuova inquisizione che hanno trasformato parte considerevole della scienza nello strumento di guerra, profitto, mercato e sofferenze dei popoli. Il controllo democratico della scienza diventa così assolutamente necessario e non deve darsi soltanto all'interno delle comunità scientifiche. Questo controllo deve essere realizzato anche per la società civile e a livello planetario. Ma non vogliamo peccare di eccessiva e manichea ingenuità disconoscendo le compromissioni  degli scienziati con il potere politico e militare. Basta ricordarci (Baracca 2005) di Archimede e la difesa di Siracusa, dell'esecuzione di Lavoisier e della partecipazione  di Fritz Haber e Walter Nernst che hanno concepito gas chimici che furono usati nella Prima Guerra Mondiale.

          

L'approccio manicheo delle riviste specializzate, della stampa, e più generalmente dei mass media, è tale da coltivare un atteggiamento di reverenza apologetica davanti alla scienza come qualcosa fra il sacrosanto e l'ultima parola, e di conseguenza l'unico cammino degno di essere percorso verso il progresso e la felicità dei popoli. Tutti gli altri cammini sono considerati  meno importanti oppure semplicemente sbagliati. Risultante da questo lavaggio di cervello è l'espressione: “Questo è stato provato scientificamente”, che mostra un atteggiamento cognitivo che disconosce il fatto che le teorie scientifiche sono semplici congetture.

         

In questo contesto viene preparata l’ideologia che identifica il paradigma scientifico dominante come  la necessaria espressione di verità.       

                      

 

4. Come formulare il problema del controllo democratico della scienza? 

(esempio  degli organismi geneticamente modificati)

Non è facile adottare una formulazione giusta e precisa del problema del controllo democratico della scienza e della tecnologia, sia per la controinformazione, proselitismo e propaganda con cui siamo bombardati, sia per la nostra mancanza di informazione, sia per l’atteggiamento manicheo quasi sempre presente, sia ancora per la nostra propria deficienza di analisi. Per tutte queste ragione dobbiamo sempre essere preparati a correggere i nostri stessi errori. Se siamo d'accordo che la soppressione del dissenso e il rifiuto di rettifica degli errori nella scienza sono, al stesso tempo, contrari  ai principî dell'etica (in quanto costituiscono una condotta moralmente cattiva) e antiscientifici (in quanto dannosi alla conoscenza genuina), allora dobbiamo essere preparati a correggere anche noi stessi.

            

Dobbiamo stare egualmente distanti da due tipi d'atteggiamento: da un lato quello che adotta in maniera esageratamente manichea la teoria della cospirazione, e dall’altro quello caratterizzato da un’esagerata credulità.

            

Per quanto riguarda il problema degli organismi geneticamente modificati (OGM) Stefano Dumontet ci avverte di tutto questo di una maniera lucida e consapevole. Scrive:

 

Probabilmente il dibattito sugli OGM è su una falsa strada. Chiamare in causa la scienza in questo dibattito è assolutamente fuori luogo. La scienza, o per meglio dire la tecnologia genetica, ha un ruolo del tutto secondario ed a volte assolutamente marginale. E questo sia nel senso dell'autonomia della ricerca che in quello dell'autonomia della sua funzione sociale. [Dumontet 2003, p. 396]    

 

È molto giusto affermare che porre il complesso problema degli OGM come una lotta di scienziati progressisti che vogliano il progresso della scienza contro retrogradi e dogmatici ambientalisti che non vogliano questo progresso è, di solito, inserirsi in un falso problema. Infatti, come argomenta Dumontet, non saremo in grado di capire l'essenza del problema se in maniera manichea il discorso per esempio di Richard Dawkins (che fa l'apologia degli OGM) è semplicemente contrapposto a quello del Principe Carlo d'Inghilterra (che critica severamente gli OGM).

 

Per quanto riguarda gli scienziati, le domande giuste e corrette sono proprio queste due: quella dell'autonomia della ricerca e quella dell'autonomia della sua funzione sociale. Dobbiamo dire che entrambe le domande hanno risposta negativa. Di solito, gli scienziati non hanno autonomia nella scelta dei temi di ricerca a causa della loro dipendenza dalle fonti di finanziamento e, a molto maggior ragione, non hanno autonomia nelle scelte delle politiche pubbliche che regolano la funzione sociale degli OGM.  Ciò nonostante, gli scienziati giocano un ruolo importante se non nel contesto decisionale, di certo nel contesto della legittimazione. Non dobbiamo dimenticare che se le persone possono assumere un atteggiamento di grandezza morale, possono ugualmente molto bene assumere un atteggiamento di venalità e difendere interessi molto potenti.

 

Così la dimensione etica e la dimensione politica sono entrambe irremovibili se pensiamo al controllo democratico dei prodotti della scienza e della tecnologia. Penso di non interpretare male il pensiero di Dumontet e di Giovanni Figliuolo (2006) se veri e genuini problemi possono, per esempio, essere così formulati:

 

1.      Anche se gli OGM fossero una tecnologia pulita e senza alcuna conseguenza per l'ambiente e per la salute umana, sarebbe eticamente e politicamente sostenibile mantenere gli agricoltori in uno stato di vassallaggio verso le grandi industrie sementiere?  

 

2.      I semi sterili non costituiscono una seria inversione di statuto ontologico in ragione del fatto che il mercato e il profitto di pochi passano ad assumere un livello più alto che il principio della vita?

 

3.      Il rischio di inquinamento genetico può essere incontrollabile?

 

4.      A chi veramente interessano gli OGM?

 

5.       Gli OMG sono necessari per sfamare la umanità?     

 

A nostro avviso le risposte giuste alle domande formulate sopra sono le seguenti:

 

1) un enfatico NO: lo stato di vassallaggio  sofferto dagli agricoltore non sarebbe giustificato nemmeno se gli OGM fossero una tecnologia pulita, perché l'assolutismo genetico delle transnazionali sarebbe incompatibile con la genuina democrazia;

 

2) la risposta è senza dubbio un enfatico SÌ: infatti, questa inversione ontologica è inaccettabile; considerare che un atteggiamento del genere è religioso non lo rende inferiore al cinismo di quelli che vogliono privatizzare la vita; e se questa nostra scelta è manichea, allora questo essere manichei è assolutamente necessario in questo caso;

 

3) questo rischio, come è stato discusso nei nostri convegni, è reale e presente e la risposte alla domanda è SÌ;

 

4) interessano soltanto alle transnazionali sementiere;

 

5) definitivamente NO, e questo per diverse ragioni: gli OGM sono enormemente inquinanti, compromettono la diversità biologica, ecc.

 

5. Come formulare il problema del controllo democratico della scienza? (Cosmologia, Accademia, Aids, Geopolitica, ecc.)

Abbiamo bisogno di rivedere la idea secondo cui l'Istituzione della Scienza pratica la libera ricerca della verità e che, di conseguenza, nella competizione fra le teorie vince quella che offre la spiegazione più ampia e migliore. I convegni Scienza & Democrazia di Napoli hanno rivelato situazioni abbastanza diverse dall'idea suddetta che è ampiamente divulgata e accettata. Vediamo qualche caso.

            

Irwin Bross denuncia la neo-alchimia che è diventata la pratica dei “test clinici”. Lasciamo la parola a lui:

 

Oggigiorno, ciò che i mass media chiamano “test clinici" sono spesso studi del tutto non controllati; sono esempi di sperimentazioni umane non controllate fatte da dottori pagati dalle multinazionali farmaceutiche – talvolta per mezzo di opzioni su pacchetti azionari. Questo malcostume ha significato la morte o gravi lesioni per molte migliaia di pazienti americani a causa degli effetti collaterali dei nuovi farmaci, fortemente pubblicizzati e lucrosi – farmaci che sono più micidiali delle pozioni degli antichi alchimisti. L'uso di pratiche così grossolanamente non scientifiche 'in nome della scienza' ha fatto sì che molti cittadini preoccupati si opponessero alle 'prove cliniche'. [Bross 2006, p. 52]

 

Per quanto riguarda la ricerca sui danni da radiazioni Bross ha scritto:

 

La classe dirigente (establishment) medica e scientifica Usa ha risposto ai diffusi allarme e preoccupazione pubblici sui danni da radiazioni pubblicando lavori e libri consistenti in ricerche fraudolente che appoggiavano la falsa dottrina del Pentagono. [Bross, op. cit. p. 46]

 

È cosi allarmante che dei circa 222.000 veterani atomici che hanno sofferto l’esposizione alle radiazioni residuali a basso livello delle bombe di Hiroshima e Nagasaki 50.000 sono morti in eccesso per cancro. Nondimeno, la dottrina fraudolenta del Pentagono sulla «innocuità» delle radiazioni ionizzanti a basso livello fu accettata dalle classi dirigenti scientifiche Usa, sovietica, inglese e francese.

            

Le conclusioni di Bross (op. cit, pp. 60-61) sono devastanti. Lui collega la conquista delle infrastrutture della scienza e della medicina statunitensi da parte del Pentagono, alla frode scientifica, al commercialismo, alla frode nei procedimenti elettorali da parte della dinastia Bush ed al programma egemonico del Pentagono di dominare il mondo. La guerra all'Iraq è soltanto un aspetto di questo programma.

            

È interessante collegare tutto questo con la nuova geopolitica degli OGM. L'esempio dello Zambia è molto istruttivo a questo riguardo. Lo scienziato zambiano Mwananyanda Mbikusita-Lewanika ha scritto un lavoro sulla situazione degli ogm e la reazione della società civile zambiana contro l'imposizione e la pressione statunitensi perché lo Zambia accettasse gli OGM come aiuti alimentari. A tale scopo si è scatenata una crudele campagna di diffamazione per squalificare i zambiani.

          

L'altro esempio molto enfatico è la critica scientifica alla cosmologia del Big Bang fatta da Halton Arp. Vediamo il ragionamento. Assumendo come fanno i fautori del Big Bang che la misura dello spostamento verso il rosso della luce emessa dagli oggetti astronomici è indicazione di distanza fra questi e noi, si arriva alla conclusione secondo la quale le quasar stanno ai confini dell’universo. Il principio esplicativo sottostante in questa spiegazione è l’effetto Doppler. Però ci sono tantissimi casi dove si trovano quasar collegate a galassie prossime.  Questo fatto è di solito in contraddizione con il principio esplicativo basato sull'effetto Doppler, perché gli spostamenti verso il rosso di galassie e quasar collegate sono abbastanza diversi: se il principio esplicativo fosse l'effetto Doppler, allora non potrebbero essere collegate. Le contraddizioni si sono accumulate senza che quello che sarebbe un normale confronto fra teorie si sia verificato.

           

Halton Arp offre una spiegazione del rifiuto dogmatico di stabilire un confronto serio fra teorie rivali. Scrive a proposito:

 

Potrei fare alcune annotazione riassuntive: perché tutte le prove osservative sono state trascurate, quando falsificano tutto ciò che si suppone noto in cosmologia extragalattica? Forse il detto informale “Per fare cambiamenti straordinari si richiedono prove straordinarie” in realtà significa “Per fare cambiamenti personalmente svantaggiosi nessuna prova è abbastanza straordinaria”. [Arp 2006, pp. 82-83]

                      

La cosa accade in una maniera del tutto comparabile e analoga nelle scienze della salute: cambiare il paradigma dominante significa cambiare il potere, e questo è ciò che non vogliono quelli che detengono il potere. Possiamo vedere che una situazione simile accade nel caso  della polemica sulla causa della AIDS.

 

Il paradigma dominante afferma la relazione di causalità fra AIDS e HIV invece che Peter Duesberg, David Rasnick e tanti altri affermano che la causa più probabile è l'uso di droghe iniettabili e inalabili, abuso di farmaci e fame endemica.

 

Ritornando a Arp, lui conclude il suo saggio di una maniera del tutto brillante:

 

In una democrazia la verità scientifica non dovrebbe essere votata da una élite autoselezionata [Arp, op. cit. p. 84]

           

È proprio questa autoselezione che deve essere criticata del punto di vista di una vera democrazia. Infatti questa autoselezione costituisce una caratteristica endogena che produce diverse distorsioni in virtù del fatto che, così procedendo, questa élite diventa immunizzata a qualsiasi critica e di conseguenza rimane al di sopra ogni sospetto. Nella posizione intoccabile di una superiorità da sé stessa attribuita questa élite è pronta a mettere nei guai chi osa dissentire. Nessun controllo endogeno è affidabile per se stesso, e così questa attitudine di solito non è compatibile con la vera democrazia.

            

Vediamo il caso di Margot O'Toole che ha denunciato una frode in un lavoro nel quale partecipavano Thereza Imanishi-Kari, David Baltimore (Premio Nobel) ed altri scienziati.

 

La O'Toole ha cercato di controllare l'autenticità dei risultati e ha scoperto che qualcosa non andava bene. Insomma, hanno presentato risultati ricavati da un ipotetico esperimento che però non avevano mai fatto, ossia, in altre parole, se trattava di un caso di frode scientifica. La denuncia è stata fatta, investigata a lungo, però con enormi interferenze politiche. La difesa di Baltimore ha tergiversato in diverse forme come: (i) il tentativo di ridurre tutto il caso a una mera lite fra donne; (ii)  il tentativo di classificare il caso come dovuto a errore di interpretazione e di falsi risultati e non come falsificazione; (iii) il tentativo di classificare la falsificazione come attitudine non compresa nella nozione di «cattiva condotta»; (iv) ll tentativo di classificare la famiglia O'Toole come tradizionalmente di sinistra e per conseguenza come contestatrice, e cosi via.

 

Margot O'Toole ha insistito che non si trattava affatto di errore di interpretazione e neanche di falsi risultati – cosa che è abbastanza comune nella scienza ed in altri campi della conoscenza e che, fosse stato questo il caso, evidentemente non avrebbe costituito una frode –, ma che si trattava di qualcosa di doloso, ossia,  una falsificazione intenzionale consistente nel presentare e pubblicare risultati che non erano mai stati ottenuti. Baltimore contava su una difesa politica di grande potere costituita dall’establishment della Yale University.

           

Lo storico della scienza David Kevles ha scritto un libro in cui difendeva Baltimore. L'establishment dominante di Yale ha considerato il libro «eccellente» e ha invitato David Kevles a assumere una cattedra sul dipartimento di Storia della Università de Yale. Il grande matematico Serge Lange (1927-2005), che aveva scritto un voluminoso e molto ben documentato libro nel quale includeva il caso Baltimore, e che aveva un parere del tutto diverso da quello di Kevles, ha protestato con veemenza contro questa doppia indegnità che consisteva nel nascondere la frode e per di più premiare chi la difende con l’offerta di una cattedra in una prestigiosa università.

 

Relazioni spurie fra comunità scientifica di Yale e i poteri delle industrie farmaceutiche possono essere capite se teniamo conto di un farmaco che fa parte del cocktail antiretrovirale, chiamato stavudina – inventato da William Prusoff, un antico professore di Yale – commercializzato con il nome di Zerit dalla transnazionale farmaceutica Bristol-Myers-Squibb. Questo farmaco dà un profitto di 600.000.000 di dollari l’anno, e di questi 40.000.000 all’anno sono ripassati a Yale. Il farmaco ha pesanti effetti collaterali (compresa la morte!), e Prusoff ha dichiarato che questa situazione lo fa sentire male – ma ha anche aggiunto che qualsiasi farmaco è in effetti un veleno.

              

L'altro esempio che coinvolge relazioni spurie fra il complesso militare-industriale e l'accademia negli Stati Uniti è quello del politologo Samuel Huntington che è una figura molto influente nell’establishment statunitense. Huntington è consulente per il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e per la CIA ( Central Intelligence Agency). La proposta per eleggere Huntington come membro della NAS (National Academy of Science) è stata contestata da Lang. Huntington aveva proposto – tra l’altro –che la società sudafricana dovesse essere classificata come una Società Soddisfatta, nonostante in quella società ci fosse la segregazione razziale a danno dei neri. L'opposizione di Lang a questa indicazione si basava anche sull’argomento secondo cui qualcuno che usa categorie concettuali poco rigorose nella sua ricerca non merita di occupare un posto nella prestigiosa NAS. Esattamente contro questa proposta politica la voce di Lang si è alzata per proteggere la qualità e gli alti principî della scienza e della etica. L'opposizione di Lang all'indicazione di Huntington ha avuto successo almeno in due occasioni (1986 e 1987).

               

Huntington è lo stesso autore che difende la tesi secondo la quale i prossimi conflitti mondiali non saranno più di natura economica e neanche di natura ideologica. I conflitti mondiali del futuro saranno, secondo lui, fra civiltà. La sua speculazione è che il futuro sarà giocato da 7 oppure da  8 civiltà, che sono: la occidentale, la confuciana, la giapponese, l’islamica, l’indiana, la slavo-ortodossa, la latino-americana e possibilmente l’africana.

 

Come si vede, il politologo del Pentagono esclude l'America Latina dall’Occidente, nonostante il fatto che le lingue che sono parlate in questa regione sono europee ed appunto occidentali. Espulsa dall’Occidente è ugualmente la Russia, che secondo lui va considerata parte della civiltà slavo-ortodossa. Considera inoltre che questa civiltà è una singolarità inconciliabile con quello che lui chiama Occidente. Ovviamente non si tratta di una divisione geografica ma di una divisione nettamente geopolitica. I suoi esempi rivelano senz'altro le sue intenzioni. Ad esempio cita il Messico come un elemento di tensione fra l'America Latina e la Civiltà Statunitense (questa sì, secondo lui, occidentale) e la Turchia, che oscilla fra la rivendicazione di essere membro a tutti gli effetti della comunità europea da un lato e la sua tradizione islamica dall’altro.

 

Come possiamo osservare, Huntington ragiona in termini di conflitti e non di dialogo costruttivo fra i popoli. Questa è senz'altro la ideologia dell'imperialismo. È interessante notare che l'occidente di Huntington coincide con quello che Popper chiama la Comunità Atlantica, ossia il Primo Mondo ricco e prospero. A questo riguardo è anche interessante consultare Domenico Losurdo che ha argomentato come le frontiere dell'Europa sono più geopolitiche che geografiche. Secondo l’interesse in gioco, la Russia può o non appartenere all'Occidente.



6. Parole finali a titolo di conclusione

Nel mondo della scienza come nel mondo della politica o in qualsiasi mondo in cui operano gli umani, ci sono ostruzioni, insabbiamenti, soppressione della verità, persecuzione contro quelli che dissentono dal potere dominante, menzogne, distorsioni, diffamazione e cosi via. Ma questo non significa che gli alti principî etici ed epistemologici non devono essere ricercati. Il nostro dovere  è cercare  questi alti principî e il Gruppo di Napoli senz'altro cerca di farlo.

              

Se cerchiamo di rispondere alla questione del metodo nel senso greco originale della parola, dobbiamo fare attenzione che metodo significa cammino e cosi la questione metodologica centrale è come procedere davanti a situazioni enormemente complesse. Di solito i cammini sono diversi, e una discussione aperta, consapevole e coraggiosa costituisce una buona metodologia, anche se è incompleta. Una cosa che possiamo affermare senza paura di sbagliare tantissimo è che questo complesso controllo non può essere esaurito all'interno delle comunità scientifiche, non soltanto perché se così fosse sarebbe endogeno e pieno di vicissitudini. Questa essenziale incompletezza ha la sua principale origine nel fatto che le ragioni trascendono molto l’ambito ristretto della scienza.  Facciamo attenzione al caso degli organismi geneticamente modificati. Proprio perché è una questione dove gli scienziati non sono meglio preparati dei non scienziati, per ottenere la soluzione più ragionevole è necessario non ridurre questo problema all'interno della scienza. Stefano Dumontet ha mostrato brillantemente che gli scienziati non hanno autonomia, né nella scelta dei temi né nella funzione sociale.

               

Dire la verità, parlare con sincerità e serietà, è una buona metodologia, ma le conseguenze possono essere onerose. In questo senso i professionisti e i non professionisti (laici) possono essere entrambe esperti oppure no. La demarcazione importante non è fra professionista o non professionista. Molto più importante è essere esperto nel senso della saggezza. Per questa ragione il controllo democratico della scienza e della tecnologia dev'essere fatto da tutti e a livello planetario. Si tratta di una  questione etica e politica.

       
 


Bibliografia

  

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BARACCA A. 2005, "Fisica fondamentale, ricerca e realizzazione di nuove armi" , Lavoro presentato nel convegno Scienza e Democrazia III, Napoli 20-22 ottobre 2005 [disponibile sul sito http://www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem/ ]

BARONE M., SELLERI F. (a cura di) 1994 Frontiers of Fundamental Physics,  Plenum Press, New YorkLondon

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Inserito: 2 aprile 2008

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

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[1] «Quando [il governo e la classe dirigente medica e scientifica] dicono che qualcosa è sicuro o buono per te, ciò che questo significa veramente è che è sicuro e buono per loro. A loro non importa quello che succede a te [...]. Se c'è qualcuno che proteggerà la tua vita e sicurezza, quel qualcuno non potrai essere che tu» (Irwin Bross, epigrafe in Mamone Capria 2006, p. 151).