Angelo Baracca#
Cercando di decifrare il libro dei sogni (o degli incubi)
dei faraonici programmi nucleari
PREMESSA. Questo documento è un tentativo
preliminare di “leggere” criticamente i nuovi progetti faraonici di rilancio
dell’energia nucleare civile (in particolare, ma non solo, che cosa siano – o
meglio, che cosa dovrebbero essere – i reattori di IV Generazione, di cui molto si parla, ma poco si dice nel merito, per il banale
motivo che … sono di là da venire): si tratta quindi di una bozza, aperta a
critiche, suggerimenti, proposte. Qualora il tono polemico apparisse in qualche
punto eccessivo, si tenga presente che i toni della campagna in atto sono
perentori, autoritari, e non lasciano spazio a dubbi, per cui una prima
riflessione critica non può che essere altrettanto risoluta, insistendo
soprattutto sugli aspetti contraddittori dei progetti.
Dato il carattere di primo studio,
non mi sono preoccupato troppo della lunghezza, privilegiando
l’approfondimento. Le note sono abbondanti, ma ritengo importante indicare
sempre le fonti. Ho inserito delle Schede per facilitare,
per quanto possibile, la comprensione di aspetti complessi ai non esperti.
Anche gli aspetti più tecnici riguardanti i reattori di IV Generazione sono
raccolti in Appendice (ma bisogna
dire che le informazioni tecniche facilmente reperibili non sono molte, a
riprova del fatto che si tratta di progetti ancora oggetto di ricerca, a volte
ad uno stadio piuttosto preliminare).
RIFERIMENTI PRINCIPALI. Per le proposte dei nuovi progetti
nucleari mi sono riferito principalmente a due documenti:
1) Un articolo di
Agostino Mathis e Stefano Monti [1];
2) Un Rapporto della
Commissione Europea [2].
Le considerazioni critiche su questi
progetti sono tratte da tutte le fonti di cui sono venuto a conoscenza.
Particolarmente importante, per la completezza e l’approfondimento tecnico, un
recentissimo documento della Union of Concerned Scientists [UCS, “Scienziati
Preoccupati”, è il caso di ricordare il fondamentale rapporto tecnico che essi
elaborarono negli anni ’80 per smontare anche dal punto di vista tecnico il
progetto delle “Guerre Stellari” di Reagan]:
“Nuclear Power in a Warming World” [3]. Si tratta di un voluminoso (74 pagine) e
impegnativo studio, a livello tecnico, in inglese, come sempre di notevole
rigore, che va letto nel suo complesso (anche se è riferito nella maggior parte
soprattutto alla situazione statunitense e all’opera della Nuclear
regulatory Commission, NRC: contiene
anche esplicite raccomandazioni al governo degli Usa). Esso dedica ai reattori
avanzati e di nuova generazione il Cap. 6).
RINGRAZIAMENTI. Sono grato a Paolo Bartolomei e a
Giorgio Ferrari per avermi fornito il materiale citato e per interessanti
discussioni.
Elenco del materiale integrativo e di
approfondimento:
Tabella 1: incidenti negli impianti nucleari giapponesi,
p. 7.
Tabella 2: Reattori in funzione nel mondo, p.
8.
Scheda 1: Plutonio, ritrattamento del
combustibile, proliferazione, p. 38.
Tabella 3: Depositi mondiali di plutonio e
HEU, p. 38.
Scheda 2: Residui nucleari, isotopi “fertili”,
chiusura del ciclo, p. 39.
Tabella 4: Depositi di plutonio, HEU,
nettunio, americio, per paesi p.39.
Glossario dei simboli e acronimi, p. 40.
Appendice 1: Complementi tecnici sui reattori
di generazione I, II, III, IV, p. 41.
Appendice 2: Il torio, p.
Un’offensiva in grande stile: realistica
o velleitaria? O … business as usual?
Le campagne in atto da alcuni anni per una ripresa dei programmi nucleari “civili” per la produzione di energia elettrica si stanno trasformando in un’offensiva in grande stile, in cui rispuntano anche gli archeo-nucleari nostrani a fare da mosche cocchiere[4]. Forse la notizia recente più eclatante è la decisione del Governo laburista britannico di un massiccio rilancio dei programmi nucleari civili, prevedendo la costruzione di 22 nuove centrali, anche per la sostituzione di quelle esistenti, molte delle quali sono ormai alla fine della vita operativa. L’industria nucleare ha effettuato enormi investimenti[5], in una fase dell’economia mondiale in cui si punta piuttosto su profitti immediati, ed è determinata a raccoglierne i frutti: negli Usa Westinghouse e General Electric stanno rinnovando i propri impianti per commercializzare rispettivamente i nuovi PWR e BWR; l’europea Areva il reattore EPR (Evolutionary Power Reactor: il primo avrebbe dovuto entrare in funzione in Finlandia nel 2010, ma accusa già grandi ritardi, v. oltre) e la giapponese Mitsubishi l’APWR (Advanced Pressurized Water reactor). Anche l’industria russa si sta attivamente preparando. E la nostra Ansaldo ha ricostituito il settore nucleare.
È importante riprendere una riflessione puntuale, che non può limitarsi oggi a ripetere le analisi che abbiamo sviluppato in precedenza[6], ma deve misurarsi con i nuovi programmi e progetti, e con il modo in cui vengono presentati. Il grande pubblico è disorientato sia sulle finalità di questa offensiva (centrata sul problema della crisi climatica e delle emissioni di CO2, sbandierata, come cercherò di dimostrare, come e quando fa comodo), sia sui “reattori nucleari di IV Generazione, sui quali ben poco di specifico viene detto al grande pubblico (e pour cause!). In sostanza ritorna il vecchio ritornello dei nucleari: fidatevi di noi! Noi siamo i tecnici, abbiamo le competenze.
In effetti l’offensiva odierna ha a mio parere caratteristiche piuttosto diverse da quella che era partita alla fine degli anni ’50 (con la campagna “Atoms for Peace” lanciata dal Presidente Eisenhower nel 1953), e si arrestò negli anni ’80, dopo gli incidenti di Three Mile Island (Harrisburg) e di Chernobyl: richiede pertanto un esame e un’attenzione specifici. Quella fase si basava sulla commercializzazione dei reattori nucleari di II Generazione (dopo i prototipi della I Generazione), che varie industrie avevano realizzato sulla base delle tipologie di reattori realizzati per la propulsione dei sommergibili nucleari. In realtà c’è da chiedersi se quella fase sia mai realmente decollata: si vagheggiava della costruzione di migliaia di centrali nucleari in tutto il mondo, con promesse roboanti, come quelle che pronunciò nel 1954 il Direttore dell’AEC Lewis Strauss: “Non è troppo aspettarsi che i nostri figli usufruiranno di energia elettrica troppo economica per venire misurata, avranno notizia di carestie regionali periodiche solo come fatti storici, viaggeranno senza sforzi sui mari e nell’aria con pericoli minimi e a grandi velocità, ed avranno una durata della vita molto più lunga della nostra. Questa è la predizione di un’era di pace.”[7] I reattori di potenza e di ricerca realizzati si contano invece nell’ordine delle centinaia (v. Tabella 2, p.8), un ordine di grandezza in meno rispetto a quanto si prevedeva (o si voleva far credere): è un aspetto importante, perché la convinzione che esprimerò in queste note è che anche la massiccia campagna attuale finirà così. Per anticipare le conclusioni, credo che una ripresa, anche consistente, del nucleare a livello mondiale sarà inevitabile – sia per l’entità degli investimenti effettuati e dei programmi intrapresi, sia per una forma di acquiescenza dell’opinione pubblica – ma non credo che essa avrà le dimensioni di cui oggi si parla.
La grande differenza che vedo tra la fase passata e quella che dovrebbe aprirsi ora è che i megaprogetti futuri propongono un rilancio immediato, giustificato come “ponte” necessario verso un nucleare “sostenibile”, che dovrà basarsi su reattori di nuova generazione che ancora non esistono, anche se vari prototipi sono in fase di studio: una sorta di assegno in bianco, sulla fiducia, ad una lobby che non mi sembra l’abbia merita nel passato. La situazione in breve è questa. L’inadeguatezza della generazione di reattori nucleari precedenti è riconosciuta da tutti (e se non bastasse, sancita dall’industria energetica privata statunitense, che per un quarto di secolo non ha più ordinato un nuovo reattore!), e la conseguente necessità di realizzare reattori di concezione nuova. Ma questi reattori – detti di IV Generazione – per l’appunto ancora non esistono, e se ne prevede la realizzazione e la commercializzazione non prima del 2030-2040. Allora per un rilancio immediato del nucleare tutte le industrie hanno messo a punto reattori, detti di III Generazione, che sono modifiche evolutive – con indubbi miglioramenti anche sostanziali – di quei reattori di II Generazione che avevano tanti difetti, e che, data l’urgenza posta dalla crisi climatica e energetica attuale, dovrebbero intanto venire costruiti massicciamente in tutto il mondo nei prossimi 20 anni (si vagheggia di 100 nuovi reattori costruiti in Europa da qui al 2030!). Per vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso la lobby nucleare mette in campo le doti dei più consumati piazzisti, proponendo un mirabolante programma complessivo: la massiccia ripresa attuale aprirà la strada alla luminosa era del nucleare “sostenibile”, basato su cicli nucleari non proliferanti, possibilità di “bruciare” nei nuovi reattori i materiali fissili esistenti, riduzione drastica dei residui nucleari prodotti, disattivazione delle scorie più pericolose e, last but not least, produzione di idrogeno. Ancor prima di entrare nel merito, è doveroso osservare che non è serio promuovere un grandioso programma di rilancio fondato si una scommessa col diavolo, cioè confidando interamente su tecnologie nuove, non collaudate, che si stanno esplorando e non saranno disponibili prima di 30 anni: tecnologie notoriamente complesse, che possono presentare sorprese e difficoltà assolutamente impreviste, o non risultare alla fine praticabili o convenienti. Quante “sorprese” ha presentato la tecnologia nucleare dalla sua nascita? Quanti problemi di gravità inaudita ha creato, pressoché impossibili da risolvere? Da questi ,infatti, partiremo in questa analisi, perché la memoria storica dovrebbe essere la migliore garanzia per orientare le scelte future.
Per far tornare i conti di questo
ambiziosissimo programma vi è anche una notevole dose di spregiudicatezza, si
fa spesso il gioco delle tre carte, a seconda del contesto, contando come
positivi o negativi vari aspetti, mettendoli in conto o ignorandoli. Ad esempio,
i reattori nucleari dell’Europa dell’Est sono quelli additati sempre come i più
pericolosi e inaffidabili (“del tutto inaccettabili per gli standard di
sicurezza occidentali”[8]), da chiudere subito, ma quando si parla
della sostituzione dei vecchi reattori, o di allungare ancora per qualche
decennio la vita operativa dei reattori esistenti, o si fanno i conti della
potenza installata necessaria nei prossimi 20 anni, non si va più tanto per il
sottile e i distinguo sembrano scomparire (o almeno non vengono più
menzionati). Ma il discorso vale anche per i reattori occidentali di II
Generazione in funzione: dopo Harrisburgh e Chernobyl veniva detto “Mai più
questi reattori”[9], mentre ora sembra che se
ne magnifichino le caratteristiche, per allungarne appunto la vita operativa, e
si osserva che “Mentre nel 1990 gli impianti nucleari avevano in media un
fattore di carico (rapporto tra l’energia prodotta in un anno e quella che
avrebbe prodotto funzionando sempre a piena potenza) del 71%, mentre nel 2003 tale
rapporto è arrivato all’81%. Inoltre… per un gran numero di reattori è stato
autorizzato un aumento di potenza nominale spesso superiore al 10%, e in alcuni
caso superiore al 20%”[10]
(ecco uno dei punti in cui si dimenticano completamente le centrali dell’Est:
anzi, dopo pochi capoversi l’articolo “vanta”, nella classifica dei paesi
all’avanguardia nell’utilizzazione dell’energia nucleare,
Il gioco delle tre carte ricompare anche in un aspetto molto rilevante che emerge in particolare dall’analisi circostanziata dello studio dell’UCS[11]. Vi è una contraddizione, che sembra difficilmente superabile, tra gli standard di sicurezza (sia interni, sia rispetto ad eventuali attacchi terroristici) che si renderebbero necessari, e l’esigenza opposta di contenere i costi! Questo la dice lunga sulle trionfalistiche, quanto frettolose, pretese dei filonucleari dell’assoluta convenienza della scelta nucleare. È una storia che ha percorso tutte le polemiche sul nucleare nei decenni passati, ma che oggi richiederebbe un po’ più di serietà, e soprattutto di discutere a carte scoperte con i cittadini. Naturalmente, su questo aspetto se ne intrecciano molti altri. Al di là di qualsiasi considerazione, qualunque persona ragionevole capisce che una maggiore diffusione del nucleare aumenta i rischi di incidenti, proliferazione, o attacchi terroristici, e dovrebbe quindi basarsi si standard di sicurezza molto più alti di quelli dei reattori attuali: ma sembra lecito dubitare che sia così. Quando si parla di sicurezza ed incidenti i filonucleari ci sciorinano sempre i confronti con i rischi di altri impianti: ma questi confronti sono spesso destituiti di fondamento se si tiene conto dell’assoluta specificità e gravità di un incidente nucleare grave e delle sue conseguenze (senza con questo volere, ovviamente, sminuire la gravità di un incidente come quello di Bophal, per non parlare di quello provocato dal premeditato bombardamento degli impianti chimici nella ex-Iugoslavia: ma, come dichiara il documento dell’UCS, qui vogliamo concentrarci sul nucleare civile).
Cercherò ora di chiarire questi aspetti, entrando nel merito. Proprio le ultime considerazioni mi hanno suggerito l’opportunità di partire da alcune premesse generali, che ritengo necessarie per poter valutare i programmi attuali: alcune delle considerazioni della Parte 1 possono apparire lunghe, ma sono quelle che l’opinione pubblica maggiormente ignora, mentre viene abbindolata con la drammatizzazione del solo problema della CO2, ma tenuta all’oscuro degli avvelenamenti quotidiani ai quali è stata ed è sottoposta (non solo dal nucleare, purtroppo). Non possiamo accettare che i filonucleari ci ripropongano oggi candidamente i programmi nucleari, come angioletti che nulla hanno a che fare con i disastri pregressi! Chi fosse interessato solo alle considerazioni sui nuovi programmi nucleari può passare direttamente alla Parte 2. Ma è opportuna ancora una premessa generale.
Una proposta irresponsabile di crescita
dei consumi
Una caratteristica accomuna i programmi nucleari dei decenni passati con le proposte attuali: la promessa di energia elettrica a basso costo. Ricordo bene che la questione dei costi del nucleare è sempre stata, fin dagli anni ’70, come la trippa, che ognuno tira un po’ come vuole: e credo che tanto meno ci sarà modo di chiarirla ora. Ma prima di portare alcuni elementi a questo proposito, voglio dire con molta chiarezza che la critica più radicale che, prima di ogni altra, muovo personalmente ai programmi di rilancio del nucleare – e che ritengo senza mezzi termini irresponsabile e criminale – è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e risorse e a crescere impunemente, tanto ci penserà il nucleare, quando è ormai chiaro che il Pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumi di questo genere, anche se riuscissimo ad arrestare tutte le emissioni di CO2: mi sembra appunto irresponsabile che la lobby nucleare, ammantandosi di motivazioni “ambientaliste”, assecondi surrettiziamente i più bassi istinti della gente, pretendendo di garantirli in nome della propria autorità. Basta vedere il modo in cui viene liquidato il risparmio energetico: “palliativo transitorio verso soluzioni più sostenibili a lungo termine”[12]. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: potete continuare a consumare e sprecare energia. L’articolo di Mathis e Monti specifica esplicitamente: “La via più efficace per ridurre le emissioni di gas che provocano l’effetto serra, mantenendo lo sviluppo economico“[13] (corsivo mio). Ovviamente, anche le fonti rinnovabili vengono liquidate, o retrocesse a ruolo sussidiario rispetto al nucleare: ma questo fa parte del gioco. Del resto, noi diciamo che le fonti rinnovabili devono assolutamente venire sviluppate, anche consapevoli di problemi paesaggistici e ambientali che comportano, ma che senza una drastica riduzione dei consumi ed un radicale cambiamento dei modelli di consumo e di vita non c’è futuro (dove “radicale cambiamento” non significa affatto “peggioramento”, visto il livello di degrado a cui stanno arrivando i livelli e la qualità della vita, ma può essere invece una grande opportunità storica per ritrovare un rapporto sano con la natura, ammesso che non sia troppo tardi).
In tutta l’analisi che segue vi è un altro punto, collegato al precedente, che risulta cruciale: per mezzo del nucleare si produce solo energia elettrica, che a livello mondiale rappresenta meno di un quinto dei consumi energetici totali (e il nucleare, di conseguenza, appena il 2,5 %!). È vero che i programmi che vengono proposti con i reattori di nuova generazione pretendono di applicarli nel futuro (in realtà lontano) ad altre funzioni, come la produzione di idrogeno o la dissalazione dell’acqua in regioni desertiche. Ma tutto è da dimostrare. Dovremo ritornare su questi aspetti molto importanti, anche in relazione alla pretesa diminuzione delle emissioni di CO2 in atmosfera.
PARTE 1:
PRESUPPOSTI E CONTESTO GENERALE
Dimenticare Chernobyl (e ovviamente
Harrisburg)
Vi è ovviamente un altro presupposto necessario per sferrare l’offensiva attuale: mettere in soffitta Chernobyl. Il ventennale di quel tragico, epocale, disastro è stata l’occasione per questa operazione di minimizzazione e rimozione. Analisi di autorevoli agenzie[14] hanno cercato di accreditare una verità difficilmente credibile, secondo cui l’incidente più grave dell’era nucleare - “il reattore bruciò per 10 giorni, liberando 400 volte la radioattività rilasciata dalla bomba di Hiroshima”[15] - dopo avere contaminato quasi tutta l’Europa (e forse non solo), provocherà poche migliaia di tumori, difficilmente distinguibili dagli effetti del fondo naturale di radioattività! Molto più prudenti e critiche sono state autorevoli riviste scientifiche[16]. Il picco per certi tumori può verificarsi dopo 20 anni, o anche 40; si registrano aumenti “di tutti i tipi di malattie” (tra cui anche disturbi psicologici e mentali). Risultano cruciali le controverse valutazioni degli effetti delle piccole dosi: un rapporto commissionato dai Verdi al Parlamento Europeo valuta che la radiazione da Chernobyl potrebbe causare tra 30.000 e 60.000 decessi[17]. Più radicale il rapporto di Greenpeace[18]:
[...] nelle sole Bielorussia, Russia ed Ucraina si
stima che l’incidente abbia provocato 200.000 morti addizionali tra il 1990 e
il 2004. […] Le lacune sostanziali nei
dati disponibili, combinate con profondi
disaccordi tra le stime sull’incidenza e l’eccesso di certi tumori ed altre
malattie, impediscono di trarre qualsiasi
valutazione unica, solida e verificabile delle conseguenze sanitarie umane
complessive, lasciando questioni fondamentali senza risposta.
Naturalmente degli incidenti
precedenti nemmeno si parla più. Secondo la versione “ufficiale” la gravità
dell’incidente di Three Mile Island del 1979 viene liquidata affermando che non
ha avuto conseguenze sulla salute della popolazione. Ma le ricerche sulle conseguenze
dell’incidente sono state poche, discontinue, e limitate all’area più prossima
alla centrale, per cui non è possibile dire se l’incidente abbia o non abbia
causato vittime. Le conclusioni sono controverse, ma gli aumenti dei numeri di
morti infantili, tumori ed altre malattie sembrano inequivocabili[19]. Del
resto poco si parla dei ripetuti incidenti nel paese secondo al mondo come
programmi nucleari, il Giappone (v. Tabella 1): dimenticato il gravissimo
incidente di TokaiMura[20] del
1999, pochissimo si è saputo anche di quello del 2007 dovuto a un terremoto.
Nel
Tabella 1
L’impressionante serie di incidenti agli impianti nucleari giapponesi
·
8 dicembre 1995. Il reattore veloce di Monju viene
chiuso dopo un grave incidente.
·
11 marzo 1997. Esplosione e incendio all’impianto
di ritrattamento di Tokaimura, rilascio di radiazioni, 37 lavoratori esposti. I
gestori dell’impianto ammettono di avere atteso 5 ore prima di informare le
autorità
·
30 settembre 1999. Il più grave incidente in Giappone,
ancora nell’impianto di ritrattamento di Tokaimura: nella preparazione di
combustibile nucleare per il reattore veloce sperimentale JOYO, versando in un
recipiente inadatto nitrato di uranile arricchito al 18,8 %, viene superata la
massa critica, si innesca una reazione a catena, fortunatamente arrestata prima
di un’esplosione, ma prodotti di fissione si diffondono nell’ambiente. 3
lavoratori gravemente contaminati, 2 deceduti, altri 119 esposti a radiazioni
(dosi superiori a 1 mSv #); decine di residenti ospedalizzati e
decine di migliaia costretti a rimanere in casa per 24 ore.
·
Settembre 2002. la più grande centrale giapponese,
TEPCO, costretta a spegnere i rettori per 17 ore per timori sulla sicurezza,
dopo avere ammesso la falsificazione di dati sulla sicurezza.
·
9 agosto 2004. La fuoriuscita di acqua bollente e
vapore per la rottura di una conduttura nel reattore-3 della centrale di Mihama
uccide 5 lavoratori.
·
16 luglio 2007. Il più grande impianto nucleare del
mondo viene chiuso per i danni causati da un terremoto di magnitudine 6,8
Un dirigente del Citizens' Nuclear
Information Centre di Tokyo, Satoshi Fujino, dichiara che gli incidenti
hanno una doppia causa, inadeguatezza della normativa governativa, e la cultura
del management dell’industria di
nascondere gli errori: negligenza nei controlli di sicurezza preventiva e delle
ispezioni. “Il segreto sembra essere una caratteristica dell’industria
nucleare, specialmente in Giappone … l’informazione viene occultata facilmente,
perché il sistema sociale sostiene questo tipo di cultura” (Sarah Buckley, “Japan’s shaky nuclear
record”, BBC New Online, 24/03/2006 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/3548192.stm).
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# Il Sievert (Sv) è l’unità di misura
della dose efficace di radiazione assorbita, che tiene conto del diverso fattore di qualità delle varie
radiazioni ionizzanti, e del diverso fattore
peso dei vari tessuti: le norme di radioprotezione stabiliscono in 5 mSv
(millesimi di Sv) la dose massima annua
consentita per la popolazione, 50 mSv per i lavoratori professionalmente
esposti.
Impianti nucleari giapponesi ordinati cancellati:
·
Impianto
di Hōhoku , Yamaguchi - cancellato nel 1994
·
Impianto
di Kushima, Miyazaki - cancellato nel
1997
·
Impianto
di Ashihama, Mie - cancellato nel 2000
·
Impianto
di Suzu, Ishikawa - cancellato nel 2003
·
Impianto
di Maki, Niigata
(Kambara) -
cancellato nel 2003
Vale la pena ricordare ancora
almeno l’incidente, scarsamente menzionato, nell’impianto di ritrattamento britannico di Sellafield, dove nel 2004
si verificò una fuga della soluzione acida del combustibile irraggiato, che
venne rivelata solo dopo 8 mesi, quando erano già usciti 83 mila litri di
soluzione contenenti
Ma piuttosto
che ritornare su queste meschinerie, i vessilliferi del nuovo nucleare ci
rassicurano, dall’alto della loro scienza, sull’assoluta sicurezza dei nuovi
reattori: … come se già esistessero e fossero sperimentati! (Come è necessario
per qualsiasi tecnologia innovativa)
Tabella 2
Reattori
nucleari in funzione nel mondo, agosto 2005
(A.
Clerici, ABB
Italia, Il nucleare nel mondo:la situazione e le tendenze)
In funzione: 438
In costruzione: 26
Ordinati o
pianificati: 37
Proposti: 74
EUROPA OCCIDENTALE: 135 reattori, 124.154 MWe
PAESI EUROPA DELL’EST: 69 reattori, 47.793 MWe
I programmi “civili” sono subalterni a
quelli militari
Vi è poi un aspetto fondamentale per valutare correttamente i nuovi progetti: i programmi nucleari “civili” sono sempre stati subalterni ai programmi militari. Basti pensare che in questi 60 anni sono state costruite nel mondo poche centinaia di reattori “civili” (Tabella 2, p. 8), a fronte di un numero maggiore di reattori militari e per la propulsione dei sommergibili, e di circa 130.000 bombe! Ma il costo dei programmi militari è in realtà enormemente più grande, poiché richiedono un sistema integrato di enorme complessità e altissima tecnologia: lanciatori, sommergibili nucleari, sistemi satellitari di allarme, di allerta e di controllo e comando, addestramento del personale, manutenzione e verifica delle testate, ecc. Inoltre, la dipendenza del nucleare “civile” da quello militare non è solo una questione di numeri, ancor più significativo è che le industrie che producono i componenti delle centrali nucleari sono anche le produttrici delle componenti delle bombe nucleari: è l’aspetto sostanziale del Complesso militare industriale che drivò proprio dal grande investimento bellico e dal Progetto Manhattan. Senza questa connessione lautamente finanziata, l’industria energetica nucleare sul mercato non avrebbe retto: le due principali produttrici di impianti nucleari, General Electric e Westinghouse, negli anni ’80 coprivano rispettivamente il quarto e il quindicesimo posto come fornitrici di contratti per la difesa USA.
La Francia – portata sempre ad esempio per la sua radicale scelta nucleare civile – è una realtà del tutto eccezionale e non ripetibile per molti motivi, ma in primo luogo perché lo Stato ha gestito il massiccio programma elettronucleare ed energetico nel contesto, e in funzione della costruzione di uno degli arsenali di armamenti nucleari più moderno ed efficiente del mondo: vi ritornerò in dettaglio.
Il problema dei rischi di proliferazione legati allo sviluppo di programmi nucleari civili non può assolutamente essere lasciato in secondo piano, come fa oggi la lobby nucleare, poiché è sempre stato il cavallo di Troia con cui è passata la realizzazione di armi nucleari. I vessilliferi del nucleare ci rassicurano sui futuri (?!) cicli nucleari non proliferanti: come vedremo, questo è molto opinabile; e intanto tutti i reattori che ci propongono di realizzare, in gran numero, da qui al 2040 si basano sul ciclo nucleare tradizionale, e sono quindi destinati ad alimentare i rischi di proliferazione nucleare militare, oltre a tutti i problemi legati al nucleare.
Avvelenamento premeditato, comunque
criminale
Alla luce di queste ultime considerazioni sembra necessario aggiungere che non solo gli incidenti e i disastri nucleari vengono rimossi, ma tutta intera la gravissima responsabilità del nucleare nell’arco degli ultimi 60 anni. L’analisi che segue è dichiaratamente di parte, poiché non intendo (né sarei in grado di) fornire un quadro generale imparziale: il rilievo che darò ai punti di vista e agli studi alternativi è dovuta al fatto che il punto di vista ufficiale e rassicurante li trascura o li sottovaluta sistematicamente, per cui essi sono meno noti e più difficilmente reperibili. La tecnologia nucleare, in tutte le sue forme, ha infatti provocato un drammatico inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre, con conseguenze gravissime sulla salute e sull’ambiente. Fino al 1963 furono eseguiti ben 530 test nucleari nell’atmosfera[25], molti nel deserto del Nevada; Francia e Cina li hanno proseguiti ben oltre (193 test a Moruroa e Fangataufa dal 1966 al 1974, con gli ultimi nel 1996), con drammatiche conseguenze sulla salute delle popolazioni locali, fino all’Australia e alla Nuova Zelanda, e dei veterani francesi e britannici. Si tenga conto che nelle testate nucleari più perfezionate, odierne, la percentuale di uranio o di plutonio che fissiona non arriva al 40 %, a causa della disintegrazione della testata che estingue la reazione a catena: l’uranio o il plutonio rimanenti, alle temperature di milioni di gradi dell’esplosione, si diffondono nell’atmosfera sotto forma di nanoparticelle. I disastri ad impianti e centri nucleari in Unione Sovietica sono stati apocalittici, e non completamente documentati[26].
Nel 2002 il Governo USA ha ammesso che tutti i residenti fino al 1963 sono stati esposti al fallout radioattivo di questi test. È documentata la concentrazione dello Stronzio-90 radioattivo nei denti e nelle ossa dei bambini[27]: dopo il 1963 i livelli di Stronzio-90 diminuirono, ma non scomparvero, per i rilasci dei test cinesi e francesi in atmosfera, dei test sotterranei statunitensi e sovietici, nonché del numero crescente di reattori nucleari attivi[28]. Gli effetti ritardati appaiono oggi, la popolazione statunitense soffre di un’epidemia di malattie legate alle radiazioni[29]: mortalità infantile, sottopeso alla nascita, cancri, leucemie, disturbi cardiaci, autismo, diabete, Parkinson, asma, sindrome da affaticamento cronico, ipotiroidismo in neonati, obesità, danni al sistema immunitario; un bambino su 12 negli Stati Uniti è considerato disabile[30].
Le autorità sono sempre state
consapevoli degli effetti della radioattività sulla popolazione, ma li hanno
taciuti e coperti[31] con
il pretesto della “sicurezza nazionale”: in molti paesi questi effetti sono
stati sperimentati su “cavie umane” ignare[32]. Ma
la verità ufficiale – avallata dalla “autorità”, tutt’altro che neutrale, della
comunità scientifica − fa acqua da tutte le parti! Sternglass valuta che
negli USA l’esposizione alle radiazioni ionizzanti abbia causato tra il 1945 e
il 1996 un milione di decessi infantili[33]. Rosalie
Bertell, con una critica dei criteri ufficiali dell’Agenzia Internazionale per
l’Energia Atomica (IAEA) e della Commissione Internazionale sulla
Radioprotezione (ICRP), conclude che: “Fino ad 1 miliardo e 300 milioni di
persone sono state uccise, mutilate o ammalate dall’energia nucleare dalla sua
nascita”[34]. Anche supponendo che
tale conclusione sia eccessiva,
A tutto ciò si aggiungono, last but not least, le conseguenze dell’uso largamente pretestuoso e abnorme dei proiettili ad uranio depleto (DU), che costituisce, non dimentichiamolo, la “coda” del ciclo del combustibile nucleare: mentre si paventa la realizzazione e l’uso di una dirty bomb (bomba sporca) radioattiva da parte di presunti terroristi, i proiettili ad uranio depleto costituiscono a tutti gli effetti una di queste armi, usata dagli USA e i suoi alleati su larga scala, tale da configurare una vera guerra radiologica.
Giacché siamo entrati nel tema
delle guerre attuali, vale la pena di sottolineare, ancora, la contraddizione
tra la strumentalizzazione del pericolo
di attentati terroristici e la progettata proliferazione di centrali
nucleari: sembra evidente la perfetta sintonia con il processo di
militarizzazione della società civile e di svuotamento dei principi
democratici. A tale proposito vale la pena soffermarsi a titolo di esempio
sulla centrale nucleare di Diablo Canyon, negli USA, sulla quale avremo
occasione di ritornare per altri aspetti. Nel 2006 le Mothers for Peace (MFP) di San Luis Obispo avevano vinto un
giudizio alla Corte Federale che obbligava
PARTE 2: LE
PROPOSTE DI RILANCIO DEL NUCLEARE CIVILE
Mi sono dilungato su queste premesse perché le proposte dei nuovi programmi nucleari non sono funghi che nascono su un terreno vergine. La memoria del passato (e le sue conseguenze, gravissime, sul presente) deve essere sempre maestra per il futuro: ed è proprio quella che i nuovi vessilliferi vogliono rimuovere per parlarci delle magnifiche sorti progressive del nucleare. Veniamo dunque a queste. Ho cercato di orientarmi in alcuni documenti che si presentano come proposte organiche e coerenti: questo è un primo tentativo di lettura e di interpretazione, largamente provvisorio, dei nuovi programmi nucleari da qui al 2050 (così infatti essi vengono presentati). Non mi risulta facile trovare un filo logico di discussione, perché i nuovi progetti ad una prima lettura si presentano come programmi organici, dotati di una logica e coerenza interne, per cui è necessario smontarli e sezionarli per trovare le contraddizioni.
I due step: da qui al 2030 (o 2040?), poi fino al 2050
Ho sottolineato nell’Introduzione
i due step su cui esplicitamente si basano i programmi per un massiccio
rilancio immediato dei programmi nucleari, spacciati però come “ponte” verso un
futuribile nucleare nuovo (di IV
Generazione), che si promette sarà assolutamente sicuro, non proliferante,
produrrà pochi residui nucleari e meno pericolosi, consentirà di “bruciare” o
utilizzare energeticamente anche quelli attuali, garantirà quindi combustibile
nucleare pulito per centinaia di anni, e chi più ne ha più ne metta. Tutto di là da venire, però! Mi sembra
pertanto corretto, e necessario, impostare l’analisi di questi aspetti prima di
discutere la natura dei programmi per i reattori di IV Generazione [discuteremo
le varie Generazioni di reattori e le loro caratteristiche nell’Appendice].
La prima domanda è: quando sono previsti i reattori di IV
Generazione? La parolina magica usata nei documenti è: “dopo il
Il nucleo dei nuovi programmi diviene quindi il rilancio del nucleare subito! Qui sta a mio parere il primo bluff, anzi la “madre” di tutto il bluff. Mentre si favoleggia delle meravigliose proprietà dei nuovi reattori di là da venire, in particolare delle capacità che essi avranno di risolvere tutti i problemi creati fino ad oggi dai reattori nucleari, si propone un colossale rilancio del nucleare basato su reattori senza dubbio migliorati rispetto a quelli del passato, ma che fino al 2040 (?) aggraveranno ulteriormente tutti i problemi creati dal nucleare!
Proposta realistica?
È importante vedere subito
l’entità del rilancio nucleare che viene proposto, e valutarne l’attendibilità,
prima di esaminarne la composizione specifica e le eventuali contraddizioni. I
documenti si rifanno alla valutazione del World
Energy Council[39] (che
prevede per il 2030 una crescita della domanda di energia del 55 %, coperta per
l’84 % dai combustibili fossili). Il documento della Commissione Europea
considera diversi scenari per il possibile ruolo dell’energia nucleare per
l’anno 2050 nel mondo[40]: per
quello che potremmo chiamare intermedio (“coprendo parzialmente il deficit
lasciato da altre fonti energetiche”), prospetta che “l’attuale potenza
nucleare installata [369.000 MWe: potenza elettrica, in 30 paesi] venga
moltiplicata per tre volte e mezzo”, giungendo nel
Se consideriamo i programmi per la sola Europa, il discorso è analogo. Il ritmo di declino della potenza complessiva (fossile e nucleare) attualmente installata in Europa condurrebbe ad una diminuzione del 60 % verso il 2030[41]: “una capacità di almeno 800.000 ÷ 900.000 MWe sarà necessaria entro il 2030 per rimpiazzare la capacità esistente e far fronte ai bisogni crescenti. È ragionevole assumere che… almeno 100.000 MWe saranno prodotti da reattori nucleari di Generazione III. Questo corrisponde alla costruzione di un centinaio di grandi reattori”. Di nuovo, se si iniziasse subito la costruzione su scala massiccia (attualmente i reattori in costruzione sono 2), nella sola Europa dal 2020 si dovrebbero inaugurare 3-4 nuovi grandi reattori all’anno (o un numero maggiore di reattori, o di moduli, di taglia più piccola).
A questo punto, inoltre, sorge un
ulteriore rilievo, che avevo anticipato. Quando si entra nel merito dei
programmi di costruzione/sostituzione dei reattori nucleari scompare nei
documenti qualsiasi accenno ai “pericolosissimi” reattori dell’Europa dell’Est.
Sembra che nessuno si preoccupi di chiarire quale sia il destino previsto per
questi reattori. Il rapporto della Commissione Europea, dopo l’esposizione
dell’entità dei programmi futuri, osserva in modo assolutamente equivoco e
fuorviante che “Nell’Unione Europea dei 27 è in funzione un totale di 152
reattori in 15 Stati Membri”! [42]
Dalla Tabella 2 risulta che nei paesi dell’Est (compresa
L’entità dei programmi proposti non si limita ovviamente all’Europa. Così
si cita[45]
che il Giappone (che ha in esercizio 52 reattori) dovrebbe raddoppiare la
potenza nucleare installata per il 2050, portandola a 90.000 MWe, e in più installare 20.000 MW termici di
calore di origine nucleare per produrre idrogeno: inaugurare almeno una
cinquantina di centrali nucleari (senza contare la sostituzione di una parte di
quelle attuali) per il 2050 vorrebbe dire un ritmo di più di una centrale
all’anno! Proseguendo, l’India prevederebbe di installare 250.000 MWe di potenza
nucleare per la metà del secolo: lascio fare a voi il conto del ritmo folle di
costruzione di nuovi reattori.
Dovremo poi tornare sul contributo effettivo di tali progetti alla produzione energetica ed alla pretesa diminuzione delle emissioni di CO2.
Una digressione sui tempi di costruzione
A proposito delle considerazioni sull’entità e la tempistica dei programmi nucleari è opportuno aprire subito una parentesi. Non possiedo dati generali sui tempi di costruzione delle centrali nucleari, né sono in grado di valutarli nel merito: mi limiterò ad un paio di esempi, uno per il passato, ed uno per il presente/futuro.
Abbiamo accennato poco sopra ad alcuni problemi concernenti la centrale di Diablo Canyon in California. La sua costruzione ed entrata in funzione sono state molto tormentate. La centrale, di proprietà della Pacific Gas & Electric, ha due reattori PWR della Westinghouse da 1.000 MWe ciascuno: la loro costruzione iniziò rispettivamente nel 1968 e nel 1970, ma ostacoli normativi e legali e proteste dei cittadini ritardarono l’esercizio commerciale di almeno 6 anni, rispettivamente fino al 1985 e 1986 (17 e 18 anni complessivi). Vi sono stati indubbiamente problemi specifici, oltre agli aggiornamenti della normativa dopo l’incidente di Harrisburg: negli anni ’70 si scoprì la faglia geologica di Hosgri a due km dalla costa (cosa inaspettata in California?!), capace di provocare un terremoto paragonabile a quello di San Francisco del 1906.
Il caso di Diablo Canyon sarà stato eccezionale, ma non può non richiamare alla mente il recente, e mai chiarito, incidente alla centrale giapponese dovuto a un terremoto! Ma ci è stato sempre assicurato che le centrali sono a prova di terremoto (e di terroristi). D’altra parte, siamo ormai abituati al fatto che tutte le grandi opere vengono realizzate con consistenti ritardi e lievitazione dei costi previsti.
È istruttivo allora l’andamento della costruzione del primo nuovo reattore francese EPR di Generazione III ad opera del consorzio Areva-Siemens in Finlandia (Olkiluoto-3): il 28 dicembre 2007 è stato annunciato[46] un ulteriore ritardo nella costruzione, dopo altri annunciati in precedenza, che porterebbero (per ora!) ad un ritardo complessivo di 2 anni e mezzo (estate 2011) ed un aumento dei costi previsti probabilmente di 3 miliardi di euro. Il governo finlandese è diviso sull’energia nucleare.
PRIMA
FASE, FINO AL 2040
Il rilancio immediato (reattori di
Generazione III, per la “rinascita
nucleare”[47])
e prossimo (reattori di Generazione III+)
Come dovrebbe avvenire questo rilancio? Consideriamo il primo step, da qui al 2030 (o più verosimilmente almeno 2040). Al momento sono disponibili e in fase iniziale di costruzione solo i reattori di Generazione III, quelli ulteriormente migliorati di Generazione III+ sono previsti per il 2010-2015: incertezza di data per lo meno sconcertante, a fronte della decisione con cui viene proposta la ripresa, visto che siamo già nel 2008, e conosciamo bene i ritardi che tutti i grandi progetti accumulano regolarmente, ma il nucleare in particolare.
Non sono ovviamente in grado di entrare nel merito delle caratteristiche tecniche dei reattori, delle rispettive modifiche e innovazioni, ma si presentano comunque barie osservazioni e domande inquietanti. Si prevedono tre passi successivi.
1. Il primo passo proposto è l’allungamento della vita di esercizio dei reattori ad acqua leggera (LWR) di Generazione II esistenti, in attesa che quelli di Generazione III siano costruiti ed entrino in funzione: “La vita media [dei 152 reattori in funzione in Europa] si avvicina a 25 anni, a fronte di una vita tipica nel progetto iniziale di 30-40 anni”[48]. Dei 103 reattori in funzione negli USA sono per la maggior parte molto vecchi e dovrebbero venire chiusi nei prossimi 15-20 anni; In Gran Bretagna 18 dei 19 reattori in funzione devono essere chiusi verso il 2020 (4 reattori sono stati chiusi nel gennaio 2007). Non sono in grado di valutare tecnicamente questa possibilità, ma è legittimo esprimere almeno qualche riserva sul fatto che l’allungamento della vita operativa delle vecchie centrali sia consistente con il mantenimento (tanto meno il miglioramento) della sicurezza! Ireattori che invecchiano saranno presumibilmente più pericolosi, e delle “garanzie” fornite dai nuclearisti abbiamo imparato a dover diffidare. Senza contare che, ancora una volta, i vecchi reattori sovietici dei paesi dell’Europa dell’Est (ben 22 reattori nella EU, cioè senza quelli di Ucraina e Russia, Tabella 2) non vengono nemmeno menzionati! Anche di quelli si pensa di allungare la vita? Non sono più pericolosi? Così sembra, visto che delle centrali nucleari acquistate dall’ENEL in Slovacchia, due delle quattro di Bohunice dovrebbero essere chiuse nel 2006 e nel 2008, mentre si pensa di prolungare il funzionamento, per tutte quattro, di 10 anni!
2. Il secondo passo proposto è l’avvio immediato, e massiccio, della costruzione di reattori di
Generazione III: “La rinascita del mercato nucleare con la costruzione di
un gran numero di impianti nucleari di potenza si baserà necessariamente su
rettori ad acqua leggera (LWR, Light
Water Reactors) di Generazione III, che offrono maggiore sicurezza ed
affidabilità e le migliori tecnologie disponibili per il trattamento
responsabile del combustibile irraggiato”[49]. “Le
decisioni sui nuovi investimenti sono necessarie senza ritardi”. I reattori Avanzati di Generazione III [rinviamo,
come detto, all’Appendice per ulteriori dettagli] sono versioni dei reattori
commerciali di II Generazione che incorporano modifiche e miglioramenti per
ridurre la possibilità di incidenti, incorporazione di meccanismi di sicurezza
passivi (che non richiedono l’intervento umano), progetto più compatto,
maggiore efficienza, riduzione del consumo di combustibile e della produzione
di scorie, lunga vita di esercizio (60 anni). Si tratta di reattori “già
certificati e disponibili sul mercato, comprendono innanzi tutto i reattori
avanzati ad acqua naturale, alcuni già in funzione in Giappone, come l’Advanced Boiling Water Reactor (ABWR da
1.400 MWe progettato da General Electric [che commerciava il BWR di II
Generazione] e Toshiba) altri, come l’European
Pressurized-water Reactor (EPR da 1.600 MWe fornito da Framatome ANP [con
partecipazione per il 12,5 % dell’ENEL]), in fase di ordinazione. Westinhouse
[che commercializzava il PWR di II Generazione], con il concorso dell’italiana
Ansaldo Nucleare, ha applicato la tecnologia passiva all’Advanced Passive-600 (AP600) e, successivamente, al AP1000, che
risultano essere gli unici impianti a sicurezza passiva approvati dalla NRC
americana”[50]. Del reattore EPR è in
costruzione l’impianto in Finlandia, di cui abbiamo già parlato, e
3. Terzo passo. Dopo il 2010-2015 dovrebbero essere disponibili i reattori di Generazione III+, “una classe di reattori evolutivi rispetto ai precedenti … Fra essi si citano l’Advanced CANDU Reactor [ACR: il CANDU è il reattore canadese di II Generazione a uranio naturale e acqua pesante[52]], in corso di certificazione in Canada, Cina, USA e Regno Unito; i reattori refrigerati a gas ad alta temperatura come il Pebble Bed Modular Reactor[53] (PBMR, “a letto di sfere”), sviluppato in Sudafrica col supporto di esperti tedeschi, ed il GT-MHR, reattore modulare refrigerato a gas da 100 MWe progettato da General Atomics (USA). Una menzione particolare tra i reattori di questa generazione merita lo International Reactor Innovative & Secure (IRIS), sviluppato da un ampio consorzio internazionale guidato da Westinghouse e di cui fanno parte anche università, organizzazioni di ricerca e imprese italiane”[54] [v. l’Appendice per ulteriori dettagli].
Mi sembra che si impongano alcune osservazioni su questa tempistica e le sue implicazioni. In primo luogo, nemmeno questi reattori di Generazione III+ – che sembrano effettivamente incorporare alcune concezioni nuove, pur rimanendo concetti “evolutivi” rispetto ai reattori precedenti – possono considerarsi realmente disponibili sul mercato, in ogni caso non come filiere commerciali adeguatamente sperimentate, L’EPR in costruzione in Finlandia soffre di ritardi e aumenti di costi. Siamo certi che funzionerà con gli standard di sicurezza previsti a tavolino? Anche il grande numero di prototipi in fase di studio e realizzazione dalle industrie in spietata concorrenza desta perplessità e riserve: “Il gran numero di progetti di reattori che richiedono la certificazione – alcuni decisamente al di fuori dell’esperienza di base della maggior parte dello staff del NRC – e l’incertezza su quali proposte sono serie presentano sfide significative al NRC. È difficile per l’agenzia giustificare lo sviluppo di competenze per valutare concezioni di reattori non familiari quando non è chiaro se essi sono fattibili”[55]. Si deve sottolineare che fino a ora nessuna impresa statunitense ha ordinato nessuno dei reattori avanzati di Generazione III e III+.
In secondo luogo, vedremo come per la fase successiva al 2040 ci viene presentata la prospettiva di reattori con cicli non proliferanti, che dovrebbero produrre pochissime scorie, e sarebbero capaci di bruciarle e disattivare le componenti più pericolose. Ma nel frattempo la massiccia ripresa della costruzione di reattori che viene proposta continuerebbe ad aggravare i problemi di sempre: anche se in misura ridotta (vogliamo crederci) ma gli effetti cumulativi non sembrano indifferenti. Nell’agosto 2005 l’autorevole rivista Science pubblicò un dossier generale[56] molto ben fatto ed equilibrato. Per il reattore “a letto di sfere” (Pebble Bed Modular Reactor, PBMR, per il quale osservava che riprende un prototipo che ha funzionato in Germania dal 1968, chiuso dopo l’incidente di Chernobyl) riconosceva innegabili vantaggi, ma aggiungeva giustamente che “una cosa che non risolve è il problema delle scorie”, che verrebbero anzi prodotte in volumi maggiori! [Infatti la presenza della grafite aumenta il volume delle scorie di almeno un fattore 10]. C’è realmente una logica nella proposta di un rilancio massiccio a breve termine? Esso non risolverebbe infatti, ed anzi aggraverebbe ulteriormente i problemi precedenti, in base a un ipotetica e tutt’altro che dimostrata “promessa” della soluzione decisiva … fra 30 anni. D’altra parte gli stessi Mathis e Monti ammettono candidamente che “si stima che gli attuali reattori in esercizio [negli USA] produrranno nel corso della loro vita oltre 90.000 tonnellate di residui radioattivi ad alta attività, quantità che eccede la capacità del deposito geologico federale di Yucca Mountain”[57], la cui costruzione peraltro è ferma!
E che ne sarà, in attesa delle
soluzioni salvifiche dopo il 2040, della proliferazione nucleare? Mi sorprende
molto, ad esempio, il modo in cui si parla (o si tace) dell’India. Lo shock dei test nucleari del 1998 è
passato molto presto, se gli Usa hanno stipulato con l’India il ben noto accodo
“storico” sul nucleare, ancorché “civile”! Accordo che sembra fatto apposta per
mettere in soffitta il Trattato di Non Proliferazione, legittimando di fatto
una delle maggiori potenze nucleari, cresciuta al di fuori del trattato, e
contrapposta, oltre che alla Cina (forse il maggiore obiettivo di Washington),
al Pakistan, che ha un arsenale nucleare in mano a militari assolutamente
imprevedibili e inaffidabili! Ora, dell’India e di questo scellerato accordo il
Rapporto della Commissione Europea non parla affatto, mentre l’articolo di Mathis
e Monti ne parla in termini a dir poco asettici e a mio parere mistificanti[58].
Bisogna aggiungere che, a parte le forti tensioni all’interno della compagine
che sostiene il governo indiano, la breccia che si potrebbe aprire nel
commercio di materiali e apparecchiature nucleari potrebbe risultare molto
grave: è in gioco il delicatissimo problema dell’apertura al commercio con
l’India da parte del Nuclear Suppliers
Group, che controlla il
trasferimento di materiale e tecnologie nucleari tra stati in conformità con il
TNP (analogo problema sussiste con il Brasile, che ha realizzato quel processo
di arricchimento dell’uranio che viene contestato all’Iran, ed ha avuto
comportamenti non meno ambigui con
I nostri filonucleari prendono
molto alla leggera il problema del pericolo degli armamenti e della
proliferazione nucleari, proprio in un momento in cui questi rischi vengono
denunciati con crescente preoccupazione (basti ricordare l’allarmata, per
quanto tardiva, presa di posizione di appena un anno fa di ‘pezzi da
Lo spinoso problema dei costi dei
programmi nucleari
Prima di venire al luminoso
avvenire del nucleare dopo il 2040, vale la pena una digressione sui costi di
questi programmi (sui reali costi dei reattori di IV Generazione credo che
nessuno sia in grado di fare previsioni che si possano considerare attendibili,
stanti anche le grandi incertezze dell’economia e degli assetti mondiali). Il
problema dei costi è sempre stato uno dei più contrastati argomenti concernenti
il nucleare: i filonucleari lo hanno sempre liquidato con grande sicumera, che
non sembra essere stata confermata dai fatti (anche perché i costi dei
programmi nucleari del passato non sono affatto chiusi, per i gravissimi
problemi aperti e gli strascichi non risolti (basti pensare al problema dei
residui nucleari, detti di solito “scorie”). Per il passato mi permetto di riproporre
una considerazione che ho avanzato altre volte. Come paragonare ad esempio i
costi dei programmi nucleari civili in Francia e negli USA? Nel primo paese lo Stato ha realizzato, e si è accollato
i costi, dei programmi civili e militari, e sfido chiunque a fare una
valutazione attendibile dei puri costi di uni di essi: il basso costo
dell’energia elettrica nucleare venduta dalla Francia non rispecchia
direttamente i costi economici effettivi. Negli USA l’industria energetica è
sempre stata privata: ed ha capito
così bene quanto il nucleare sia conveniente, che per quasi 30 anni non ha
ordinato nuove centrali nucleari!
Venendo in generale al problema
dei costi, non sono certamente in grado di entrare nel merito dei calcoli, ma è
necessario dare spazio a considerazioni e dati – la cui origine può
difficilmente essere sottovalutata – di tono piuttosto diverso dai toni
trionfalistici e incontrovertibili.
La Union of Concerned Scientists aveva già espresso forti riserve[63]: “In
ogni caso, storicamente i costi di costruzione sono stati drammaticamente
sottostimati. La prima fase degli impianti nucleari costruiti negli USA tra il
1966 e il 1977 soffrì sforamenti dei costi dal 200 % al 380 %, secondo
Ma veniamo direttamente alle industrie statunitensi. Mi sembra che ci sia un dato incontrovertibile, decisivo a questo riguardo, che va al di là di tutti i sapienti calcoli che ci presentano i filonucleari: quello che pensano, chiedono ed hanno realmente intenzione di fare le industrie nucleari e le banche statunitensi! O i nostri filonucleari vorrebbero farci credere che le industrie private e le banche statunitensi sbagliano grossolanamente i loro calcoli?
I reattori nucleari proposti negli USA
Come sta realmente il problema del finanziamento, dei costi e dei rischi per la ripresa dei programmi nucleari negli USA? L’industria nucleare statunitense punta naturalmente in primo luogo a fare affari, ed esercita una fortissima azione di lobby su deputati e senatori di entrambi i partiti (l’appoggio più forte è fornito dal senatore repubblicano Domenici). Il problema di fondo è che le banche e Wall Street non sono molto inclini a prestare i fondi necessari, a meno che i prestiti non siano garantiti dal Governo Federale, “ricordando i progetti nucleari degli anni ’70 e ’80 assillati da ritardi normativi, sforamenti dei costi e il meltdown (fusione del nocciolo) di Three Mile Island. Secondo l’industria nucleare il Governo dovrebbe pertanto proteggere gli investitori nel caso i progetti iniziali andassero male”, riportava il Washington Post del 5 settembre 2007 (con il significativo sottotitolo: “Il finanziamento, più che la sicurezza, sembra il fattore chiave che determinerà se i progetti procederanno”[64]). Sei delle più grandi banche d’investimento del paese – Citigroup, Credit Suisse, Goldman Sachs, Lehman Brothers, Merrill Lynch, e Morgan Stanley – hanno recentemente dichiarato al DoE: “Crediamo che questi rischi, combinati con i costi più alti del capitale e i tempi di costruzione più lunghi per i reattori nucleari rispetto ad altri impianti di generazione, renderanno oggi i prestatori riluttanti ad estendere crediti a lungo termine”[65].
L’industria nucleare statunitense
esercita quindi fortissime pressioni per ottenere dal Governo Federale garanzie
sui prestiti (loan guarantees) per più di 50 miliardi di $ per i prossimi due
anni: questo non sarebbe denaro che l’industria riceverebbe direttamente,
ma una specie di premio di assicurazione per i banchieri per coprire i costi e qualsiasi prestito non rispettato.
Circa 17 compagnie stanno considerando la costruzione di circa 31 reattori: al
costo di 4,5 miliardi di $ ciascuno, si tratta di finanziare potenzialmente 110
miliardi di $. “Senza la garanzia federale sui prestiti tutto questo si fermerebbe”,
ha dichiarato George Vanderheyden, della Constellation
Energy, che ha proposto il primo nuovo reattore in circa 30 anni; e Michael
J. Wallace (co-direttore esecutivo della UniStar
Nuclear e vice presidente esecutivo della Constellation) conferma che “senza le garanzie sui prestiti non
costruiremo centrali nucleari”.
Il 31 luglio 2007 il New York Times riportava[66] che “un provvedimento di una singola frase nascosto nella energy bill passata recentemente al Senato, inserita senza dibattito dietro la pressione dell’industria nucleare, potrebbe dare ai costruttori delle nuove centrali i requisiti per ottenere garanzie governative sui prestiti per decine di miliardi di $”. Cosa cambia rispetto al passato? Come per il passato, il Department of Energy (DoE) potrebbe garantire il 100 % dei prestiti, e fino all’80 % del costo totale per costruire un reattore: ma il progetto di legge in sostanza consente al DoE di approvare tutte le garanzie sui prestiti che vuole, sia per nuovi reattori che per impianti che usino tecnologie “pulite” (oltre al nucleare, carbone “pulito” e rinnovabili). Questo è il grande cambiamento: attualmente (prima di questo disegno di legge) il Governo può garantire solo un volume di prestiti autorizzato ogni anno dal Congresso.
Questo è dunque il giudizio sui costi e i rischi dei progetti nucleari delle imprese private e le banche statunitensi (che dovrebbero saper fare i loro affari), di fronte al quale tutti i discorsi e i sapienti calcoli dei filonucleari sembrano aria fritta!
Il caso della
Francia: emblematico o eccezionale? Davvero più economico e sicuro?
Prima di venire
specificamente al problema della sicurezza dei programmi nucleari futuri è
opportuna una digressione sul caso della Francia, che i filonucleari portano
sempre come esempio di funzionalità ed economicità di un programma
elettronucleare massiccio e coerente. I filonucleari si riferiscono al basso
costo dell’energia elettrica che
▪
la centralizzazione del programma francese, eccezionale e oggi non ripetibile,
consentì la limitazione a pochi modelli standardizzati di reattori: il caso
francese sarebbe difficilmente ripetibile, perfino in Francia oggi;
▪
il nucleare francese non competeva sul mercato internazionale dell’energia,
prima dell’apertura recente al mercato europeo;
il governo francese è sempre stato parco di informazioni, e ciò “rende
difficile paragonare il costo dell’elettricità generata da fonte nucleare in
Francia e negli USA”;
▪
l’eccessiva dipendenza dal nucleare rende il sistema rigido, e vulnerabile a
circostanze esterne eccezionali: in occasione delle onde di calore e della
siccità del 2003 e del 2006, mentre Germania e Spagna riducevano il livello di
potenza, o chiudevano altre centrali,
▪
non potendo ricorrere alle altre fonti energetiche comunemente usate per
modulare la produzione di energia con le fluttuazioni della domanda (fino al 50
% nelle 24 ore),
▪
ma queste fluttuazioni della potenza dei reattori genera anche problemi di
sicurezza, aumentando i rischi di improvvisi picchi di potenza, che potrebbero
provocare danni significativi al combustibile, fino al caso estremo di meltdown;
▪
il sistematico ritrattamento del combustibile ha creato alla Francia notevoli
problemi: l’accumulo di migliaia di tonnellate di uranio (che come combustibile è più caro del minerale di uranio) e
di circa 50 tonnellate di plutonio
(che era destinato al programma di reattori veloci, chiuso dopo le fallimentari
esperienze di Phénix e Superphénix, mentre procede a rilento lo
sviluppo del combustibile misto MOX, molte volte più caro dell’uranio
leggermente arricchito: al ritmo attuale ci vorrebbero decenni per eliminare il
plutonio accumulato fino ad oggi): “Le
misure di sicurezza per questi depositi sono inadeguate”;
▪
in queste condizioni, “
Si deve
aggiungere che
In Italia, poi,
il problema sarebbe ancora diverso, poiché dopo il referendum del 1987 sono
state smantellate gran parte delle strutture e delle competenze, e sfiderei
chiunque a calcolare il costo per ricostituirle, al di là del costo specifico
delle centrali nucleari (sull’Italia v. Parte 3).
Ridurre i costi è conciliabile con la
sicurezza?
Insistiamo nuovamente sulla contraddizione tra il dichiarato aumento della sicurezza, l’allungamento della vita delle centrali più vecchie (e presumibilmente meno sicure!), nonché l’aumento consistente proposto del numeri di centrali. Ma vi sono problemi specifici.
Il documento dell’UCS analizza
molto puntigliosamente il problema della sicurezza dei reattori di III
Generazione. L’attenzione degli “Scienziati preoccupati” è comprensibilmente
incentrata sulla situazione statunitense, e in particolare sull’adeguatezza
della NRC (National Regulatory Commission),
dei suoi standard e delle sue procedure, ma molti aspetti riguardano i nuovi
reattori. Per
La politica della NRC è legata
direttamente con la progettazione e la realizzazione dei “reattori avanzati” di
Generazione III e III+.
Entrando nel merito della valutazione della sicurezza dei “reattori avanzati” di Generazione III e III+, l’UCS mette correttamente in primo piano il problema della necessità, e dell’attuale mancanza di verifica in condizioni di funzionamento prolungate, e non solo sulla carta.
A causa delle grandi incertezze su come queste
proposte funzioneranno effettivamente nella pratica, esse potrebbero non
risultare realmente più sicure dei modelli attuali. … valutazioni del rischio
dei progettisti trovano che la probabilità che questi reattori subiscano un
incidente severo è molto minore. Per esempio, queste analisi mostrano che la
probabilità di una fusione del nocciolo (meltdown)
è 100 volte più bassa che per gli impianti attuali. Tuttavia, l’esperienza
disponibile con reattori a scala naturale funzionanti a piena potenza è troppo
scarsa per validare i modelli al computer di questi sistemi di sicurezza,
producendo incertezze significative [paragonabili in grandezza con gli stessi
valori predetti]. Nella sua analisi del progetto dell’AP600 – predecessore
dell’AP1000 –
Qui entra in gioco il contrasto tra il miglioramento dei meccanismi di sicurezza e il contenimento dei costi: almeno negli USA, “i progettisti di questi reattori hanno anche indebolito le ‘difese-in-profondità’ (defence-in-depth), presumibilmente per tagliare i costi. Ad esempio, [i reattori di Generazione III+ AP1000 della Westinghouse e ESBWR della General Elestric] hanno sistemi di contenimento meno robusti, minore ridondanza di sistemi di sicurezza, e meno strutture, sistemi e componenti [SSC] per la sicurezza. … Poiché il cemento e l’acciaio incidono per il 95 % nei costi di capitale dei reattori attuali, Westinghouse ha scelto come priorità di ridurre le dimensioni degli SSC legati alla sicurezza, come l’involucro di contenimento”[72]. [I costi dell’AP600 sono risultati troppo alti, nessuna impresa statunitense ha ordinato nessun reattore avanzato della Westinghouse e della General Electric]. “Se la probabilità di una fusione del nocciolo non viene ridotta, l’AO1000 può essere di fatto meno sicuro degli impianti attuali, perché il suo contenitore è meno robusto”[73]. È degno di nota che il Commissariat à l’Énergie Atomique francese ha studiato indipendentemente se l’AP1000 manterrebbe il contenitore integro in un incidente di fusione del nocciolo e “non è giunto a un risultato positivo”[74].
Di fatto, il solo reattore che
secondo l’UCS può risultare più sicuro di quelli attuali è l’EPR della francese
Areva, per le condizioni poste dai governi francese e tedesco: stando al
Rapporto della Commissione Europea, a differenza degli USA, “la progettazione
dei sistemi nucleari in Europa si basa sul principio della
‘difesa-in-profondità’, che consiste nella prevenzione degli incidenti e nella
mitigazione delle loro conseguenze”[75].
Così il reattore EPR è dotato di una struttura di contenimento a doppia parete,
e di quattro gruppi di sicurezza indipendenti, ognuno composta da una serie
completa di sistemi di sicurezza progettati per mitigare un incidente,
comprendente alimentatori di potenza di riserva. I ritardi e gli aumenti dei
costi del reattore EPR in costruzione in Finlandia sono probabilmente dovuti
anche alle richieste di miglioramento della sicurezza, ma potrebbero rendere
questo reattore non competitivo sul mercato statunitense e mondiale: “a meno
che
Anche per gli altri reattori di
Generazione III+ ancora in fase di studio
Da ultimo, è necessario ricordare che i programmi nucleari si estenderanno a nuovi paesi, spesso non particolarmente avanzati tecnologicamente, che non sembrano fornire le migliori garanzie nella gestione e la sicurezza, e dovranno dotarsi di strutture costose necessarie per sviluppare un’industria nucleare (autorità di sicurezza, cotesto giuridico, linee di trasmissione, ecc.).
Il problema della sicurezza per
sabotaggi o attacchi terroristici
I rischi dei programmi nucleari
civili sono accentuati, oltre che dai problemi di sicurezza interna, dai
pericoli di sabotaggi esterni o attentati terroristici. Su questo problema i
sostenitori del nucleare glissano, ma sembra che i rischi siano tutt’altro che
remoti, e che sarebbero seriamente aggravati da un considerevole aumento del
numero e della diffusione di centrali nucleari: è necessario ripetere sempre la
motivazione che un grave incidente nucleare avrebbe conseguenze di gravità
incalcolabile, anche sulle generazioni future, per cui deve essere assolutamente escluso! I criteri e le
misure adottati per prevenire un attacco esterno sembrano del tutto inadeguati,
anche dopo le ulteriori restrizioni imposte dopo l’11 settembre. Nella
sostanza,
La difesa da attacchi più gravi del DBT è responsabilità del governo federale, il quale non ha dimostrato però la capacità di farlo.
Un problema particolare è
rappresentato poi dalle piscine per la custodia del combustibile esaurito nei
siti delle centrali, che non sono protette da edifici di contenimento, e sono
quindi vulnerabili ad attacchi terroristici, che provocherebbero il rilasci
nell’ambiente di grandi quantità di materiali radioattivi:
Il cavallo di battaglia (o di Troia) dei
filonucleari, le emissioni di CO2: il nucleare è veramente la
soluzione?
Il problema dell’aumento delle
emissioni di CO2 nell’atmosfera e della crisi climatica è il vero
cavallo di battaglia dei sostenitori del nucleare: e rischia di fare breccia,
come argomento decisivo, in un’opinione pubblica scarsamente e superficialmente
informata, e desiderosa di soluzioni salvifiche che (in apparenza) non
l’impegni più di tanto. Ma le cose stanno realmente così? È stato osservato
ripetutamente che solo le operazioni nel reattore sono "carbon free", ovvero senza
emissioni di CO2: tutte le altre operazioni della filiera del
combustibile nucleare – dalla miniera, al trasporto, al trattamento,
all’arricchimento, allo smaltimento dei rifiuti, al decommissioning delle centrali – non è affatto esente da emissioni
di CO2. L’impianto di arricchimento di
Paducah, nel Kentucky, utilizza due centrali a carbone da 1.000 MW[81];
questo impianto ed un altro a Portsmouth, Ohio, rilasciano il 93 % del gas CFC
emesso annualmente negli USA (il clorofuorocarbonio è un gas serra, e
responsabile della distruzione della fascia di ozono stratosferico). Il Canada
è il maggiore produttore mondiale di uranio, nello stato centrale di Saskatchewan,
dalle società Cameco Corporation
e Areva Resources Canada: questo uranio esportato negli USA, il principale
acquirente, viene arricchito da due centrali a carbone (vi sono anche pressioni
perché lo Saskatchewan si faccia carico del combustibile esaurito alla fine del
ciclo).
Sono anche stati fatti calcoli precisi. Prescindendo anche dalle operazioni trasporto e ritrattamento del combustibile esarito e di decommissioning, queste emissioni sono state quantificate ormai da molti ricercatori indipendenti dall’industria nucleare. I primi lavori furono pubblicati da Nigel Mortimer[82], fino a poco tempo fa capo unità delle ricerche sulle risorse presso l’università Hallam di Sheffield in Gran Bretagna; nel 2000 uno studio molto dettagliato[83] é stato condotto dagli olandesi Van Leeuwen, docente dell’Università di Gröningen, e Philip Smith, fisico nucleare. Questi studi rivelano che le emissioni di CO2 dipendono fondamentalmente dalla concentrazione di ossido di uranio (U3O8, detto anche "yellowcake") nel minerale estratto, poiché essa determina la quantità di minerale che deve essere trattato per estrarre l’uranio. Per il minerale "high grade", con un minimo di 0,1% di ossido di uranio, da ogni tonnellata di minerale grezzo si ricava un kg di ossido di uranio; invece per il più diffuso "low grade", ossia con concentrazioni non inferiori allo 0,01% di ossido di uranio, per ottenere un kg di yellocake occorre trattare 10 tonnellate di minerale! Se a questo si aggiunge la piccola percentuale (0,7 %) di U-235 nell’uranio naturale, Leeuwen e Smith concludono che il consumo di energia fossile per questi processi di fabbricazione è così grande che le quantità di CO2 emessa è comparabile con quella emessa da un equivalente ciclo combinato alimentato a gas naturale. D. T. Spreng[84] calcola che può essere necessario bruciare 200 kWh di idrocarburi per ogni 1.000 kWh di elettricità prodotta per via nucleare.
Occorre aggiungere che le
quantità conosciute di riserve di uranio con "grado" superiore allo
0,01% sono molto limitate e che la maggior parte delle risorse sono low grade: con il contributo attuale
alla produzione elettrica mondiale di circa il 16%, le riserve di minerale high grade possono durare pochi decenni
con prezzi crescenti (non dimentichiamo che negli ultimi anni il prezzo dello yellowcake è sestuplicato, passando dai
20 $ per libbra nel
Sebbene queste analisi, che certamente devono essere approfondite, siano fondamentali per poter condurre un dibattito serio sul "ritorno al nucleare", esse non vengono mai menzionate. Un altro aspetto critico nel processo di produzione di uranio è la grande quantità di acqua necessaria, anche questo sempre taciuto.
Ma, se anche si prendono per buone le affermazioni dei sostenitori del nucleare, il problema ha anche un altro aspetto decisivo: quale riduzioni delle emissioni ci si può aspettare dallo sviluppo di un programma nucleare massiccio? O, in altre parole, quale dovrebbe essere l’entità di tale sviluppo, e quali i suoi costi, per garantire davvero una riduzione apprezzabile delle emissioni?
È opportuno premettere –
ricordando che il nucleare contribuisce alla produzione della sola energia
elettrica – che in Gran Bretagna l’atomo produce il 18 % dell’energia elettrica
(e tale percentuale diminuirà nei prossimi 15 anni), appena il 3 % del
fabbisogno energetico totale; il dato è analogo per gli USA; se
L’interessante Dossier della
rivista Science del 2005 che abbiamo
già citato[85] riportava un autorevole
parere di Cochran, del National Resources
Defense Council, il quale “non vede il nucleare come una buona opzione”:
egli calcola infatti che, anche “un obiettivo modesto – evitare con il nucleare
un piccolo aumento (0,2o C) del riscaldamento globale per la fine di
questo secolo” – “richiederebbe di
elevare il numero di reattori nel mondo
dagli attuali 441 ad almeno 700 per la metà del secolo, e mantenerne stabile il
numero per 50 anni. Per coprire la chiusura degli impianti obsoleti, questo
richiederebbe la costruzione di 1.200 nuove centrali, ad un ritmo di 17
all’anno. Le necessità di supporto sarebbero impressionanti: una decina di
nuovi impianti di arricchimento per il ritrattamento, lo stesso numero di
depositi di scorie delle dimensioni di Yucca Mountain se non si facesse il
ritrattamento, o centinaia di migliaia di tonnellate di materiale da custodire
durante il ritrattamento. ... una rinascita nucleare non vale il rischio”.
Non dissimili le valutazioni dell’UCS[86]. Se la domanda di elettricità negli USA nel 2050 rimanesse quella attuale, per raddoppiarne la percentuale prodotta dal nucleare (20 % oggi, da 104 reattori) si dovrebbero costruire circa 100 nuovi reattori: poiché la produzione di elettricità contribuisce oggi per un terzo alle emissioni di CO2, 100 reattori in più ridurrebbero le emissioni appena del 6-7 % rispetto a oggi. Si tenga presente che per evitare cambiamenti climatici dannosi le emissioni dovrebbero essere ridotte dell’80 % nel 2050! In assenza di misure addizionali di risparmio e di efficienza i consumi elettrici negli USA quasi raddoppieranno da qui al 2050.
Se si viene, più modestamente, al
nostro paese, c’è da chiedersi, anziché vaneggiare di improbabili centrali
nucleari, quali risparmi di produzione di CO2 (per non parlare di
quelli economici, e ambientali) sarebbero stati possibili rinunciando alla
costruzione di qualche autostrada, dell’Alta Velocità ferroviaria, e si fosse
invece ridotto consistentemente il trasporto su gomma valorizzando una delle
reti ferroviarie migliori del mondo.
SECONDA FASE, DOPO IL 2040
Le luminose prospettive del nucleare di
IV Generazione: l’uovo … domani (2040) senza nessuna gallina?
Veniamo ora alla “fine della storia”: i decisivi sviluppi che ci attendono, dopo il 2040, se li sapremo preparare con la ripresa di oggi. È essenziale a questo proposito entrare finalmente nel merito dei futuribili reattori di IV Generazione. Molti profani si chiedono infatti che cosa siano, et pour cause, dato che ancora non esistono.
Molti prototipi diversi sono in fase di studio o costruzione, tanti da chiedersi, anche qui, se non siano anche troppi! L’iniziativa Generation IV International Forum (GIF), avviata dal DoE nel 2000 con una serie di paesi, dopo “avere lavorato due anni all’esame di un centinaio di alternative tecnologiche … è giunta alla selezione dei sei concetti più promettenti”[87]. Diviene forse legittimo chiedersi se si stia lavorando veramente in modo coordinato per trovare la (o le) filiere migliori, o se non si stia piuttosto brancolando in diverse direzioni, o se si stia più semplicemente sviluppando una spietata concorrenza. I diversi prototipi sono in fase di studio in paesi diversi, il che presuppone un’idilliaca armonia planetaria per il prossimo mezzo secolo. Agli albori del nucleare ci vollero una decina d’anni, o meno, per realizzare le filiere dei reattori di II Generazione: possibile che oggi, con le competenze che si sono accumulate, ci voglia quasi mezzo secolo?
Rinviando per una descrizione per quanto possibile più precisa all’Appendice 1, menzioniamo questi sei nuovi sistemi nucleari selezionati. In primo luogo, quattro di essi sono reattori veloci (FR, Fast Reactor), due dei quali refrigerati a sodio o a piombo; propongono ovviamente il ciclo chiuso del combustibile (conversione dell’uranio fertile in fissile, e gestione degli attinidi: v. oltre):
-- Sodium-cooled Fast
Reactor (SFR), veloce,
refrigerato a sodio;
-- Lead-cooled Fast Reactor
(LFR), veloce, refrigerato a piombo (o eutettico[88]
piombo-bismuto);
-- Gas-cooled Fast
Reactor (GFR), veloce,
refrigerato a gas;
-- Supercritical-Water-cooled Reactor (SCWR), veloce o termico,
refrigerato ad acqua in condizioni super-critiche[89];
-- Molten Salt Reactor (MSR), termico, reazione a catena in una
miscela circolante di Sali fusi;
-- Very-High-Temperature Reactor (VHTR), moderato a grafite e
refrigerato a elio, ad alta temperatura (per la produzione di idrogeno oltre
che di elettricità), ciclo del combustibile ad un solo passaggio (once-through, senza ritrattamento).
Ma non finisce qui. A questi sei
prototipi promossi dal GIF bisogna aggiungere poi il considerevole numero di
quelli sviluppati da un’altra iniziativa internazionale complementare, INPRO (International Project on Innovative Nuclear
Reactors and Fuel Cycles), lanciata nel 2000 dalla IAEA, guidata in un
certo senso da Russia, Cina e India (che non partecipano al GIF), con
l’ulteriore partecipazione di Argentina, Brasile, Bulgaria, Canada, Repubblica
Ceca, Francia, Germania, Indonesia, Corea, Olanda, Pakistan, Sudafrica, Spagna,
Svizzera, Turchia, con il contributo anche della Commissione Europea. Il
panorama è quindi estremamente complesso, e riflette più un’immagine di forte
competizione che di armoniosa cooperazione.
Le ineffabili caratteristiche tecniche:
il mito del “nucleare sostenibile”
Dopo questo sintetico quadro veniamo alle caratteristiche tecniche, che costituiscono l’aspetto fondamentale (ancorché rinviato a dopo il 2040) dell’offensiva di rilancio del nucleare. I reattori di IV generazione in corso di studio si basano su principi innovativi, in contrasto con la concezione evolutiva dei reattori di Generazione III e III+. Rinviando all’Appendice per complementi tecnici, mi limiterò qui alle caratteristiche generali. Per queste conviene lasciare la parola agli esperti:
“I sistemi nucleari di IV Generazione dovranno rispettare i seguenti requisiti:
· Sostenibilità, ovvero massimo utilizzo del combustibile e minimizzazione dei rifiuti radioattivi;
· Economicità, ovvero basso costo del ciclo di vita dell’impianto e livello di rischio finanziario equivalente a quello di altri impianti energetici;
· Sicurezza e affidabilità; in particolare i sistemi di IV Generazione dovranno avere una bassa probabilità di danni gravi al nocciolo del reattore e tollerare anche gravi errori umani; non dovranno, inoltre, richiedere piani di emergenza per la difesa della salute pubblica, non essendoci uno scenario credibile per il rilascio di radioattività fuori dal sito;
· Resistenza alla proliferazione e protezione fisica contro gli attacchi terroristici.”[90]
Vi sono vari aspetti su cui è
opportuno soffermarsi. Due punti, in primo luogo, risultano cruciali per il
luminoso futuro nucleare che ci viene promesso … verso la metà del secolo, la
realizzazione di un nucleare sostenibile:
i nuovi sistemi di IV Generazione
dovrebbero infatti risolvere drasticamente
• sia il problema della disponibilità
illimitata del combustibile nucleare,
• sia il problema delle scorie nucleari, “chiudendo” il ciclo del combustibile!
Si tratta di due aspetti molto delicati, e non semplici dal punto di vista tecnico-scientifico, strettamente legati fra loro. Proviamo a spiegarci nei termini più semplici possibili (v. le Schede 1 e 2 per dettagli tecnici). Da un lato, i futuri reattori veloci (o “a spettro neutronico veloce”, come se cambiare le parole esorcizzasse il problema) dovrebbero avere la possibilità di trasmutare sotto il bombardamento neutronico i nuclei radioattivi pesanti – che costituiscono la componente dei residui nucleari a lunghissima vita media – trasformandoli per di più in nuovi nuclei fissili, e quindi in nuovo combustibile nucleare, semplificando in tal modo i due problemi ad un tempo, dei residui nucleari e della disponibilità di combustibile; dall’altro, il ritrattamento multiplo del combustibile dovrebbe consentire di estrarre e riutilizzare gli isotopi fissili come nuovo combustibile. Con questo si intende il termine “nucleare sostenibile” (forse tra un po’ ci verrà anche detto “ecologico”).
Prima di entrare negli aspetti specifici vale la pena riportare integralmente le affermazioni in proposito dei documenti a cui facciamo riferimento:
Con l’utilizzo di sistemi nucleari sottocritici
‘trasmutatori’ (cosiddetti ADS, Accelerator
Driven Systems, v. Appendice) e dei reattori di IV Generazione a spettro
neutronico veloce, accoppiati ad un ciclo del combustibile chiuso … attraverso
processi di separazione e trasmutazione degli elementi radioattivi a vita lunga
in elementi a vita breve, è possibile ridurre fortemente i volumi, i tempi di confinamento
(da più di 100.000 anni a circa 700 anni), la radio tossicità ed il carico
termico delle scorie radioattive, al fine di limitare quanto più possibile
l’onere finanziario e sociale della loro gestione e l’esigenza di aumentare il
numero dei siti di stoccaggio definitivo[91].
[La prevalenza di concetti di reattori con spettro
neutronico veloce] si spiega con le preoccupazioni riguardo ad un’adeguata
disponibilità in natura di materiale fissile … Una buona parte delle centrali
nucleari attuali non prevede il ritrattamento del combustibile irradiato, che
permetterebbe di recuperarne il plutonio, nonché la grande frazione di uranio
‘depleto’ [sic! Come se non ce ne
fossero già al mondo quantitativi spropositati, e non venisse usato
sconsideratamente a scopo militare!], il quale a sua volta può essere
‘fertilizzato’ con bombardamento neutronico per produrre altro materiale
fissile. In questa ipotesi di ciclo nucleare ‘aperto’ in cui il combustibile
scaricato dall’impianto è considerato un rifiuto, il principale problema
strategico dell’energia nucleare da fissione è la disponibilità di
combustibile, oltre che la gestione di rilevanti quantità di rifiuti
radioattivi ad alta attività e lunghissima vita. … se invece si procede al
ritrattamento del combustibile irradiato, e mediante l’uso di reattori a flusso
neutronico veloce che fungono da ‘fertilizzatori’, è possibile estrarre
dall’uranio naturale all’incirca 100 volte in più di energia (e quindi
raggiungere una disponibilità di millenni …) … Infine, anche il torio, più
abbondante in natura dell’uranio, sottoposto a flusso di neutroni veloci,
genera un altro isotopo fissile dell’uranio, l’uranio-233, che può essere usato
come combustibile nucleare.[92] [Per
il torio v. l’Appendice]
Il trattamento del combustibile esaurito e il
multi-riciclaggio sono la base su cui i futuri reattori di IV Generazione
raggiungeranno la sostenibilità. … In associazione con lo sviluppo di un
robusto sistema di reattori veloci, è necessario realizzare una strategia
flessibile di separazione e trattamento, volta a un ciclo chiuso del
combustibile che utilizzi meglio le risorse fertili attraverso un riciclaggio
multiplo dell’uranio e del plutonio. Questa strategia include lo sviluppo della
chimica degli attinidi, la tecnologia di separazione e combustibili contenenti
meno attinidi mediante l’irraggiamento di tale combustibile nel reattore.
Questa strategia coerente a lungo termine consentirebbe la transizione dal
mono-riciclaggio del plutonio attualmente praticato nei reattori ad acqua leggera
(LWR) al multi-riciclaggio nei reattori di IV Geenerazione.[93]
Tutto questo sulla carta, dato che si scommette su tecnologie complesse ancora, e per lungo tempo, in corso di studio: quante promesse “di marinaio”, e garanzie, ci davano i filonucleari negli anni ’70 e ’80! Anche per le possibilità di separazione e trasmutazione degli isotopi si scommette sul futuro, se è vero che, pur citando una serie di programmi in Europa, USA e Giappone, si conclude che “stanno entrando in una fase di valutazione tecnico-economica e di definizione dettagliata delle varie tecnologie associate”[94]: la tecnologia e l’innovazione sono sempre scommesse sul futuro, ma qui su delle scommesse si vuole basare il lancio preventivo di un colossale, costoso e rischioso programma nucleare!
Una prima osservazione generale, prima di entrare nei punti specifici: ancora una volta si parla di plutonio, di riciclaggio (ritrattamento), di uranio depleto, come fossero giocattoli innocui, o strumenti docili, in modo univoco, alle intenzioni ideali espresse. Di plutonio è costituito il nucleo della maggior parte delle testate nucleari e termonucleari esistenti nel mondo; il riciclaggio e l’estrazione del plutonio costituiscono la strada maestra seguita da paesi che hanno reattori nucleari in funzione per realizzare la bomba atomica; di plutonio straripa il mondo (1.800 tonnellate complessive stoccate, con possibile uso militare, v oltre); i rischi di sottrazione e traffici illeciti sono tra quelli più energicamente denunciati dalla IAEA; gli USA si oppongono radicalmente a negoziare un trattato “Cutoff” (FMCT, Fissile Material Cutoff Treaty), che imponga la fine della produzione di materiali fissili per fini militari; sovra-capacità di ritrattamento, di estrazione e stoccaggio di plutonio, difficilmente giustificabili, sono denunciati per il Giappone (ma non solo). Un panorama tutt’altro che rassicurante, che non richiede ulteriori commenti: né mi rassicura la prospettiva che potrebbe venire risolto, forse, dallo sviluppo del nucleare fra 30 anni, durante i quali è destinato ad aggravarsi.
Esaminiamo ora alcuni punti specifici, sezionando necessariamente questa strategia tanto compatta e futuribile da rischiare di essere fittizia.
La scommessa dei reattori veloci, i
problemi del sodio e del piombo
Abbiamo sottolineato che la maggior parte dei prototipi in corso di studio sono reattori a neutroni veloci, e costituiscono un elemento cruciale della strategia complessiva, per “bruciare” gli attinidi all’interno del reattore (v. Scheda 2). I “reattori veloci” furono una delle strade proposte in passato per superare la limitatezza e l’esaurimento del combustibile nucleare (l’uranio), prospettando la possibilità del breeding (autofertilizzazione – la “fertilizzazione” dell’uranio 238, o del torio-232 (v. Scheda 1 per il plutonio e Appendice 2 per il torio) – da cui anche il nome di “reattori autofertilizzanti”), e addirittura visioni di un’economia basata sul plutonio (un po’ come oggi si vagheggia un’economia basata sull’idrogeno). La sperimentazione più spinta di questa tecnologia fu fatta dalla Francia (per la quale il plutonio era un componente fondamentale per la force de frappe) – con l’improvvida partecipazione dell’Italia – che realizzò prima il reattore sperimentale Rapsodie, poi il prototipo Phénix[95], poi Superphénix, che avrebbe dovuto inaugurare una filiera commerciale: la fine ingloriosa di questi progetti la dice lunga sulle incognite che gravano su un programma nucleare innovativo! Un reattore a neutroni veloci non può essere raffreddato ad acqua, poiché essa rallenterebbe i neutroni, per cui si usa un metallo liquido, per lo più il sodio (oggi anche il piombo-bismuto). Il sodio liquido è un metallo che si incendia al contatto con l’aria. Il ripetersi di incidenti dovuto al sodio in Superphénix impose l’abbandono del progetto. È vero che la ricerca sui reattori veloci, come abbiamo detto, non è stata abbandonata in vari paesi (un prototipo funziona in Russia), i sostenitori del nucleare vi insistono, ma non si può mancare di ammettere che fino ad oggi la strada dei reattori veloci non ha avuto successo, altrimenti la soluzione del breeding si sarebbe imposta commercialmente! I problemi posti dai reattori veloci, dai metalli liquidi di raffreddamento, non sono ancora stati risolti in modo soddisfacente e sicuro. Appaiono francamente esagerati ed incauti i toni fiduciosi, se non trionfalistici, usati dai sostenitori del nucleare, come:
Tra i reattori veloci, quello raffreddato al sodio al
momento ha la base tecnologica più completa, grazie all’esperienza acquisita
internazionalmente operando reattori sperimentali, prototipi e commerciali,
come Phénix in Francia [sic! Superphénix non è nemmeno
menzionato], PFR nell’UK e MONJU in Giappone”[96].
Così che sembra per lo meno azzardata l’affermazione apodittica: “data la
maturità dei reattori veloci raffreddati a sodio, il prossimo impianto da
costruire in Europa sarà un reattore prototipo con un sistema di conversione di
potenza tra 250 e 600 MWe per dimostrare le innovazioni rispetto ai reattori
veloci al sodio ed aprire la strada [che
quindi non è ancora aperta! N.d.A] al primo reattore commerciale di IV
Generazione di questi tipo”[97].
Mentre, vivaddio, si ammette che sussistono “alcuni problemi critici associati
all’uso del piombo come refrigerante per reattori nel range di energia di 1
GWe, come il peso e la corrosione. … la
manutenzione e la riparazione rimangono una sfida comune ad entrambi i
refrigeranti a metallo liquido, il sodio e il piombo[98]
(corsivo mio).
Tanto più condivisibili, ed opportune, appaiono pertanto le ben più prudenti considerazioni dell’UCS, che conviene riportare estesamente. In primo luogo (neretto mio),
Non vi è
nessuna base per assumere che nessuno dei progetti [di IV Generazione] sarebbe
significativamente più sicuro degli impianti nucleari attuali. … [Essi] hanno
un’esperienza operativa piccola o nulla, per cui sono necessari modelli
dettagliati al computer per predire accuratamente la loro vulnerabilità ad
incidenti catastrofici, ma questo progetto è ancora nella sua infanzia, per cui
sviluppare e validare estensivamente i modelli al computer per ciascun progetto
sarà un compito formidabile”[99].
E proseguendo
… tutti i progetti usano refrigeranti che sono
altamente corrosivi nelle normali condizioni operative e richiederanno quindi
materiali strutturali avanzati capaci di operare in ambienti estremi. Questo è
vero anche per il Very High Temperature
Reactor (VHTR), che usa gas elio inerte come refrigerante, perché piccoli
livelli di impurità sarebbero altamente corrosivi alla temperatura operativa di
1.000 oC. Lo sviluppo di questi materiali avanzati è speculativo, e
l’insuccesso nel raggiungere l’obiettivo delle prestazioni si tradurrebbe in
margini di sicurezza minori e costi operativi maggiori.
Per ridurre i costi, i progetti di IV Generazione
tendono a ridurre ove possibili i margini di sicurezza. Questo è in contrasto
con il concetto fondamentale di ‘difese-in-profondità’, in cui sistemi di
sicurezza di riserva compensano le incertezze nel funzionamento dei sistemi di
sicurezza principali.
Per esempio, uno degli obiettivi di IV Generazione è
di eliminare la necessità di emergenza esterni …
I reattori veloci refrigerati a sodio (SFR) e a piombo
(LFR) hanno problemi di sicurezza specifici dovuti ai loro refrigeranti. Il
refrigerante al piombo-bismuto è meno reattivo ed ha un punto di ebollizione
più alto del refrigerante sodio. Tuttavia è estremamente corrosivo, e quando
viene irradiato produce radioisotopi altamente volatili (in particolare
polonio-210) che sarebbe problematico contenere anche in condizioni operative
normali.
… [Inoltre] se il nocciolo si surriscalda e il metallo
liquido refrigerante bolle, la reattività del reattore e la potenza
aumenterebbero rapidamente.
… i reattori veloci [a differenza della maggior parte dei reattori ad acqua leggera] non sono nella configurazione più reattiva nelle condizioni operative normali. Questo significa che un evento che porti il nocciolo ad essere più compatto – come una fusione del nocciolo – può innalzare in modo sostanziale la reattività, causando un rapido aumento della potenza che potrebbe vaporizzare il combustibile e fare esplodere il nocciolo. Una tale esplosione … sarebbe simile all’esplosione di una bomba nucleare a fissione molto piccola, di potenza esplosiva paragonabile ad una tonnellata di TNT.[100]
Come sia possibile, in queste condizioni e con queste incognite, scommettere sulla sicurezza e i bassi costi delle soluzioni nucleari fra 30 o più anni rimane davvero un mistero! (O un imbroglio).
Bisogna aggiungere che “i reattori veloci non possono venire alimentati con uranio a basso arricchimento, ma richiedono o uranio altamente arricchito o plutonio”[101], aumentando così i rischi di proliferazione militare, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Per quanto riguarda poi i rischi di sabotaggio o attacchi esterni, dal momento che questi progetti scommettono su un futuro lontano quanto imprevedibile, è opportuno ribadire che i nuovi impianti devono assolutamente essere dotati di difese passive efficaci, quali strutture di contenimento, più robuste di quelle attualmente previste per i reattori di Generazione III+ (con la sola eccezione dell’EPR): non sono accettabili nessun calcolo costi-benefici, nessun escamotage per ridurre i costi, che vadano a scapito di queste difese.
Uno degli aspetti più delicati e
controversi: riprocessare o non
riprocessare? Questo è il problema! Allarme proliferazione
Abbiamo sottolineato che l’aspetto cruciale per la “sostenibilità” dei progetti nucleari che vengono proposti è costituito dall’assoluta necessità del ritrattamento, anche multiplo, del combustibile esaurito. Si tratta del punto più delicato, complesso, e controverso, perché è quello più direttamente legato ai rischi di proliferazione nucleare militare. La “bestia nera” di tutta la faccenda si chiama plutonio. I punti cruciali sono che: il plutonio non esiste in natura, ma si forma dall’uranio-238 (U-238) nei reattori nucleari durante la reazione a catena (assorbendo un neutrone si trasforma dopo alcune trasmutazioni in plutonio-239, Pu-239: per questo l’U-235 si dice “fertile”); il plutonio-239 è appunto fissile, e costituisce l’esplosivo nucleare ideale, in particolare perché è “facile” in linea di principio separarlo dal combustibile irraggiato, essendo un elemento chimico distinto e usando pertanto reazioni chimiche; per farlo è però necessario ritrattare il combustibile irraggiato (raccogliamo nella Scheda 1 le nozioni fondamentali sul plutonio e il ritrattamento).
La storia del ritrattamento fino
ad oggi è stata complessa. Molti paesi l’hanno adottata (Israele, India, Corea
del Nord hanno estratto il plutonio per la bomba), ma pochi l’hanno sviluppata
industrialmente, trattandosi di una tecnica estremamente pericolosa: Francia e
Gran Bretagna ritrattano il combustibile di altri paesi. La principale
eccezione è costituita dagli USA: da quando l’amministrazione Carter decise di
non costruire impianti di ritrattamento per usi civili per ridurre i rischi di proliferazione militare, gli USA hanno
adottato il mono-uso del combustibile nucleare (con i relativi problemi di
stoccaggio e custodia del combustibile esaurito, v. Scheda 2). La lobby nucleare sta esercitando forti
pressioni sul governo statunitense perché, con l’iniziativa GNEP, cambi questa
strategia e ricorra nuovamente al ritrattamento.
Abbiamo già ricordato che si sono accumulati nel mondo depositi di ben
1.800 tonnellate di plutonio (ne bastano pochi chili per fare una bomba),
prevalentemente in depositi civili (a differenza delle altrettante 1.800
tonnellate di uranio altamente arricchito, v. Tabella 3). Nel mondo si generano
ogni anno circa 100 tonnellate di plutonio nel combustibile esaurito. Ma sono
necessarie a questo proposito ulteriori precisazioni.
In primo luogo, negli anni recenti si è resa possibile l’utilizzazione
del plutonio come combustibile nucleare, opportunamente mescolato all’uranio
(combustibile MOX, Mixed Oxide Fuel, Scheda 1).
Una trentina di reattori in Europa stanno usando combustibile MOX, e un’altra
quarantina hanno avuto la licenza per farlo. I reattori avanzati di III
Generazione, EPR e AP-1000, dovrebbero funzionare con cariche complete di
combustibile MOX. I reattori a neutroni veloci possono usare interamente il MOX
come combustibile, poiché al crescere dell’energia dei neutroni la fissione del
plutonio (e di quasi tutti gli attinidi) è favorita rispetto alla cattura.
Un’altra precisazione importante è che anche il Pu-239, una volta
formatosi nel reattore dall’U-238, tende ad assorbire neutroni, trasformandosi
a sua volta in isotopi più pesanti – Pu-240, Pu-241, Pu-242 – e in altri
isotopi transuranici: solo il Pu-239 e il Pu-241 sono fissili come
l’uranio-235. La presenza di Pu-240 anzi costituisce un ostacolo all’uso del
plutonio come esplosivo nelle bombe, perché ha una probabilità, anche se piccolissima,
di fissione spontanea, e può quindi innescare la reazione a catena prima del
momento esatto[102],
facendo fallire (fizzle)
l’esplosione. Il plutonio nel combustibile esaurito (plutonio reactor-grade) è per circa un quarto
Pu-240. Per ottenere plutonio militare (weapon-grade),
praticamente Pu-239 puro, si deve estrarre il combustibile dal reattore e
riprocessarlo dopo poche settimane. Ma a complicare il quadro vi è ancora il
fatto che la reazione a catena porta alla formazione di ulteriori nuclei, in
particolare di attinidi (v. Scheda
2): tra questi, il nettunio-237 e l’americio si prestano a fabbricare bombe, e
sono quindi soggetti a rischi di proliferazione (tabella 4).
Nella nuova strategia proposta con i
reattori veloci di IV Generazione il ritrattamento è la chiave di volta sia per
la disattivazione degli attinidi (Scheda 2) e la riduzione delle scorie
pericolose, sia per la fertilizzazione di isotopi che dovrebbero fornire nuovo
combustibile nucleare, venendo separati (cioè della pretesa “chiusura” del
ciclo del combustibile). Per questo i
sostenitori di questi programmi propongono cicli
del combustibile nucleare “non proliferanti”, o resistenti alla proliferazione
(proliferation-resistant). L’idea è
di sviluppare tecniche di ritrattamento che conservino nella miscela di
plutonio una quantità di prodotti di fissione radioattivi tale da costituire
una barriera radioattiva rispetto a sottrazioni di materiale fissile (il
plutonio possiede un’attività abbastanza bassa da potere essere manipolato e
quindi sottratto).
Questo è a grandissime linee il quadro.
Veniamo ai problemi.
In primo luogo, abbiamo già sottolineato il fatto che da qui al 2040
(per lo meno) la costruzione di nuovi reattori di Generazione III e III+ è
destinata ad aumentare la produzione di combustibile esaurito e di plutonio, in
attesa della soluzione salvifica. L’UCS critica la pretesa che i progetti di
reattori di generazione III+ siano più resistenti alla proliferazione dei
reattori in esercizio di II Generazione[103]. I
promotori del reattore “a letto di sfere” (PBMR, Pebble Bed) sostengono che il ritrattamento non è necessario, anche
per la presenza di grafite che aumenta il volume dei residui almeno di un
fattore 10 rispetto ai reattori ad acqua leggera: ma proprio i maggiori
problemi di stoccaggio potrebbero spingere al ritrattamento; di fatto, il DoE
sta già sponsorizzando
Qui viene infatti il secondo
punto: l’ulteriore accumulo di plutonio, nella filosofia del
ritrattamento e quindi della sua separazione, aumenta i problemi di custodia e
i rischi di sottrazioni i furti. Con il ritrattamento
aumenteranno i problemi di seguire il cammino del plutonio e controllarne i
quantitativi: le migliori tecniche di controllo
oggi disponibili sono infatti soggette ad incertezze ed errori intrinseci di
qualche percento[104].
Potrebbe sembrare poco, ma si tratta di tonnellate
di plutonio, quando ne bastano pochi chili per realizzare una bomba.
Abbiamo ricordato le perdite passate inosservate nell’impianto britannico di
Sellafield nel 2005, ma questo caso non è isolato. Nel 1994 il Giappone rivelò
che durante 5 anni di funzionamento dell’impianto di ritrattamento di Tokaimura
la quantità di plutonio non rendicontata ammontava a 70 chili: si sosteneva che
si era accumulato come polvere nelle apparecchiature interne all’impianto, ma
non fu possibile verificarlo fino a una chiusura nel 1996. Nel precedente
impianto giapponese di Rokkasho è impossibile rivelare la scomparsa, o il
mancato rendiconto, di una cinquantina di chili di plutonio all’anno[105];
nel 2003 i tecnici ammisero di avere impiegato 15 anni per rendicontare la
mancanza più di 200 chili di plutonio, che è circa il 3 % di tutto il plutonio
separato nell’impianto in 25 anni di funzionamento[106].
Altro che i rischi dell’Iran! Pertanto “un ciclo del combustibile
nucleare chiuso comporta di maneggiare, processare e trasportare grandi
quantità di materiale utilizzabile nelle bombe e spesso facilmente accessibile
e occultare. Questo dà a terroristi molte occasioni di ottenere materiale per
fabbricare armi nucleari. E in gran parte di questo processo il materiale non
può essere rendicontato in modo abbastanza preciso da assicurare che non venga
sottratto un quantitativo necessario per una o più testate nucleari”[107].
Un terzo punto,
decisivo, è che vi sono dubbi di fondo
sull’affermazione che le nuove tecnologie, e quindi il ciclo chiuso, siano
resistenti alla proliferazione:
“Mentre le modifiche del ritrattamento proposte da
GNEP non aumenteranno in modo significativo la resistenza del plutonio a furti,
esse ridurranno presumibilmente l’accuratezza con cui gli operatori degli
impianti e gli ispettori internazionali saranno in grado di controllare il
plutonio[108].
A tale proposito bisogna aggiungere un paio di precisazioni
estremamente importanti. La prima è che – anche se il plutonio weapon-grade, praticamente Pu-239, è
sicuramente il più idoneo per usi militari – è ormai stato dimostrato
ampiamente che con qualsiasi tipo di
plutonio, anche quello reactor-grade,
“sporco” di Pu-240, è possibile fabbricare bombe. Il punto fondamentale è
che, se anche non «esplodessero» nel senso proprio del termine a causa di una
detonazione anticipata, produrrebbero comunque un’«esplosione» disastrosa!
Infatti, “anche una bomba che detoni in anticipo e faccia fallire l’esplosione
(fizzle) causerebbe comunque
un’esplosione pari a 1.000 tonnellate (1 chilotone) di TNT o più. Secondo una
valutazione statunitense classificata:
[Un] gruppo
sottonazionale che usi progetti e tecnologie non più sofisticate di quelle
usate nelle armi nucleari di prima generazione possono costruire da plutonio reactor-grade un
ordigno nucleare che abbia una potenza assicurata, affidabile di uno o più
chilotoni (e una potenza probabile significativamente più alta).[109]
L’UCS solleva forti riserve anche
sulla reale efficacia dei cicli del combustibile resistenti alla proliferazione.
Se la “barriera radioattiva” può avere qualche efficacia rispetto a sottrazioni
da parte di terroristi, essa sarebbe assai più dubbia rispetto a sottrazioni da
parte di Stati. Anche se il plutonio non viene separato da altri componenti del
combustibile esaurito, la sottrazione di questo materiale offre la possibilità
di effettuarne la separazione chimica. L’impianto giapponese dopo avere separato il plutonio e
l’uranio li mescola nella proporzione 50/50, ma la separazione può venire
effettuata nuovamente. Inoltre, “è azzardato assumere che terroristi non
potrebbero acquisire la capacità di fabbricare ordigni nucleari con miscele di
plutonio ed altri attinidi”[110]
prodotti da queste tecniche di ritrattamento. Secondo l’autorevole Lawrence Livermore National Laboratory,
“l’analisi di vari cicli e l’opinione di
esperti di progettazione di testate porta alla conclusione che non vi è nessun
ciclo nucleare ‘a prova di proliferazione (proliferation-proof)“[111].
Inoltre, secondo una ricerca recente del Oak
Ridge National Laboratory, “l’inclusione di prodotti di fissione altamente
radioattivi con il plutonio ‘aumenterebbe in modo significativo i costi di
fabbricazione e trasporto del combustibile’”[112].
Sulla base di queste considerazioni
Un complemento: i progetti dell’India e il ciclo del torio
Dal quadro che abbiamo tracciato
è rimasto assente un aspetto non trascurabile, il progetto dell’India di un
reattore basato sul torio. Per mezzo secolo l’India ha seguito una strada
autonoma all’energia nucleare, rifiutando di aderire al TNP ed arrivando al
primo esperimento nucleare nel 1974 (rapporti statunitensi di intelligence declassificati mostrano
preoccupazione e disappunto per non avere previsto il test). Isolata, esclusa
dal gruppo internazionale che condivideva la tecnologia della fissione, l’India
avviò il proprio programma nel 1958, realizzando reattori a uranio naturale ed
acqua pesante, e mettendo a punto la tecnologia del ritrattamento del
combustibile esaurito, da cui ha ottenuto il plutonio per il proprio arsenale.
Oggi l’India propone una scelta assolutamente originale, progettando una futura
filiera commerciale di reattori basati sul torio anziché l’uranio. Il torio è
molto più abbondante in natura dell’uranio, ma è un nucleo fertile, non fissile: in
un reattore il torio-232 assorbendo neutroni si trasforma in uranio-233, che
non esiste in natura ed è fissile (v. l’Appendice 2 per dettagli). L’India
intende utilizzare il plutonio per realizzare reattori veloci, nei quali
irraggiare il torio e produrre uranio-233: uranio-233 e torio dovrebbero poi
alimentare reattori avanzati ad acqua pesante. Un piccolo reattore veloce
autofertilizzante da 40 MW funziona dal 1985: il nuovo impianto in costruzione
venne allagato dallo tsunami del 26 dicembre 2004, subendo un ritardo di 4
mesi, ma si prevede che possa raggiungere la criticità nel settembre 2010.
L’India tuttavia non può procedere da sola: da qui nasce il, pur contestato,
accordo strategico con gli UA, mentre hanno luogo anche incontri ufficiali con
Apoteosi: programmi nucleari in un mondo
idilliaco?
Vi è un ultimo punto di fondo che
mi sembra necessario commentare, a coronamento di questo grandioso programma.
Sulla carta esso si presenta come un unico progetto, molto articolato ma dotato
di una coerenza di fondo e una finalità comune, su scala mondiale, mettendo in
un unico calderone i progetti e le sperimentazioni in corso in Francia e nella
UE, in Russia, in Giappone, in India, in Cina, nel presupposto che essi
convergeranno e coopereranno alla definizione di quelli più idonei. Una bella
fiducia! A parte la competizione feroce che sicuramente si svilupperà (o è già
in corso) tra le industrie e i cartelli nucleari, chi può giurare sugli
equilibri mondiali dei prossimi 40 anni? Se la competizione tra USA e Cina si
aggraverà e precipiterà (e l’India si troverà a fare scelte che non prevediamo),
se le tensioni con
PARTE 3:
FORZA ITALIA!
Aggiungerò poche considerazioni sintetiche sull’Italia, forse anche superflue, ma opportune per contrastare l’immancabile risveglio dei sostenitori nostrani del nucleare e smascherare i ragionamenti a vanvera che sentiamo periodicamente per sostenere la ripresa del nucleare.
Un’improbabile ripresa a breve termine
Il punto fondamentale è che dopo il referendum del 1987 (qualunque sia il giudizio che se ne dà) tutte le strutture e le competenze che comunque si erano accumulate sul nucleare sono state frettolosamente (con stile italiano) smantellate, o destinate ad altri settori. Parlare oggi di costruire reattori nucleari sul nostro territorio nel prossimo futuro è davvero velleitario: lo riconoscono anche sostenitori onesti del nucleare, anche in una rivista smaccatamente filonucleare come Le Scienze, dove Ugo Spezia scriveva nel giugno 2005: “… è difficile pensare a una riapertura dell’opzione nucleare nel breve termine”[115].
Eppure c’è chi si lascia andare ad affermazioni del seguente tenore: “Dal punto di vista operativo, nulla osterebbe ad avviare in Italia la costruzione scaglionata di una decina di centrali nucleari di generazione III (ad es. EPR o AP1000) e, successivamente, III+ (ad es. IRIS), così da disporre verso il 2020 di una potenza nucleare installata pari a circa il 15-20 % del parco italiano, da dedicare al carico di base, in modo che il contributo di origine nucleare al fabbisogno elettrico totale potrebbe raggiungere circa il 25 %”[116], prospettando poi la partecipazione a GIF e il ricorso ai reattori veloci!
Perfino la battagliera Le Scienze, pur tornando alla carica, rimane molto più prudente: il recente articolo che abbiamo citato nella nota 4 rivendica più modestamente un rilancio della ricerca in campo nucleare (in un periodo in cui la ricerca è per tutta la nostra classe politica e imprenditoriale la “Cenerentola” assoluta), per non rimanere tagliati fuori dai progetti internazionali, e supportare anche le rinascenti ambizioni in campo industriale, come quelle dell’Ansaldo. Del resto, quale conferma migliore dell’improponibilità della costruzione di centrali nucleari sul territorio nazionale del fatto che l’ENEL acquista il parco nucleare obsoleto della Slovacchia, nonché quello della Spagna! (Bisogna chiedersi anche che fine faranno le scorie dei reattori slovacchi, visto che questo paese non dispone di un sito idoneo di stoccaggio)
L’eredità di un disastroso fallimento!
Credo che sia importante ricordare che questa baldanza dei nucleari nostrani rimuove il disastroso, e vergognoso, fallimento del raffazzonato programma italiano, che fu dovuto senza dubbio in primo luogo all’improvvisazione, all’incapacità, agli intrallazzi della nostra classe politica e tecnica. Vale la pena ricordare succintamente la storia[117].
Alla fine degli anni ’50 (quando vi fu un Accordo segreto tra Francia, Germania e Italia per realizzare la bomba nucleare, poi decaduto quando De Gaulle scelse la via della grandeur francese) furono ordinati, senza nessuna strategia generale, tre reattori completamente diversi l’uno dall’altro, entrati in funzione tra il 1963 e il 1964: un PWR della Westinghouse a Trino Vercellese, dalla Edison; un BWR della General Electric sul Garigliano, dalla Iri-Finmeccanica; e un reattore britannico del tipo Magnox a gas-grafite alimentato a uranio naturale a Latina, dall’ENI (dove, significativamente, Enrico Mattei dimostrò il tentativo di smarcarsi dagli USA, nonché dal processo di arricchimento dell’uranio). Senza dimenticare il reattore “Galilei” del centro di ricerche militari del Camen a Pisa (“Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare”, poi ribattezzato Cisam, “Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari”) , che è stato in funzione negli anni ’70, del quale si sa molto poco (sono trapelate a volte notizie poco rassicuranti, anche se non confermate).
Che vantaggi trasse il paese da questi acquisti disordinati? «Secondo
stime ufficiali dell'Enel l'energia elettrica prodotta [dalle 3 centrali] costava
per un funzionamento di 7.000 ore all'anno, lire 7,80 (Latina), lire 7,20
(Garigliano), 5,40 (Torino), di fronte al costo dell'energia tradizionale
inferiore a lire 5. Ciò significa che l'onere annuo che l'Italia deve sostenere
si aggira sui sette-otto miliardi»[118].
Proprio il problema dei costi fu il pretesto dell’attacco sferrato
l’11 agosto 1963 da Saragat contro Felice Ippolito, evidentemente con ben altri
scopi … e ben altri mandanti: USA, petrolieri, mafia (poco dopo Saragat fu
eletto presidente della repubblica, ed è difficile pensare che sia stato
casuale). Non va dimenticato che era quello il periodo del primo
centro-sinistra ed era in corso la nazionalizzazione dell’energia elettrica,
con la creazione dell’ENEL, e uno dei timori delle aziende elettriche
era che una gestione totalmente pubblica del nucleare potesse essere un passo
verso la nazionalizzazione.
Del resto, il 27 ottobre 1962 era stato “suicidato” Enrico Mattei. Saragat
sosteneva che le centrali nucleari dal punto di vista economico erano state un
vero disastro, ma il vero obiettivo era Felice Ippolito, dal 1952 direttore del CNRN
(Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari), divenuto poi nel 1960 CNEN (Comitato Nazionale per l'Energia
Nucleare). Il 3 marzo 1964 Ippolito venne arrestato per presunte irregolarità
amministrative del CNEN: ne seguì un processo discusso, molto sentito
dall'opinione pubblica e dalla stampa (il famoso “caso Ippolito”), che culminò
con la condanna di Ippolito a 11 anni di carcere. L'Italia ed il mondo politico
erano molto divisi, molti ritennero che la vicenda giudiziaria fosse una
montatura e Ippolito venisse usato come capro
espiatorio per stroncare la nascente industria nucleare italiana in
favore di quella petrolifera. Il
risultato fu comunque l’arresto del programma nucleare italiano: potenti forze
lavorarono per l'eliminazione di Ippolito, le “sette sorelle” del petrolio in prima fila, l'Italia doveva
continuare a consumare petrolio. Lo
scandalo del petrolio sarebbe poi scoppiato nel 1974.
Saltando al decennio successivo, si arriva al pasticcio della
centrale di Caorso, realizzata dal raggruppamento ENEL-Ansaldo Meccanica
Nucleare-GETSCO, collegata alla rete elettrica nazionale nel 1978: una centrale
BWR ibrida, scelta ancora per rapporti clientelari con
Attuale (nell’Italia coperta dai rifiuti urbani e travolta dai traffici di quelli tossici) e scottante (probabilmente ancora a lungo) rimane anche la storia infinita delle scorie radioattive lasciate in eredità da questo glorioso programma, nonché il problema (e i costi) del decommissioning di queste centrali.
Un punto cruciale: perché importiamo
energia?
Rispetto alle indecenti proposte
di rilancio italiano è necessario in primo luogo smontare con molta chiarezza
la mistificazione di base: la leggenda, cioè, secondo cui il nostro sistema
elettrico sarebbe insufficiente a coprire i consumi, e siamo pertanto costretti ad acquistare l’energia
elettrica molto più economica di origine
nucleare dalla Francia. Le cose stanno in modo esattamente opposto: la
capacità elettrica installata eccede ampiamente la richiesta di consumo (88.300
MW contro 55.600 MW, dati 2006); la privatizzazione dell’industria elettrica ha
portato ad un aumento delle tariffe, particolarmente alto in Italia, mentre il
sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori
(finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a
quelle della Francia).
Che cosa risolverebbe il nucleare? Dove
stanno gli sprechi?
Il problema di fondo, invece, è
che la dipendenza energetica italiana ha ben altre cause, poco o nulla potrebbe
fare il nucleare, e potrebbe aggravare la situazione. Il nostro paese importa
notoriamente la quasi totalità delle risorse energetiche. Ma del petrolio che
importiamo (cioè tutto) circa un terzo va sprecato in un sistema di trasporti
assurdo, totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma (con i costi aggiuntivi
di autostrade e altre infrastrutture: chissà che un Berlusconi redivivo, o
meglio “rilanciato”, non rilanci anche il ponte sullo stretto!). Vero è che questo
problema non è solo italiano: anche in questo
Un ulteriore 20 % circa dei consumi energetici è poi divorato poi da un’agricoltura non meno sbilanciata, che produce male e in modo del tutto inefficiente. È di pochi giorni fa il rapporto della Confederazione Italiana Agricoltori relativo al 2007, che denuncia il continuo peggioramento della situazione[120], con una diminuzione dello 0,5 % della produzione agricola complessiva, dello 0,6 % del valore aggiunto, dello 0,9 % dei redditi degli agricoltori, in netta controtendenza con la crescita media registrata in Europa: tra le cause principali l’aumento record dei costi di produzione (+ 6,1 %) e soprattutto della quota destinata alla produzione di biocarburanti, con una “bolletta petrolifera” lievitata per l’agricoltura di ben il 38 % dal 2005 al 2007!
Gli sprechi in questo paese non si contano, e sono sotto gli occhi di tutti. Che cosa rimedierebbe generare un po’ di energia elettronucleare?
Un piano energetico non è più possibile!
Ma proprio la privatizzazione sfrenata, con i disastri palesi che ha provocato, apre la porta a sviluppi davvero incontrollabili. Chi avrebbe potuto impedire alla società privatizzata ENEL di comperare centrali nucleari dove vuole? C’è chi ancora vagheggia di un nuovo “Piano Energetico Nazionale”, di gloriosa o infausta memoria: e non si rende conto che oggi non è più possibile. A livello nazionale, dopo le privatizzazioni selvagge, lo Stato può al più introdurre degli incentivi, o balzelli, come i famigerati CIP6, "contributi alle fonti di energia assimilabili alle energie alternative", e destinati al finanziamento di progetti energetici "poco rinnovabili", ma trattati come se fossero "vere fonti energetiche rinnovabili". Bush lo sta facendo per l’industria nucleare: vogliamo emulare anche in questo il suo esempio?
SCHEDA 1
Plutonio,
ritrattamento del combustibile irraggiato, proliferazione nucleare
Il plutonio è un elemento chimico che non esiste
in natura (fa parte dei “transuranici”), e si forma quando l’uranio-238 assorbe
un neutrone, subendo poi una catena di trasformazioni che conduce al
plutonio-239: questo nucleo è fissile,
cioè bombardato da neutroni subisce la fissione come l’uranio-235 (per questo
l’uranio-238, che invece non è fissile, si dice “fertile”, perché genera un nucleo fissile). Esso costituisce
l’esplosivo nucleare ideale, trattandosi di un elemento chimico diverso
dall’uranio la sua separazione dagli altri componenti del combustibile
irraggiato può essere fatta con metodi
chimici: la complessità dei processi di separazione non è di natura chimica,
ma consiste nell’estrema pericolosità e tossicità (sia chimica che radiologica)
di questi materiali; queste difficoltà del ritrattamento non hanno impedito di
attuarlo ad una serie di paesi, l’ultimo dei quali è
Normalmente, con la sostituzione del
combustibile nel reattore più o meno ogni 3 anni, circa la metà del plutonio
(generato dall’assorbimento neutronico nell’uranio-238) è “bruciato” (per
fissione) nel reattore, come l’uranio-235, fornendo 1/3 dell’energia totale.
Nel combustibile esaurito tipicamente l’1 % è plutonio (reactor-grade, essendo solo per 2/3 plutonio-239, poiché questo,
per successive catture neutroniche si trasforma negli isotopi Pu-240, Pu-241 e
Pu-242, e in altri isotopi transuranici: solo il Pu-239 e il Pu-241 sono
fissili come l’uranio-235).
Quando il combustibile è esaurito (impoverito nell’U-235), esso viene
sostituito, e deve essere lasciato per un certo tempo nelle piscine, finché
decadono i componenti più radioattivi. Successivamente dovrebbe essere
conferito in depositi in cui dovrebbe essere custodito in condizioni di
sicurezza per millenni.
L’alternativa consiste appunto nel ritrattamento del combustibile esaurito, che viene
disciolto in acidi per separare il Plutonio: questo, in realtà, è l’unico scopo
del ritrattamento, poiché esso moltiplica invece il volume delle scorie
radioattive da smaltire. Il primo passo del processo di ritrattamento è la
separazione del plutonio e dell’uranio depleto rimanente (insieme, circa il 96
% del combustibile esaurito; l’uranio è praticamente tutto U-238) dai prodotti
di fissione e altre scorie (circa 3 % in totale). Poi il plutonio viene
separato dall’uranio. Il mono-riciclaggio del plutonio aumenta del 12 % l’energia
dall’uranio originario bruciato; del 20 % se anche l’uranio-235 viene riciclato
tramite ri-arricchimento.
I nuovi processi di ritrattamento in
corso di studio cercano di produrre invece miscele difficilmente maneggevoli
per la loro radioattività, o comunque non idonee per usi militari (proliferation-resistant).
Si sta
sviluppando l’utilizzazione del plutonio come combustibile, miscelato con
l’uranio, combustibile MOX: il plutonio, sotto forma di ossido, viene mescolato nella
proporzione del 7-9 % con uranio depleto, divenendo equivalente a uranio
arricchito al 4,5 % in uranio-235, se si assume che il plutonio abbia 2/3 degli
isotopi fissili: esso viene usato di solito nella proporzione di 1/3 del
combustibile del reattore (ma sembra che possa arrivare al 50 %). Il suo
impiego in reattori progettati per utilizzare uranio abbassa la sicurezza del
reattore, a causa della maggiore reattività del plutonio, ed aumenta i rischi
per i lavoratori: sono quindi necessari processi specifici di autorizzazione.
Una trentina di reattori in Europa stanno usando combustibile MOX, e un’altra
quarantina hanno avuto la licenza per farlo. Vi sono stati scandali in Giappone
per la falsificazione di dati relativi al combustibile MOX #.
Le verifiche dei quantitativi di plutonio, da parte della IAEA, sono
molto importanti, data l’importanza militare di questo materiale e i rischi di
proliferazione nucleare. Le migliori tecniche di
controllo oggi disponibili sono soggette ad incertezze ed errori intrinseci di
qualche percento¶: potrebbe sembrare poco, ma si tratta di tonnellate di plutonio e
ne bastano pochi chili per realizzare una bomba.
----------------------------------------------
# Questions and answers on plutonium/MOX,
Greenpeace; F. Barnaby e S. Burnie, Safeguards
on the Rokkasho reprocessing plant, “Greenpaeace International”, giugno
2002; F. Barnaby e
S. Burnie, Thinking the unthinkable:
Japanese nuclear power and proliferation in East Asia, Oxford research
Group, agosto 2005, www.oxfordresearchgroup.org.uk;
F. Barnaby, The proliferation
consequences of global stocks of separated civil plutonium, giugno 2005,
www.oxfordresearchgroup.org.
¶
M.M. Miller, Are Iaea safeguards on
Plutonium bulk-handling facilities effective?, Nuclear Control Institute,
Tabella 3
Categoria |
Plutonio |
HEU |
Totale |
Depositi
civili |
1.675 |
175 |
1.850 |
Programmi di reattori civili e
militari |
1.570 |
50 |
|
Militare in eccesso Russia e Usa |
102,5 |
125 (solo USA) |
|
Depositi
militari |
155 |
1.725 |
1.880 |
Primario |
155 |
1.250 |
|
Navale e altro |
-- |
175 |
|
HEU russo dichiarato in eccesso |
-- |
300 |
|
Totale |
1.830 |
1.900 |
3.730 |
Stima dei
quantitativi mondiali di materiale fissili militari (plutonio e uranio
altamente arricchito, HEU), in tonnellate [Fonte: Global stocks of nuclear esplosive materials, Revisited September
7, 2005:
http://www.isis-online.org/global_stocks/end2003/summary_global_stocks.pdf].
SCHEDA 2
Residui nucleari,
isotopi “fertili”, chiusura del ciclo
Si possono distinguere due gruppi di
residui radioattivi*, il cui trattamento assume aspetti
diversi:
1) i prodotti della fissione
dell’uranio, come cesio e kripton, altamente radioattivi ma con vita media
relativamente breve#, in genere non superiore a 30 anni:
presentano un’altissima attività e pericolosità, ma si disattivano per la
maggior parte nel giro di decine di anni (ma 100 anni non sono comunque una
bazzecola);
2) gli elementi transuranici –
elementi che non esistono in natura, con numero atomico maggiore di 92, cioè
dell’uranio – con bassa radioattività ma vite medie estremamente lunghe, da
alcune decine di migliaia a milioni di anni: devono quindi essere confinati per
tempi estremamente lunghi. Bisogna tenere conto anche che i metalli pesanti
presentano una pericolosissima chemio tossicità, che si aggiunge all’eventuale
radio tossicità, ed a volte può risultare anche più grave (probabilmente con
effetti sinergici), e soprattutto non si esaurisce con il decadimento di
quest’ultima.
I reattori di IV Generazione a
spettro neutronico veloce dovrebbero offrire una soluzione per la seconda
categoria, risolvendo anche il problema della disponibilità di combustibile
nucleare. Per esempio, il nettunio – transuranico con numero atomico (numero di
protoni) 93 e numero di massa (protoni + neutroni) 237 – ha vita media di circa
2 milioni di anni: se assorbe un neutrone diventa nettunio-238, che è molto
instabile e dopo un tempo medio di 2 giorni si trasforma in plutonio-238.
Questo isotopo non è fissile, ma è “fertile”:
cioè, se a sua volta assorbe un neutrone,
diventa plutonio 239, che è appunto fissile (v. Scheda 1). In tal modo i
reattori di IV Generazione dovrebbero “bruciare” alcuni elementi transuranici e
trasformarli in combustibile nucleare, evitando di doverli stoccare per tempi
lunghissimi.
Questi processi avvengono anche nei
reattori attuali (termici, cioè a neutroni lenti, reattori con moderatore), pur
se in misura molto minore, poiché le probabilità di cattura dei neutroni
termici sono minori. In attesa dei nuovi reattori veloci di IV Generazione il
plutonio continuerà pertanto ad accumularsi.
Un
problema particolare, scarsamente noto, che è necessario citare riguarda gli attinidi ¶, contenuti nel combustibile
irraggiato: tra questi si è saputo, da un’informazione declassificata del DoE,
che il nettunio-237 e l’americio possono venire usati per dispositivi nucleari
esplosivi. Essi possono venire prodotti in impianti di ritrattamento civili
eludendo i controlli della AIEA (v. nel testo per il ritrattamento). Si valuta
un quantitativo mondiale superiore a 140 tonnellate, che potrebbe essere
sufficiente per migliaia di bombe nucleari! Anche l’Italia ne possiede circa
--------------------------------------------------------------
* Preferisco questo termine rispetto a quello comune di
“scorie”, perché nel caso del ciclo nucleare non si tratta solo di “rifiuti”,
poiché contengono componenti importanti utilizzabili: isotopi “fertili”, se si
considera anche il combustibile esaurito il plutonio (per non parlare
dell’uranio depleto, residuo del processo di arricchimento e del
ritrattamento).
# I nuclei pesanti, come uranio e
plutonio, contengono un numero di neutroni rispetto a quello dei protoni in
proporzione maggiore rispetto ai nuclei più leggeri: quando un nucleo pesante
si spezza in due nuclei di numero atomico intermedio vi sono quindi neutroni in
eccesso, che si distribuiscono a caso nei due nuclei risultanti, dando luogo ad
isotopi artificiali che non esistono in natura, con numeri anomali di neutroni,
e quindi fortemente instabili. La vita
media di un isotopo radioattivo è inversamente proporzionale alla sua
probabilità di decadimento, quindi alla sua attività:
in termini elementari, più un isotopo è instabile, più rapidamente decade, e
meno a lungo vive.
¶ Un gruppo di 15 elementi chimici con
numero atomico compreso tra 90 e 104 che segue l’attinio e comprende il torio,
il protoattinio, l’uranio, e 12 elementi transuranici, dal plutonio in avanti.
Sono tutti radioattivi e differiscono l’uno dall’altro per avere un numero
diverso di elettroni in uno degli strati elettronici interni, e non in quello
esterno, per cui presentano strette analogie di comportamento chimico (che dipende
dai soli elettroni esterni).
Tabella 4
|
Pu |
HEU |
Np
237 |
Am |
Italiaa |
6,5 |
100- |
|
|
Francia |
236 |
33 |
10 |
13 |
Gran Bretagna |
~100 |
23 |
1 |
3,8 |
Stati Uniti |
500 |
700 |
16,3 |
27 |
Russia |
270 |
~1.100 |
3,5 |
5,3 |
Germania |
95 |
1,4-2,7 |
4,9 |
7,7 |
Giappone |
~150 |
2 |
5 |
9 |
Indiab |
14 |
5- |
|
|
Pakistanb |
|
|
|
|
Sud Corea |
44 |
|
1,5 |
1,8 |
… |
… |
… |
… |
… |
Tot.
mondiale |
1.830 |
1.900 |
54 |
87 |
a
Almeno in parte questi materiali sono custoditi in depositi all’estero, dove è
stato eseguito il ritrattamento del combustibile.
b
È probabile che siano state riportate stime prudenziali, e che i quantitativi
possano essere maggiori.
Quantitativi
stimati di Plutonio, HEU, Nettunio 237 e Americio in alcuni paesi: in
tonnellate, dove non diversamente indicato [rielaborato da: Global stocks of nuclear esplosive materials,
revisited September 7, 2005:
http://www.isis-online.org/global_stocks/end2003/summary_global_stocks.pdf]
Glossario dei simboli
e acronimi principali
ABWR: Advanced
Boiling-Water Reacrtor, reattore ad acqua bollente avanzato (III
Generazione), progettato dalla General Electric.
ACR: Advanced Candu
Reactor, di Generazione III+, sviluppo evolutivo del canadese CANDU (a
uranio naturale e acqua pesante), in corso di certificazione.
AP600, AP1000: reattori avanzati ad acqua in pressione
(rispettivamente da 600 MWe e 1000 MWe), progettato dalla Westinghouse.
ADS: Accelerator
Driven System
ALMR: Advanced
Liquid-Metal fast breeder Reactor, reattore veloce avanzato autofertilizzante
a metallo liquido, progettato dalla General Electric.
BN-600, BN-800: reattori veloci autofertilizzanti (breeder) rispettivamente in funzione e
in costruzione in Russia.
BREST: reattore veloce di IV generazione refrigerato a
piombo in fase di studio in Russia.
BWR: Boiling-Water
Reactor, Reattore ad acqua (leggera) bollente.
CEFR: Chinese
Experimental Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione in fase di
studio in Cina.
ENHS: Encapsulated Nuclear Heat Source, piccolo
reattore (50 MWe) veloce a metallo liquido proposto dall’Università di
California.
EPR: European
Pressurized-water Reactor, di Generazione III, della AREVA, in costruzione
in Finlandia e in Francia.
ESBWR: Economic and Simplified Boiling Water Reactor, progettato dalla
General Electric.
FBR: Fast Breeder
Reactor, nome generale per reattore veloce autofertilizzante.
FBTR: prototipo di piccolo reattore veloce (40 MWt) in
funzione in India.
GFR: Gas-cooled Fast
Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a gas.
GIF: Generation IV
International Forum, unione di 10 paesi per sviluppare I reattori di
Generazione IV (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, Francia, Giappone,
Gran Bretagna, Corea del Sud, Sudafrica, Svizzera, Euratom: spicca l’assenza
della Germania; l’Italia sta considerando se aderire, o farlo attraverso
l’Euratom).
GT-MHR: Gas Turbine-Modular Helium Reactor,
reattore di Generazione III+, refrigerato a gas, in fase di realizzazione alla General Atomics (USA).
HFR, High-Flux Reactor
HTR: High Temperature Reactor, reattore ad alta temperatura.
IAEA: International Atomic Energy Agency
IEA: International Energy Agency
INPRO: International
Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles, iniziativa
internazionale parallela a GIF per il rilancio dell’energia nucleare, sostenuta
in particolare da Russia, Cina, India, che non partecipano a GIF.
INTD: International
Near Term Deployement Reactors, sinomìnimo di reattori di Generazione III+,
che si prevede siano disponibili fra il 2010 e il 2015.
IRIS: International
Reactor Innovative & Secure, di Generazione III+, in fase di
realizzazione da un consorzio internazionale guidato da Westinghouse.
JSFR:
KALIMER: Korea
Advanced LIquid MEtal Reactor, reattore veloce raffreddato a sodio
progettato dalla Corea del Sud.
Kamini: piccolo prototipo in India per sperimentare l’uso
del torio.
LFR: Lead-cooled Fast
Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a piombo.
LSPR: reattore veloce al sodio bismuto progettato in
Giappone.
LWR: Light Water Reactor (Reattore ad acqua leggera)
MONJU: prototipo di reattore veloce in Giappone, chiuso dopo
perdita di sodio nel circuito secondario.
MOX: Mixed Oxide Fuel,
combustibile misto uranio-plutonio.
MSR: Molten Salt
Reactor, reattore di IV Generazione con una miscela circolante di Sali
fusi.
PBFR: reattore veloce di IV Generazione in studio in India.
PBMR: Pebble Bed
Modular Reactor, reattore a biglie, di Generazione III+, in corso di
sviluppo in Sudafrica.
PFBR: reattore veloce sperimentale in costruzione in India.
PFR: reattore veloce sviluppato Gran Bretagna, chiuso nel
1994.
PRISM: reattore modulare veloce raffreddato a metallo
liquido in progettazione alla General Electric.
PWR: Pressurized-Water
Reactor, Reattore ad acqua (leggera) in pressione.
4S: Super-Safe,
Small & Simple, piccolo reattore (“nuclear
battery”) veloce proposto dalla Toshiba, per regioni isolate.
SCWR: Supercritical
Water-cooled Reactor, reattore di IV Generazione refrigerato ad acqua in
condizioni superiori al punto critico.
STAR: Secure
Transportable Autonomous Reactor, sviluppato da Argonne e Lawrence
Livermore Laboratory.
SFR: Sodium-cooled
Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a sodio.
SVBR: progetto russo di un nuovo reattore veloce al
sodio-bismuto.
VBER: nuovo progetto sviluppato in
Russia-Bielorussia-Kazakistan.
VHTR: Very-High-Temperature
Reactor, reattore di IV Generazione ad alta temperatura moderato a grafite
e raffreddato ad elio.
VVER: Vodo-Vodyanoi
Energetichesky Reactor, reattori ad acqua in pressione sviluppati dall’URSS.
APPENDICE 1
Tipologie e
Generazioni di reattori nucleari civili
È opportuno fare una prima grande
distinzione, tra reattori termici e reattori veloci[121].
• Nei
reattori termici i neutroni di alta energia prodotti nella fissione vengono
“rallentati” da un moderatore. La
“pila di Fermi” era moderata a grafite.
All’inizio dell’era nucleare, dopo
la fine del secondo conflitto mondiale, nel blocco occidentale solo gli USA
avevano sviluppato il processo di arricchimento dell’uranio (per diffusione
gassosa), e successivamente l’URSS. Gli USA svilupparono pertanto negli anni
successivi filiere di reattori ad uranio
leggermente arricchito (in U-235), ad acqua leggera come moderatore e
refrigerante (LWR, Light Water Reactors): l’85 %
dell’energia elettronucleare mondiale è generata da reattori derivati da
progetti sviluppati originariamente per la propulsione dei sommergibili.
Altri paesi trovarono ovviamente più
conveniente sviluppare reattori a uranio
naturale: i primi, britannici, erano a gas-grafite
(moderati a grafite, raffreddati a gas: ne rimangono in funzione solo in Gran
Bretagna). Il Canada mise a punto il reattore CANDU (CANada Deuterium Uranium) ad uranio naturale,
moderato e raffreddato ad acqua pesante. In questi reattori il combustibile è
racchiuso in barre.
• I reattori a
neutroni veloci
non hanno il moderatore
e usano Plutonio come materiale fissile e U-238 come materiale fertile. L’alto
flusso di neutroni produce una maggiore densità di potenza; sono raffreddati a
metallo liquido, sodio (che in presenza di aria reagisce violentemente con
l’acqua incendiandosi) e nei nuovi progetti piombo liquido, mescolato con
bismuto.
Credo che chiunque rimanga piuttosto
stupito vedendo la pletora di progetti e prototipi proposti: sembra di avere a
che fare con l’industria automobilistica! Devo
ribadire la mia impressione che tale moltiplicarsi e intrecciarsi di progetti
non sembra delineare una strategia unitaria in una tecnologia matura, ma
piuttosto la ricerca affannosa di qualche soluzione vincente, in un clima di
feroce competitività, dove si sprecano i termini roboanti: “avanzato”,
“sicuro”, “innovativo”, “semplice”, “economico”. La possibilità di soluzioni
tecnologiche è pressoché illimitata, ma sembra di essere effettivamente lontani
da un vero consolidamento: che infatti viene “promesso” fra 30 anni!
Vedremo anche che, mentre si parla molto di futuri reattori di piccola o
piccolissima taglia, modulari, in realtà si stanno costruendo molti reattori di
grossa taglia.
Generazione I I primi prototipi di reattori
costruiti a cavallo tra gli anni ‘4’ e ’50, principalmente con lo scopo di
dimostrare la fattibilità di un impianto nucleare per la produzione di energia
elettrica.
Generazione II Comprende le centrali attualmente in servizio. La maggior
parte di quelle occidentali sono LWR:
Della filiera canadese CANDU a uranio naturale e acqua pesante
sono in funzione 30 reattori, più 13 derivati dal CANDU progettati dall’India[122]
quando, dopo il test nucleare del 1974, il Canada interruppe gli scambi di
tecnologia nucleare: da questi reattori PHWR
(Pressurized Heavy Water Reactor)
l’India ha prodotto il plutonio.
Vi sono poi le filiere sovietiche,
ad acqua in pressione: i VVER (Vodo-Vodyanoy Energetichesky Reaktor,
reattore energetico ad acqua pressurizzata) di II Generazione, pur migliorati,
presentano però ancora seri problemi di sicurezza. Non hanno una struttura di
contenimento, come una cupola in cemento armato, ma solo una struttura di
confinamento costituita da vari locali circondanti il nocciolo. Ulteriori
difetti sono: insufficiente capacità di refrigerazione di emergenza,
insufficiente ridondanza e separazione dei sistemi di sicurezza, insufficiente
protezione dagli incendi, allagamenti, caduta di aerei, onda d’urto di
un’esplosione. A fronte di questi difetti, la filiera VVER presenta alcune
caratteristiche positive: bassa potenza del nocciolo, semplicità impiantistica,
possibilità di isolamento di ognuno dei circuiti in maniera separata.
Generazione III (Advanced Reactors). Reattori la cui progettazione è iniziata dopo
l’incidente di Chernobyl. Alcuni prototipi sono già operativi in Giappone,
Corea del Sud, India, altri in fase di progettazione. Consistono essenzialmente
in modifiche evolutive delle tipologie di reattori di II Generazione, termici, ad acqua leggera (LWR: PWR e BWR), con
strutture semplificate (riduzione del numero di circuiti e componenti) per
ridurre i costi di capitale e i tempi di costruzione e la probabilità di
incidenti gravi, maggiore sicurezza spesso con l’incorporazione di misure
passive (sistema addizionale di spegnimento che si attiva automaticamente se la
temperatura del nocciolo supera un certo valore), maggiore efficienza nell’uso
del combustibile, maggiore durata di vita (tipicamente 60 anni). Si sono
formate tre principali alleanze industriali occidentali per conquistare il
mercato mondiale, schematicamente: Areva-Mitsubishi, General Electric-Hitachi,
Westinghouse-Toshiba. Negli USA
4ABWR
(Advanced Boiling Water Reactor),
General Electric. 1.350
- 1.500 MWe. Molto simile ai reattori BWR attuali, costruzione semplificata,
maggiore efficienza, miglioramenti di elettronica, computer, turbine,
tecnologia del combustibile, capacità operativa, sicurezza (pompe interne di
ricircolo, guida delle barre di controllo, controllo digitale, sistemi idrici
indipendenti), affidabilità. Un reattore ABWR, General Electric-Hitachi
operativo in Giappone dal 1996-97, 1.300 MWe, altri in costruzione in Giappone
e Taiwan. Hitachi ha sviluppato progetti di varianti da 600, 900, 1.700 MW.
4System 80+, Westinghouse. 1.350 MWe, PWR.
Molto simile ai reattori attuali, migliorie: raffreddamento d’emergenza del
nocciolo, sistema di depressurizzazione di sicurezza, serbatoio d’acqua di
riserva.
4AP600
(Advanced Pressurized 600),
Westinghouse. 600 MWe, PWR. Progettato per ridurre i costi
4VVER-1000 di
III generazione, di concezione sovietica, PWR, il primo ad avere un sistema di
contenimento a pressione e miglioramenti significativi nei sistemi di controllo
e sicurezza: mantiene comunque problemi seri di sicurezza[123].
Non vi è accordo sulla possibilità di migliorarlo con interventi ulteriori, ma
4Il
Canada sta sviluppando versioni avanzate del reattore CANDU,che tratteremo nella Generazione III+.
Generazione III+ Sono ancora, strutturalmente, modifiche evolutive dei concetti di reattori tradizionali, con
miglioramenti ma non innovazioni radicali. L’approccio
evolutivo rispecchia un atteggiamento prudente, continuo e graduale, con cui
ogni casa madre cerca di far tesoro dell’esperienza acquisita in passato,
minimizzando i rischi che possono sorgere in progetti completamente nuovi.
1 – Reattori termici
1a – Ad acqua leggera
– In Francia:
4EPR (European Passive Reactor, o Evolutionary
Power Reactor), Areva (Francia, Germania). Reattore termico PWR, di grande
potenza (1.600, fino a 1750 MWe), può usare l’intero carico di combustibile
MOX. Migliore flessibilità nel seguire la variazione del carico, vita 60 anni.
Ha un doppio contenitore esterno, ma anziché un sistema di sicurezza passivo
incorpora quattro sistemi di sicurezza separati, un “core catcher” per contenere e raffreddare i materiali del nocciolo
in caso di incidenti gravi che danneggino il vessel del reattore (lo studio della Union of Concerned Scientists ne contesta però in parte l’efficacia[124]).
Areva sta sviluppando con imprese tedesche anche un altro progetto evolutivo di
reattore BWR semplificato, SWR 1000,
da 1.000 - 1.290 MWe, con caratteristiche di sicurezza passive, combustibile
arricchito al 3,54 %, ad alta utilizzazione, intervalli di ricarica fino a 2
anni. Per entrambi sono state ottenute le certificazioni di sicurezza francesi;
non ancora dalla NRC.
– In
4AP1000 (Advanced Pressurized 1000),
Westinghouse. 1.100
MWe, versione potenziata dell’AP600 (progetto semplificato, vessel del reattore e combustibile più
lunghi, generatori di vapore più grandi, pressurizzatore più grande, ecc.),
vita 60 anni. Sistemi di sicurezza passivi, ma contenitore più debole.
4ESBWR (Economic Simplified Boiling Water Reactor), General Electric. 1.390-1.550
MWe, BWR, basato sul progetto del ABWR (v. sopra). Sistemi di sicurezza
passivi, miglioramenti (circolazione naturale aumentata con un vessel più alto, nucleo più corto,
sistema di raffreddamento a gravità, sistema di raffreddamento del
contenimento, ecc.).
4IRIS
(International Reactor Innovative and
Secure). Westinghouse,
reattore PWR modulare (325 MWe per modulo) con qualche anno di ritardo
sull’AP1000. Differisce dai reattori convenzionali per il fatto che il
generatore di vapore e l’acqua pressurizzata di refrigerazione del nocciolo
sono interamente contenuti nel vessel
a pressione del reattore. Per le pretese caratteristiche di sicurezza
intrinseca passiva questo reattore non avrà un solido contenitore esterno di
cemento armato, ma solo un involucro sferico di acciaio sottile, e non prevede
piani di emergenza esterna: entrambe queste caratteristiche violano le
condizioni della NRC, di fatto una pre-richiesta di autorizzazione è scaduta, e
la domanda di certificazione del progetto non verrà presentata fino al 2010. Il
combustibile avrà inizialmente arricchimento del 5 %, coefficiente di burn-up [125] 10
volte superiore a quello attuale, tempo di ricarica 4 anni: nella versione
finale arricchimento maggiore (10 %), ulteriore miglioramento del burn-up e tempo di ricarica 8 anni,
anche combustibile MOX. Progettata anche il piccolo
reattore (v. oltre) IRIS-50, 50
MWe modulare.
– Vari reattori sono progettati, o in corso di realizzazione in Russia,
di varia concezione, da Gidropress e OKBM (“Experimental Designing Bureau of
Machine Building”), alcuni classificati come “Piccoli reattori” (v. oltre):
4VVER-1200,
PWR, 1.200 MWe, prevista disponibilità per il 2012-2013. Sviluppo evolutivo del
VVER-1000 (v. sopra). Sicurezza maggiore, anche per terremoti e impatto di
aerei, con alcune caratteristiche di sicurezza passive, doppio contenimento.
Vita 50 anni, fattore di capacità 90 %. In progetto anche il modello VVER-1500.
4VBER-300,
295-325 MWe, PWR, sviluppato per propulsione navale, concepito in coppie come centrale galleggiante. Vita 60 anni,
fattore di capacità 90 %. Anche VBER-150,
derivato da progetto navale, modulare, 350 MWt, 110 MWe, 8 anni di intervallo
per le ricariche, combustibile arricchito al 4,7 %.
4VK300, BWR,
progettato specificamente per cogenerazione di potenza e calore per un
distretto, o desalinizzazione (150 MWe più
1.675 GJ/ora, o 250 MWe di sola elettricità). Raffreddamento e sistemi di
sicurezza passivi. Sei programmati nel 2007, per entrare in funzione nel
2017-2020.
4KLT-40S,
reattore provato in navi rompighiaccio, ora proposto per desalinizzazione e
produzione di energia in aree remote, anche su una chiatta. 150 MWt: 35 MWe più altrettanti di calore. Progettato
per funzionare 3-4 anni senza ricarica.
4ABV,
modulare, 45 MWt. Montabile anche su chiatte, nocciolo simile al KLT-40, ma
arricchimento 16,5 %, ricarica 8 anni, vita 50 anni.
– Vi è anche un revival di
progettazione di reattori piccoli (small
reactors)[126]:
4CAREM,
Argentina, PWR, modulare, 100 MWt/27-100 MWe, per cogenerazione,
desalinizzazione. Progetto maturo che potrebbe essere sviluppato entro un
decennio.
4SMART (System-integrated Modular Advanced Reactor),
Corea del Sud, PWR, 330 MWt, per cogenerazione (desalinizzazione),
caratteristiche di sicurezza avanzate. Un impianto da 1/5 di potenza (65 MWt) è
in fase avanzata di costruzione.
4MRX,
Giappone, PWR, 50-300 MWt, per propulsione navale o fornitura di energia locale
(30 MWe), uranio arricchito al 4,3 %, 3,5 anni per la ricarica, contenimento
pieno d’acqua per aumentare la sicurezza.
4NHR-200,
Cina, PWR semplice e robusto, per riscaldamento locale o desalinizzazione (200
MWt).
Progetti di reattori piccoli/medi |
||
CAREM |
27 MWe, PWR |
CNEA & INVAP, Argentina |
KLT-40 |
35 MWe, PWR |
OKBM, Russia |
MRX |
30-100 MWe, PWR |
JAERI, Giappone |
IRIS-50 |
50 MWe, PWR |
Westinghouse, USA |
SMART |
100 MWe, PWR |
KAERI, Corea del Sud |
NP-300 |
100-300 MWe, PWR |
Technicatome (Areva), Francia |
SBWR modulare |
50 MWe, BWR |
GE & Purdue University, USA |
PBMR |
165 MWe, HTGR |
Eskom,
Sudafrica, e altri |
GT-MHR |
285 MWe, HTGR |
General Atomics (USA), Minatom
(Russia) et al |
BREST |
300 MWe, LMR |
RDIPE (Russia) |
FUJI |
100 MWe, MSR |
ITHMSO, Giappone-Russia-USA |
Da: Encyclopaedia
of Earth,
Small nuclear
reactors, http://www.eoearth.org/article/Small_nuclear_power_reactors
1b –
Ad acqua pesante
In Canada la società AECL sta
sviluppando progetti avanzati della filiera CANDU
4CANDU-9, da
935-1.300 MWe, oltre a sistemi di sicurezza passiva, estrema flessibilità nel
combustibile: uranio naturale, leggermente arricchito, recuperato dal
combustibile esaurito dei reattori PWR, miscele uranio plutonio, plutonio-239
recuperato dalle testate militari, uranio-238 e torio-232 come nuclei fertili
(Scheda 2 e Appendice 2), isotopi della serie degli attinidi recuperati dal
combustibile esaurito dei reattori PWR e BWR.
4ACR (Advanced CANDU Reactor), innovativo,
dovrebbe essere commercializzato a partire dal 2020 (il primo dovrebbe essere
operativo in Ontario nel 2014), costruito in moduli prefabbricati, nelle
versioni 750, 1.000 e 1.200 MWe. Moderato sempre ad acqua pesante, ma refrigerato ad acqua leggera (più economica) leggermente pressurizzata. Uranio
leggermente arricchito (1,5 – 2 %), cicli di ricarica 4¸5 anni,
valori elevati del coefficiente di burn-up.
Una variante dell’ACR sarà il CANDU X,
350 – 1.150 MWe (in dipendenza del numero di canali di refrigerazione
installati), che avrà come refrigerante acqua leggera supercritica (cfr. nota
85) in pressione a 625 oC, prevista la commercializzazione dopo il
2020.
1b2 – Variante ad acqua pesante, India, ciclo del torio
Abbiamo ricordato come l’India segua la strada del torio,
da fertilizzare in uranio-233 fissile (Appendice 2). Dal
4L’India, con l’esperienza dei reattori ad acqua pesante pressurizzata
PHWR sviluppati in passato (v. Generazione II), sta sviluppando in
collaborazione con il Canada un reattore ad
acqua pesante avanzato AHWR (Advanced Heavy Water Reactor), da 300
MWe, con diverso sistema di refrigerazione (acqua bollente), con impiego del torio (di cui l’India è ricca) come
nucleo fertile (Appendice 2). Una
carica di combustibile comprende miscele di ossidi di Torio-Uranio-233, e
Torio-Plutonio, e secondo il progetto dovrebbe auto sostenersi con l’U-233
fertilizzato dal Th.
1c –
Raffreddati a gas.
Questi reattori usano elio come
refrigerante, il quale a 950 oC aziona delle turbine a gas per la
produzione di energia elettrica e un compressore per reintrodurre il gas nel
nocciolo del reattore, ed hanno una geometria del combustibile completamente
diversa, racchiuso o in sfere di grafite oppure in prismi esagonali.
4Il
Sudafrica in collaborazione con
Westinghouse ed enti tedeschi sta sviluppando il PBMR (Pebble Bed Modular
Reactor, modulare, a letto di sfere), 165 MWe per modulo. Il combustibile è
in forma di particelle (TRISO, Tristructural-isotropic) di diametro minore di 1
mm: ciascuna (v. fig., fuel) è
costituita da un nucleo di ossido di uranio ad
alto arricchimento, al 17 %, circondato da strati di carbonio e silicio (coated particle) che fornisce il
contenitore dei prodotti di fissione stabile fino a 1.600 oC.
450.000 di queste particelle sono sistemate in sfere di grafite, pebbles, come palle da biliardo, del
diametro di
4GT-MHR (Gas Turbine - Modular Helium Reactor) è
un progetto simile ma di maggiore potenza (285 MWe per modulo), sviluppato
negli Usa dalla General Atomic in collaborazione con la russa Minatom e con
finanziamenti della giapponese Fuji. Il nocciolo cilindrico consiste di colonne
esagonali di elementi di combustibile con canali per l’elio e le sbarre di
controllo. La fase del progetto preliminare è stata completata nel 2001.
Dovrebbe essere usato inizialmente per bruciare plutonio puro dallo
smantellamento delle testate nucleari a Tomsk, in Russia.
2 – Reattori veloci
Molti paesi hanno programmi di
ricerca e di sviluppo di Fast Breeder
Reactors (FBR) migliorati. Qui le innovazioni di base su cui si ricerca
sembrano essere almeno due. 1) Da un lato la refrigerazione a metallo liquido: questo è
tradizionalmente il sodio, che
presenta però alcuni inconvenienti: si incendia a contatto con l’acqua e può
originare esplosioni (molti reattori veloci sperimentali sono stati chiusi per
perdite di sodio), ha bisogno di due fasi di raffreddamento prima di entrare in
turbina. Per questo l’attenzione dei progettisti si è rivolta verso una miscela eutettica [128]
di piombo e bismuto (LBE): l’elevato punto di fusione permette di operare a
pressione atmosferica senza bisogno di pressurizzare il contenitore del
reattore (il che crea ulteriori problemi di sicurezza), la presenza del piombo
è utile per schermare le radiazioni riducendo la necessità di schermature, la
miscela LBE ha un’elevata capacità di trasferire calore e questo permette di progettare
noccioli più compatti, piccoli ed economici; uno dei problemi seri è la
corrosività della miscela. 2) La seconda innovazione su cui si sta lavorando
sembra riguardare il combustibile: in particolare l’India, con il PFBR (v.
oltre) cerca di passare dai tradizionali combustibili in forma di ossidi (di
uranio e plutonio) a combustibili
metallici, che offrirebbero un fattore di autofertilizzazione (breeding) superiore, quindi maggiore
produzione di plutonio.
–
4Avviata la costruzione (e altri in
programma) di un modello più potente (880 MWe), il BN-800, refrigerato a sodio, migliorato in sicurezza ed economia,
con flessibilità di combustibile (uranio, + nitrito di plutonio, MOX, metallo:
per bruciare due tonnellate all’anno di plutonio dallo smantellamento delle
testate e sperimentare il riciclaggio degli attinidi), dovrebbe avere un
rapporto di fertilizzazione di 1,3 (ma all’inizio sarà minore di uno).
4BREST,
raffreddato a piombo-208 fuso a 540 oC, 300 MWe (in costruzione
un’unità di 4 moduli), con sistemi di sicurezza passiva, combustibile plutonio
fissile e uranio-238 fertile. Intrinsecamente sicuro, brucerà uranio+nitrito di
plutonio, non produrrà plutonio militare (weapons-grade)
non avendo il blanket di uranio, il
combustibile esaurito potrà venire ritrattato indefinitamente.
4SVBR (Reattore Veloce al Piombo-Bismuto),
progetto più piccolo e innovativo, 75-100 MWe, con i generatori di vapore posti
nella stessa piscina del piombo-bismuto a 400-480 oC insieme al
nocciolo, flessibilità di combustibile. Progetto integrale, realizzato in
fabbrica, spedito come modulo di diametro
– Il Giappone sviluppa in particolare la ricerca
su reattori piccoli e molto piccoli, cercando di sganciarsi dall’intervento
umano:
44S (Super Safe, Small and Simple),
raffreddato a sodio (L-4S versione
raffreddata a piombo), sviluppato da Toshiba e CRIEPI (Central Research Institute of Electric Power Industry) in
collaborazione con l’americana STAR, potrebbe anche essere classificato come IV
Generazione, è una “batteria nucleare” molto piccola (10 MWe), concepita per
regioni remote senza manutenzione di routine (uno approvato a Galena, in
Alaska), per funzionare 30 anni senza ricarica in modo stabile grazie ad alcuni
lenti movimenti interni in corso d’opera. Verrebbe assemblato in fabbrica,
trasportato in sito ed sigillato
4LSPR,
raffreddato al piombo-bismuto, 150 MWt/53 MWe. Concepito per paesi in via di
sviluppo, l’unità verrebbe fornita dalla fabbrica completa di carica di
combustibile e verrebbe restituita dopo 30 anni di funzionamento.
4Rapid, sviluppato da Toshiba e CRIEPI, 60
MWe, ricarica ogni 5 anni. Da questo progetto Rapid-L, progetto di piccolissima scala (5 MWt/200 kWe, l’intero
impianto è molto piccolo, altezza
– Alcuni reattori veloci sono nelle fasi iniziali di progettazione negli
USA. Nessun
reattore veloce statunitense è stato più potente di 66 MWe e nessuno ha fornito
elettricità commercialmente. I progetti di cui si parla sembrano ad uno stadio
molto preliminare e non hanno ancora affrontato il giudizio della NRC: il
progetto del reattore ALMR (Advanced Liquid Metal Reactor), proposto
dall’Argonne National Laboratory, da 1.400 MWe fu scartato allo stato iniziale
dalla NRC.
4PRISM (Power Reactor Innovative Small Module),
150 MWe modulare, e Super-PRISM,
General Electric, moduli da 1.000 MWt/380 MWe, refrigerato a sodio a 510 oC.
I moduli del tipo a piscina contengono l’intero sistema primario con il sodio
refrigerante. Il combustibile U+Pu può essere ossido o metallo, ma gli attinidi
minori non vengono rimossi nel ritrattamento per cui l’elevata radioattività
residua dovrebbe renderlo resistente a sottrazioni. I prodotti di fissione
vengono invece rimossi e i residui risultanti sarebbero a vita più breve di
quelli attuali. Il progetto dovrebbe raggiungere gli standard della IV
Generazione.
4ENHS (Encapsulated Nuclear Heat Source),
progetto Università di California, 50 MWe, raffreddato a metallo liquido. Il
nocciolo è in un modulo riempito di metallo primario posto in una grande
piscina di refrigerante metallico liquido secondario, che contiene anche i
generatori di vapore. Il combustibile è una lega uranio-zirconio con uranio
arricchito al 13 % (o U-Pu-Zr con 11 % di pu), con un periodo di vita di 15
anni: dopo i quali il modulo verrebbe rimosso, immagazzinato in situ finché il
metallo primario solidifica, e poi inviato come un oggetto auto-contenuto e
schermato; mentre verrebbe sostituito da un nuovo modulo completo di
refrigerante primario.
4STAR (Secure Transportable Autonomous Reactor),
progetto analogo al precedente, sviluppato da Argonne sotto la direzione del
Lawrence Livermore Laboratory (si noti: grande laboratorio di ricerca
militare): reattore modulare che può venire spedito per ferrovia, raffreddato
dalla circolazione naturale. Combustibile di nitriti di uranio e transuranici,
in una cassetta che viene sostituita ogni 15-20 anni. Benché la progettazione
sia preliminare, si progettano varie versioni: STAR-LM, da 180 MWe per produzione di energia funzionante a 578 oC;
START-H2, funzionante a 800 oC,
adattato per produrre idrogeno, con eliminazione totale dei transuranici; SSTAR, (Small Sealed Transportable Autonomous Reactor), variante più
piccola, 10-100 MWe, sviluppato in collaborazione con Toshiba come parte degli
sforzi volti ai reattori di IV Generazione.
– L’ India sviluppa reattori veloci proseguendo il suo programma sul
torio:
4PFBR (Prototype Fast Breeder Reactor): l’India sperimenta a Kalpakkam l’uso del
torio e di un combustibile innovativo metallico in un reattore veloce[131]. Il
prototipo in costruzione, da 500 MWe, sarà alimentato a uranio-plutonio
(ricavato da una serie di reattori PHWR operativi e in costruzione), con un blanket di torio da fertilizzare in
uranio-233 fissile. Il prototipo dovrebbe diventare operativo nel 2010; la
costruzione di altri quattro reattori veloci è annunciata per il 2020.
– Anche
4CEFR (Chinese Experimental Fast Reactor), con assistenza russa, reattore
sperimentale da 65 MWt/ 25 MWe, al sodio, previsto per il 2008, ma vi sono
ritardi (inizialmente era previsto per il 2004). Un prototipo in piena scala
sarebbe previsto per il 2020. L’ente nucleare cinese prevede che la tecnologia
possa divenire predominante verso la metà del secolo.
Generazione IV Abbiamo visto che vi sono diverse iniziative volte a progettare
reattori di concezione innovativa:
– GIF (Generation
IV International Forum), iniziativa internazionale, nel
– INPRO (International Project on Innovative Nuclear
Reactors and Fuel Cycles), iniziativa internazionale lanciata nel 2001,
coordinata dalla IAEA, “per favorire l’uso della tecnologia nucleare sicura,
sostenibile, economica e resistente alla proliferazione per soddisfare le necessità
energetiche globali del 21o secolo”. INPRO sembra essere nella fase
di analisi dei progetti e di impostazione del lavoro.
– GNEP (Global Nuclear Energy Partnership),
iniziativa promossa nel 2007 dal presidente Bush come parte della Advanced Energy Initiative, per
promuovere il consenso internazionale (Partnership)
sullo sviluppo dell’energia nucleare sostenibile[133].
Alcuni progetti, come il russo BREST
(v. sopèra), si collegano alle ricerche sviluppate per i reattori avanzati di
III Generazione. La descrizione che segue non può che essere molto sommaria
(NOTA: non si confonda il termine “termico” riferito allo spettro di energia
dei neutroni, rallentati da un moderatore, con la temperatura del refrigerante,
ad esempio reattore “ad alta temperatura”).
1 – Reattori veloci. Ritrattamento del combustibile necessario. “È tutt’altro che chiaro
se vi sia un progetto ottimale per i reattori veloci che possa rendere i rischi
complessivi accettabili”[134]:
4GFR
(Gas-cooled Fart Reactor). Progetto 288 MWe, raffreddato a elio.
Alta temperature (850 oC), per la produzione di idrogeno oltre che
di elettricità: in quest’ultimo caso l’elio azionerebbe direttamente la
turbina. I combustibili includono uranio depleto e qualsiasi altro materiale
fissile o fertile. Ciclo del combustibile chiuso, conversione dell’uranio
fertile, ritrattamento in situ, tutti gli attinidi riciclati per minimizzare la
produzione di residui ad alta attività.
4LFR
(Lead-cooled Fast Reactor). Progetto con un grande range di
possibilità, da
4SFR
(Sodium-cooled Fast Reactor). Progetto nel range 150 - 1.700 MWe.
Raffreddato a sodio, temperatura 550 oC, circuito primario a
pressione atmosferica, generazione di elettricità dal circuito secondario del
sodio. Combustibile con uranio depleto, ciclo chiuso, conversione dell’uranio
fertile e gestione degli attinidi. Proposte due varianti: 150-500 MWe, con
attinidi incorporati in un combustibile metallico che richiede trattamento
pirometallurgico in situ; e 500-1.500 MWe, con combustibile MOX ritrattato
altrove in impianti convenzionali. Nel contesto di GNEP la seconda possibilità
sembra meno probabile.
2 – Reattore progettato come termico o veloce.
4SCWR
(Supercritical Water-Cooled Reactor).
Questo è il progetto
che può essere a spettro neutronico termico, oppure nell’opzione veloce con
riciclaggio completo degli attinidi basato sul ritrattamento convenzionale:
quindi ritrattamento necessario per la
versione veloce. Progetto di riferimento 1.700 MWe. PWR a pressione molto
elevata che opera al di sopra del punto critico dell’acqua per elevare
l’efficienza di un terzo rispetto ai PWR attuali. L’acqua supercritica aziona
direttamente la turbina, senza un circuito secondario di vapore. Combustibile
ossido di uranio, arricchito nel caso dell’opzione a ciclo aperto.
3 – Reattori epitermici e termici. Ritrattamento del combustibile non necessario.
4MSR (Molten Salt Reactor): sebbene non sia a
rigore un reattore veloce, l’uranio è dissolto nel sale refrigerante fluoruro
di sodio che circola attraverso i canali del nucleo di grafite, per cui si ha
una parziale moderazione e uno spettro neutronico epidermico (sovratermico). Ciclo
del combustibile chiuso, i prodotti di fissione vengono rimossi con continuità
e gli attinidi completamente riciclati, mentre il plutonio ed altri attinidi
possono venire aggiunti insieme all’uranio-238. La temperatura del refrigerante
è
4VHTR
(Very High Temperature Reactor). 300 MWe. Del tipo moderato a grafite
e refrigerato a elio, con coclo di combustibile ad un solo passaggio (once-through), senza ritrattamento. La
tecnologia del nocciolo potrà essere o prismatica, o a letto di biglie (pebble-bed, v. sopra). Progettato per la
cogenerazione di idrogeno.
A parte si deve citare uno sviluppo
recente, per ora sulla carta: i sistemi subcritici ADS (Accelerator Driven
System) per produrre elettricità e trasmutare i residui radioattivi a vita
lunga. Un fascio di protoni di alta energia prodotto da un acceleratore
colpisce un bersaglio metallico e produce neutroni per “spallazione”: questi
provocano la fissione nel combustibile, ma a differenza dei reattori
convenzionali il combustibile è subcritico, per cui la fissione cessa appena si
spegne l’acceleratore. Il combustibile può essere uranio, plutonio o torio,
anche miscelati con residui a vita lunga dai reattori convenzionali. Prima che
le potenzialità di questo concetto possano essere dimostrate, rimangono varie
questioni tecniche e ingegneristiche da chiarire.
APPENDICE 2
Il ciclo del torio
Si chiama fissile un isotopo capace di dar luogo a fissione assorbendo un
neutrone, fertile un isotopo che
assorbendo un neutrone si trasforma in un isotopo fissile. L’U-238 è fertile,
ma deve venire irradiato con neutroni veloci (di qui l’idea dei reattori
veloci, autofertilizzanti). Il Torio (Th) si trova in natura quasi al 100% come
Th-232 che, al contrario dell’U-235, non è fissile, ma è un isotopo fertile
come l’U-238: assorbendo un neutrone si trasforma in U-233 fissile (reazione di
fertilizzazione, breeding reaction).
Rispetto all’U-238, il Th-232 presenta però due grossi vantaggi:
•
è tre volte più
abbondante in natura dell’U-238;
•
può dar luogo a
fertilizzazione con neutroni termici,
per cui il suo utilizzo non necessita della costruzione di reattori veloci.
|
Questa capacità di breeder termico ha destato, sin dagli
albori dell’era nucleare, un grande interesse verso l’utilizzo del torio come
combustibile in reattori nucleari termici: la centrale nucleare di
Shippingport, operativa dal 1977 al 1982 è stato un esempio di Light Breeder Reactor (reattore
fertilizzante termico). Tuttavia la strada di costruire altri reattori
fertilizzanti dello stesso tipo venne abbandonata a causa principalmente degli
alti costi e delle grosse difficoltà di fabbricazione di questo tipo di
impianti.
Il problema principale per l’uso del
torio come combustibile deriva essenzialmente dal fatto che la reazione a
catena deve prima venire innescata usando materiale fissile come U-235 o il
Pu-239 insieme al torio. Il torio di per se non è un materiale “indipendente” a
meno che non lo si usi come combustibile in reattori veloci autofertilizzanti.
In questo caso sarebbero i neutroni prodotti dalle fissioni veloci dello stesso
torio ad alimentare la reazione di conversione di altri nuclei di torio in
U-233. La possibilità di utilizzo del torio in reattori veloci
autofertilizzanti, vagliata sulla carta e applicabile in linea di principio,
non ha, in pratica, avuto riscontro in grossi progetti sperimentali. Il Th-232
fissiona solo per neutroni particolarmente energetici, ossia con energia
maggiore o uguale a 1.4 MeV e la sua sezione di fissione veloce è circa 1000
volte più piccola della sezione di fissione termica dell’U-235. D’altra parte le esperienze maturate nei
reattori termici (oltre Shippingport, vanno citati Fort-Saint Vrain,
raffreddato a gas, gli impianti BORAX di Elk River e Indiana Point, raffreddati
ad acqua ecc), avevano dimostrato a loro tempo che il torio si prestava alle
condizioni di un esercizio industriale a prezzo però di installazioni molto
complesse e a costi piuttosto elevati a causa di diversi problemi pratici (non
ultimo quello del notevole arricchimento dell’U-235 e Pu-239 da associare al Th
per l’innesco della reazione fertilizzante). Per questi motivi più di 20 anni
fa quasi in tutto il mondo è stata abbandonata l’idea di utilizzare il torio
come combustibile nei reattori termici, ad eccezione dell’India, che è povera
di giacimenti di uranio, ma ricca di torio.
I principali vantaggi derivanti
dall’uso del torio sono:
• può ridurre i rischi di proliferazione dell’uranio (produzione di
plutonio) poiché i combustibili a base di torio producono plutonio in quantità
molto minore, e con composizione isotopica neo adatta alla costruzione di
ordigni nucleari. Gli altri il torio è più abbondante in natura dell’uranio;
• ha una migliore resa neutronica: la fissione dell’U-233, prodotto dal
torio per cattura neutronica, ha il vantaggio di generare un numero di neutroni
maggiore rispetto alla fissione dell’U-235 e del Pu-239. (2.38 neutroni per
fissione del torio contro i 2.07 dell’U-235 e 2.11 del Pu-239);
• la sezione d’urto dell’assorbimento termico del Th-232 è più elevata di
quella dell’U-238 (cioè il Th-232 produce più U-233, di quanto l’U-238 produca
Pu-239), per cui dopo un lungo periodo di irraggiamento nel reattore risulta
ridotta la necessità di combustibile o di arricchimento di combustibile per
unità di energia prodotta;
• consente uno sfruttamento maggiore del combustibile.
In questo panorama sono stati
riavviati studi di progetti di combustibili a base di torio per lo sviluppo di
reattori termici di nuova generazione, con particolare riferimento all’impiego
in reattori a gas ad alta temperatura.
Per questo tipo di reattori il torio
si ripropone come combustibile assai interessante in relazione principalmente
alla capacità dell’ossido di torio di lavorare a temperature ben più elevate di
quelle previste per l’ossido di Uranio.
La soluzione del combustibile al
torio si diversifica da quelle adottate nel passato principalmente in relazione
alla scelta di una configurazione capace di prevenire l’accumulo di Plutonio e
per una serie altri aspetti tecnici.
Si richiede ad esempio che gli elementi
di combustibile possano sopportare una maggiore esposizione al calore e alla
radiazione per far si che una sempre maggiore quantità di Th-232 fertile venga
convertita in U-233.
In ogni caso, qualsiasi configurazione
di combustibile necessita originariamente di uranio arricchito da usare insieme
al torio per innescare la reazione di breeding,
e questo uranio deve essere arricchito 4 volte di più rispetto al combustibile
nucleare usato nei reattori ad acqua leggera.
Non esistono comunque grossi impedimenti
tecnici per l’uso del torio come combustibile: anche se sono necessarie
modifiche alle infrastrutture esistenti non è richiesta alcuna tecnologia
veramente nuova, e sussistono molte incertezze progettuali e sul costo del
combustibile.
Dal punto di vista sanitario,
l’esposizione a torio può portare ad un aumento del rischio di cancro ai
polmoni, al pancreas e al sangue. Dal punto di vista della tossicità chimica,
l’ingestione di torio provoca danni al fegato.
Inserito: 22 agosto 2008
Scienza e
Democrazia/Science and Democracy
#
Dipartimento di Fisica, Università di Firenze (baracca@fi.infn.it); febbraio 2008. [Alla
fine di luglio 2008 è uscito, dello stesso autore, il volume L' Italia torna al
nucleare. I costi, i rischi, le bugie,
Milano, Jaca Book. (NdC)]
[1] Agostino Mathis e Stefano Monti, “Energia nucleare:
l’opzione del futuro”,
[2] European Commission, Community research, The Sustainable Nuclear Energy technology
Platform, A vision report, 2007, http://ec.europa.eu/research/energy, nel seguito citato come: The Sustainable … (da sottolineare
[3] Lisbeth Gronlund,
David Lochbaum e Edwin Lyman, Nuclear
Power in a Warming World: Assessing the Risks, Addressing the Challenges,
Union of Concerned Scientists (UCS), Dicembre 2007, http://www.ucsusa.org/global_warming/solutions/nuclearandclimate.html.
Nel seguito citato come: UCS, Nuclear Power in a Warming World.
[4] Significativa l’uscita della rivista notoriamente
filo-nucleare Le Scienze di gennaio
2008, E. Perugini, “Caorso, mon amour” (pp. 86-91), che non si spinge certo (e pour cause!) a proporre una ripresa dei
programmi nucleari sul suolo nazionale, ma rivendica, un po’ pateticamente, le
italiche capacità tecniche e scientifiche, la ripresa di progetti e di
stanziamento di fondi per la ricerca nucleare (ma la ricerca in Italia non è
agonizzante?), un “super dipartimento per l’energia”, ed altre meraviglie.
[5] M Freeman,
http://www.larouchepub.com/eiw/public/2006/2006_20-29/2006-29/pdf/55-57_629_econuke.pdf#search=
%22Marsha%20Freeman%20Industry%20ready%20build%20nuclear%20plants%22;
http://www.larouchepub.com/
other/2006/3313russ_nuke_plans.html).
[6] Per una serie di argomenti rimando ad un Dossier, Radioattivi al Nucleare, pubblicato sul
numero di dicembre 2006 sulla rivista Mosaico
di Pace, con contributi di Giorgio Ferrari, Giorgio Nebbia, Gianni Tamino,
e del sottoscritto.
[7] Riportato in P. R.
Lavoy, "The enduring effects of Atoms for Peace", Arms Control Today, dicembre 2003.
[8] Mathis, Monti, cit, p. 37.
[9] Significativa è rimasta a mio avviso l’intervista di
Vittorio Zucconi a Richard K. Lester (ingegnere del Massachusetts Institute of Technology) ai tempi di Chernobyl, “È
finita per sempre l’epoca di queste centrali”, in Duemila Fisica, supplemento
al n. 285 de
[10] Mathis, Monti,
cit, p. 38.
[11] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.
[12] Ivi, p. 37.
[13] Mathis, Monti, cit., p. 36.
[14] OMS e IAEA:
[15] R. Stone, “Return
to the inferno: Chornobyl after 20 years”, Science,
Vol. 312,
[16] Gli articoli di Nature
e Science citati nella nota
precedente, e M. Peplow, “Counting the dead”, Nature, cit, pp. 982-3.
[17] I. Fairlie e D.
Sumner, TORCH: The other report on
[18] Greenpeace, The
[19] J. Mangano, “Three
Mile Island: health study meltdown”, Bulletin
of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05, September/October 2004, pp.
30-35; M. C. Hatch et al., "Cancer Near the Three Mile Island Nuclear
Plant," American Journal of Epidemiology, vol. 132, no. 3, pp.
397-412 (1990); e "Cancer Rates After the Three Mile Island Nuclear
Accident and Proximity of Residence to the Plant," American Journal of
Public Health, vol. 81, no. 6, pp. 719-24 (1991). S Wing et al., "A
Re-Evaluation of Cancer Incidence Near the
[20] Si veda in
italiano C. Lanzieri, “Ad un anno dall’incidente di Tokaimura”, http://guide.dada.net/fisica_applicata/interventi/2000/11/16173.shtml; Barbara Goss
Levi, “What happened at Tokaimura?”, Physics
Today on the Web, http://www.aip.org/pt/dec99/toka2.htm;
Jean Kumagai , “In The Wake of
Tokaimura, Japan Rethinks its Nuclear Picture”, Physics Today on the Web, http://www.aip.org/pt/dec99/toka1.htm.
[21] Victor Gilinsky
(consulente sui problemi energetici, già commissario della NRC dal 1975 al
1984), Washington Post, 28 aprile 2002, p. B01: http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn?pagename=article&node=&contentId=A57994-2002Apr27¬Found=true.
[22] Il 6 marzo 2002 i lavoratori scoprirono un’apertura
della lunghezza di un piede aperta per corrosione nel vessel del reattore dall’acqua borata: la camicia conteneva
[23] F. Barnaby, The proliferation consequences of global
stocks of separated civil plutonium, Oxford Research Group, giugno 2005,
www.oxfordresearchgroup.org.
[24] Los Angeles Times, “A
warming world: no to nukes”, 23.07.2007.
[25] Nel 1963 vennero messi al bando i test nucleari
nell’atmosfera (alcuni paesi li proseguirono). Con questo non si vuol dire che
i test sotterranei successivi non abbiano avuto rilasci radioattivi e
conseguenze sanitarie e ambientali (è stata osservata, ad esempio, una
correlazione tra le esplosioni nucleari e l’occorrenza di terremoti).
È
interessante menzionare il fatto che la consapevolezza scientifica dei danni
alla salute e all’ambiente delle radiazioni ionizzanti e dei test nucleari
risale agli albori dell’era nucleare: il fatto che la gente sia stata tenuta
completamente all’oscuro si configura ancor più come un vero crimine. Fino dal
1943 gli scienziati Conant, Compton e Urey inviarono al Gen. Groves (Direttore
del Mahnattan Project) un
pro-memoria, tenuto allora segreto, su “Uso di materiali radioattivi come
ordigni militari” (http://www.mindfully.org/Nucs/Groves-Memo-Manhattan30oct43a.htm).
Se ne raccomandava appunto l’impiego sul campo di battaglia, specificando anche
che le sottili particelle radioattive passerebbero attraverso tutte le maschere
antigas, anticipando così l’impiego attuale dell’Uranio Impoverito (DU): non a
caso il suo uso sconsiderato è avvenuto solo nel 1991, non appena il crollo
dell’URSS ha distrutto l’equilibrio bipolare che aveva retto durante
[26] Se veda il recente “L’eredità avvelenata del nucleare
sovietico”, L’Atlante per l’Ambiente,
Le Monde Diplomatique – Il manifesto, 2007, pp. 30-31.
[27] H.L. Rosenthal et
al., “Incorporation of fallout strontium-
[28] Radiation and
Public Health Project, “Environmental radiation from nuclear reactor effects on
children’s health from startups and shutdowns”, Press Conference, April 20,
2001, e “Environmental radiation from nuclear reactors and childhood cancer in
Southeast Florida”, 2003 (http://www.radiation.org/florida.html);
J. Mangano, “An unexpected rise of Strontium-
[29] Lauren Moret, “Depleted uranium weapons, the war
against earth”, World Depleted Uranium Weapons Conference: The Trojan Horse of
Nuclear War, Hamburgh, Germany, October 16-19, 2003
(http://www.traprockpeace.org/wuwc_reader4_civilians.pdf): questa relazione, da
cui ho tratto molti riferimenti [la richiamerò con il simbolo LM], va molto al
di là del problema del DU, ed è molto ampia e approfondita.
[30] D.V. Conn, “
[31] R. Bertell, No Immediate Danger: Prognosis for a
Radioactive Earth, The Book Publishing Company, Tennessee, 1985; G. Greene,
The Woman Who Knew Too Much: Alice
Stewart and the Secret of Radiation, Univ. Of Michigan Press, 1999.
[32] Si veda ad esempio: A. Baracca, A Volte Ritornano, Il Nucleare.
[33] E.J. Sternglass, Secret Fallout: Low Level Radiation from
Hiroshima to Three Mile Island, New York, McGraw-Hill, 1981; e successiva
comunicazione riportata da Lauren Moret [LM, fig. 2].
[34] R. Bertell,
“Victims of the Nuclear Age”, The
Ecologist, November 1999, pp. 408-411
(http://www.ratical.org/radiation/NAvictims.html).
[35]ECRR 2003 Recommendations of the European Committee on
Radiation Risk, European Committee on Radiation Risk, Regulator’s Edition, Brussels,
2003, pp. 182-183 (http://www.euradcom.org).
[36] World Health Organization
Press release: “Global cancer rates could increase by 50% to 15 million by
[38] The Sustainable …, cit.,
p. 21.
[39] World Energy Outlook 2006,
OECD/IEA (http://www.worldenergyoutlook.org/).
[40] The Sustainable …, cit.,
pp. 16-17.
[41] The Sustainable …,
cit. p.
20.
[42] The Sustainable …, cit. p.
21.
[43] Greenpeace News, III0
Quadrimestre 2007. p.12. Alessandro
Iacuelli, “L’ENEL nucleare e i reattori VVER”,
[44] Mathis, Monti,
cit., p. 42.
[45] Ivi, p. 39.
[46] “Olkiluoto-3
completion targeted for summer
[47] The Sustainable …, cit. p.
21.
[48] Ivi.
[49] Ivi.
[50] Mathis, Monti, cit., p.59.
[51] V. ad esempio il
manifesto, 16/01/08, p. 11.
[52] I reattori ad acqua leggera devono usare uranio
arricchito, al 2 – 3 % (nell’isotopo fissile U-235). Per potere usare uranio
naturale è necessario usare l’acqua pesante, D2O: infatti l’idrogeno
ordinario assorbe fortemente i neutroni e non consentirebbe di sostenere la
reazione a catena nell’uranio naturale, mentre il suo isotopo deuterio, D,
composto da un protone ed un neutrone, non è un così forte assorbitore di
neutroni.
[53] Il PBMR usa una diversa geometria del combustibile:
il letto di grafite, che funge da moderatore e da struttura portante, viene
riempito di biglie, o di blocchi esagonali, rivestiti di carbonio
e contenenti il combustibile in particelle di misura dell’ordine del
millimetro. Richiedono un forte arricchimento in materiale fissile (uranio,
torio) e sono raffreddati ad elio: offrono un alto rendimento e, essendo il
materiale nucleare sparso in modo meno denso, sono più sicuri e rendono più
difficile a potenziali terroristi estrarre materiale militare.
[54] Mathis, Monti,
cit., p.59.
[55] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 57.
[56] “Is the friendly
atom poised for a comeback?”, Science,
Vol. 309, 19 agosto 2005, pp. 1168-1179.
[57] Mathis, Monti, cit., p. 58.
[58] “L’India non aveva a suo tempo aderito al TNP,
coerentemente con la decisione di procedure in proprio al loro sviluppo e
dispiegamento; ciò ha comportato che l’India è stata esclusa dal trasferimento
di tecnologie e materiali nucleari, anche per usi civili … ed è stata costretta
allo sviluppo autonomo di un complesso sistema integrato civile-militare …
Evidentemente, per rendere credibili gli ambiziosi traguardi [v. sopra] il
governo indiano ha ritenuto indispensabile addivenire a questo accordo, di
fatto rinunciando alla piena autonomia anche per gli aspetti militari” [!?]
(Mathis, Monti, cit., pp. 39-40). Viene chiaramente occultato o sottovalutato
il problema degli armamenti nucleari e della proliferazione (che fa comodo solo
per attaccare l’Iran), Washington appare come la società di S. Vincenzo che fa
l’opera buona di controllare lo sviluppo degli armamenti nucleari indiani,
vengono taciute le traversie e le difficoltà incontrate dall’accordo (ancora
contestato dai partiti indiani governativi di sinistra), vengono taciute le
finalità anti cinesi, in una visione idilliaca di “volemose bene” a livello
mondiale sulla quale ritornerò nelle conclusioni.
[59] Wall Street
Journal
(Eastern edition), New York, 04/01/2007, p. A.15.
[60] Nature, Vol. 451, Issue n.
7175,
[61] Mathis, Monti,
cit., p. 64.
[62] Andy McSmith,
“Cost of nuclear clean-up is £9bn more than predicted”, The Independent,
[63]
[64] Dan Morse, The Washington Post,
[65] Riporato da Environmental
and Energy Study Institute, Conferenza Stampa, 30/10/07,
http://www.eesi.org/briefings/2007/Energy%20&%20Climate/10-30-07_loan_guarantees/loan_guar_notice.html
[66] Edmund L. Andrews e Matthew L. Wald, The New York Times, 31.07.2007 (http://www.nytimes.com/2007/07/31/washington/31nuclear.html?_r=1&oref=slogin).
[67] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
[68] Riguardo al fattore di carico – portato dai fautori
del nucleare come uno dei grandi meriti (Mathis, Monti, cit., p. 38), salito in
media nel mondo dal 71 % nel 1990 all’81 % nel 2003, e negli USA all’89 % –
[69] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 3; ma v. anche in particolare pp. 20-29.
[70] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 26.
[71] Ivi, p. 54.
[72] Ivi, p. 55.
[73] Ivi, p. 60.
[74] Ivi, p. 59.
[75] The Sustainable …, cit. p.
24.
[76] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 61.
[77] Ivi, pp. 4, 32-36.
[78] Ivi, p. 35; Daniel
Hirsch, David Lochbaum e Edwin Lyman, “The NRC’s dirty little secret”, Bulletin
of the Atomic Scientists, Vol. 59, n. 03 (May/June 2003), pp. 44-51,
http://www.thebulletin.org/article.php?art_ofn=mj03hirsch.
[79] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
[80] Ivi, p. 5.
[81] Helen
Caldicott, “Nuclear power is the
problem, not a solution”, http://www.icucec.org/art-caldicott.html.
[82] N. Mortimer,
“Nuclear power and global warming”, Energy
Policy, 19:76-8, Jan-Feb 1991.
[83] Jan Willem Storm
Van Leeuwen e Philip Smith, “Can nuclear power provide energy for the future;
should it solve the CO2-emission problem?”, 2005, http://www.stormsmith.nl; Sergio Zabot, “Ma l’energia
nucleare è davvero "carbon free"?”,
[84] http://italy2.peacelink.org/mosaico/docs/1923.rtf;
per la contabilità del ciclo di produzione dell’uranio, vedi anche: Gavin M
Mudd, e Mark Diesendorf, “Sustainability Aspects of Uranium Mining: Towards
Accurate Accounting?”,
http://nzsses.auckland.ac.nz/conference/2007/papers/MUDD-Uranium-Mining.pdf.
[85] “Is the friendly
atom poised for a comeback?”, Science,
Vol. 309, 19 agosto 2005, pp. 1168-1179.
[86] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
[87] Mathis, Monti, cit., p. 60.
[88] Una lega o soluzione il cui punto di fusione è più
basso di quello di ogni altra miscela dei singoli componenti.
[89] Condizioni termodinamiche nelle quali un gas non può
venire liquefatto: se la temperatura del gas è superiore alla temperatura
critica, non si può liquefare il gas per quanto si aumenti la pressione.
[90] Mathis, Monti, cit., p. 60.
[91] Ivi, p. 58-59.
[92] Ivi, p. 64.
[93] The Sustainable
…, cit. pp. 22 e 24.
[94] Mathis, Monti, cit., p. 59.
[95] Il nome veniva dal leggendario uccello,
[96] The Sustainable …, cit.,
p. 22.
[97] Ivi.
[98] Ivi, p. 23.
[99] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
[100] Ivi, pp. 62-63.
[101] Ivi, p. 68.
[102] I tempi dell’esplosione e delle sue fasi devono essere
regolati con precisione estrema, poiché la testata si disintegra fisicamente,
interrompendo la reazione a catena, dolo appena 20-30 nanosecondi (un
nanosecondo è un miliardesimo di secondo): per maggiori dettagli sui meccanismi
dell’esplosione si può vedere il mio A
Volte Ritornano, Il Nucleare, Milano, Jaca Book, 2005, Appendice 7.1, pp.
289-95.
[103] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 67.
[104] M.M. Miller, Are Iaea safeguards on Plutonium
bulk-handling facilities effective?, Nuclear Control Institute,
[105] F. Barnaby, cit.
F. Barnaby e S. Burnie, Safeguards on the
Rokkasho reprocessing plant, “Greenpaeace International”, giugno 2002. Per ulteriori informazioni sul programma giapponese
per il plutonio v. www.nci.org.
[106] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 42.
[107] Ivi, p. 44.
[108] Ivi, Box 2. p. 70: il paragrafo fornisce commenti
tecnici specifici molto pertinenti e interessanti.
[109] Ivi, p. 40;
Jungmin Kang e Frank von Hippel, “Limited proliferation-resistance benefits
from recycling unseparated transuranics and lanthanides from light-water
reactor spent fuel”, Science & Global
Security, 13, 1-2 (2005), 173; i riferimenti originari sono: J. Carson
Mark, “Explosive properties of reactor-grade plutonium”, Science & Global Security, 4, 1 (1993); U.S. Department of
Energy, “Nonproliferation and arms control assessment of weapons-usable fissile
material storage and excess plutonium deposition alternatives”, DOE/NN-007
(1997), pp. 38-39.
[110] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 69.
[111] Ivi, p. 69, citato
da: Lawrence Livermore National Laboratory, Center for Global Security
Research, “Proliferation-resistant nuclear power systems. A workshop on new
ideas” (June 2-4, 1999, March 2000), p. 7, http://www.llnl.gov/tid/lof/documents/pdf/238172.pdf.
[112] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
Box 9, p. 71, citato da: E.D. Collins, Oak Ridge National Laboratory, “Closing
the fuel cycle can extend the lifetime of the high-level-waste repository”,
American Nuclear Society, 2005 Winter Meeting, November 17, 2005, Washington,
DC, p. 13.
[113] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 71.
[114] The Sustainable …, cit.,
Table 1, p. 15.
[115] Ugo Spezia, “Energia: quale futuro?”, Le Scienze, n. 442, giugno 2005, p. 49.
[116] Mathis, Monti, cit., p. 42.
[117] V. ad esempio per le prime fasi Roberto Renzetti, L’Energia, Savelli, 1979.
[118] M. Silvestri, Il costo della Menzogna, Einaudi,
1968, p. 199.
[119] V. Philippe Bovet, “Des
poids lourds qui pèsent sur l’environnement”, Le Monde Diplomatique, octobre 2003, p. 31.
[120] V. ad esempio il
manifesto, 01/02/2008, p. 8.
[121] Una buona panoramica dello sviluppo storico delle
varie tipologie di reattori, anche se in parte centrata sull’India, è ad
esempio: M.R. Srinivasan, “A lesson in
nuclear reactors”, http://www.hindu.com/2007/09/11/stories
/2007091153030800.htm
[122] Una panoramica completa dello sviluppo nucleare dell’India è fornito da:
Avilash Roul, “India's Nuclear Power:
assisting energy independence or a dangerous experiment?”, http://www.ecoworld.com/home/articles2.cfm?tid=402
[123] V. ad esempio: Greenpeace, “Scheda sulla filiera
nucleare di progettazione sovietica VVER”: http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/scheda-reattori-vver.pdf;
Greenpeace, “I problemi di sicurezza della centrale nucleare Enel di Mochovce
in Slovacchia”, http://www.archivionucleare.com/index.php/2007/05/22/greenpeace-problemi-sicurezza-centrale-mochovce/.
[124] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.,
p. 60.
[125] Il coefficiente
di burn-up rappresenta il coefficiente di sfruttamento della carica di
combustibile: è definito come l’ammontare (cumulativo) di energia termica
prodotta dalle fissioni nel combustibile nucleare durante il suo tempo di
residenza nel nocciolo del reattore. Un alto coefficiente di burn-up riduce il
quantitativo di combustibile, e qundi anche la quantità di combustibile
esaurito da custodire o riciclare.
[126] V. ad esempio: Encyclopaedia of Earth, “Small
nuclear reactors”, http://www.eoearth.org/article/Small_nuclear_power_reactors.
[127]
V. ad esempio UCS, Nuclear Power in a
Warming World, cit. p. 61. Altre analisi critiche: A. Kadak (MIT), “Safety
issues for high-temperature gas-ccoled reactors”,
http://web.mit.edu/pebble-bed/Presentation/HTGESafety.pdf; “ What's Wrong With the Modular Pebble Bed
Reactor?”, http://www.tmia.com/industry/pebbles.html;
e Institute for Energy and
Environmental Research, Arjun Makhijani, “The Pebble Bed Modular
Reactor”, http://www.ieer.org/comments/energy/chny-pbr.html
[128] Una lega o soluzione il cui punto di fusione è più
basso di quello di ogni altra miscela dei singoli componenti.
[129] UCS, Nuclear
Power in a Warming World, cit. p. 62.
[130]
http://criepi.denken.or.jp/en/e_publication/a2002/02seika30.pdf.
[131] V. ad es. Il sito di Kalpakkam:
http://www.kalpakkam.com/index.php?name=News&file=article&sid=43&theme=Printer
[132] Per una
recente rassegna dei programmi nucleari cinesi v. ad esempio: Xu Mi,
“PWR-FBR with closed fuel cycle for a sustainable nuclear energy supply in
China”, Frontiers of Energy and Power Engineering in China
(Higher Education Press, co-published with Springer-Verlag GmbH), Volume 1, Number 2 / May, 2007,
pp. 129-134, http://www.springerlink.com/content/l1674g453167878r/.
Per una prospettiva storico critica: L
V Krishnan, “How China stacks up in civilian nuclear power”,
[133]
US Department of Energy, “Global Global
Nuclear Energy Partnership Strategic Plan”, gennaio 2007,
http://www.gnep.energy.gov/pdfs/gnepStrategicPlanJanuary2007.pdf
[134] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.
p. 63.