Angelo Baracca#

 

Cercando di decifrare il libro dei sogni (o degli incubi)

dei faraonici programmi nucleari

 

PREMESSA. Questo documento è un tentativo preliminare di “leggere” criticamente i nuovi progetti faraonici di rilancio dell’energia nucleare civile (in particolare, ma non solo, che cosa siano – o meglio, che cosa dovrebbero essere – i reattori di IV Generazione, di cui molto si parla, ma poco si dice nel merito, per il banale motivo che … sono di là da venire): si tratta quindi di una bozza, aperta a critiche, suggerimenti, proposte. Qualora il tono polemico apparisse in qualche punto eccessivo, si tenga presente che i toni della campagna in atto sono perentori, autoritari, e non lasciano spazio a dubbi, per cui una prima riflessione critica non può che essere altrettanto risoluta, insistendo soprattutto sugli aspetti contraddittori dei progetti.

Dato il carattere di primo studio, non mi sono preoccupato troppo della lunghezza, privilegiando l’approfondimento. Le note sono abbondanti, ma ritengo importante indicare sempre le fonti. Ho inserito delle Schede per facilitare, per quanto possibile, la comprensione di aspetti complessi ai non esperti. Anche gli aspetti più tecnici riguardanti i reattori di IV Generazione sono raccolti in Appendice (ma bisogna dire che le informazioni tecniche facilmente reperibili non sono molte, a riprova del fatto che si tratta di progetti ancora oggetto di ricerca, a volte ad uno stadio piuttosto preliminare).

RIFERIMENTI PRINCIPALI. Per le proposte dei nuovi progetti nucleari mi sono riferito principalmente a due documenti:

1) Un articolo di Agostino Mathis e Stefano Monti [1];

2) Un Rapporto della Commissione Europea [2].

Le considerazioni critiche su questi progetti sono tratte da tutte le fonti di cui sono venuto a conoscenza. Particolarmente importante, per la completezza e l’approfondimento tecnico, un recentissimo documento della Union of Concerned Scientists [UCS, “Scienziati Preoccupati”, è il caso di ricordare il fondamentale rapporto tecnico che essi elaborarono negli anni ’80 per smontare anche dal punto di vista tecnico il progetto delle “Guerre Stellari” di Reagan]: “Nuclear Power in a Warming World” [3]. Si tratta di un voluminoso (74 pagine) e impegnativo studio, a livello tecnico, in inglese, come sempre di notevole rigore, che va letto nel suo complesso (anche se è riferito nella maggior parte soprattutto alla situazione statunitense e all’opera della Nuclear regulatory Commission, NRC: contiene anche esplicite raccomandazioni al governo degli Usa). Esso dedica ai reattori avanzati e di nuova generazione il Cap. 6).

RINGRAZIAMENTI. Sono grato a Paolo Bartolomei e a Giorgio Ferrari per avermi fornito il materiale citato e per interessanti discussioni.

 

Elenco del materiale integrativo e di approfondimento:

Tabella 1: incidenti negli impianti nucleari giapponesi, p. 7.

Tabella 2: Reattori in funzione nel mondo, p. 8.

Scheda 1: Plutonio, ritrattamento del combustibile, proliferazione, p. 38.

Tabella 3: Depositi mondiali di plutonio e HEU, p. 38.

Scheda 2: Residui nucleari, isotopi “fertili”, chiusura del ciclo, p. 39.

Tabella 4: Depositi di plutonio, HEU, nettunio, americio, per paesi p.39.

Glossario dei simboli e acronimi, p. 40.

Appendice 1: Complementi tecnici sui reattori di generazione I, II, III, IV, p. 41.

Appendice 2: Il torio, p.

 

Un’offensiva in grande stile: realistica o velleitaria? O … business as usual?

Le campagne in atto da alcuni anni per una ripresa dei programmi nucleari “civili” per la produzione di energia elettrica si stanno trasformando in un’offensiva in grande stile, in cui rispuntano anche gli archeo-nucleari nostrani a fare da mosche cocchiere[4]. Forse la notizia recente più eclatante è la decisione del Governo laburista britannico di un massiccio rilancio dei programmi nucleari civili, prevedendo la costruzione di 22 nuove centrali, anche per la sostituzione di quelle esistenti, molte delle quali sono ormai alla fine della vita operativa. L’industria nucleare ha effettuato enormi investimenti[5], in una fase dell’economia mondiale in cui si punta piuttosto su profitti immediati, ed è determinata a raccoglierne i frutti: negli Usa Westinghouse e General Electric stanno rinnovando i propri impianti per commercializzare rispettivamente i nuovi PWR e BWR; l’europea Areva il reattore EPR (Evolutionary Power Reactor: il primo avrebbe dovuto entrare in funzione in Finlandia nel 2010, ma accusa già grandi ritardi, v. oltre) e la giapponese Mitsubishi l’APWR (Advanced Pressurized Water reactor). Anche l’industria russa si sta attivamente preparando. E la nostra Ansaldo ha ricostituito il settore nucleare.

 

È importante riprendere una riflessione puntuale, che non può limitarsi oggi a ripetere le analisi che abbiamo sviluppato in precedenza[6], ma deve misurarsi con i nuovi programmi e progetti, e con il modo in cui vengono presentati. Il grande pubblico è disorientato sia sulle finalità di questa offensiva (centrata sul problema della crisi climatica e delle emissioni di CO2, sbandierata, come cercherò di dimostrare, come e quando fa comodo), sia sui “reattori nucleari di IV Generazione, sui quali ben poco di specifico viene detto al grande pubblico (e pour cause!). In sostanza ritorna il vecchio ritornello dei nucleari: fidatevi di noi! Noi siamo i tecnici, abbiamo le competenze.

 

In effetti l’offensiva odierna ha a mio parere caratteristiche piuttosto diverse da quella che era partita alla fine degli anni ’50 (con la campagna “Atoms for Peace” lanciata dal Presidente Eisenhower nel 1953), e si arrestò negli anni ’80, dopo gli incidenti di Three Mile Island (Harrisburg) e di Chernobyl: richiede pertanto un esame e un’attenzione specifici. Quella fase si basava sulla commercializzazione dei reattori nucleari di II Generazione (dopo i prototipi della I Generazione), che varie industrie avevano realizzato sulla base delle tipologie di reattori realizzati per la propulsione dei sommergibili nucleari. In realtà c’è da chiedersi se quella fase sia mai realmente decollata: si vagheggiava della costruzione di migliaia di centrali nucleari in tutto il mondo, con promesse roboanti, come quelle che pronunciò nel 1954 il Direttore dell’AEC Lewis Strauss: “Non è troppo aspettarsi che i nostri figli usufruiranno di energia elettrica troppo economica per venire misurata, avranno notizia di carestie regionali periodiche solo come fatti storici, viaggeranno senza sforzi sui mari e nell’aria con pericoli minimi e a grandi velocità, ed avranno una durata della vita molto più lunga della nostra. Questa è la predizione di un’era di pace.”[7] I reattori di potenza e di ricerca realizzati si contano invece nell’ordine delle centinaia (v. Tabella 2, p.8), un ordine di grandezza in meno rispetto a quanto si prevedeva (o si voleva far credere): è un aspetto importante, perché la convinzione che esprimerò in queste note è che anche la massiccia campagna attuale finirà così. Per anticipare le conclusioni, credo che una ripresa, anche consistente, del nucleare a livello mondiale sarà inevitabile – sia per l’entità degli investimenti effettuati e dei programmi intrapresi, sia per una forma di acquiescenza dell’opinione pubblica – ma non credo che essa avrà le dimensioni di cui oggi si parla.

 

La grande differenza che vedo tra la fase passata e quella che dovrebbe aprirsi ora è che i megaprogetti futuri propongono un rilancio immediato, giustificato come “ponte” necessario verso un nucleare “sostenibile”, che dovrà basarsi su reattori di nuova generazione che ancora non esistono, anche se vari prototipi sono in fase di studio: una sorta di assegno in bianco, sulla fiducia, ad una lobby che non mi sembra l’abbia merita nel passato. La situazione in breve è questa. L’inadeguatezza della generazione di reattori nucleari precedenti è riconosciuta da tutti (e se non bastasse, sancita dall’industria energetica privata statunitense, che per un quarto di secolo non ha più ordinato un nuovo reattore!), e la conseguente necessità di realizzare reattori di concezione nuova. Ma questi reattori – detti di IV Generazione – per l’appunto ancora non esistono, e se ne prevede la realizzazione e la commercializzazione non prima del 2030-2040. Allora per un rilancio immediato del nucleare tutte le industrie hanno messo a punto reattori, detti di III Generazione, che sono modifiche evolutive – con indubbi miglioramenti anche sostanziali – di quei reattori di II Generazione che avevano tanti difetti, e che, data l’urgenza posta dalla crisi climatica e energetica attuale, dovrebbero intanto venire costruiti massicciamente in tutto il mondo nei prossimi 20 anni (si vagheggia di 100 nuovi reattori costruiti in Europa da qui al 2030!). Per vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso la lobby nucleare mette in campo le doti dei più consumati piazzisti, proponendo un mirabolante programma complessivo: la massiccia ripresa attuale aprirà la strada alla luminosa era del nucleare “sostenibile”, basato su cicli nucleari non proliferanti, possibilità di “bruciare” nei nuovi reattori i materiali fissili esistenti, riduzione drastica dei residui nucleari prodotti, disattivazione delle scorie più pericolose e, last but not least, produzione di idrogeno. Ancor prima di entrare nel merito, è doveroso osservare che non è serio promuovere un grandioso programma di rilancio fondato si una scommessa col diavolo, cioè confidando interamente su tecnologie nuove, non collaudate, che si stanno esplorando e non saranno disponibili prima di 30 anni: tecnologie notoriamente complesse, che possono presentare sorprese e difficoltà assolutamente impreviste, o non risultare alla fine praticabili o convenienti. Quante “sorprese” ha presentato la tecnologia nucleare dalla sua nascita? Quanti problemi di gravità inaudita ha creato, pressoché impossibili da risolvere? Da questi ,infatti, partiremo in questa analisi, perché la memoria storica dovrebbe essere la migliore garanzia per orientare le scelte future.

 

Per far tornare i conti di questo ambiziosissimo programma vi è anche una notevole dose di spregiudicatezza, si fa spesso il gioco delle tre carte, a seconda del contesto, contando come positivi o negativi vari aspetti, mettendoli in conto o ignorandoli. Ad esempio, i reattori nucleari dell’Europa dell’Est sono quelli additati sempre come i più pericolosi e inaffidabili (“del tutto inaccettabili per gli standard di sicurezza occidentali”[8]), da chiudere subito, ma quando si parla della sostituzione dei vecchi reattori, o di allungare ancora per qualche decennio la vita operativa dei reattori esistenti, o si fanno i conti della potenza installata necessaria nei prossimi 20 anni, non si va più tanto per il sottile e i distinguo sembrano scomparire (o almeno non vengono più menzionati). Ma il discorso vale anche per i reattori occidentali di II Generazione in funzione: dopo Harrisburgh e Chernobyl veniva detto “Mai più questi reattori”[9], mentre ora sembra che se ne magnifichino le caratteristiche, per allungarne appunto la vita operativa, e si osserva che “Mentre nel 1990 gli impianti nucleari avevano in media un fattore di carico (rapporto tra l’energia prodotta in un anno e quella che avrebbe prodotto funzionando sempre a piena potenza) del 71%, mentre nel 2003 tale rapporto è arrivato all’81%. Inoltre… per un gran numero di reattori è stato autorizzato un aumento di potenza nominale spesso superiore al 10%, e in alcuni caso superiore al 20%”[10] (ecco uno dei punti in cui si dimenticano completamente le centrali dell’Est: anzi, dopo pochi capoversi l’articolo “vanta”, nella classifica dei paesi all’avanguardia nell’utilizzazione dell’energia nucleare, la Lituania che con 1 reattore produce il 72 % dell’energia elettrica, la Slovacchia con 6 reattori il 55 %, l’Ucraina con 15 reattori il 51 %, e… Chernobyl è cancellata! Su questo ritorneremo).

 

Il gioco delle tre carte ricompare anche in un aspetto molto rilevante che emerge in particolare dall’analisi circostanziata dello studio dell’UCS[11]. Vi è una contraddizione, che sembra difficilmente superabile, tra gli standard di sicurezza (sia interni, sia rispetto ad eventuali attacchi terroristici) che si renderebbero necessari, e l’esigenza opposta di contenere i costi! Questo la dice lunga sulle trionfalistiche, quanto frettolose, pretese dei filonucleari dell’assoluta convenienza della scelta nucleare. È una storia che ha percorso tutte le polemiche sul nucleare nei decenni passati, ma che oggi richiederebbe un po’ più di serietà, e soprattutto di discutere a carte scoperte con i cittadini. Naturalmente, su questo aspetto se ne intrecciano molti altri. Al di là di qualsiasi considerazione, qualunque persona ragionevole capisce che una maggiore diffusione del nucleare aumenta i rischi di incidenti, proliferazione, o attacchi terroristici, e dovrebbe quindi basarsi si standard di sicurezza molto più alti di quelli dei reattori attuali: ma sembra lecito dubitare che sia così. Quando si parla di sicurezza ed incidenti i filonucleari ci sciorinano sempre i confronti con i rischi di altri impianti: ma questi confronti sono spesso destituiti di fondamento se si tiene conto dell’assoluta specificità e gravità di un incidente nucleare grave e delle sue conseguenze (senza con questo volere, ovviamente, sminuire la gravità di un incidente come quello di Bophal, per non parlare di quello provocato dal premeditato bombardamento degli impianti chimici nella ex-Iugoslavia: ma, come dichiara il documento dell’UCS, qui vogliamo concentrarci sul nucleare civile).

 

Cercherò ora di chiarire questi aspetti, entrando nel merito. Proprio le ultime considerazioni mi hanno suggerito l’opportunità di partire da alcune premesse generali, che ritengo necessarie per poter valutare i programmi attuali: alcune delle considerazioni della Parte 1 possono apparire lunghe, ma sono quelle che l’opinione pubblica maggiormente ignora, mentre viene abbindolata con la drammatizzazione del solo problema della CO2, ma tenuta all’oscuro degli avvelenamenti quotidiani ai quali è stata ed è sottoposta (non solo dal nucleare, purtroppo). Non possiamo accettare che i filonucleari ci ripropongano oggi candidamente i programmi nucleari, come angioletti che nulla hanno a che fare con i disastri pregressi! Chi fosse interessato solo alle considerazioni sui nuovi programmi nucleari può passare direttamente alla Parte 2. Ma è opportuna ancora una premessa generale.

 

Una proposta irresponsabile di crescita dei consumi

Una caratteristica accomuna i programmi nucleari dei decenni passati con le proposte attuali: la promessa di energia elettrica a basso costo. Ricordo bene che la questione dei costi del nucleare è sempre stata, fin dagli anni ’70, come la trippa, che ognuno tira un po’ come vuole: e credo che tanto meno ci sarà modo di chiarirla ora. Ma prima di portare alcuni elementi a questo proposito, voglio dire con molta chiarezza che la critica più radicale che, prima di ogni altra, muovo personalmente ai programmi di rilancio del nucleare – e che ritengo senza mezzi termini irresponsabile e criminale – è di alimentare ancora l’illusione che sia possibile continuare a consumare energia e risorse e a crescere impunemente, tanto ci penserà il nucleare, quando è ormai chiaro che il Pianeta non sarà in grado di reggere ritmi di crescita e di consumi di questo genere, anche se riuscissimo ad arrestare tutte le emissioni di CO2: mi sembra appunto irresponsabile che la lobby nucleare, ammantandosi di motivazioni “ambientaliste”, assecondi surrettiziamente i più bassi istinti della gente, pretendendo di garantirli in nome della propria autorità. Basta vedere il modo in cui viene liquidato il risparmio energetico: “palliativo transitorio verso soluzioni più sostenibili a lungo termine”[12]. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: potete continuare a consumare e sprecare energia. L’articolo di Mathis e Monti specifica esplicitamente: “La via più efficace per ridurre le emissioni di gas che provocano l’effetto serra, mantenendo lo sviluppo economico[13] (corsivo mio). Ovviamente, anche le fonti rinnovabili vengono liquidate, o retrocesse a ruolo sussidiario rispetto al nucleare: ma questo fa parte del gioco. Del resto, noi diciamo che le fonti rinnovabili devono assolutamente venire sviluppate, anche consapevoli di problemi paesaggistici e ambientali che comportano, ma che senza una drastica riduzione dei consumi ed un radicale cambiamento dei modelli di consumo e di vita non c’è futuro (dove “radicale cambiamento” non significa affatto “peggioramento”, visto il livello di degrado a cui stanno arrivando i livelli e la qualità della vita, ma può essere invece una grande opportunità storica per ritrovare un rapporto sano con la natura, ammesso che non sia troppo tardi).

 

In tutta l’analisi che segue vi è un altro punto, collegato al precedente, che risulta cruciale: per mezzo del nucleare si produce solo energia elettrica, che a livello mondiale rappresenta meno di un quinto dei consumi energetici totali (e il nucleare, di conseguenza, appena il 2,5 %!). È vero che i programmi che vengono proposti con i reattori di nuova generazione pretendono di applicarli nel futuro (in realtà lontano) ad altre funzioni, come la produzione di idrogeno o la dissalazione dell’acqua in regioni desertiche. Ma tutto è da dimostrare. Dovremo ritornare su questi aspetti molto importanti, anche in relazione alla pretesa diminuzione delle emissioni di CO2 in atmosfera.

 

 

PARTE 1: PRESUPPOSTI E CONTESTO GENERALE

 

Dimenticare Chernobyl (e ovviamente Harrisburg)

Vi è ovviamente un altro presupposto necessario per sferrare l’offensiva attuale: mettere in soffitta Chernobyl. Il ventennale di quel tragico, epocale, disastro è stata l’occasione per questa operazione di minimizzazione e rimozione. Analisi di autorevoli agenzie[14] hanno cercato di accreditare una verità difficilmente credibile, secondo cui l’incidente più grave dell’era nucleare - “il reattore bruciò per 10 giorni, liberando 400 volte la radioattività rilasciata dalla bomba di Hiroshima”[15] - dopo avere contaminato quasi tutta l’Europa (e forse non solo), provocherà poche migliaia di tumori, difficilmente distinguibili dagli effetti del fondo naturale di radioattività! Molto più prudenti e critiche sono state autorevoli riviste scientifiche[16]. Il picco per certi tumori può verificarsi dopo 20 anni, o anche 40; si registrano aumenti “di tutti i tipi di malattie” (tra cui anche disturbi psicologici e mentali). Risultano cruciali le controverse valutazioni degli effetti delle piccole dosi: un rapporto commissionato dai Verdi al Parlamento Europeo valuta che la radiazione da Chernobyl potrebbe causare tra 30.000 e 60.000 decessi[17]. Più radicale il rapporto di Greenpeace[18]:

 

[...] nelle sole Bielorussia, Russia ed Ucraina si stima che l’incidente abbia provocato 200.000 morti addizionali tra il 1990 e il 2004. […] Le lacune sostanziali nei dati disponibili, combinate con profondi disaccordi tra le stime sull’incidenza e l’eccesso di certi tumori ed altre malattie, impediscono di trarre qualsiasi valutazione unica, solida e verificabile delle conseguenze sanitarie umane complessive, lasciando questioni fondamentali senza risposta.

 

Naturalmente degli incidenti precedenti nemmeno si parla più. Secondo la versione “ufficiale” la gravità dell’incidente di Three Mile Island del 1979 viene liquidata affermando che non ha avuto conseguenze sulla salute della popolazione. Ma le ricerche sulle conseguenze dell’incidente sono state poche, discontinue, e limitate all’area più prossima alla centrale, per cui non è possibile dire se l’incidente abbia o non abbia causato vittime. Le conclusioni sono controverse, ma gli aumenti dei numeri di morti infantili, tumori ed altre malattie sembrano inequivocabili[19]. Del resto poco si parla dei ripetuti incidenti nel paese secondo al mondo come programmi nucleari, il Giappone (v. Tabella 1): dimenticato il gravissimo incidente di TokaiMura[20] del 1999, pochissimo si è saputo anche di quello del 2007 dovuto a un terremoto. Nel 2002 in un reattore dell’Ohio “l’industria nucleare statunitense ha sfiorato più da vicino un disastro dall’incidente di Three Mile Island del 1979”[21]: poiché incidenti di questa gravità fanno al più una rapida apparizione nella cronaca per scomparire il giorno dopo, riporto in nota informazioni più dettagliate e rimandi, per la rilevanza di questi aspetti per tutto il problema che stiamo analizzando[22].

 

Tabella 1

L’impressionante serie di incidenti agli impianti nucleari giapponesi

·          8 dicembre 1995. Il reattore veloce di Monju viene chiuso dopo un grave incidente.

·          11 marzo 1997. Esplosione e incendio all’impianto di ritrattamento di Tokaimura, rilascio di radiazioni, 37 lavoratori esposti. I gestori dell’impianto ammettono di avere atteso 5 ore prima di informare le autorità

·          30 settembre 1999. Il più grave incidente in Giappone, ancora nell’impianto di ritrattamento di Tokaimura: nella preparazione di combustibile nucleare per il reattore veloce sperimentale JOYO, versando in un recipiente inadatto nitrato di uranile arricchito al 18,8 %, viene superata la massa critica, si innesca una reazione a catena, fortunatamente arrestata prima di un’esplosione, ma prodotti di fissione si diffondono nell’ambiente. 3 lavoratori gravemente contaminati, 2 deceduti, altri 119 esposti a radiazioni (dosi superiori a 1 mSv #); decine di residenti ospedalizzati e decine di migliaia costretti a rimanere in casa per 24 ore.

·          Settembre 2002. la più grande centrale giapponese, TEPCO, costretta a spegnere i rettori per 17 ore per timori sulla sicurezza, dopo avere ammesso la falsificazione di dati sulla sicurezza.

·          9 agosto 2004. La fuoriuscita di acqua bollente e vapore per la rottura di una conduttura nel reattore-3 della centrale di Mihama uccide 5 lavoratori.

·          16 luglio 2007. Il più grande impianto nucleare del mondo viene chiuso per i danni causati da un terremoto di magnitudine 6,8

     Un dirigente del Citizens' Nuclear Information Centre di Tokyo, Satoshi Fujino, dichiara che gli incidenti hanno una doppia causa, inadeguatezza della normativa governativa, e la cultura del management dell’industria di nascondere gli errori: negligenza nei controlli di sicurezza preventiva e delle ispezioni. “Il segreto sembra essere una caratteristica dell’industria nucleare, specialmente in Giappone … l’informazione viene occultata facilmente, perché il sistema sociale sostiene questo tipo di cultura” (Sarah Buckley, “Japan’s shaky nuclear record”, BBC New Online, 24/03/2006 (http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/3548192.stm).

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# Il Sievert (Sv) è l’unità di misura della  dose efficace di radiazione assorbita, che tiene conto del diverso fattore di qualità delle varie radiazioni ionizzanti, e del diverso fattore peso dei vari tessuti: le norme di radioprotezione stabiliscono in 5 mSv (millesimi di Sv) la dose massima annua consentita per la popolazione, 50 mSv per i lavoratori professionalmente esposti.

Impianti nucleari giapponesi ordinati cancellati:

·          Impianto di Hōhoku , Yamaguchi - cancellato nel 1994

·          Impianto di Kushima, Miyazaki  - cancellato nel 1997

·          Impianto di Ashihama, Mie - cancellato nel 2000

·          Impianto di Suzu, Ishikawa - cancellato nel 2003

·          Impianto di Maki, Niigata (Kambara) - cancellato nel 2003

 

Vale la pena ricordare ancora almeno l’incidente, scarsamente menzionato, nell’impianto di ritrattamento britannico di Sellafield, dove nel 2004 si verificò una fuga della soluzione acida del combustibile irraggiato, che venne rivelata solo dopo 8 mesi, quando erano già usciti 83 mila litri di soluzione contenenti 160 kg di plutonio![23] Nel 2006 nove galloni di uranio altamente arricchito sono usciti da un impianto di ritrattamento in Tennessee, formando una pozza vicino alla tromba dell’ascensore: se fossero entrati nel pozzo avrebbero potuto raggiungere la massa critica, innescando una reazione a catena che avrebbe ucciso o ustionato i lavoratori vicini[24]. Il rapporto della Nuclear Regulatory Commission è stato nascosto al pubblico. Ma questi casi non sono isolati.

 

Ma piuttosto che ritornare su queste meschinerie, i vessilliferi del nuovo nucleare ci rassicurano, dall’alto della loro scienza, sull’assoluta sicurezza dei nuovi reattori: … come se già esistessero e fossero sperimentati! (Come è necessario per qualsiasi tecnologia innovativa)

 

Tabella 2

Reattori nucleari in funzione nel mondo, agosto 2005

(A.         Clerici, ABB Italia, Il nucleare nel mondo:la situazione e le tendenze)

In funzione:                 438

In costruzione:              26

Ordinati o pianificati:   37

Proposti:                        74

EUROPA OCCIDENTALE:         135 reattori,     124.154 MWe

PAESI EUROPA DELL’EST:        69 reattori,       47.793 MWe

 

I programmi “civili” sono subalterni a quelli militari

Vi è poi un aspetto fondamentale per valutare correttamente i nuovi progetti: i programmi nucleari “civili” sono sempre stati subalterni ai programmi militari. Basti pensare che in questi 60 anni sono state costruite nel mondo poche centinaia di reattori “civili” (Tabella 2, p. 8), a fronte di un numero maggiore di reattori militari e per la propulsione dei sommergibili, e di circa 130.000 bombe! Ma il costo dei programmi militari è in realtà enormemente più grande, poiché richiedono un sistema integrato di enorme complessità e altissima tecnologia: lanciatori, sommergibili nucleari, sistemi satellitari di allarme, di allerta e di controllo e comando, addestramento del personale, manutenzione e verifica delle testate, ecc. Inoltre, la dipendenza del nucleare “civile” da quello militare non è solo una questione di numeri, ancor più significativo è che le industrie che producono i componenti delle centrali nucleari sono anche le produttrici delle componenti delle bombe nucleari: è l’aspetto sostanziale del Complesso militare industriale che drivò proprio dal grande investimento bellico e dal Progetto Manhattan. Senza questa connessione lautamente finanziata, l’industria energetica nucleare sul mercato non avrebbe retto: le due principali produttrici di impianti nucleari, General Electric e Westinghouse, negli anni ’80 coprivano rispettivamente il quarto e il quindicesimo posto come fornitrici di contratti per la difesa USA.

 

La Francia – portata sempre ad esempio per la sua radicale scelta nucleare civile – è una realtà del tutto eccezionale e non ripetibile per molti motivi, ma in primo luogo perché lo Stato ha gestito il massiccio programma elettronucleare ed energetico nel contesto, e in funzione della costruzione di uno degli arsenali di armamenti nucleari più moderno ed efficiente del mondo: vi ritornerò in dettaglio.

 

Il problema dei rischi di proliferazione legati allo sviluppo di programmi nucleari civili non può assolutamente essere lasciato in secondo piano, come fa oggi la lobby nucleare, poiché è sempre stato il cavallo di Troia con cui è passata la realizzazione di armi nucleari. I vessilliferi del nucleare ci rassicurano sui futuri (?!) cicli nucleari non proliferanti: come vedremo, questo è molto opinabile; e intanto tutti i reattori che ci propongono di realizzare, in gran numero, da qui al 2040 si basano sul ciclo nucleare tradizionale, e sono quindi destinati ad alimentare i rischi di proliferazione nucleare militare, oltre a tutti i problemi legati al nucleare.

 

Avvelenamento premeditato, comunque criminale

Alla luce di queste ultime considerazioni sembra necessario aggiungere che non solo gli incidenti e i disastri nucleari vengono rimossi, ma tutta intera la gravissima responsabilità del nucleare nell’arco degli ultimi 60 anni. L’analisi che segue è dichiaratamente di parte, poiché non intendo (né sarei in grado di) fornire un quadro generale imparziale: il rilievo che darò ai punti di vista e agli studi alternativi è dovuta al fatto che il punto di vista ufficiale e rassicurante li trascura o li sottovaluta sistematicamente, per cui essi sono meno noti e più difficilmente reperibili. La tecnologia nucleare, in tutte le sue forme, ha infatti provocato un drammatico inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre, con conseguenze gravissime sulla salute e sull’ambiente. Fino al 1963 furono eseguiti ben 530 test nucleari nell’atmosfera[25], molti nel deserto del Nevada; Francia e Cina li hanno proseguiti ben oltre (193 test a Moruroa e Fangataufa dal 1966 al 1974, con gli ultimi nel 1996), con drammatiche conseguenze sulla salute delle popolazioni locali, fino all’Australia e alla Nuova Zelanda, e dei veterani francesi e britannici. Si tenga conto che nelle testate nucleari più perfezionate, odierne, la percentuale di uranio o di plutonio che fissiona non arriva al 40 %, a causa della disintegrazione della testata che estingue la reazione a catena: l’uranio o il plutonio rimanenti, alle temperature di milioni di gradi dell’esplosione, si diffondono nell’atmosfera sotto forma di nanoparticelle. I disastri ad impianti e centri nucleari in Unione Sovietica sono stati apocalittici, e non completamente documentati[26].

 

Nel 2002 il Governo USA ha ammesso che tutti i residenti fino al 1963 sono stati esposti al fallout radioattivo di questi test. È documentata la concentrazione dello Stronzio-90 radioattivo nei denti e nelle ossa dei bambini[27]: dopo il 1963 i livelli di Stronzio-90 diminuirono, ma non scomparvero, per i rilasci dei test cinesi e francesi in atmosfera, dei test sotterranei statunitensi e sovietici, nonché del numero crescente di reattori nucleari attivi[28]. Gli effetti ritardati appaiono oggi, la popolazione statunitense soffre di un’epidemia di malattie legate alle radiazioni[29]: mortalità infantile, sottopeso alla nascita, cancri, leucemie, disturbi cardiaci, autismo, diabete, Parkinson, asma, sindrome da affaticamento cronico, ipotiroidismo in neonati, obesità, danni al sistema immunitario; un bambino su 12 negli Stati Uniti è considerato disabile[30].

 

Le autorità sono sempre state consapevoli degli effetti della radioattività sulla popolazione, ma li hanno taciuti e coperti[31] con il pretesto della “sicurezza nazionale”: in molti paesi questi effetti sono stati sperimentati su “cavie umane” ignare[32]. Ma la verità ufficiale – avallata dalla “autorità”, tutt’altro che neutrale, della comunità scientifica − fa acqua da tutte le parti! Sternglass valuta che negli USA l’esposizione alle radiazioni ionizzanti abbia causato tra il 1945 e il 1996 un milione di decessi infantili[33]. Rosalie Bertell, con una critica dei criteri ufficiali dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) e della Commissione Internazionale sulla Radioprotezione (ICRP), conclude che: “Fino ad 1 miliardo e 300 milioni di persone sono state uccise, mutilate o ammalate dall’energia nucleare dalla sua nascita”[34]. Anche supponendo che tale conclusione sia eccessiva, la Commissione del Parlamento Europeo sul Rischio Radiologico nel 2003 ha contestato gli studi condotti dal Governo USA sulle conseguenze delle bombe su Hiroshima e Nagasaki, denunciando manipolazioni dei dati e sottostime fino ad un fattore mille, e conclude che “l’attuale epidemia di cancro è una conseguenza dell’esposizione al fall-out atmosferico globale dei test del periodo 1959-1963”, predicendo “61.600.000 decessi di cancro, 1.600.000 morti infantili e 1.900.000 morti fetali, [oltre a] una perdita del 10 % della qualità della vita integrata su tutte le malattie e le condizioni di coloro che furono esposti nel periodo alla ricaduta dei test”[35]. E l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) calcola che tale epidemia globale di cancro potrebbe aumentare del 50% di qui al 2020[36].

 

A tutto ciò si aggiungono, last but not least, le conseguenze dell’uso largamente pretestuoso e abnorme dei proiettili ad uranio depleto (DU), che costituisce, non dimentichiamolo, la “coda” del ciclo del combustibile nucleare: mentre si paventa la realizzazione e l’uso di una dirty bomb  (bomba sporca) radioattiva da parte di presunti terroristi, i proiettili ad uranio depleto costituiscono a tutti gli effetti una di queste armi, usata dagli USA e i suoi alleati su larga scala, tale da configurare una vera guerra radiologica.

 

Giacché siamo entrati nel tema delle guerre attuali, vale la pena di sottolineare, ancora, la contraddizione tra la strumentalizzazione del pericolo di attentati terroristici e la progettata proliferazione di centrali nucleari: sembra evidente la perfetta sintonia con il processo di militarizzazione della società civile e di svuotamento dei principi democratici. A tale proposito vale la pena soffermarsi a titolo di esempio sulla centrale nucleare di Diablo Canyon, negli USA, sulla quale avremo occasione di ritornare per altri aspetti. Nel 2006 le Mothers for Peace (MFP) di San Luis Obispo avevano vinto un giudizio alla Corte Federale che obbligava la NRC (Nuclear Regulatory Commission) a studiare gli effetti di un attacco terroristico, come richiesto dal National Environmental Policy Act. La NRC ha confermato un Verdetto di Nessun Impatto Significativo (Finding of No Significant Impact) di un attacco terroristico alla centrale.  Le MFP asseriscono che la conclusione della NRC contraddice la significativa evidenza fattuale che l’impatto di un attacco in realtà sarebbe grave. “Il Giudizio Ambientale (Environmental Assessment) della NRC è scritto così male che è impossibile decidere se e come la NRC ha considerato l’evidenza e ha raggiunto la conclusione opposta”[37]. (Sui rischi di attentati terroristici ritornerò)

 

 

PARTE 2: LE PROPOSTE DI RILANCIO DEL NUCLEARE CIVILE

 

Mi sono dilungato su queste premesse perché le proposte dei nuovi programmi nucleari non sono funghi che nascono su un terreno vergine. La memoria del passato (e le sue conseguenze, gravissime, sul presente) deve essere sempre maestra per il futuro: ed è proprio quella che i nuovi vessilliferi vogliono rimuovere per parlarci delle magnifiche sorti progressive del nucleare. Veniamo dunque a queste. Ho cercato di orientarmi in alcuni documenti che si presentano come proposte organiche e coerenti: questo è un primo tentativo di lettura e di interpretazione, largamente provvisorio, dei nuovi programmi nucleari da qui al 2050 (così infatti essi vengono presentati). Non mi risulta facile trovare un filo logico di discussione, perché i nuovi progetti ad una prima lettura si presentano come programmi organici, dotati di una logica e coerenza interne, per cui è necessario smontarli e sezionarli per trovare le contraddizioni.

 

I due step: da qui al 2030 (o 2040?), poi fino al 2050

Ho sottolineato nell’Introduzione i due step su cui esplicitamente si basano i programmi per un massiccio rilancio immediato dei programmi nucleari, spacciati però come “ponte” verso un futuribile nucleare nuovo (di IV Generazione), che si promette sarà assolutamente sicuro, non proliferante, produrrà pochi residui nucleari e meno pericolosi, consentirà di “bruciare” o utilizzare energeticamente anche quelli attuali, garantirà quindi combustibile nucleare pulito per centinaia di anni, e chi più ne ha più ne metta. Tutto di là da venire, però! Mi sembra pertanto corretto, e necessario, impostare l’analisi di questi aspetti prima di discutere la natura dei programmi per i reattori di IV Generazione [discuteremo le varie Generazioni di reattori e le loro caratteristiche nell’Appendice].

La prima domanda è: quando sono previsti i reattori di IV Generazione? La parolina magica usata nei documenti è: “dopo il 2030”, come se fosse domani! Il Rapporto generale preparato per la Commissione Europea[38] è però più prudente (realistico?): “Si prevede che il dislocamento commerciale di questi sistemi di IV generazione non avverrà prima del 2040, poiché sono ancora necessari passi avanti tecnologici molto importanti (“major breakthroughs”) per sviluppare questi reattori” (corsivo mio). Se questo non è vendere la pelle dell’orso! Ma che senso avrebbe se i vessilliferi del nuovo nucleare, e le industrie materialmente interessate, ci dicessero “aspettate il 2040”? Business is now!

 

Il nucleo dei nuovi programmi diviene quindi il rilancio del nucleare subito! Qui sta a mio parere il primo bluff, anzi la “madre” di tutto il bluff. Mentre si favoleggia delle meravigliose proprietà dei nuovi reattori di là da venire, in particolare delle capacità che essi avranno di risolvere tutti i problemi creati fino ad oggi dai reattori nucleari, si propone un colossale rilancio del nucleare basato su reattori senza dubbio migliorati rispetto a quelli del passato, ma che fino al 2040 (?) aggraveranno ulteriormente tutti i problemi creati dal nucleare!

 

Proposta realistica?

È importante vedere subito l’entità del rilancio nucleare che viene proposto, e valutarne l’attendibilità, prima di esaminarne la composizione specifica e le eventuali contraddizioni. I documenti si rifanno alla valutazione del World Energy Council[39] (che prevede per il 2030 una crescita della domanda di energia del 55 %, coperta per l’84 % dai combustibili fossili). Il documento della Commissione Europea considera diversi scenari per il possibile ruolo dell’energia nucleare per l’anno 2050 nel mondo[40]: per quello che potremmo chiamare intermedio (“coprendo parzialmente il deficit lasciato da altre fonti energetiche”), prospetta che “l’attuale potenza nucleare installata [369.000 MWe: potenza elettrica, in 30 paesi] venga moltiplicata per tre volte e mezzo”, giungendo nel 2050 a circa 1.300.000 MWe. Poiché si parla di centrali la cui costruzione deve in massima parte ancora essere iniziata, e tenendo conto dei tempi medi di costruzione di una centrale nucleare, questo vorrebbe dire che (se si iniziasse subito) tra il 2020 e il 2050 – in 30 anni – dovrebbero essere inaugurate nuove centrali per una potenza di più di 900.000 MWe complessivi (sottraendo la potenza attualmente installata, parte cospicua della quale dovrà però venire sostituita: su questo ritorneremo tra breve), cioè ogni anno circa 30.000 MWe di nuova potenza: se si trattasse di reattori di potenza di 1.000 MWe (ma le nuove generazioni di reattori sono di solito di potenza minore), questo vorrebbe dire inaugurare nel mondo più di 30 nuove centrali nucleari ogni anno, ad un ritmo medio costante di 2-3 al mese! Qualcuno riesce a crederci? Ripeto la mia convinzione che un rilancio del nucleare ci sarà, ma probabilmente avverrà come nella fase precedente dal 1960 agli anni ‘80, il numero di centrali che saranno costruite sarà con ogni probabilità almeno un ordine di grandezza inferiore a quelle proposte!

 

Se consideriamo i programmi per la sola Europa, il discorso è analogo. Il ritmo di declino della potenza complessiva (fossile e nucleare) attualmente installata in Europa condurrebbe ad una diminuzione del 60 % verso il 2030[41]: “una capacità di almeno 800.000 ÷ 900.000 MWe sarà necessaria entro il 2030 per rimpiazzare la capacità esistente e far fronte ai bisogni crescenti. È ragionevole assumere che… almeno 100.000 MWe saranno prodotti da reattori nucleari di Generazione III. Questo corrisponde alla costruzione di un centinaio di grandi reattori”. Di nuovo, se si iniziasse subito la costruzione su scala massiccia (attualmente i reattori in costruzione sono 2), nella sola Europa dal 2020 si dovrebbero inaugurare 3-4 nuovi grandi reattori all’anno (o un numero maggiore di reattori, o di moduli, di taglia più piccola).

 

A questo punto, inoltre, sorge un ulteriore rilievo, che avevo anticipato. Quando si entra nel merito dei programmi di costruzione/sostituzione dei reattori nucleari scompare nei documenti qualsiasi accenno ai “pericolosissimi” reattori dell’Europa dell’Est. Sembra che nessuno si preoccupi di chiarire quale sia il destino previsto per questi reattori. Il rapporto della Commissione Europea, dopo l’esposizione dell’entità dei programmi futuri, osserva in modo assolutamente equivoco e fuorviante che “Nell’Unione Europea dei 27 è in funzione un totale di 152 reattori in 15 Stati Membri”! [42] Dalla Tabella 2 risulta che nei paesi dell’Est (compresa la Russia) sono in funzione ben 69 vecchi reattori di tipo sovietico, più della metà di quelli dell’Europa occidentale (135), e producono poco meno della metà (47.793 MWe) dell’energia elettronucleare prodotta all’Ovest (124.154 MWe). Non si tratta proprio di un’inezia, rispetto ai calcoli sui fabbisogni elettrici e la produzione nucleare. Non sarebbe male un chiarimento su come vengono fatti i conti, se è inclusa o meno la produzione di questi reattori, che vengono menzionati solo quando, e come, torna comodo! Se sono da dismettere quanto prima, perché l’ENEL ha investito quasi 1,9 miliardi di euro per il completamento di due reattori progettati sulla vecchia tecnologia sovietica, privi di involucro esterno a Mochovce, nella Repubblica Slovacca (sul totale di 3,2 miliardi di euro investiti)? E non ha ancora presentato il piano di fattibilità con le ulteriori modifiche[43]. A fronte dell’obiezione di rischi di impatti o eventi esterni ENEL ha risposta a “Affari e Finanza” di Repubblica che “la probabilità di un impatto aereo su Mochovce è trascurabile”! (Ritornerò sui rischi di attentati terroristici) Su queste “inezie” i nostri paladini del nucleare svicolano con un’affermazione anodina e tutt’altro che rassicurante: “l’ENEL ha acquisito il 66 % del capitale di Slovenske Electrarne che dispone in particolare di sei reattori nucleari VVER raffreddati ad acqua di concezione russa da 440 MWe ciascuno”[44], e basta!

 

L’entità dei programmi proposti non si limita ovviamente all’Europa. Così si cita[45] che il Giappone (che ha in esercizio 52 reattori) dovrebbe raddoppiare la potenza nucleare installata per il 2050, portandola a 90.000 MWe, e in più installare 20.000 MW termici di calore di origine nucleare per produrre idrogeno: inaugurare almeno una cinquantina di centrali nucleari (senza contare la sostituzione di una parte di quelle attuali) per il 2050 vorrebbe dire un ritmo di più di una centrale all’anno! Proseguendo, l’India prevederebbe di installare 250.000 MWe di potenza nucleare per la metà del secolo: lascio fare a voi il conto del ritmo folle di costruzione di nuovi reattori. La Cina prevederebbe di installare 30.000 MWe, addirittura entro il 2020! Su queste cifre i documenti citati non sollevano il minimo dubbio.

 

Dovremo poi tornare sul contributo effettivo di tali progetti alla produzione energetica ed alla pretesa diminuzione delle emissioni di CO2.

 

Una digressione sui tempi di costruzione

A proposito delle considerazioni sull’entità e la tempistica dei programmi nucleari è opportuno aprire subito una parentesi. Non possiedo dati generali sui tempi di costruzione delle centrali nucleari, né sono in grado di valutarli nel merito: mi limiterò ad un paio di esempi, uno per il passato, ed uno per il presente/futuro.

 

Abbiamo accennato poco sopra ad alcuni problemi concernenti la centrale di Diablo Canyon in California. La sua costruzione ed entrata in funzione sono state molto tormentate. La centrale, di proprietà della Pacific Gas & Electric, ha due reattori PWR della Westinghouse da 1.000 MWe ciascuno: la loro costruzione iniziò rispettivamente nel 1968 e nel 1970, ma ostacoli normativi e legali e proteste dei cittadini ritardarono l’esercizio commerciale di almeno 6 anni, rispettivamente fino al 1985 e 1986 (17 e 18 anni complessivi). Vi sono stati indubbiamente problemi specifici, oltre agli aggiornamenti della normativa dopo l’incidente di Harrisburg: negli anni ’70 si scoprì la faglia geologica di Hosgri a due km dalla costa (cosa inaspettata in California?!), capace di provocare un terremoto paragonabile a quello di San Francisco del 1906.

 

Il caso di Diablo Canyon sarà stato eccezionale, ma non può non richiamare alla mente il recente, e mai chiarito, incidente alla centrale giapponese dovuto a un terremoto! Ma ci è stato sempre assicurato che le centrali sono a prova di terremoto (e di terroristi). D’altra parte, siamo ormai abituati al fatto che tutte le grandi opere vengono realizzate con consistenti ritardi e lievitazione dei costi previsti.

 

È istruttivo allora l’andamento della costruzione del primo nuovo reattore francese EPR di Generazione III ad opera del consorzio Areva-Siemens in Finlandia (Olkiluoto-3): il 28 dicembre 2007 è stato annunciato[46] un ulteriore ritardo nella costruzione, dopo altri annunciati in precedenza, che porterebbero (per ora!) ad un ritardo complessivo di 2 anni e mezzo (estate 2011) ed un aumento dei costi previsti probabilmente di 3 miliardi di euro. Il governo finlandese è diviso sull’energia nucleare.

 

PRIMA FASE, FINO AL 2040

 

Il rilancio immediato (reattori di Generazione III, per la “rinascita nucleare[47]) e prossimo (reattori di Generazione III+)

Come dovrebbe avvenire questo rilancio? Consideriamo il primo step, da qui al 2030 (o più verosimilmente almeno 2040). Al momento sono disponibili e in fase iniziale di costruzione solo i reattori di Generazione III, quelli ulteriormente migliorati di Generazione III+ sono previsti per il 2010-2015: incertezza di data per lo meno sconcertante, a fronte della decisione con cui viene proposta la ripresa, visto che siamo già nel 2008, e conosciamo bene i ritardi che tutti i grandi progetti accumulano regolarmente, ma il nucleare in particolare.

 

Non sono ovviamente in grado di entrare nel merito delle caratteristiche tecniche dei reattori, delle rispettive modifiche e innovazioni, ma si presentano comunque barie osservazioni e domande inquietanti. Si prevedono tre passi successivi.

 

1. Il primo passo proposto è l’allungamento della vita di esercizio dei reattori ad acqua leggera (LWR) di Generazione II esistenti, in attesa che quelli di Generazione III siano costruiti ed entrino in funzione: “La vita media [dei 152 reattori in funzione in Europa] si avvicina a 25 anni, a fronte di una vita tipica nel progetto iniziale di 30-40 anni”[48]. Dei 103 reattori in funzione negli USA sono per la maggior parte molto vecchi e dovrebbero venire chiusi nei prossimi 15-20 anni; In Gran Bretagna 18 dei 19 reattori in funzione devono essere chiusi verso il 2020 (4 reattori sono stati chiusi nel gennaio 2007). Non sono in grado di valutare tecnicamente questa possibilità, ma è legittimo esprimere almeno qualche riserva sul fatto che l’allungamento della vita operativa delle vecchie centrali sia consistente con il mantenimento (tanto meno il miglioramento) della sicurezza! Ireattori che invecchiano saranno presumibilmente più pericolosi, e delle “garanzie” fornite dai nuclearisti abbiamo imparato a dover diffidare. Senza contare che, ancora una volta, i vecchi reattori sovietici dei paesi dell’Europa dell’Est (ben 22 reattori nella EU, cioè senza quelli di Ucraina e Russia, Tabella 2) non vengono nemmeno menzionati! Anche di quelli si pensa di allungare la vita? Non sono più pericolosi? Così sembra, visto che delle centrali nucleari acquistate dall’ENEL in Slovacchia, due delle quattro di Bohunice dovrebbero essere chiuse nel 2006 e nel 2008, mentre si pensa di prolungare il funzionamento, per tutte quattro, di 10 anni!

 

2. Il secondo passo proposto è l’avvio immediato, e massiccio, della costruzione di reattori di Generazione III: “La rinascita del mercato nucleare con la costruzione di un gran numero di impianti nucleari di potenza si baserà necessariamente su rettori ad acqua leggera (LWR, Light Water Reactors) di Generazione III, che offrono maggiore sicurezza ed affidabilità e le migliori tecnologie disponibili per il trattamento responsabile del combustibile irraggiato”[49]. “Le decisioni sui nuovi investimenti sono necessarie senza ritardi”. I reattori Avanzati di Generazione III [rinviamo, come detto, all’Appendice per ulteriori dettagli] sono versioni dei reattori commerciali di II Generazione che incorporano modifiche e miglioramenti per ridurre la possibilità di incidenti, incorporazione di meccanismi di sicurezza passivi (che non richiedono l’intervento umano), progetto più compatto, maggiore efficienza, riduzione del consumo di combustibile e della produzione di scorie, lunga vita di esercizio (60 anni). Si tratta di reattori “già certificati e disponibili sul mercato, comprendono innanzi tutto i reattori avanzati ad acqua naturale, alcuni già in funzione in Giappone, come l’Advanced Boiling Water Reactor (ABWR da 1.400 MWe progettato da General Electric [che commerciava il BWR di II Generazione] e Toshiba) altri, come l’European Pressurized-water Reactor (EPR da 1.600 MWe fornito da Framatome ANP [con partecipazione per il 12,5 % dell’ENEL]), in fase di ordinazione. Westinhouse [che commercializzava il PWR di II Generazione], con il concorso dell’italiana Ansaldo Nucleare, ha applicato la tecnologia passiva all’Advanced Passive-600 (AP600) e, successivamente, al AP1000, che risultano essere gli unici impianti a sicurezza passiva approvati dalla NRC americana”[50]. Del reattore EPR è in costruzione l’impianto in Finlandia, di cui abbiamo già parlato, e la Francia ha deciso la costruzione di un secondo a Flammaville: non sono ovviamente in grado di esprimere giudizi tecnici specifici, ma almeno per rompere il trionfalismo dominante può valere la pena di riportare (per quel che vale) un giudizio che espresse il 4 novembre 2003 Carlo Rubbia in un’intervista al Corriere della Sera: “È un dinosauro, un reattore vecchio che cercano di ammodernare e che alla fine avrà costi di produzione dell’energia troppo elevati”. Tra le notizie più recenti bisogna registrare il febbrile attivismo del “commesso viaggiatore” dell’industria nucleare francese, Nicolas Sarkozy, che, dopo gli accordi conclusi nel dicembre scorso con la Libia e l’Algeria, ha promosso l’intesa nucleare (oltre ad una base militare, che in quella zona strategica non guasta) nel viaggio lampo nei Paesi del Golfo[51]: presentandosi nientemeno che come paladino della giustizia – “È in nome della giustizia che la Francia sostiene che l’accesso al nucleare civile deve essere un diritto per tutti i popoli” – il presidente francese ha firmato varie intese, in particolare un accordo per la costruzione e la gestione ad Abu Dhabi (al 50 % con la società dell’elettricità e dell’acqua del paese) di ben due reattori EPR, del costo previsto (?) in 6 miliardi di euro ciascuno, da parte di un consorzio Areva-Total-Suez (che sancisce, tra l’altro, l’alleanza tra nucleare, elettricità e petrolio!).

 

3. Terzo passo. Dopo il 2010-2015 dovrebbero essere disponibili i reattori di Generazione III+, “una classe di reattori evolutivi rispetto ai precedenti … Fra essi si citano l’Advanced CANDU Reactor [ACR: il CANDU è il reattore canadese di II Generazione a uranio naturale e acqua pesante[52]], in corso di certificazione in Canada, Cina, USA e Regno Unito; i reattori refrigerati a gas ad alta temperatura come il Pebble Bed Modular Reactor[53] (PBMR, “a letto di sfere”), sviluppato in Sudafrica col supporto di esperti tedeschi, ed il GT-MHR, reattore modulare refrigerato a gas da 100 MWe progettato da General Atomics (USA). Una menzione particolare tra i reattori di questa generazione merita lo International Reactor Innovative & Secure (IRIS), sviluppato da un ampio consorzio internazionale guidato da Westinghouse e di cui fanno parte anche università, organizzazioni di ricerca e imprese italiane”[54] [v. l’Appendice per ulteriori dettagli].

 

Mi sembra che si impongano alcune osservazioni su questa tempistica e le sue implicazioni. In primo luogo, nemmeno questi reattori di Generazione III+ – che sembrano effettivamente incorporare alcune concezioni nuove, pur rimanendo concetti “evolutivi” rispetto ai reattori precedenti – possono considerarsi realmente disponibili sul mercato, in ogni caso non come filiere commerciali adeguatamente sperimentate, L’EPR in costruzione in Finlandia soffre di ritardi e aumenti di costi. Siamo certi che funzionerà con gli standard di sicurezza previsti a tavolino? Anche il grande numero di prototipi in fase di studio  e realizzazione dalle industrie in spietata concorrenza desta perplessità e riserve: “Il gran numero di progetti di reattori che richiedono la certificazione – alcuni decisamente al di fuori dell’esperienza di base della maggior parte dello staff del NRC – e l’incertezza su quali proposte sono serie presentano sfide significative al NRC. È difficile per l’agenzia giustificare lo sviluppo di competenze per valutare concezioni di reattori non familiari quando non è chiaro se essi sono fattibili”[55]. Si deve sottolineare che fino a ora nessuna impresa statunitense ha ordinato nessuno dei reattori avanzati di Generazione III e III+.

 

In secondo luogo, vedremo come per la fase successiva al 2040 ci viene presentata la prospettiva di reattori con cicli non proliferanti, che dovrebbero produrre pochissime scorie, e sarebbero capaci di bruciarle e disattivare le componenti più pericolose. Ma nel frattempo la massiccia ripresa della costruzione di reattori che viene proposta continuerebbe ad aggravare i problemi di sempre: anche se in misura ridotta (vogliamo crederci) ma gli effetti cumulativi non sembrano indifferenti. Nell’agosto 2005 l’autorevole rivista Science pubblicò un dossier generale[56] molto ben fatto ed equilibrato. Per il reattore “a letto di sfere” (Pebble Bed Modular Reactor, PBMR, per il quale osservava che riprende un prototipo che ha funzionato in Germania dal 1968, chiuso dopo l’incidente di Chernobyl) riconosceva innegabili vantaggi, ma aggiungeva giustamente che “una cosa che non risolve è il problema delle scorie”, che verrebbero anzi prodotte in volumi maggiori! [Infatti la presenza della grafite aumenta il volume delle scorie di almeno un fattore 10]. C’è realmente una logica nella proposta di un rilancio massiccio a breve termine? Esso non risolverebbe infatti, ed anzi aggraverebbe ulteriormente i problemi precedenti, in base a un ipotetica e tutt’altro che dimostrata “promessa” della soluzione decisiva … fra 30 anni. D’altra parte gli stessi Mathis e Monti ammettono candidamente che “si stima che gli attuali reattori in esercizio [negli USA] produrranno nel corso della loro vita oltre 90.000 tonnellate di residui radioattivi ad alta attività, quantità che eccede la capacità del deposito geologico federale di Yucca Mountain”[57], la cui costruzione peraltro è ferma!

 

E che ne sarà, in attesa delle soluzioni salvifiche dopo il 2040, della proliferazione nucleare? Mi sorprende molto, ad esempio, il modo in cui si parla (o si tace) dell’India. Lo shock dei test nucleari del 1998 è passato molto presto, se gli Usa hanno stipulato con l’India il ben noto accodo “storico” sul nucleare, ancorché “civile”! Accordo che sembra fatto apposta per mettere in soffitta il Trattato di Non Proliferazione, legittimando di fatto una delle maggiori potenze nucleari, cresciuta al di fuori del trattato, e contrapposta, oltre che alla Cina (forse il maggiore obiettivo di Washington), al Pakistan, che ha un arsenale nucleare in mano a militari assolutamente imprevedibili e inaffidabili! Ora, dell’India e di questo scellerato accordo il Rapporto della Commissione Europea non parla affatto, mentre l’articolo di Mathis e Monti ne parla in termini a dir poco asettici e a mio parere mistificanti[58]. Bisogna aggiungere che, a parte le forti tensioni all’interno della compagine che sostiene il governo indiano, la breccia che si potrebbe aprire nel commercio di materiali e apparecchiature nucleari potrebbe risultare molto grave: è in gioco il delicatissimo problema dell’apertura al commercio con l’India da parte del Nuclear Suppliers Group, che controlla il trasferimento di materiale e tecnologie nucleari tra stati in conformità con il TNP (analogo problema sussiste con il Brasile, che ha realizzato quel processo di arricchimento dell’uranio che viene contestato all’Iran, ed ha avuto comportamenti non meno ambigui con la IAEA).

 

I nostri filonucleari prendono molto alla leggera il problema del pericolo degli armamenti e della proliferazione nucleari, proprio in un momento in cui questi rischi vengono denunciati con crescente preoccupazione (basti ricordare l’allarmata, per quanto tardiva, presa di posizione di appena un anno fa di ‘pezzi da 90’ quali Henry Kissinger, George Shultz, William Perry e Sam Nunn[59], e l’allarme lanciato, tra altri, in questi giorni dall’autorevole rivista Nature, con titoli significativi[60]: “Resurgent nuclear threats”, “Nuclear war: the threat that never went away”). Si tratta di una schizofrenia che ha da sempre caratterizzato i paladini del nucleare “civile”. Sul problema dei pericoli di proliferazione dovremo ritornare.

 

Lo spinoso problema dei costi dei programmi nucleari

Prima di venire al luminoso avvenire del nucleare dopo il 2040, vale la pena una digressione sui costi di questi programmi (sui reali costi dei reattori di IV Generazione credo che nessuno sia in grado di fare previsioni che si possano considerare attendibili, stanti anche le grandi incertezze dell’economia e degli assetti mondiali). Il problema dei costi è sempre stato uno dei più contrastati argomenti concernenti il nucleare: i filonucleari lo hanno sempre liquidato con grande sicumera, che non sembra essere stata confermata dai fatti (anche perché i costi dei programmi nucleari del passato non sono affatto chiusi, per i gravissimi problemi aperti e gli strascichi non risolti (basti pensare al problema dei residui nucleari, detti di solito “scorie”). Per il passato mi permetto di riproporre una considerazione che ho avanzato altre volte. Come paragonare ad esempio i costi dei programmi nucleari civili in Francia e negli USA? Nel primo paese lo Stato ha realizzato, e si è accollato i costi, dei programmi civili e militari, e sfido chiunque a fare una valutazione attendibile dei puri costi di uni di essi: il basso costo dell’energia elettrica nucleare venduta dalla Francia non rispecchia direttamente i costi economici effettivi. Negli USA l’industria energetica è sempre stata privata: ed ha capito così bene quanto il nucleare sia conveniente, che per quasi 30 anni non ha ordinato nuove centrali nucleari!

 

Vi è una prima affermazione nei documenti presi a modello che mi ha colpito: “la gestione dei residui radioattivi e lo smantellamento (decommissioning) degli impianti vengono già normalmente compresi nel costo a carico dei consumatori”[61]. Ma va! Noi italiani siamo i soliti fessi, o imprevidenti, se dopo 20 anni dalla chiusura del nucleare dobbiamo affrontare ingenti spese di gestione delle poche scorie e siamo ben lontani dal risolvere il problema del decommissioning, che richiederà tempi e costi considerevoli! Allora Napoli non è un caso isolato. Non avevano messo da parte i fondi necessari?! Ma qualcuno era in grado allora di calcolare i costi di queste operazioni oggi? O forse si vuol fare intendere che i programmi passati non comprendevano questi costi (ma ricordo bene le affermazioni perentorie dei filonucleari negli anni ’70 e ’80!), mentre i nuovi programmi sono più previdenti? A parte che occorrerebbe dirlo chiaramente, sarebbe interessante conoscere il modo in cui questi calcoli di costi sono stati fatti, o si intende farli, dal momento che nessun paese ha ancora risolto il problema delle scorie, il numero di reattori decommissionati è piccolo rispetto al numero complessivo di quelli dismessi (e non sarebbe male se si includessero i reattori, ancora più pericolosi, dei sommergibili nucleari: sappiamo lo stato terrificante di quelli russi!), e non mi sembra affatto facile poter prevedere costi di questi tipo tra 60 anni (e per reattori che ancora non esistono, e sono di là da venire). A me sembra il solito modo di vendere fumo. Del resto, non diversamente dall’Italia, il Regno Unito – che ha appena annunciato il programma di costruzione di 22 centrali – aveva poco prima (marzo 2006) annunciato anche che “La bonifica delle vecchie centrali nucleari britanniche costerà almeno 9 miliardi di £ in più rispetto alle stime previste. … sommergibili robot hanno scoperto vasti depositi di fanghi radioattivi che furono lasciati in serbatoi di stoccaggio sotterranei a Sellafield decenni fa e dimenticati. … potrebbero venire scoperti altri depositi dimenticati. Le stime precedenti per la bonifica dell’industria nucleare civile era di 56 miliardi di £”[62]. Tra fughe di combustibile irraggiato e scorie dimenticate, Sellafield sembra proprio un esempio che la Gran Bretagna e i filonucleari possono portare ad esempio e modello per il futuro!

 

Venendo in generale al problema dei costi, non sono certamente in grado di entrare nel merito dei calcoli, ma è necessario dare spazio a considerazioni e dati – la cui origine può difficilmente essere sottovalutata – di tono piuttosto diverso dai toni trionfalistici e incontrovertibili.

 

La Union of Concerned Scientists aveva già espresso forti riserve[63]: “In ogni caso, storicamente i costi di costruzione sono stati drammaticamente sottostimati. La prima fase degli impianti nucleari costruiti negli USA tra il 1966 e il 1977 soffrì sforamenti dei costi dal 200 % al 380 %, secondo la Energy Information Agency. Questi sforamenti di costi – circa 100 miliardi di $ per i primi 75 reattori nucleari – furono tra i fattori che portarono alla cancellazione di circa metà dei progetti di costruzione di reattori negli USA. Dopo avere riesaminato quella storia, un rapporto del Congressional Budget Office del 2003 concludeva che il rischio di inadempienza delle imprese sui prestiti per nuove centrali nucleari è ancora «molto alto, ben superiore al 50 %». «Non vi è nessuna ragione per credere che l’industria sia cambiata», ha detto Block [manager del Nuclear Energy and Climate Change Project]. Egli ha puntualizzato che gli sforamenti dei costi negli anni ’60 e ’70 furono dovuti in gran parte alla mancanza di mano d’opera specializzata, difficoltà con le gettate di cemento e le saldature [la tecnologia nucleare richiede standard tecnici e costruttivi speciali, N.d.A.], e l’evoluzione dei progetti durante la costruzione. «Oggi questi stessi problemi assillano la costruzione dei nuovi reattori in Finlandia, Cina e Taiwan»”. Per il reattore EPR di Olkiluoto in costruzione in Finlandia, il ritardo nella costruzione che abbiamo già ricordato costerà, secondo il consorzio Elfi di utilizzazione dell’energia, 3 miliardi di euro in più rispetto ai costi che erano stati preventivati: bisogna chiedersi che senso hanno le previsioni di costi di 4 ÷ 5 miliardi di euro per le nuove centrali che vengono proposte!

 

Ma veniamo direttamente alle industrie statunitensi. Mi sembra che ci sia un dato incontrovertibile, decisivo a questo riguardo, che va al di là di tutti i sapienti calcoli che ci presentano i filonucleari: quello che pensano, chiedono ed hanno realmente intenzione di fare le industrie nucleari e le banche statunitensi! O i nostri filonucleari vorrebbero farci credere che le industrie private e le banche statunitensi sbagliano grossolanamente i loro calcoli?

 

A Wish List of New Nuclear Reactors  I reattori nucleari proposti negli USA

 

Come sta realmente il problema del finanziamento, dei costi e dei rischi per la ripresa dei programmi nucleari negli USA? L’industria nucleare statunitense punta naturalmente in primo luogo a fare affari, ed esercita una fortissima azione di lobby su deputati e senatori di entrambi i partiti (l’appoggio più forte è fornito dal senatore repubblicano Domenici). Il problema di fondo è che le banche e Wall Street non sono molto inclini a prestare i fondi necessari, a meno che i prestiti non siano garantiti dal Governo Federale, “ricordando i progetti nucleari degli anni ’70 e ’80 assillati da ritardi normativi, sforamenti dei costi e il meltdown (fusione del nocciolo) di Three Mile Island. Secondo l’industria nucleare il Governo dovrebbe pertanto proteggere gli investitori nel caso i progetti iniziali andassero male”, riportava il Washington Post del 5 settembre 2007 (con il significativo sottotitolo: “Il finanziamento, più che la sicurezza, sembra il fattore chiave che determinerà se i progetti procederanno[64]). Sei delle più grandi banche d’investimento del paese – Citigroup, Credit Suisse, Goldman Sachs, Lehman Brothers, Merrill Lynch, e Morgan Stanley – hanno recentemente dichiarato al DoE: “Crediamo che questi rischi, combinati con i costi più alti del capitale e i tempi di costruzione più lunghi per i reattori nucleari rispetto ad altri impianti di generazione, renderanno oggi i prestatori riluttanti ad estendere crediti a lungo termine”[65].

 

L’industria nucleare statunitense esercita quindi fortissime pressioni per ottenere dal Governo Federale garanzie sui prestiti (loan guarantees) per più di 50 miliardi di $ per i prossimi due anni: questo non sarebbe denaro che l’industria riceverebbe direttamente, ma una specie di premio di assicurazione per i banchieri per coprire  i costi e qualsiasi prestito non rispettato. Circa 17 compagnie stanno considerando la costruzione di circa 31 reattori: al costo di 4,5 miliardi di $ ciascuno, si tratta di finanziare potenzialmente 110 miliardi di $. “Senza la garanzia federale sui prestiti tutto questo si fermerebbe”, ha dichiarato George Vanderheyden, della Constellation Energy, che ha proposto il primo nuovo reattore in circa 30 anni; e Michael J. Wallace (co-direttore esecutivo della UniStar Nuclear e vice presidente esecutivo della Constellation) conferma che “senza le garanzie sui prestiti non costruiremo centrali nucleari”. La Constellation (come tutte le industrie nucleari, e non solo) ha finanziato con centinaia di migliaia di $ i candidati federali, sia Repubblicani che Democratici, alle elezioni del 2006, in aggiunta a centinaia di migliaia di $ spesi in lobbying.

 

Il 31 luglio 2007 il New York Times riportava[66] che “un provvedimento di una singola frase nascosto nella energy bill passata recentemente al Senato, inserita senza dibattito dietro la pressione dell’industria nucleare, potrebbe dare ai costruttori delle nuove centrali i requisiti  per ottenere garanzie governative sui prestiti per decine di miliardi di $”. Cosa cambia rispetto al passato? Come per il passato, il Department of Energy (DoE) potrebbe garantire il 100 % dei prestiti, e fino all’80 % del costo totale per costruire un reattore: ma il progetto di legge in sostanza consente al DoE di approvare tutte le garanzie sui prestiti che vuole, sia per nuovi reattori che per impianti che usino tecnologie “pulite” (oltre al nucleare, carbone “pulito” e rinnovabili). Questo è il grande cambiamento: attualmente (prima di questo disegno di legge) il Governo può garantire solo un volume di prestiti autorizzato ogni anno dal Congresso.

 

Questo è dunque il giudizio sui costi e i rischi dei progetti nucleari delle imprese private e le banche statunitensi (che dovrebbero saper fare i loro affari), di fronte al quale tutti i discorsi e i sapienti calcoli dei filonucleari sembrano aria fritta!

 

Il caso della Francia: emblematico o eccezionale? Davvero più economico e sicuro?

Prima di venire specificamente al problema della sicurezza dei programmi nucleari futuri è opportuna una digressione sul caso della Francia, che i filonucleari portano sempre come esempio di funzionalità ed economicità di un programma elettronucleare massiccio e coerente. I filonucleari si riferiscono al basso costo dell’energia elettrica che la Francia produce per via nucleare, ma lo Stato francese gestisce (o ha gestito fino a ieri), oltre all’intero sistema energetico, uno degli arsenali militari più moderni del mondo: sfiderei chiunque a suddividere i costi, dello Stato, tra civile e militare; questa politica ha inoltre portato ad una super-produzione di energia elettrica, che viene venduta a basso costo (su questo ritornerò). La situazione negli Usa è opposta: il programma militare è governativo, mentre l’energia elettrica è prodotta da imprese private, le quali sanno bene che il nucleare non è conveniente, tant’è vero che da un quarto di secolo non ordinano nuove centrali, ed oggi sono alla caccia di sussidi e di affari. Mi trovo in completa sintonia con le ulteriori osservazioni della Union of Concerned Scientists[67]:

 

▪ la centralizzazione del programma francese, eccezionale e oggi non ripetibile, consentì la limitazione a pochi modelli standardizzati di reattori: il caso francese sarebbe difficilmente ripetibile, perfino in Francia oggi;

 

▪ il nucleare francese non competeva sul mercato internazionale dell’energia, prima dell’apertura recente al mercato europeo;  il governo francese è sempre stato parco di informazioni, e ciò “rende difficile paragonare il costo dell’elettricità generata da fonte nucleare in Francia e negli USA”;

 

▪ l’eccessiva dipendenza dal nucleare rende il sistema rigido, e vulnerabile a circostanze esterne eccezionali: in occasione delle onde di calore e della siccità del 2003 e del 2006, mentre Germania e Spagna riducevano il livello di potenza, o chiudevano altre centrali, la Francia fu costretta a chiudere alcuni impianti nucleari e ad importare elettricità;

 

▪ non potendo ricorrere alle altre fonti energetiche comunemente usate per modulare la produzione di energia con le fluttuazioni della domanda (fino al 50 % nelle 24 ore), la Francia è costretta a ridurre i livelli di potenza dei reattori, o a spegnerne alcuni, e questo abbassa il fattore di carico attorno all’80 %, a fronte del 90 % dei reattori statunitensi[68];

 

▪ ma queste fluttuazioni della potenza dei reattori genera anche problemi di sicurezza, aumentando i rischi di improvvisi picchi di potenza, che potrebbero provocare danni significativi al combustibile, fino al caso estremo di meltdown;

 

▪ il sistematico ritrattamento del combustibile ha creato alla Francia notevoli problemi: l’accumulo di migliaia di tonnellate di uranio (che come combustibile è più caro del minerale di uranio) e di circa 50 tonnellate di plutonio (che era destinato al programma di reattori veloci, chiuso dopo le fallimentari esperienze di Phénix e Superphénix, mentre procede a rilento lo sviluppo del combustibile misto MOX, molte volte più caro dell’uranio leggermente arricchito: al ritmo attuale ci vorrebbero decenni per eliminare il plutonio accumulato fino ad oggi): “Le misure di sicurezza per questi depositi sono inadeguate”;

 

▪ in queste condizioni, la Francia ha sospeso l’applicazione degli standard vincolanti di protezione fisica della IAEA, che la costringerebbero a innalzare la sicurezza”.

 

Si deve aggiungere che la Francia importa il 100 % dell’uranio che usa: fino ad oggi ha usufruito delle condizioni eccezionali di sfruttamento brutale delle risorse uranifere di paesi come la Nigeria, da dove per 40 anni ha importato il 30 % del proprio fabbisogno a prezzi ridicolmente bassi: ma le contraddizioni stanno esplodendo, la guerriglia si è sviluppata, il governo nigeriano ha appena imposto un aumento dei prezzi del 50 %, e nel futuro si prospettano aumenti maggiori, oltre che vere “guerre per l’uranio”, come già le “guerre per il petrolio”, e per tutte le risorse. Areva poi è accusata di avere creato una grave contaminazione ambientale da uranio in Nigeria e Gabon.

 

In Italia, poi, il problema sarebbe ancora diverso, poiché dopo il referendum del 1987 sono state smantellate gran parte delle strutture e delle competenze, e sfiderei chiunque a calcolare il costo per ricostituirle, al di là del costo specifico delle centrali nucleari (sull’Italia v. Parte 3).

 

Ridurre i costi è conciliabile con la sicurezza?

Insistiamo nuovamente sulla contraddizione tra il dichiarato aumento della sicurezza, l’allungamento della vita delle centrali più vecchie (e presumibilmente meno sicure!), nonché l’aumento consistente proposto del numeri di centrali. Ma vi sono problemi specifici.

 

Il documento dell’UCS analizza molto puntigliosamente il problema della sicurezza dei reattori di III Generazione. L’attenzione degli “Scienziati preoccupati” è comprensibilmente incentrata sulla situazione statunitense, e in particolare sull’adeguatezza della NRC (National Regulatory Commission), dei suoi standard e delle sue procedure, ma molti aspetti riguardano i nuovi reattori. Per la NRC la conclusione è molto allarmante e senza appello: il generale processo di deregulation ha investito anche la NRC, essa non sta rafforzando gli standard di sicurezza, promuove una “cultura della sicurezza” inadeguata, è incapace di imporre le sue stesse regole, ha subito tagli dei fondi, ha addirittura limitato il diritto del pubblico a partecipare alle procedure di autorizzazione dei reattori, sono carenti i suoi metodi di terminazione e di analisi dei rischi, le metodologie di ispezione, gli standard di protezione dagli incidenti severi. In conclusione, “la sua politica sulla sicurezza dei nuovi reattori è un ostacolo per assicurare progetti migliori”[69].

 

La politica della NRC è legata direttamente con la progettazione e la realizzazione dei “reattori avanzati” di Generazione III e III+. La NRC infatti richiede solo che i nuovi reattori debbano fornire gli stessi livelli di sicurezza della generazione attuale di reattori: è evidente a chiunque che questo criterio è del tutto inadeguato e estremamente pericoloso in vista di un aumento massiccio del numero di reattori in funzione! Alla base di questo vi è una doppia contraddizione. In primo luogo, “la NRC è restia ad imporre standard di sicurezza più forti per i nuovi reattori perché questo implicherebbe che i reattori attuali non sono abbastanza sicuri. Pertanto la sua insistenza che le centrali attuali sono sicure è un ostacolo per lo sviluppo di centrali più sicure”[70]. In secondo luogo, vi è la necessità di limitare i costi dei futuri reattori, come vedremo meglio. Non dobbiamo stancarci di ripetere che un grave incidente nucleare avrebbe conseguenze di gravità incalcolabile, per cui anche una remota possibilità deve essere esclusa, costi quel che costi: non è accettabile applicare a questo campo i tradizionali calcoli di costi-benefici.

 

Entrando nel merito della valutazione della sicurezza dei “reattori avanzati” di Generazione III e III+, l’UCS mette correttamente in primo piano il problema della necessità, e dell’attuale mancanza di verifica in condizioni di funzionamento prolungate, e non solo sulla carta.

 

A causa delle grandi incertezze su come queste proposte funzioneranno effettivamente nella pratica, esse potrebbero non risultare realmente più sicure dei modelli attuali. … valutazioni del rischio dei progettisti trovano che la probabilità che questi reattori subiscano un incidente severo è molto minore. Per esempio, queste analisi mostrano che la probabilità di una fusione del nocciolo (meltdown) è 100 volte più bassa che per gli impianti attuali. Tuttavia, l’esperienza disponibile con reattori a scala naturale funzionanti a piena potenza è troppo scarsa per validare i modelli al computer di questi sistemi di sicurezza, producendo incertezze significative [paragonabili in grandezza con gli stessi valori predetti]. Nella sua analisi del progetto dell’AP600 – predecessore dell’AP1000 – la NRC assunse che le incertezze potevano potevano aumentare la probabilità di un meltdown di un fattore 100. Se questo fosse vero anche per l’AP1000, annullerebbe il citato miglioramento di 100 volte della probabilità di meltdown, lasciando l’AP1000 vulnerabile al meltdown come i reattori attuali.[71] [Neretto mio]

 

Qui entra in gioco il contrasto tra il miglioramento dei meccanismi di sicurezza e il contenimento dei costi: almeno negli USA, “i progettisti di questi reattori hanno anche indebolito le ‘difese-in-profondità’ (defence-in-depth), presumibilmente per tagliare i costi. Ad esempio, [i reattori di Generazione III+ AP1000 della Westinghouse e ESBWR della General Elestric] hanno sistemi di contenimento meno robusti, minore ridondanza di sistemi di sicurezza, e meno strutture, sistemi e componenti [SSC] per la sicurezza. … Poiché il cemento e l’acciaio incidono per il 95 % nei costi di capitale dei reattori attuali, Westinghouse ha scelto come priorità di ridurre le dimensioni degli SSC legati alla sicurezza, come l’involucro di contenimento”[72]. [I costi dell’AP600 sono risultati troppo alti, nessuna impresa statunitense ha ordinato nessun reattore avanzato della Westinghouse e della General Electric]. “Se la probabilità di una fusione del nocciolo non viene ridotta, l’AO1000 può essere di fatto meno sicuro degli impianti attuali, perché il suo contenitore è meno robusto”[73]. È degno di nota che il Commissariat à l’Énergie Atomique francese ha studiato indipendentemente se l’AP1000 manterrebbe il contenitore integro in un incidente di fusione del nocciolo e “non è giunto a un risultato positivo”[74].

 

Di fatto, il solo reattore che secondo l’UCS può risultare più sicuro di quelli attuali è l’EPR della francese Areva, per le condizioni poste dai governi francese e tedesco: stando al Rapporto della Commissione Europea, a differenza degli USA, “la progettazione dei sistemi nucleari in Europa si basa sul principio della ‘difesa-in-profondità’, che consiste nella prevenzione degli incidenti e nella mitigazione delle loro conseguenze”[75]. Così il reattore EPR è dotato di una struttura di contenimento a doppia parete, e di quattro gruppi di sicurezza indipendenti, ognuno composta da una serie completa di sistemi di sicurezza progettati per mitigare un incidente, comprendente alimentatori di potenza di riserva. I ritardi e gli aumenti dei costi del reattore EPR in costruzione in Finlandia sono probabilmente dovuti anche alle richieste di miglioramento della sicurezza, ma potrebbero rendere questo reattore non competitivo sul mercato statunitense e mondiale: “a meno che la NRC imponga standard più restrittivi per i nuovi reattori,  l’EPR ed altri modelli con maggiori margini di sicurezza si troveranno in svantaggio economico”[76].

 

Anche per gli altri reattori di Generazione III+ ancora in fase di studio la UCS rileva seri problemi incerti e non risolti che rendono problematico stabilire se siano notevolmente più sicuri dei reattori attuali, e richiedono tempo per essere chiariti. Ecco dunque i motivi dell’incertezza sui tempi di commercializzazione: è significativo che le richieste di certificazione da parte della NRC o non sono state avviate, o sono ferme. Per il reattore PBMR ”a letto di sfere”, il consorzio che lo sta costruendo (che include British Nuclear Fuel e Eskom) sostiene che sia intrinsecamente sicuro, al punto da non richiedere un contenitore esterno resistente alla pressione, ma solo un contenitore più economico: ma la richiesta di certificazione non è ancora stata avviata. Per IRIS (International Reactor Innovative and Secure) il consorzio costruttore (guidato da Westinghouse) pretende non solo che non sia necessario il contenimento resistente alla pressione, ma nemmeno piani di emergenza esterni! L’abbassamento della sicurezza complessiva è chiaro a tutti, sacrificata sull’altare del risparmio economico: la richiesta di certificazione alla NRC è infatti di là da venire.

 

Da ultimo, è necessario ricordare che i programmi nucleari si estenderanno a nuovi paesi, spesso non particolarmente avanzati tecnologicamente, che non sembrano fornire le migliori garanzie nella gestione e la sicurezza, e dovranno dotarsi di strutture costose necessarie per sviluppare un’industria nucleare (autorità di sicurezza, cotesto giuridico, linee di trasmissione, ecc.).

 

Il problema della sicurezza per sabotaggi o attacchi terroristici

I rischi dei programmi nucleari civili sono accentuati, oltre che dai problemi di sicurezza interna, dai pericoli di sabotaggi esterni o attentati terroristici. Su questo problema i sostenitori del nucleare glissano, ma sembra che i rischi siano tutt’altro che remoti, e che sarebbero seriamente aggravati da un considerevole aumento del numero e della diffusione di centrali nucleari: è necessario ripetere sempre la motivazione che un grave incidente nucleare avrebbe conseguenze di gravità incalcolabile, anche sulle generazioni future, per cui deve essere assolutamente escluso! I criteri e le misure adottati per prevenire un attacco esterno sembrano del tutto inadeguati, anche dopo le ulteriori restrizioni imposte dopo l’11 settembre. Nella sostanza, la NRC sottovaluta  per i piani di emergenza la possibilità di attacchi terroristici rispetto agli incidenti[77]. La NRC richiede ai proprietari degli impianti di essere in grado di difendersi dall’attacco di un gruppo terroristico, nello schema di un “design basis threat” (DBT). Non so se definire ridicolo o grottesco il fatto – che naturalmente i sostenitori del nucleare ben si guardano dal menzionare – che la NRC sperimenta periodicamente falsi attacchi al livello DBT per stabilire se i proprietari degli impianti sono in grado di difendersi in modo efficiente: “tre falsi attaccanti riuscirono a entrare rapidamente e a simulare la distruzione di abbastanza apparecchiature da provocare un meltdown, sebbene gli operatori ricevano il preavviso tipicamente di sei mesi del giorno in cui il test avverrà. … Non vi è nessun regolamento che assicuri che le guardie di un impianto nucleare abbiano le capacità necessarie”[78]. Anche i modelli presi in considerazione per attacchi aerei appaiono inadeguati ai rischi reali[79]. “… il desiderio della NRC di evitare di imporre all’industria nucleare alti costi per la sicurezza incide sui requisiti di sicurezza[80].

 

La difesa da attacchi più gravi del DBT è responsabilità del governo federale, il quale non ha dimostrato però la capacità di farlo.

 

Un problema particolare è rappresentato poi dalle piscine per la custodia del combustibile esaurito nei siti delle centrali, che non sono protette da edifici di contenimento, e sono quindi vulnerabili ad attacchi terroristici, che provocherebbero il rilasci nell’ambiente di grandi quantità di materiali radioattivi: la NRC prende in considerazione solo alcuni tipi di danneggiamenti gravi, ma non ne considera altri, semmai parziali ma dalle conseguenze non meno gravi, come incrinature delle piscine con fuoriuscita dell’acqua.

 

Il cavallo di battaglia (o di Troia) dei filonucleari, le emissioni di CO2: il nucleare è veramente la soluzione?

 

Il problema dell’aumento delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e della crisi climatica è il vero cavallo di battaglia dei sostenitori del nucleare: e rischia di fare breccia, come argomento decisivo, in un’opinione pubblica scarsamente e superficialmente informata, e desiderosa di soluzioni salvifiche che (in apparenza) non l’impegni più di tanto. Ma le cose stanno realmente così? È stato osservato ripetutamente che solo le operazioni nel reattore sono "carbon free", ovvero senza emissioni di CO2: tutte le altre operazioni della filiera del combustibile nucleare – dalla miniera, al trasporto, al trattamento, all’arricchimento, allo smaltimento dei rifiuti, al decommissioning delle centrali – non è affatto esente da emissioni di CO2. L’impianto di arricchimento di Paducah, nel Kentucky, utilizza due centrali a carbone da 1.000 MW[81]; questo impianto ed un altro a Portsmouth, Ohio, rilasciano il 93 % del gas CFC emesso annualmente negli USA (il clorofuorocarbonio è un gas serra, e responsabile della distruzione della fascia di ozono stratosferico). Il Canada è il maggiore produttore mondiale di uranio, nello stato centrale di Saskatchewan, dalle società Cameco Corporation e Areva Resources Canada: questo uranio esportato negli USA, il principale acquirente, viene arricchito da due centrali a carbone (vi sono anche pressioni perché lo Saskatchewan si faccia carico del combustibile esaurito alla fine del ciclo).

 

2005 World Uranium Production

 

Sono anche stati fatti calcoli precisi. Prescindendo anche dalle operazioni trasporto e ritrattamento del combustibile esarito e di decommissioning, queste emissioni sono state quantificate ormai da molti ricercatori indipendenti dall’industria nucleare. I primi lavori furono pubblicati da Nigel Mortimer[82], fino a poco tempo fa capo unità delle ricerche sulle risorse presso l’università Hallam di Sheffield in Gran Bretagna; nel 2000 uno studio molto dettagliato[83] é stato condotto dagli olandesi Van Leeuwen, docente dell’Università di Gröningen, e Philip Smith, fisico nucleare. Questi studi rivelano che le emissioni di CO2 dipendono fondamentalmente dalla concentrazione di ossido di uranio (U3O8, detto anche "yellowcake") nel minerale estratto, poiché essa determina la quantità di minerale che deve essere trattato per estrarre l’uranio. Per il minerale "high grade", con un minimo di 0,1% di ossido di uranio, da ogni tonnellata di minerale grezzo si ricava un kg di ossido di uranio; invece per il più diffuso "low grade", ossia con concentrazioni non inferiori allo 0,01% di ossido di uranio, per ottenere un kg di yellocake occorre trattare 10 tonnellate di minerale! Se a questo si aggiunge la piccola percentuale (0,7 %) di U-235 nell’uranio naturale, Leeuwen e Smith concludono che il consumo di energia fossile per questi processi di fabbricazione è così grande che le quantità di CO2 emessa è comparabile con quella emessa da un equivalente ciclo combinato alimentato a gas naturale. D. T. Spreng[84] calcola che può essere necessario bruciare 200 kWh di idrocarburi per ogni 1.000 kWh di elettricità prodotta per via nucleare.

 

Occorre aggiungere che le quantità conosciute di riserve di uranio con "grado" superiore allo 0,01% sono molto limitate e che la maggior parte delle risorse sono low grade: con il contributo attuale alla produzione elettrica mondiale di circa il 16%, le riserve di minerale high grade possono durare pochi decenni con prezzi crescenti (non dimentichiamo che negli ultimi anni il prezzo dello yellowcake è sestuplicato, passando dai 20 $ per libbra nel 2000 a 120 $ per libbra nel 2007).

 

Sebbene queste analisi, che certamente devono essere approfondite, siano fondamentali per poter condurre un dibattito serio sul "ritorno al nucleare", esse non vengono mai menzionate. Un altro aspetto critico nel processo di produzione di uranio è la grande quantità di acqua necessaria, anche questo sempre taciuto.

 

Ma, se anche si prendono per buone le affermazioni dei sostenitori del nucleare, il problema ha anche un altro aspetto decisivo: quale riduzioni delle emissioni ci si può aspettare dallo sviluppo di un programma nucleare massiccio? O, in altre parole, quale dovrebbe essere l’entità di tale sviluppo, e quali i suoi costi, per garantire davvero una riduzione apprezzabile delle emissioni?

 

È opportuno premettere – ricordando che il nucleare contribuisce alla produzione della sola energia elettrica – che in Gran Bretagna l’atomo produce il 18 % dell’energia elettrica (e tale percentuale diminuirà nei prossimi 15 anni), appena il 3 % del fabbisogno energetico totale; il dato è analogo per gli USA; se la Cina costruirà 40 reattori, coprirà appena il 4  dei fabbisogni elettrici, lo 0,8 % dei totali; l’India l’1 – 2 %. È davvero credibile che uno sviluppo, anche massiccio, del nucleare possa dare un contributo considerevole alla riduzione delle emissioni? A fronte dei rischi che comporta, e dei costi.

 

L’interessante Dossier della rivista Science del 2005 che abbiamo già citato[85] riportava un autorevole parere di Cochran, del National Resources Defense Council, il quale “non vede il nucleare come una buona opzione”: egli calcola infatti che, anche “un obiettivo modesto – evitare con il nucleare un piccolo aumento (0,2o C) del riscaldamento globale per la fine di questo secolo” – “richiederebbe  di elevare  il numero di reattori nel mondo dagli attuali 441 ad almeno 700 per la metà del secolo, e mantenerne stabile il numero per 50 anni. Per coprire la chiusura degli impianti obsoleti, questo richiederebbe la costruzione di 1.200 nuove centrali, ad un ritmo di 17 all’anno. Le necessità di supporto sarebbero impressionanti: una decina di nuovi impianti di arricchimento per il ritrattamento, lo stesso numero di depositi di scorie delle dimensioni di Yucca Mountain se non si facesse il ritrattamento, o centinaia di migliaia di tonnellate di materiale da custodire durante il ritrattamento. ... una rinascita nucleare non vale il rischio”.

 

Non dissimili le valutazioni dell’UCS[86]. Se la domanda di elettricità negli USA nel 2050 rimanesse quella attuale, per raddoppiarne la percentuale prodotta dal nucleare (20 % oggi, da 104 reattori) si dovrebbero costruire circa 100 nuovi reattori: poiché la produzione di elettricità contribuisce oggi per un terzo alle emissioni di CO2, 100 reattori in più ridurrebbero le emissioni appena del 6-7 % rispetto a oggi. Si tenga presente che per evitare cambiamenti climatici dannosi le emissioni dovrebbero essere ridotte dell’80 % nel 2050! In assenza di misure addizionali di risparmio e di efficienza i consumi elettrici negli USA quasi raddoppieranno da qui al 2050.

 

Se si viene, più modestamente, al nostro paese, c’è da chiedersi, anziché vaneggiare di improbabili centrali nucleari, quali risparmi di produzione di CO2 (per non parlare di quelli economici, e ambientali) sarebbero stati possibili rinunciando alla costruzione di qualche autostrada, dell’Alta Velocità ferroviaria, e si fosse invece ridotto consistentemente il trasporto su gomma valorizzando una delle reti ferroviarie migliori del mondo.

 

SECONDA FASE, DOPO IL 2040

 

Le luminose prospettive del nucleare di IV Generazione: l’uovo … domani (2040) senza nessuna gallina?

Veniamo ora alla “fine della storia”: i decisivi sviluppi che ci attendono, dopo il 2040, se li sapremo preparare con la ripresa di oggi. È essenziale a questo proposito entrare finalmente nel merito dei futuribili reattori di IV Generazione. Molti profani si chiedono infatti che cosa siano, et pour cause, dato che ancora non esistono.

 

Molti prototipi diversi sono in fase di studio o costruzione, tanti da chiedersi, anche qui, se non siano anche troppi! L’iniziativa Generation IV International Forum (GIF), avviata dal DoE nel 2000 con una serie di paesi, dopo “avere lavorato due anni all’esame di un centinaio di alternative tecnologiche … è giunta alla selezione dei sei concetti più promettenti”[87]. Diviene forse legittimo chiedersi se si stia lavorando veramente in modo coordinato per trovare la (o le) filiere migliori, o se non si stia piuttosto brancolando in diverse direzioni, o se si stia più semplicemente sviluppando una spietata concorrenza. I diversi prototipi sono in fase di studio in paesi diversi, il che presuppone un’idilliaca armonia planetaria per il prossimo mezzo secolo. Agli albori del nucleare ci vollero una decina d’anni, o meno, per realizzare le filiere dei reattori di II Generazione: possibile che oggi, con le competenze che si sono accumulate, ci voglia quasi mezzo secolo?

 

Rinviando per una descrizione per quanto possibile più precisa all’Appendice 1, menzioniamo questi sei nuovi sistemi nucleari selezionati. In primo luogo, quattro di essi sono reattori veloci (FR, Fast Reactor), due dei quali refrigerati a sodio o a piombo; propongono ovviamente il ciclo chiuso del combustibile (conversione dell’uranio fertile in fissile, e gestione degli attinidi: v. oltre):

 

-- Sodium-cooled Fast Reactor (SFR), veloce, refrigerato a sodio;

-- Lead-cooled Fast Reactor (LFR), veloce, refrigerato a piombo (o eutettico[88] piombo-bismuto);

-- Gas-cooled Fast Reactor (GFR), veloce, refrigerato a gas;

-- Supercritical-Water-cooled Reactor (SCWR), veloce o termico, refrigerato ad acqua in condizioni super-critiche[89];

-- Molten Salt Reactor (MSR), termico, reazione a catena in una miscela circolante di Sali fusi;

-- Very-High-Temperature Reactor (VHTR), moderato a grafite e refrigerato a elio, ad alta temperatura (per la produzione di idrogeno oltre che di elettricità), ciclo del combustibile ad un solo passaggio (once-through, senza ritrattamento).

 

Ma non finisce qui. A questi sei prototipi promossi dal GIF bisogna aggiungere poi il considerevole numero di quelli sviluppati da un’altra iniziativa internazionale complementare, INPRO (International Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles), lanciata nel 2000 dalla IAEA, guidata in un certo senso da Russia, Cina e India (che non partecipano al GIF), con l’ulteriore partecipazione di Argentina, Brasile, Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Indonesia, Corea, Olanda, Pakistan, Sudafrica, Spagna, Svizzera, Turchia, con il contributo anche della Commissione Europea. Il panorama è quindi estremamente complesso, e riflette più un’immagine di forte competizione che di armoniosa cooperazione. La Cina, oltre a collaborare con il Sudafrica per il reattore “a letto di sfere” (pebble-bed), sta sviluppando un reattore ad alta temperatura (HTR), con il quale conta di produrre idrogeno in varie regioni dell’immenso paese. La Russia lavora allo sviluppo di diverse filiere: reattori ad acqua evoluti (III Generazione); reattori veloci refrigerati a sodio o a piombo-bismuto (refrigerante usato da 40 anni nei reattori degli otto sommergibili della classe alfa), con combustibile misto uranio-plutonio, riciclabile più volte, e ciclo chiuso. L’India poi sta seguendo anche una strada molto originale, un reattore al torio, su cui ritorneremo. India e Russia progettano piccole centrali galleggianti da costruire nelle zone costiere, da usare ad esempio per la dissalazione dell’acqua. L’India, mentre negozia l’accordo strategico con Washington, riallaccia i rapporti con Pechino: l’incontro tra i capi di Stato del 21 novembre scorso ha trattato esplicitamente di futura cooperazione nell’uso pacifico dell’energia nucleare. La prevalenza di concetti di reattori veloci è confermata dal fatto che vi lavorano attivamente la Cina, la Russia, l’India, oltre al Giappone e alla Corea del Sud.

 

Le ineffabili caratteristiche tecniche: il mito del “nucleare sostenibile”

Dopo questo sintetico quadro veniamo alle caratteristiche tecniche, che costituiscono l’aspetto fondamentale (ancorché rinviato a dopo il 2040) dell’offensiva di rilancio del nucleare. I reattori di IV generazione in corso di studio si basano su principi innovativi, in contrasto con la concezione evolutiva dei reattori di Generazione III e III+. Rinviando all’Appendice per complementi tecnici, mi limiterò qui alle caratteristiche generali. Per queste conviene lasciare la parola agli esperti:

 

“I sistemi nucleari di IV Generazione dovranno rispettare i seguenti requisiti:

·        Sostenibilità, ovvero massimo utilizzo del combustibile e minimizzazione dei rifiuti radioattivi;

·        Economicità, ovvero basso costo del ciclo di vita dell’impianto e livello di rischio finanziario equivalente a quello di altri impianti energetici;

·        Sicurezza e affidabilità; in particolare i sistemi di IV Generazione dovranno avere una bassa probabilità di danni gravi al nocciolo del reattore e tollerare anche gravi errori umani; non dovranno, inoltre, richiedere piani di emergenza per la difesa della salute pubblica, non essendoci uno scenario credibile per il rilascio di radioattività fuori dal sito;

·        Resistenza alla proliferazione e protezione fisica contro gli attacchi terroristici.”[90]

 

Vi sono vari aspetti su cui è opportuno soffermarsi. Due punti, in primo luogo, risultano cruciali per il luminoso futuro nucleare che ci viene promesso … verso la metà del secolo, la realizzazione di un nucleare sostenibile: i nuovi sistemi di IV Generazione dovrebbero infatti risolvere drasticamente

  sia il problema della disponibilità illimitata del combustibile nucleare,

  sia il problema delle scorie nucleari, “chiudendo” il ciclo del combustibile!

 

Si tratta di due aspetti molto delicati, e non semplici dal punto di vista tecnico-scientifico, strettamente legati fra loro. Proviamo a spiegarci nei termini più semplici possibili (v. le Schede 1 e 2 per dettagli tecnici). Da un lato, i futuri reattori veloci (o “a spettro neutronico veloce”, come se cambiare le parole esorcizzasse il problema) dovrebbero avere la possibilità di trasmutare sotto il bombardamento neutronico i nuclei radioattivi pesanti – che costituiscono la componente dei residui nucleari a lunghissima vita media – trasformandoli per di più in nuovi nuclei fissili, e quindi in nuovo combustibile nucleare, semplificando in tal modo i due problemi ad un tempo, dei residui nucleari e della disponibilità di combustibile; dall’altro, il ritrattamento multiplo del combustibile dovrebbe consentire di estrarre e riutilizzare gli isotopi fissili come nuovo combustibile. Con questo si intende il termine “nucleare sostenibile” (forse tra un po’ ci verrà anche detto “ecologico”).

 

Prima di entrare negli aspetti specifici vale la pena riportare integralmente le affermazioni in proposito dei documenti a cui facciamo riferimento:

 

Con l’utilizzo di sistemi nucleari sottocritici ‘trasmutatori’ (cosiddetti ADS, Accelerator Driven Systems, v. Appendice) e dei reattori di IV Generazione a spettro neutronico veloce, accoppiati ad un ciclo del combustibile chiuso … attraverso processi di separazione e trasmutazione degli elementi radioattivi a vita lunga in elementi a vita breve, è possibile ridurre fortemente i volumi, i tempi di confinamento (da più di 100.000 anni a circa 700 anni), la radio tossicità ed il carico termico delle scorie radioattive, al fine di limitare quanto più possibile l’onere finanziario e sociale della loro gestione e l’esigenza di aumentare il numero dei siti di stoccaggio definitivo[91].

 

[La prevalenza di concetti di reattori con spettro neutronico veloce] si spiega con le preoccupazioni riguardo ad un’adeguata disponibilità in natura di materiale fissile … Una buona parte delle centrali nucleari attuali non prevede il ritrattamento del combustibile irradiato, che permetterebbe di recuperarne il plutonio, nonché la grande frazione di uranio ‘depleto’ [sic! Come se non ce ne fossero già al mondo quantitativi spropositati, e non venisse usato sconsideratamente a scopo militare!], il quale a sua volta può essere ‘fertilizzato’ con bombardamento neutronico per produrre altro materiale fissile. In questa ipotesi di ciclo nucleare ‘aperto’ in cui il combustibile scaricato dall’impianto è considerato un rifiuto, il principale problema strategico dell’energia nucleare da fissione è la disponibilità di combustibile, oltre che la gestione di rilevanti quantità di rifiuti radioattivi ad alta attività e lunghissima vita. … se invece si procede al ritrattamento del combustibile irradiato, e mediante l’uso di reattori a flusso neutronico veloce che fungono da ‘fertilizzatori’, è possibile estrarre dall’uranio naturale all’incirca 100 volte in più di energia (e quindi raggiungere una disponibilità di millenni …) … Infine, anche il torio, più abbondante in natura dell’uranio, sottoposto a flusso di neutroni veloci, genera un altro isotopo fissile dell’uranio, l’uranio-233, che può essere usato come combustibile nucleare.[92] [Per il torio v. l’Appendice]

 

Il trattamento del combustibile esaurito e il multi-riciclaggio sono la base su cui i futuri reattori di IV Generazione raggiungeranno la sostenibilità. … In associazione con lo sviluppo di un robusto sistema di reattori veloci, è necessario realizzare una strategia flessibile di separazione e trattamento, volta a un ciclo chiuso del combustibile che utilizzi meglio le risorse fertili attraverso un riciclaggio multiplo dell’uranio e del plutonio. Questa strategia include lo sviluppo della chimica degli attinidi, la tecnologia di separazione e combustibili contenenti meno attinidi mediante l’irraggiamento di tale combustibile nel reattore. Questa strategia coerente a lungo termine consentirebbe la transizione dal mono-riciclaggio del plutonio attualmente praticato nei reattori ad acqua leggera (LWR) al multi-riciclaggio nei reattori di IV Geenerazione.[93]

 

Tutto questo sulla carta, dato che si scommette su tecnologie complesse ancora, e per lungo tempo, in corso di studio: quante promesse “di marinaio”, e garanzie, ci davano i filonucleari negli anni ’70 e ’80! Anche per le possibilità di separazione e trasmutazione degli isotopi si scommette sul futuro, se è vero che, pur citando una serie di programmi in Europa, USA e Giappone, si conclude che “stanno entrando in una fase di valutazione tecnico-economica e di definizione dettagliata delle varie tecnologie associate”[94]: la tecnologia e l’innovazione sono sempre scommesse sul futuro, ma qui su delle scommesse si vuole basare il lancio preventivo di un colossale, costoso e rischioso programma nucleare!

 

Una prima osservazione generale, prima di entrare nei punti specifici: ancora una volta si parla di plutonio, di riciclaggio (ritrattamento), di uranio depleto, come fossero giocattoli innocui, o strumenti docili, in modo univoco, alle intenzioni ideali espresse. Di plutonio è costituito il nucleo della maggior parte delle testate nucleari e termonucleari esistenti nel mondo; il riciclaggio e l’estrazione del plutonio costituiscono la strada maestra seguita da paesi che hanno reattori nucleari in funzione per realizzare la bomba atomica; di plutonio straripa il mondo (1.800 tonnellate complessive stoccate, con possibile uso militare, v oltre); i rischi di sottrazione e traffici illeciti sono tra quelli più energicamente denunciati dalla IAEA; gli USA si oppongono radicalmente a negoziare un trattato “Cutoff” (FMCT, Fissile Material Cutoff Treaty), che imponga la fine della produzione di materiali fissili per fini militari; sovra-capacità di ritrattamento, di estrazione e stoccaggio di plutonio, difficilmente giustificabili, sono denunciati per il Giappone (ma non solo). Un panorama tutt’altro che rassicurante, che non richiede ulteriori commenti: né mi rassicura la prospettiva che potrebbe venire risolto, forse, dallo sviluppo del nucleare fra 30 anni, durante i quali è destinato ad aggravarsi.

 

Esaminiamo ora alcuni punti specifici, sezionando necessariamente questa strategia tanto compatta e futuribile da rischiare di essere fittizia.

 

La scommessa dei reattori veloci, i problemi del sodio e del piombo

Abbiamo sottolineato che la maggior parte dei prototipi in corso di studio sono reattori a neutroni veloci, e costituiscono un elemento cruciale della strategia complessiva, per “bruciare” gli attinidi all’interno del reattore (v. Scheda 2). I “reattori veloci” furono una delle strade proposte in passato per superare la limitatezza e l’esaurimento del combustibile nucleare (l’uranio), prospettando la possibilità del breeding (autofertilizzazione – la “fertilizzazione” dell’uranio 238, o del torio-232 (v. Scheda 1 per il plutonio e Appendice 2 per il torio) – da cui anche il nome di “reattori autofertilizzanti”), e addirittura visioni di un’economia basata sul plutonio (un po’ come oggi si vagheggia un’economia basata sull’idrogeno). La sperimentazione più spinta di questa tecnologia fu fatta dalla Francia (per la quale il plutonio era un componente fondamentale per la force de frappe) – con l’improvvida partecipazione dell’Italia – che realizzò prima il reattore sperimentale Rapsodie, poi il prototipo Phénix[95], poi Superphénix, che avrebbe dovuto inaugurare una filiera commerciale: la fine ingloriosa di questi progetti la dice lunga sulle incognite che gravano su un programma nucleare innovativo! Un reattore a neutroni veloci non può essere raffreddato ad acqua, poiché essa rallenterebbe i neutroni, per cui si usa un metallo liquido, per lo più il sodio (oggi anche il piombo-bismuto). Il sodio liquido è un metallo che si incendia al contatto con l’aria. Il ripetersi di incidenti dovuto al sodio in Superphénix impose l’abbandono del progetto. È vero che la ricerca sui reattori veloci, come abbiamo detto, non è stata abbandonata in vari paesi (un prototipo funziona in Russia), i sostenitori del nucleare vi insistono, ma non si può mancare di ammettere che fino ad oggi la strada dei reattori veloci non ha avuto successo, altrimenti la soluzione del breeding si sarebbe imposta commercialmente! I problemi posti dai reattori veloci, dai metalli liquidi di raffreddamento, non sono ancora stati risolti in modo soddisfacente e sicuro. Appaiono francamente esagerati ed incauti i toni fiduciosi, se non trionfalistici, usati dai sostenitori del nucleare, come:

 

Tra i reattori veloci, quello raffreddato al sodio al momento ha la base tecnologica più completa, grazie all’esperienza acquisita internazionalmente operando reattori sperimentali, prototipi e commerciali, come Phénix in Francia [sic! Superphénix non è nemmeno menzionato], PFR nell’UK e MONJU in Giappone”[96]. Così che sembra per lo meno azzardata l’affermazione apodittica: “data la maturità dei reattori veloci raffreddati a sodio, il prossimo impianto da costruire in Europa sarà un reattore prototipo con un sistema di conversione di potenza tra 250 e 600 MWe per dimostrare le innovazioni rispetto ai reattori veloci al sodio ed aprire la strada [che quindi non è ancora aperta! N.d.A] al primo reattore commerciale di IV Generazione di questi tipo”[97]. Mentre, vivaddio, si ammette che sussistono “alcuni problemi critici associati all’uso del piombo come refrigerante per reattori nel range di energia di 1 GWe, come il peso e la corrosione. … la manutenzione e la riparazione rimangono una sfida comune ad entrambi i refrigeranti a metallo liquido, il sodio e il piombo[98] (corsivo mio).

 

Tanto più condivisibili, ed opportune, appaiono pertanto le ben più prudenti considerazioni dell’UCS, che conviene riportare estesamente. In primo luogo (neretto mio),

 

Non vi è nessuna base per assumere che nessuno dei progetti [di IV Generazione] sarebbe significativamente più sicuro degli impianti nucleari attuali. … [Essi] hanno un’esperienza operativa piccola o nulla, per cui sono necessari modelli dettagliati al computer per predire accuratamente la loro vulnerabilità ad incidenti catastrofici, ma questo progetto è ancora nella sua infanzia, per cui sviluppare e validare estensivamente i modelli al computer per ciascun progetto sarà un compito formidabile[99].

 

E proseguendo

 

… tutti i progetti usano refrigeranti che sono altamente corrosivi nelle normali condizioni operative e richiederanno quindi materiali strutturali avanzati capaci di operare in ambienti estremi. Questo è vero anche per il Very High Temperature Reactor (VHTR), che usa gas elio inerte come refrigerante, perché piccoli livelli di impurità sarebbero altamente corrosivi alla temperatura operativa di 1.000 oC. Lo sviluppo di questi materiali avanzati è speculativo, e l’insuccesso nel raggiungere l’obiettivo delle prestazioni si tradurrebbe in margini di sicurezza minori e costi operativi maggiori.

 

Per ridurre i costi, i progetti di IV Generazione tendono a ridurre ove possibili i margini di sicurezza. Questo è in contrasto con il concetto fondamentale di ‘difese-in-profondità’, in cui sistemi di sicurezza di riserva compensano le incertezze nel funzionamento dei sistemi di sicurezza principali.

 

Per esempio, uno degli obiettivi di IV Generazione è di eliminare la necessità di emergenza esterni …

 

I reattori veloci refrigerati a sodio (SFR) e a piombo (LFR) hanno problemi di sicurezza specifici dovuti ai loro refrigeranti. Il refrigerante al piombo-bismuto è meno reattivo ed ha un punto di ebollizione più alto del refrigerante sodio. Tuttavia è estremamente corrosivo, e quando viene irradiato produce radioisotopi altamente volatili (in particolare polonio-210) che sarebbe problematico contenere anche in condizioni operative normali.

 

… [Inoltre] se il nocciolo si surriscalda e il metallo liquido refrigerante bolle, la reattività del reattore e la potenza aumenterebbero rapidamente.

 

… i reattori veloci [a differenza della maggior parte dei reattori ad acqua leggera] non sono nella configurazione più reattiva nelle condizioni operative normali. Questo significa che un evento che porti il nocciolo ad essere più compatto – come una fusione del nocciolo – può innalzare in modo sostanziale la reattività, causando un rapido aumento della potenza che potrebbe vaporizzare il combustibile e fare esplodere il nocciolo. Una tale esplosione … sarebbe simile all’esplosione di una bomba nucleare a fissione molto piccola, di potenza esplosiva paragonabile ad una tonnellata di TNT.[100]

 

Come sia possibile, in queste condizioni e con queste incognite, scommettere sulla sicurezza e i bassi costi delle soluzioni nucleari fra 30 o più anni rimane davvero un mistero! (O un imbroglio).

 

Bisogna aggiungere che “i reattori veloci non possono venire alimentati con uranio a basso arricchimento, ma richiedono o uranio altamente arricchito o plutonio”[101], aumentando così i rischi di proliferazione militare, come vedremo nel prossimo paragrafo.

 

Per quanto riguarda poi i rischi di sabotaggio o attacchi esterni, dal momento che questi progetti scommettono su un futuro lontano quanto imprevedibile, è opportuno ribadire che i nuovi impianti devono assolutamente essere dotati di difese passive efficaci, quali strutture di contenimento, più robuste di quelle attualmente previste per i reattori di Generazione III+ (con la sola eccezione dell’EPR): non sono accettabili nessun calcolo costi-benefici, nessun escamotage per ridurre i costi, che vadano a scapito di queste difese.

 

Uno degli aspetti più delicati e controversi: riprocessare o non riprocessare? Questo è il problema! Allarme proliferazione

Abbiamo sottolineato che l’aspetto cruciale per la “sostenibilità” dei progetti nucleari che vengono proposti è costituito dall’assoluta necessità del ritrattamento, anche multiplo, del combustibile esaurito. Si tratta del punto più delicato, complesso, e controverso, perché è quello più direttamente legato ai rischi di proliferazione nucleare militare. La “bestia nera” di tutta la faccenda si chiama plutonio. I punti cruciali sono che: il plutonio non esiste in natura, ma si forma dall’uranio-238 (U-238) nei reattori nucleari durante la reazione a catena (assorbendo un neutrone si trasforma dopo alcune trasmutazioni in plutonio-239, Pu-239: per questo l’U-235 si dice “fertile”); il plutonio-239 è appunto fissile, e costituisce l’esplosivo nucleare ideale, in particolare perché è “facile” in linea di principio separarlo dal combustibile irraggiato, essendo un elemento chimico distinto e usando pertanto reazioni chimiche; per farlo è però necessario ritrattare il combustibile irraggiato (raccogliamo nella Scheda 1 le nozioni fondamentali sul plutonio e il ritrattamento).

 

La storia del ritrattamento fino ad oggi è stata complessa. Molti paesi l’hanno adottata (Israele, India, Corea del Nord hanno estratto il plutonio per la bomba), ma pochi l’hanno sviluppata industrialmente, trattandosi di una tecnica estremamente pericolosa: Francia e Gran Bretagna ritrattano il combustibile di altri paesi. La principale eccezione è costituita dagli USA: da quando l’amministrazione Carter decise di non costruire impianti di ritrattamento per usi civili per ridurre i rischi di proliferazione militare, gli USA hanno adottato il mono-uso del combustibile nucleare (con i relativi problemi di stoccaggio e custodia del combustibile esaurito, v. Scheda 2). La lobby nucleare sta esercitando forti pressioni sul governo statunitense perché, con l’iniziativa GNEP, cambi questa strategia e ricorra nuovamente al ritrattamento.

 

Abbiamo già ricordato che si sono accumulati nel mondo depositi di ben 1.800 tonnellate di plutonio (ne bastano pochi chili per fare una bomba), prevalentemente in depositi civili (a differenza delle altrettante 1.800 tonnellate di uranio altamente arricchito, v. Tabella 3). Nel mondo si generano ogni anno circa 100 tonnellate di plutonio nel combustibile esaurito. Ma sono necessarie a questo proposito ulteriori precisazioni.

 

In primo luogo, negli anni recenti si è resa possibile l’utilizzazione del plutonio come combustibile nucleare, opportunamente mescolato all’uranio (combustibile MOX, Mixed Oxide Fuel, Scheda 1). Una trentina di reattori in Europa stanno usando combustibile MOX, e un’altra quarantina hanno avuto la licenza per farlo. I reattori avanzati di III Generazione, EPR e AP-1000, dovrebbero funzionare con cariche complete di combustibile MOX. I reattori a neutroni veloci possono usare interamente il MOX come combustibile, poiché al crescere dell’energia dei neutroni la fissione del plutonio (e di quasi tutti gli attinidi) è favorita rispetto alla cattura.

 

Un’altra precisazione importante è che anche il Pu-239, una volta formatosi nel reattore dall’U-238, tende ad assorbire neutroni, trasformandosi a sua volta in isotopi più pesanti – Pu-240, Pu-241, Pu-242 – e in altri isotopi transuranici: solo il Pu-239 e il Pu-241 sono fissili come l’uranio-235. La presenza di Pu-240 anzi costituisce un ostacolo all’uso del plutonio come esplosivo nelle bombe, perché ha una probabilità, anche se piccolissima, di fissione spontanea, e può quindi innescare la reazione a catena prima del momento esatto[102], facendo fallire (fizzle) l’esplosione. Il plutonio nel combustibile esaurito (plutonio reactor-grade) è per circa un quarto Pu-240. Per ottenere plutonio militare (weapon-grade), praticamente Pu-239 puro, si deve estrarre il combustibile dal reattore e riprocessarlo dopo poche settimane. Ma a complicare il quadro vi è ancora il fatto che la reazione a catena porta alla formazione di ulteriori nuclei, in particolare di attinidi (v. Scheda 2): tra questi, il nettunio-237 e l’americio si prestano a fabbricare bombe, e sono quindi soggetti a rischi di proliferazione (tabella 4).

 

Nella nuova strategia proposta con i reattori veloci di IV Generazione il ritrattamento è la chiave di volta sia per la disattivazione degli attinidi (Scheda 2) e la riduzione delle scorie pericolose, sia per la fertilizzazione di isotopi che dovrebbero fornire nuovo combustibile nucleare, venendo separati (cioè della pretesa “chiusura” del ciclo del combustibile). Per questo i sostenitori di questi programmi propongono cicli del combustibile nucleare “non proliferanti”, o resistenti alla proliferazione (proliferation-resistant). L’idea è di sviluppare tecniche di ritrattamento che conservino nella miscela di plutonio una quantità di prodotti di fissione radioattivi tale da costituire una barriera radioattiva rispetto a sottrazioni di materiale fissile (il plutonio possiede un’attività abbastanza bassa da potere essere manipolato e quindi sottratto).

 

Questo è a grandissime linee il quadro.

 

Veniamo ai problemi.

 

In primo luogo, abbiamo già sottolineato il fatto che da qui al 2040 (per lo meno) la costruzione di nuovi reattori di Generazione III e III+ è destinata ad aumentare la produzione di combustibile esaurito e di plutonio, in attesa della soluzione salvifica. L’UCS critica la pretesa che i progetti di reattori di generazione III+ siano più resistenti alla proliferazione dei reattori in esercizio di II Generazione[103]. I promotori del reattore “a letto di sfere” (PBMR, Pebble Bed) sostengono che il ritrattamento non è necessario, anche per la presenza di grafite che aumenta il volume dei residui almeno di un fattore 10 rispetto ai reattori ad acqua leggera: ma proprio i maggiori problemi di stoccaggio potrebbero spingere al ritrattamento; di fatto, il DoE sta già sponsorizzando la R&D sul combustibile esaurito dai reattori raffreddati a gas, come il PBMR. Coloro che promuovono il reattore IRIS sostengono che la vita più lunga delle cariche di combustibile (8 anni)darebbe meno occasioni di accesso al combustibile contenente plutonio: ma il combustibile richiede arricchimenti maggiori (da 5 a 9 %), e soprattutto un paese che volesse avere accesso al plutonio non avrebbe motivo di attendere 8 anni, ma potrebbero uscire dal Trattato di Non Proliferazione con il debito preavviso di 3 mesi (come fece la Corea del Nord) ed estrarre il combustibile dal reattore. In generale, il combustibile MOX che dovrebbe alimentare i reattori contiene plutonio, e potrebbe essere attraente per chi voglia ottenerlo per scopi militari.

 

Qui viene infatti il secondo punto: l’ulteriore accumulo di plutonio, nella filosofia del ritrattamento e quindi della sua separazione, aumenta i problemi di custodia e i rischi di sottrazioni i furti. Con il ritrattamento aumenteranno i problemi di seguire il cammino del plutonio e controllarne i quantitativi: le migliori tecniche di controllo oggi disponibili sono infatti soggette ad incertezze ed errori intrinseci di qualche percento[104]. Potrebbe sembrare poco, ma si tratta di tonnellate di plutonio, quando ne bastano pochi chili per realizzare una bomba. Abbiamo ricordato le perdite passate inosservate nell’impianto britannico di Sellafield nel 2005, ma questo caso non è isolato. Nel 1994 il Giappone rivelò che durante 5 anni di funzionamento dell’impianto di ritrattamento di Tokaimura la quantità di plutonio non rendicontata ammontava a 70 chili: si sosteneva che si era accumulato come polvere nelle apparecchiature interne all’impianto, ma non fu possibile verificarlo fino a una chiusura nel 1996. Nel precedente impianto giapponese di Rokkasho è impossibile rivelare la scomparsa, o il mancato rendiconto, di una cinquantina di chili di plutonio all’anno[105]; nel 2003 i tecnici ammisero di avere impiegato 15 anni per rendicontare la mancanza più di 200 chili di plutonio, che è circa il 3 % di tutto il plutonio separato nell’impianto in 25 anni di funzionamento[106]. Altro che i rischi dell’Iran! Pertanto “un ciclo del combustibile nucleare chiuso comporta di maneggiare, processare e trasportare grandi quantità di materiale utilizzabile nelle bombe e spesso facilmente accessibile e occultare. Questo dà a terroristi molte occasioni di ottenere materiale per fabbricare armi nucleari. E in gran parte di questo processo il materiale non può essere rendicontato in modo abbastanza preciso da assicurare che non venga sottratto un quantitativo necessario per una o più testate nucleari”[107].

 

Un terzo punto, decisivo, è che vi sono dubbi di fondo sull’affermazione che le nuove tecnologie, e quindi il ciclo chiuso, siano resistenti alla proliferazione:

 

“Mentre le modifiche del ritrattamento proposte da GNEP non aumenteranno in modo significativo la resistenza del plutonio a furti, esse ridurranno presumibilmente l’accuratezza con cui gli operatori degli impianti e gli ispettori internazionali saranno in grado di controllare il plutonio[108].

 

A tale proposito bisogna aggiungere un paio di precisazioni estremamente importanti. La prima è che – anche se il plutonio weapon-grade, praticamente Pu-239, è sicuramente il più idoneo per usi militari – è ormai stato dimostrato ampiamente che con qualsiasi tipo di plutonio, anche quello reactor-grade, “sporco” di Pu-240, è possibile fabbricare bombe. Il punto fondamentale è che, se anche non «esplodessero» nel senso proprio del termine a causa di una detonazione anticipata, produrrebbero comunque un’«esplosione» disastrosa! Infatti, “anche una bomba che detoni in anticipo e faccia fallire l’esplosione (fizzle) causerebbe comunque un’esplosione pari a 1.000 tonnellate (1 chilotone) di TNT o più. Secondo una valutazione statunitense classificata:

 

[Un] gruppo sottonazionale che usi progetti e tecnologie non più sofisticate di quelle usate nelle armi nucleari di prima generazione possono costruire da plutonio reactor-grade un ordigno nucleare che abbia una potenza assicurata, affidabile di uno o più chilotoni (e una potenza probabile significativamente più alta).[109]

 

L’UCS solleva forti riserve anche sulla reale efficacia dei cicli del combustibile resistenti alla proliferazione. Se la “barriera radioattiva” può avere qualche efficacia rispetto a sottrazioni da parte di terroristi, essa sarebbe assai più dubbia rispetto a sottrazioni da parte di Stati. Anche se il plutonio non viene separato da altri componenti del combustibile esaurito, la sottrazione di questo materiale offre la possibilità di effettuarne la separazione chimica. L’impianto giapponese dopo avere separato il plutonio e l’uranio li mescola nella proporzione 50/50, ma la separazione può venire effettuata nuovamente. Inoltre, “è azzardato assumere che terroristi non potrebbero acquisire la capacità di fabbricare ordigni nucleari con miscele di plutonio ed altri attinidi”[110] prodotti da queste tecniche di ritrattamento. Secondo l’autorevole Lawrence Livermore National Laboratory, “l’analisi di vari cicli e l’opinione di esperti di progettazione di testate porta alla conclusione che non vi è nessun ciclo nucleare ‘a prova di proliferazione (proliferation-proof)[111]. Inoltre, secondo una ricerca recente del Oak Ridge National Laboratory, “l’inclusione di prodotti di fissione altamente radioattivi con il plutonio ‘aumenterebbe in modo significativo i costi di fabbricazione e trasporto del combustibile’”[112].

 

Sulla base di queste considerazioni la Union of Concerned Scientists (ma si potrebbero aggiungere altri pareri simili, come quello di Greenpeace) formula un giudizio negativo radicale e inappellabile contro il ritrattamento del combustibile, raccomandando che “gli Stati Uniti ristabiliscano un bando sul ritrattamento del combustibile esaurito degli USA, e scoraggino attivamente altre nazioni dall’adottare il ritrattamento”[113].

 

Un complemento: i progetti dell’India e il ciclo del torio

Dal quadro che abbiamo tracciato è rimasto assente un aspetto non trascurabile, il progetto dell’India di un reattore basato sul torio. Per mezzo secolo l’India ha seguito una strada autonoma all’energia nucleare, rifiutando di aderire al TNP ed arrivando al primo esperimento nucleare nel 1974 (rapporti statunitensi di intelligence declassificati mostrano preoccupazione e disappunto per non avere previsto il test). Isolata, esclusa dal gruppo internazionale che condivideva la tecnologia della fissione, l’India avviò il proprio programma nel 1958, realizzando reattori a uranio naturale ed acqua pesante, e mettendo a punto la tecnologia del ritrattamento del combustibile esaurito, da cui ha ottenuto il plutonio per il proprio arsenale. Oggi l’India propone una scelta assolutamente originale, progettando una futura filiera commerciale di reattori basati sul torio anziché l’uranio. Il torio è molto più abbondante in natura dell’uranio, ma è un nucleo fertile, non fissile: in un reattore il torio-232 assorbendo neutroni si trasforma in uranio-233, che non esiste in natura ed è fissile (v. l’Appendice 2 per dettagli). L’India intende utilizzare il plutonio per realizzare reattori veloci, nei quali irraggiare il torio e produrre uranio-233: uranio-233 e torio dovrebbero poi alimentare reattori avanzati ad acqua pesante. Un piccolo reattore veloce autofertilizzante da 40 MW funziona dal 1985: il nuovo impianto in costruzione venne allagato dallo tsunami del 26 dicembre 2004, subendo un ritardo di 4 mesi, ma si prevede che possa raggiungere la criticità nel settembre 2010. L’India tuttavia non può procedere da sola: da qui nasce il, pur contestato, accordo strategico con gli UA, mentre hanno luogo anche incontri ufficiali con la Cina.

 

Apoteosi: programmi nucleari in un mondo idilliaco?

Vi è un ultimo punto di fondo che mi sembra necessario commentare, a coronamento di questo grandioso programma. Sulla carta esso si presenta come un unico progetto, molto articolato ma dotato di una coerenza di fondo e una finalità comune, su scala mondiale, mettendo in un unico calderone i progetti e le sperimentazioni in corso in Francia e nella UE, in Russia, in Giappone, in India, in Cina, nel presupposto che essi convergeranno e coopereranno alla definizione di quelli più idonei. Una bella fiducia! A parte la competizione feroce che sicuramente si svilupperà (o è già in corso) tra le industrie e i cartelli nucleari, chi può giurare sugli equilibri mondiali dei prossimi 40 anni? Se la competizione tra USA e Cina si aggraverà e precipiterà (e l’India si troverà a fare scelte che non prevediamo), se le tensioni con la Russia porteranno ad un peggioramento (termine eufemistico) dei rapporti, se la situazione in Medio Oriente e in Asia si deteriorerà ancora – e chi più ne ha più ne metta – che ne sarà della cooperazione pacifica nei programmi nucleari, più in generale dello sfruttamento e utilizzo delle risorse energetiche? Il dubbio sembra almeno “sfiorare” il Rapporto della Commissione Europea che – ma solo nella didascalia di una tabella – osserva candidamente: “L’UE importa quasi tutto il minerale di uranio. Tuttavia, l’uranio è disponibile nel mondo [meno male! N.d.R.] e, al contrario del petrolio e del gas, i principali fornitori di uranio della UE sono paesi politicamente stabili, Canada (25 %) e Australia (16 %).”[114] (che ne è della Nigeria?).

 

 

 

 

 

 

 

PARTE 3: FORZA ITALIA!

 

Aggiungerò poche considerazioni sintetiche sull’Italia, forse anche superflue, ma opportune per contrastare l’immancabile risveglio dei sostenitori nostrani del nucleare e smascherare i ragionamenti a vanvera che sentiamo periodicamente per sostenere la ripresa del nucleare.

 

Un’improbabile ripresa a breve termine

Il punto fondamentale è che dopo il referendum del 1987 (qualunque sia il giudizio che se ne dà) tutte le strutture e le competenze che comunque si erano accumulate sul nucleare sono state frettolosamente (con stile italiano) smantellate, o destinate ad altri settori. Parlare oggi di costruire reattori nucleari sul nostro territorio nel prossimo futuro è davvero velleitario: lo riconoscono anche sostenitori onesti del nucleare, anche in una rivista smaccatamente filonucleare come Le Scienze, dove Ugo Spezia scriveva nel giugno 2005: “… è difficile pensare a una riapertura dell’opzione nucleare nel breve termine”[115].

 

Eppure c’è chi si lascia andare ad affermazioni del seguente tenore: “Dal punto di vista operativo, nulla osterebbe ad avviare in Italia la costruzione scaglionata di una decina di centrali nucleari di generazione III (ad es. EPR o AP1000) e, successivamente, III+ (ad es. IRIS), così da disporre verso il 2020 di una potenza nucleare installata pari a circa il 15-20 % del parco italiano, da dedicare al carico di base, in modo che il contributo di origine nucleare al fabbisogno elettrico totale potrebbe raggiungere circa il 25 %”[116], prospettando poi la partecipazione a GIF e il ricorso ai reattori veloci!

 

Perfino la battagliera Le Scienze, pur tornando alla carica, rimane molto più prudente: il recente articolo che abbiamo citato nella nota 4 rivendica più modestamente un rilancio della ricerca in campo nucleare (in un periodo in cui la ricerca è per tutta la nostra classe politica e imprenditoriale la “Cenerentola” assoluta), per non rimanere tagliati fuori dai progetti internazionali, e supportare anche le rinascenti ambizioni in campo industriale, come quelle dell’Ansaldo. Del resto, quale conferma migliore dell’improponibilità della costruzione di centrali nucleari sul territorio nazionale del fatto che l’ENEL acquista il parco nucleare obsoleto della Slovacchia, nonché quello della Spagna! (Bisogna chiedersi anche che fine faranno le scorie dei reattori slovacchi, visto che questo paese non dispone di un sito idoneo di stoccaggio)

 

L’eredità di un disastroso fallimento!

Credo che sia importante ricordare che questa baldanza dei nucleari nostrani rimuove il disastroso, e vergognoso, fallimento del raffazzonato programma italiano, che fu dovuto senza dubbio in primo luogo all’improvvisazione, all’incapacità, agli intrallazzi della nostra classe politica e tecnica. Vale la pena ricordare succintamente la storia[117].

 

Alla fine degli anni ’50 (quando vi fu un Accordo segreto tra Francia, Germania e Italia per realizzare la bomba nucleare, poi decaduto quando De Gaulle scelse la via della grandeur francese) furono ordinati, senza nessuna strategia generale, tre reattori completamente diversi l’uno dall’altro, entrati in funzione tra il 1963 e il 1964: un PWR della Westinghouse a Trino Vercellese, dalla Edison; un BWR della General Electric sul Garigliano, dalla Iri-Finmeccanica; e un reattore britannico del tipo Magnox a gas-grafite alimentato a uranio naturale a Latina, dall’ENI (dove, significativamente, Enrico Mattei dimostrò il tentativo di smarcarsi dagli USA, nonché dal processo di arricchimento dell’uranio). Senza dimenticare il reattore “Galilei” del centro di ricerche militari del Camen a Pisa (“Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare”, poi ribattezzato Cisam, “Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari”) , che è stato in funzione negli anni ’70, del quale si sa molto poco (sono trapelate a volte notizie poco rassicuranti, anche se non confermate).

 

Che vantaggi trasse il paese da questi acquisti disordinati? «Secondo stime ufficiali dell'Enel l'energia elettrica prodotta [dalle 3 centrali] costava per un funzionamento di 7.000 ore all'anno, lire 7,80 (Latina), lire 7,20 (Garigliano), 5,40 (Torino), di fronte al costo dell'energia tradizionale inferiore a lire 5. Ciò significa che l'onere annuo che l'Italia deve sostenere si aggira sui sette-otto miliardi»[118].

 

Proprio il problema dei costi fu il pretesto dell’attacco sferrato l’11 agosto 1963 da Saragat contro Felice Ippolito, evidentemente con ben altri scopi … e ben altri mandanti: USA, petrolieri, mafia (poco dopo Saragat fu eletto presidente della repubblica, ed è difficile pensare che sia stato casuale). Non va dimenticato che era quello il periodo del primo centro-sinistra ed era in corso la nazionalizzazione dell’energia elettrica, con la creazione dell’ENEL, e uno dei timori delle aziende elettriche era che una gestione totalmente pubblica del nucleare potesse essere un passo verso la nazionalizzazione. Del resto, il 27 ottobre 1962 era stato “suicidato” Enrico Mattei. Saragat sosteneva che le centrali nucleari dal punto di vista economico erano state un vero disastro, ma il vero obiettivo era Felice Ippolito, dal 1952 direttore del CNRN (Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari), divenuto poi nel 1960 CNEN (Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare). Il 3 marzo 1964 Ippolito venne arrestato per presunte irregolarità amministrative del CNEN: ne seguì un processo discusso, molto sentito dall'opinione pubblica e dalla stampa (il famoso “caso Ippolito”), che culminò con la condanna di Ippolito a 11 anni di carcere. L'Italia ed il mondo politico erano molto divisi, molti ritennero che la vicenda giudiziaria fosse una montatura e Ippolito venisse usato come capro espiatorio per stroncare la nascente industria nucleare italiana in favore di quella petrolifera. Il risultato fu comunque l’arresto del programma nucleare italiano: potenti forze lavorarono per l'eliminazione di Ippolito, le “sette sorelle” del  petrolio in prima fila, l'Italia doveva continuare a consumare  petrolio. Lo scandalo del petrolio sarebbe poi scoppiato nel 1974.

 

Saltando al decennio successivo, si arriva al pasticcio della centrale di Caorso, realizzata dal raggruppamento ENEL-Ansaldo Meccanica Nucleare-GETSCO, collegata alla rete elettrica nazionale nel 1978: una centrale BWR ibrida, scelta ancora per rapporti clientelari con la General Electric, mentre l’ambizioso “piano” di Donat Cattin , approvato dal CIPE nel 1975, prevedeva originariamente la costruzione di ben 20 centrali PWR de 1.000 MW (Progetto Nucleare Unificato, PUN) entro il 1985, ridotte poi a 12 negli anni ‘80. La storia allucinante di Montalto di Castro è più nota: il più grande impianto italiano di generazione di energia elettrica italiano (3.600 MW), riconvertita a gas dopo il 1986 con enormi sprechi, e che ora l’ENEL vorrebbe riconvertire a carbone perché troppo cara, con una spesa di un miliardo e mezzo di euro.

 

Attuale (nell’Italia coperta dai rifiuti urbani e travolta dai traffici di quelli tossici) e scottante (probabilmente ancora a lungo) rimane anche la storia infinita delle scorie radioattive lasciate in eredità da questo glorioso programma, nonché il problema (e i costi) del decommissioning di queste centrali.

 

Un punto cruciale: perché importiamo energia?

Rispetto alle indecenti proposte di rilancio italiano è necessario in primo luogo smontare con molta chiarezza la mistificazione di base: la leggenda, cioè, secondo cui il nostro sistema elettrico sarebbe insufficiente a coprire i consumi, e siamo pertanto costretti ad acquistare l’energia elettrica molto più economica di origine nucleare dalla Francia. Le cose stanno in modo esattamente opposto: la capacità elettrica installata eccede ampiamente la richiesta di consumo (88.300 MW contro 55.600 MW, dati 2006); la privatizzazione dell’industria elettrica ha portato ad un aumento delle tariffe, particolarmente alto in Italia, mentre il sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori (finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a quelle della Francia).

 

Che cosa risolverebbe il nucleare? Dove stanno gli sprechi?

Il problema di fondo, invece, è che la dipendenza energetica italiana ha ben altre cause, poco o nulla potrebbe fare il nucleare, e potrebbe aggravare la situazione. Il nostro paese importa notoriamente la quasi totalità delle risorse energetiche. Ma del petrolio che importiamo (cioè tutto) circa un terzo va sprecato in un sistema di trasporti assurdo, totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma (con i costi aggiuntivi di autostrade e altre infrastrutture: chissà che un Berlusconi redivivo, o meglio “rilanciato”, non rilanci anche il ponte sullo stretto!). Vero è che questo problema non è solo italiano: anche in questo la Francia, con il suo primato di energia elettronucleare, costituisce un caso emblematico, con impressionanti disservizi del servizio ferroviario e sovradimensionamento del trasporto su gomma[119] in tutto simili al nostro paese!

 

Un ulteriore 20 % circa dei consumi energetici è poi divorato poi da un’agricoltura non meno sbilanciata, che produce male e in modo del tutto inefficiente. È di pochi giorni fa il rapporto della Confederazione Italiana Agricoltori relativo al 2007, che denuncia il continuo peggioramento della situazione[120], con una diminuzione dello 0,5 % della produzione agricola complessiva, dello 0,6 % del valore aggiunto, dello 0,9 % dei redditi degli agricoltori, in netta controtendenza con la crescita media registrata in Europa: tra le cause principali l’aumento record dei costi di produzione (+ 6,1 %) e soprattutto della quota destinata alla produzione di biocarburanti, con una “bolletta petrolifera” lievitata per l’agricoltura di ben il 38 % dal 2005 al 2007!

 

Gli sprechi in questo paese non si contano, e sono sotto gli occhi di tutti. Che cosa rimedierebbe generare un po’ di energia elettronucleare?

 

Un piano energetico non è più possibile!

Ma proprio la privatizzazione sfrenata, con i disastri palesi che ha provocato, apre la porta a sviluppi davvero incontrollabili. Chi avrebbe potuto impedire alla società privatizzata ENEL di comperare centrali nucleari dove vuole? C’è chi ancora vagheggia di un nuovo “Piano Energetico Nazionale”, di gloriosa o infausta memoria: e non si rende conto che oggi non è più possibile. A livello nazionale, dopo le privatizzazioni selvagge, lo Stato può al più introdurre degli incentivi, o balzelli, come i famigerati CIP6, "contributi alle fonti di energia assimilabili alle energie alternative", e destinati al finanziamento di progetti energetici "poco rinnovabili", ma trattati come se fossero "vere fonti energetiche rinnovabili". Bush lo sta facendo per l’industria nucleare: vogliamo emulare anche in questo il suo esempio?


 

SCHEDA 1

Plutonio, ritrattamento del combustibile irraggiato, proliferazione nucleare

Il plutonio è un elemento chimico che non esiste in natura (fa parte dei “transuranici”), e si forma quando l’uranio-238 assorbe un neutrone, subendo poi una catena di trasformazioni che conduce al plutonio-239: questo nucleo è fissile, cioè bombardato da neutroni subisce la fissione come l’uranio-235 (per questo l’uranio-238, che invece non è fissile, si dice “fertile”, perché genera un nucleo fissile). Esso costituisce l’esplosivo nucleare ideale, trattandosi di un elemento chimico diverso dall’uranio la sua separazione dagli altri componenti del combustibile irraggiato può essere fatta con metodi chimici: la complessità dei processi di separazione non è di natura chimica, ma consiste nell’estrema pericolosità e tossicità (sia chimica che radiologica) di questi materiali; queste difficoltà del ritrattamento non hanno impedito di attuarlo ad una serie di paesi, l’ultimo dei quali è la Corea del Nord, che non è certo un gigante industriale o tecnologico.

Normalmente, con la sostituzione del combustibile nel reattore più o meno ogni 3 anni, circa la metà del plutonio (generato dall’assorbimento neutronico nell’uranio-238) è “bruciato” (per fissione) nel reattore, come l’uranio-235, fornendo 1/3 dell’energia totale. Nel combustibile esaurito tipicamente l’1 % è plutonio (reactor-grade, essendo solo per 2/3 plutonio-239, poiché questo, per successive catture neutroniche si trasforma negli isotopi Pu-240, Pu-241 e Pu-242, e in altri isotopi transuranici: solo il Pu-239 e il Pu-241 sono fissili come l’uranio-235).

Quando il combustibile è esaurito (impoverito nell’U-235), esso viene sostituito, e deve essere lasciato per un certo tempo nelle piscine, finché decadono i componenti più radioattivi. Successivamente dovrebbe essere conferito in depositi in cui dovrebbe essere custodito in condizioni di sicurezza per millenni.

L’alternativa consiste appunto nel ritrattamento del combustibile esaurito, che viene disciolto in acidi per separare il Plutonio: questo, in realtà, è l’unico scopo del ritrattamento, poiché esso moltiplica invece il volume delle scorie radioattive da smaltire. Il primo passo del processo di ritrattamento è la separazione del plutonio e dell’uranio depleto rimanente (insieme, circa il 96 % del combustibile esaurito; l’uranio è praticamente tutto U-238) dai prodotti di fissione e altre scorie (circa 3 % in totale). Poi il plutonio viene separato dall’uranio. Il mono-riciclaggio del plutonio aumenta del 12 % l’energia dall’uranio originario bruciato; del 20 % se anche l’uranio-235 viene riciclato tramite ri-arricchimento.

I nuovi processi di ritrattamento in corso di studio cercano di produrre invece miscele difficilmente maneggevoli per la loro radioattività, o comunque non idonee per usi militari (proliferation-resistant).

Si sta sviluppando l’utilizzazione del plutonio come combustibile, miscelato con l’uranio, combustibile MOX: il plutonio, sotto forma di ossido, viene mescolato nella proporzione del 7-9 % con uranio depleto, divenendo equivalente a uranio arricchito al 4,5 % in uranio-235, se si assume che il plutonio abbia 2/3 degli isotopi fissili: esso viene usato di solito nella proporzione di 1/3 del combustibile del reattore (ma sembra che possa arrivare al 50 %). Il suo impiego in reattori progettati per utilizzare uranio abbassa la sicurezza del reattore, a causa della maggiore reattività del plutonio, ed aumenta i rischi per i lavoratori: sono quindi necessari processi specifici di autorizzazione. Una trentina di reattori in Europa stanno usando combustibile MOX, e un’altra quarantina hanno avuto la licenza per farlo. Vi sono stati scandali in Giappone per la falsificazione di dati relativi al combustibile MOX #.

Le verifiche dei quantitativi di plutonio, da parte della IAEA, sono molto importanti, data l’importanza militare di questo materiale e i rischi di proliferazione nucleare. Le migliori tecniche di controllo oggi disponibili sono soggette ad incertezze ed errori intrinseci di qualche percento: potrebbe sembrare poco, ma si tratta di tonnellate di plutonio e ne bastano pochi chili per realizzare una bomba.

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# Questions and answers on plutonium/MOX, Greenpeace; F. Barnaby e S. Burnie, Safeguards on the Rokkasho reprocessing plant, “Greenpaeace International”, giugno 2002; F. Barnaby e S. Burnie, Thinking the unthinkable: Japanese nuclear power and proliferation in East Asia, Oxford research Group, agosto 2005, www.oxfordresearchgroup.org.uk; F. Barnaby, The proliferation consequences of global stocks of separated civil plutonium, giugno 2005, www.oxfordresearchgroup.org.

M.M. Miller, Are Iaea safeguards on Plutonium bulk-handling facilities effective?, Nuclear Control Institute, Washington, DC, 1990; P. Leventhal, Iaea safeguards shortcomings: a critique, Nuclear Control Institute, Washington, DC, 1994. F. Barnaby, The proliferation consequences of global stocks of separated civil plutonium, e Effective Safeguards?, Factshhet 2, www.oxfordresearchgroup.org.uk.

 

Tabella 3

Categoria

Plutonio

HEU

Totale

Depositi civili

1.675

175

1.850

Programmi di reattori civili e militari

1.570

50

 

Militare in eccesso Russia e Usa

102,5

125 (solo USA)

 

Depositi militari

155

1.725

1.880

Primario

155

1.250

 

Navale e altro

--

175

 

HEU russo dichiarato in eccesso

--

300

 

                  Totale                 

1.830

1.900

3.730

Stima dei quantitativi mondiali di materiale fissili militari (plutonio e uranio altamente arricchito, HEU), in tonnellate [Fonte: Global stocks of nuclear esplosive materials, Revisited September 7, 2005: http://www.isis-online.org/global_stocks/end2003/summary_global_stocks.pdf].

 

SCHEDA 2

Residui nucleari, isotopi “fertili”, chiusura del ciclo

Si possono distinguere due gruppi di residui radioattivi*, il cui trattamento assume aspetti diversi:

1) i prodotti della fissione dell’uranio, come cesio e kripton, altamente radioattivi ma con vita media relativamente breve#, in genere non superiore a 30 anni: presentano un’altissima attività e pericolosità, ma si disattivano per la maggior parte nel giro di decine di anni (ma 100 anni non sono comunque una bazzecola);

2) gli elementi transuranici – elementi che non esistono in natura, con numero atomico maggiore di 92, cioè dell’uranio – con bassa radioattività ma vite medie estremamente lunghe, da alcune decine di migliaia a milioni di anni: devono quindi essere confinati per tempi estremamente lunghi. Bisogna tenere conto anche che i metalli pesanti presentano una pericolosissima chemio tossicità, che si aggiunge all’eventuale radio tossicità, ed a volte può risultare anche più grave (probabilmente con effetti sinergici), e soprattutto non si esaurisce con il decadimento di quest’ultima.

I reattori di IV Generazione a spettro neutronico veloce dovrebbero offrire una soluzione per la seconda categoria, risolvendo anche il problema della disponibilità di combustibile nucleare. Per esempio, il nettunio – transuranico con numero atomico (numero di protoni) 93 e numero di massa (protoni + neutroni) 237 – ha vita media di circa 2 milioni di anni: se assorbe un neutrone diventa nettunio-238, che è molto instabile e dopo un tempo medio di 2 giorni si trasforma in plutonio-238. Questo isotopo non è fissile, ma è “fertile”: cioè, se a sua volta assorbe un neutrone, diventa plutonio 239, che è appunto fissile (v. Scheda 1). In tal modo i reattori di IV Generazione dovrebbero “bruciare” alcuni elementi transuranici e trasformarli in combustibile nucleare, evitando di doverli stoccare per tempi lunghissimi.

Questi processi avvengono anche nei reattori attuali (termici, cioè a neutroni lenti, reattori con moderatore), pur se in misura molto minore, poiché le probabilità di cattura dei neutroni termici sono minori. In attesa dei nuovi reattori veloci di IV Generazione il plutonio continuerà pertanto ad accumularsi.

Un problema particolare, scarsamente noto, che è necessario citare riguarda gli attinidi , contenuti nel combustibile irraggiato: tra questi si è saputo, da un’informazione declassificata del DoE, che il nettunio-237 e l’americio possono venire usati per dispositivi nucleari esplosivi. Essi possono venire prodotti in impianti di ritrattamento civili eludendo i controlli della AIEA (v. nel testo per il ritrattamento). Si valuta un quantitativo mondiale superiore a 140 tonnellate, che potrebbe essere sufficiente per migliaia di bombe nucleari! Anche l’Italia ne possiede circa 450 kg. Per ora i controlli non sono sufficienti ad escludere che questi materiali non siano usati per fabbricare esplosivi nucleari. Il Giappone sembra il paese che ha i maggiori programmi di ricerca e di separazione del nettunio e di altri attinidi. Gli attinidi sono tra gli elementi che dovrebbero venire trasmutati, e quindi “neutralizzati”, dai nuovi reattori.

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* Preferisco questo termine rispetto a quello comune di “scorie”, perché nel caso del ciclo nucleare non si tratta solo di “rifiuti”, poiché contengono componenti importanti utilizzabili: isotopi “fertili”, se si considera anche il combustibile esaurito il plutonio (per non parlare dell’uranio depleto, residuo del processo di arricchimento e del ritrattamento).

# I nuclei pesanti, come uranio e plutonio, contengono un numero di neutroni rispetto a quello dei protoni in proporzione maggiore rispetto ai nuclei più leggeri: quando un nucleo pesante si spezza in due nuclei di numero atomico intermedio vi sono quindi neutroni in eccesso, che si distribuiscono a caso nei due nuclei risultanti, dando luogo ad isotopi artificiali che non esistono in natura, con numeri anomali di neutroni, e quindi fortemente instabili. La vita media di un isotopo radioattivo è inversamente proporzionale alla sua probabilità di decadimento, quindi alla sua attività: in termini elementari, più un isotopo è instabile, più rapidamente decade, e meno a lungo vive.

Un gruppo di 15 elementi chimici con numero atomico compreso tra 90 e 104 che segue l’attinio e comprende il torio, il protoattinio, l’uranio, e 12 elementi transuranici, dal plutonio in avanti. Sono tutti radioattivi e differiscono l’uno dall’altro per avere un numero diverso di elettroni in uno degli strati elettronici interni, e non in quello esterno, per cui presentano strette analogie di comportamento chimico (che dipende dai soli elettroni esterni).

Tabella 4      

 

Pu

HEU

Np 237

Am

 Italiaa

6,5

100-200 kg

96 kg

355 kg

Francia

236

33

10

13

Gran Bretagna

~100

23

1

3,8

Stati Uniti

500

700

16,3

27

Russia

270

~1.100

3,5

5,3

Germania

95

1,4-2,7

4,9

7,7

 Giappone

~150

2

5

9

Indiab

14

5-10 kg

142 kg

290 kg

Pakistanb

840 kg

17 kg

8 kg

19 kg

Sud Corea

44

2 kg

1,5

1,8

Tot. mondiale

1.830

1.900

54

87

a Almeno in parte questi materiali sono custoditi in depositi all’estero, dove è stato eseguito il ritrattamento del combustibile.

b È probabile che siano state riportate stime prudenziali, e che i quantitativi possano essere maggiori.

Quantitativi stimati di Plutonio, HEU, Nettunio 237 e Americio in alcuni paesi: in tonnellate, dove non diversamente indicato [rielaborato da: Global stocks of nuclear esplosive materials, revisited September 7, 2005: http://www.isis-online.org/global_stocks/end2003/summary_global_stocks.pdf]

Glossario dei simboli e acronimi principali

ABWR: Advanced Boiling-Water Reacrtor, reattore ad acqua bollente avanzato (III Generazione), progettato dalla General Electric.

ACR: Advanced Candu Reactor, di Generazione III+, sviluppo evolutivo del canadese CANDU (a uranio naturale e acqua pesante), in corso di certificazione.

AP600, AP1000: reattori avanzati ad acqua in pressione (rispettivamente da 600 MWe e 1000 MWe), progettato dalla Westinghouse.

ADS: Accelerator Driven System

ALMR: Advanced Liquid-Metal fast breeder Reactor, reattore veloce avanzato autofertilizzante a metallo liquido, progettato dalla General Electric.

BN-600, BN-800: reattori veloci autofertilizzanti (breeder) rispettivamente in funzione e in costruzione in Russia.

BREST: reattore veloce di IV generazione refrigerato a piombo in fase di studio in Russia.

BWR: Boiling-Water Reactor, Reattore ad acqua (leggera) bollente.

CEFR: Chinese Experimental Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione in fase di studio in Cina.

ENHS: Encapsulated Nuclear Heat Source, piccolo reattore (50 MWe) veloce a metallo liquido proposto dall’Università di California.

EPR: European Pressurized-water Reactor, di Generazione III, della AREVA, in costruzione in Finlandia e in Francia.

ESBWR: Economic and Simplified Boiling Water Reactor, progettato dalla General Electric.

FBR: Fast Breeder Reactor, nome generale per reattore veloce autofertilizzante.

FBTR: prototipo di piccolo reattore veloce (40 MWt) in funzione in India.

GFR: Gas-cooled Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a gas.

GIF: Generation IV International Forum, unione di 10 paesi per sviluppare I reattori di Generazione IV (Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Corea del Sud, Sudafrica, Svizzera, Euratom: spicca l’assenza della Germania; l’Italia sta considerando se aderire, o farlo attraverso l’Euratom).

GT-MHR: Gas Turbine-Modular Helium Reactor, reattore di Generazione III+, refrigerato a gas, in fase di realizzazione alla General Atomics (USA).

HFR, High-Flux Reactor

HTR: High Temperature Reactor, reattore ad alta temperatura.

IAEA: International Atomic Energy Agency

IEA: International Energy Agency

INPRO: International Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles, iniziativa internazionale parallela a GIF per il rilancio dell’energia nucleare, sostenuta in particolare da Russia, Cina, India, che non partecipano a GIF.

INTD: International Near Term Deployement Reactors, sinomìnimo di reattori di Generazione III+, che si prevede siano disponibili fra il 2010 e il 2015.

IRIS: International Reactor Innovative & Secure, di Generazione III+, in fase di realizzazione da un consorzio internazionale guidato da Westinghouse.

JSFR: Japan Sodium-cooled Fast Reactor (SFR).

KALIMER: Korea Advanced LIquid MEtal Reactor, reattore veloce raffreddato a sodio progettato dalla Corea del Sud.

Kamini: piccolo prototipo in India per sperimentare l’uso del torio.

LFR: Lead-cooled Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a piombo.

LSPR: reattore veloce al sodio bismuto progettato in Giappone.

LWR: Light Water Reactor (Reattore ad acqua leggera)

MONJU: prototipo di reattore veloce in Giappone, chiuso dopo perdita di sodio nel circuito secondario.

MOX: Mixed Oxide Fuel, combustibile misto uranio-plutonio.

MSR: Molten Salt Reactor, reattore di IV Generazione con una miscela circolante di Sali fusi.

PBFR: reattore veloce di IV Generazione in studio in India.

PBMR: Pebble Bed Modular Reactor, reattore a biglie, di Generazione III+, in corso di sviluppo in Sudafrica.

PFBR: reattore veloce sperimentale in costruzione in India.

PFR: reattore veloce sviluppato Gran Bretagna, chiuso nel 1994.

PRISM: reattore modulare veloce raffreddato a metallo liquido in progettazione alla General Electric.

PWR: Pressurized-Water Reactor, Reattore ad acqua (leggera) in pressione.

4S: Super-Safe, Small & Simple, piccolo reattore (“nuclear battery”) veloce proposto dalla Toshiba, per regioni isolate.

SCWR: Supercritical Water-cooled Reactor, reattore di IV Generazione refrigerato ad acqua in condizioni superiori al punto critico.

STAR: Secure Transportable Autonomous Reactor, sviluppato da Argonne e Lawrence Livermore Laboratory.

SFR: Sodium-cooled Fast Reactor, reattore veloce di IV Generazione raffreddato a sodio.

SVBR: progetto russo di un nuovo reattore veloce al sodio-bismuto.

VBER: nuovo progetto sviluppato in Russia-Bielorussia-Kazakistan.

VHTR: Very-High-Temperature Reactor, reattore di IV Generazione ad alta temperatura moderato a grafite e raffreddato ad elio.

VVER: Vodo-Vodyanoi Energetichesky Reactor, reattori ad acqua in pressione sviluppati dall’URSS.

 

APPENDICE 1

Tipologie e Generazioni di reattori nucleari civili

 

È opportuno fare una prima grande distinzione, tra reattori termici e reattori veloci[121].

Nei reattori termici i neutroni di alta energia prodotti nella fissione vengono “rallentati” da un moderatore. La “pila di Fermi” era moderata a grafite.

All’inizio dell’era nucleare, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel blocco occidentale solo gli USA avevano sviluppato il processo di arricchimento dell’uranio (per diffusione gassosa), e successivamente l’URSS. Gli USA svilupparono pertanto negli anni successivi filiere di reattori ad uranio leggermente arricchito (in U-235), ad acqua leggera come moderatore e refrigerante (LWR, Light Water Reactors): l’85 % dell’energia elettronucleare mondiale è generata da reattori derivati da progetti sviluppati originariamente per la propulsione dei sommergibili.

Altri paesi trovarono ovviamente più conveniente sviluppare reattori a uranio naturale: i primi, britannici, erano a gas-grafite (moderati a grafite, raffreddati a gas: ne rimangono in funzione solo in Gran Bretagna). Il Canada mise a punto il reattore CANDU (CANada Deuterium Uranium) ad uranio naturale, moderato e raffreddato ad acqua pesante. In questi reattori il combustibile è racchiuso in barre.

I reattori a neutroni veloci non hanno il moderatore e usano Plutonio come materiale fissile e U-238 come materiale fertile. L’alto flusso di neutroni produce una maggiore densità di potenza; sono raffreddati a metallo liquido, sodio (che in presenza di aria reagisce violentemente con l’acqua incendiandosi) e nei nuovi progetti piombo liquido, mescolato con bismuto. La Francia è il paese che ha giocato più a fondo la carta dei reattori veloci autofertilizzanti, ma dopo il fallimento di Superphenix il programma si è fermato. Vari reattori veloci hanno funzionato in vari paesi, ma sembra evidente che non abbiano fornito nel passato una base affidabile per uno sviluppo di questi programmi su grande scala.

Credo che chiunque rimanga piuttosto stupito vedendo la pletora di progetti e prototipi proposti: sembra di avere a che fare con l’industria automobilistica! Devo ribadire la mia impressione che tale moltiplicarsi e intrecciarsi di progetti non sembra delineare una strategia unitaria in una tecnologia matura, ma piuttosto la ricerca affannosa di qualche soluzione vincente, in un clima di feroce competitività, dove si sprecano i termini roboanti: “avanzato”, “sicuro”, “innovativo”, “semplice”, “economico”. La possibilità di soluzioni tecnologiche è pressoché illimitata, ma sembra di essere effettivamente lontani da un vero consolidamento: che infatti viene “promesso” fra 30 anni! Vedremo anche che, mentre si parla molto di futuri reattori di piccola o piccolissima taglia, modulari, in realtà si stanno costruendo molti reattori di grossa taglia.

 

Generazione I  I primi prototipi di reattori costruiti a cavallo tra gli anni ‘4’ e ’50, principalmente con lo scopo di dimostrare la fattibilità di un impianto nucleare per la produzione di energia elettrica. La Gran Bretagna svilippò il reattore Magnox (dal nome della lega di magnesio del rivestimento delle barre di combustibile) moderato a grafite e raffreddato a gas (l’ENI ordinò la centrale di Latina). L’URSS sviluppò le filiere RBMK (il reattore di Chernobyl) e VVER, che presentavano difetti intrinseci, non avendo un sistema efficace di raffreddamento d emergenza del nocciolo, né un sistema di contenimento affidabile.

 

Generazione II  Comprende le centrali attualmente in servizio. La maggior parte di quelle occidentali sono LWR: la Westinghouse ha sviluppato i reattori ad acqua in pressione (PWR), la General Electric ad acqua bollente (BWR). La Gran Bretagna sviluppò dal reattore Magnox la filiera AGR (Advanced Gas-cooled Reactor), moderata a grafite e raffreddata a gas. Anche la Francia sviluppò una propria filiera a gas grafite, ma nel 1968 il governo Pompidou, con grandi proteste del mondo sindacale e della ricerca, la interruppe per acquistare invece il brevetto PWR della Westinghouse, che poi ha sviluppato in una filiera propria come base del proprio massiccio sviluppo nucleare.

Della filiera canadese CANDU a uranio naturale e acqua pesante sono in funzione 30 reattori, più 13 derivati dal CANDU progettati dall’India[122] quando, dopo il test nucleare del 1974, il Canada interruppe gli scambi di tecnologia nucleare: da questi reattori PHWR (Pressurized Heavy Water Reactor) l’India ha prodotto il plutonio.

Vi sono poi le filiere sovietiche, ad acqua in pressione: i VVER (Vodo-Vodyanoy Energetichesky Reaktor, reattore energetico ad acqua pressurizzata) di II Generazione, pur migliorati, presentano però ancora seri problemi di sicurezza. Non hanno una struttura di contenimento, come una cupola in cemento armato, ma solo una struttura di confinamento costituita da vari locali circondanti il nocciolo. Ulteriori difetti sono: insufficiente capacità di refrigerazione di emergenza, insufficiente ridondanza e separazione dei sistemi di sicurezza, insufficiente protezione dagli incendi, allagamenti, caduta di aerei, onda d’urto di un’esplosione. A fronte di questi difetti, la filiera VVER presenta alcune caratteristiche positive: bassa potenza del nocciolo, semplicità impiantistica, possibilità di isolamento di ognuno dei circuiti in maniera separata.

 

 

Generazione III  (Advanced Reactors). Reattori la cui progettazione è iniziata dopo l’incidente di Chernobyl. Alcuni prototipi sono già operativi in Giappone, Corea del Sud, India, altri in fase di progettazione. Consistono essenzialmente in modifiche evolutive delle tipologie di reattori di II Generazione, termici, ad acqua leggera (LWR: PWR e BWR), con strutture semplificate (riduzione del numero di circuiti e componenti) per ridurre i costi di capitale e i tempi di costruzione e la probabilità di incidenti gravi, maggiore sicurezza spesso con l’incorporazione di misure passive (sistema addizionale di spegnimento che si attiva automaticamente se la temperatura del nocciolo supera un certo valore), maggiore efficienza nell’uso del combustibile, maggiore durata di vita (tipicamente 60 anni). Si sono formate tre principali alleanze industriali occidentali per conquistare il mercato mondiale, schematicamente: Areva-Mitsubishi, General Electric-Hitachi, Westinghouse-Toshiba. Negli USA la NRC ha certificato quattro progetti, tutti ad acqua leggera: ABWR, Sistema 80+, AP600 e AP1000. Si possono osservare le grosse taglie;  il ritrattamento del combustibile non è necessario.

4ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), General Electric. 1.350 - 1.500 MWe. Molto simile ai reattori BWR attuali, costruzione semplificata, maggiore efficienza, miglioramenti di elettronica, computer, turbine, tecnologia del combustibile, capacità operativa, sicurezza (pompe interne di ricircolo, guida delle barre di controllo, controllo digitale, sistemi idrici indipendenti), affidabilità. Un reattore ABWR, General Electric-Hitachi operativo in Giappone dal 1996-97, 1.300 MWe, altri in costruzione in Giappone e Taiwan. Hitachi ha sviluppato progetti di varianti da 600, 900, 1.700 MW.

4System 80+, Westinghouse. 1.350 MWe, PWR. Molto simile ai reattori attuali, migliorie: raffreddamento d’emergenza del nocciolo, sistema di depressurizzazione di sicurezza, serbatoio d’acqua di riserva.

4AP600 (Advanced Pressurized 600), Westinghouse. 600 MWe, PWR. Progettato per ridurre i costi del capitale, il numero di componenti, sistemi e strutture di sicurezza. Incorpora alcune caratteristiche di sicurezza passive (forza di gravità senza pompe a motore, raffreddamento a convezione naturale, equipaggiamento ridondante per minimizzare il ricorso ai sistemi di sicurezza), ma ha una struttura di contenimento più debole. Intanto Mitsubishi collabora con Westinghouse per realizzare 4 centrali APWR (Advanced Pressurized Water Reactor), 1.500 MWe, modello intermedio tra i PWR di II Generazione e il progetto IRIS (v. oltre) con varie caratteristiche di sicurezza ibride di III Generazione. In Corea del Sud quattro APWR da 1.400 MW sono in fase avanzata di costruzione (si prevede per il 2012).

4VVER-1000 di III generazione, di concezione sovietica, PWR, il primo ad avere un sistema di contenimento a pressione e miglioramenti significativi nei sistemi di controllo e sicurezza: mantiene comunque problemi seri di sicurezza[123]. Non vi è accordo sulla possibilità di migliorarlo con interventi ulteriori, ma la Germania dopo l’unificazione ha chiuso quelli esistenti e bloccato la costruzione di altri; mentre l’ENEL ha acquistato questi reattori in Slovacchia. Ne sono in costruzione in India e in Cina, e progettati in Bulgaria.

4Il Canada sta sviluppando versioni avanzate del reattore CANDU,che tratteremo nella Generazione III+.

 

Generazione III+  Sono ancora, strutturalmente, modifiche evolutive dei concetti di reattori tradizionali, con miglioramenti ma non innovazioni radicali. L’approccio evolutivo rispecchia un atteggiamento prudente, continuo e graduale, con cui ogni casa madre cerca di far tesoro dell’esperienza acquisita in passato, minimizzando i rischi che possono sorgere in progetti completamente nuovi.

1 – Reattori termici

1a – Ad acqua leggera

In Francia:

4EPR (European Passive Reactor, o Evolutionary Power Reactor), Areva (Francia, Germania). Reattore termico PWR, di grande potenza (1.600, fino a 1750 MWe), può usare l’intero carico di combustibile MOX. Migliore flessibilità nel seguire la variazione del carico, vita 60 anni. Ha un doppio contenitore esterno, ma anziché un sistema di sicurezza passivo incorpora quattro sistemi di sicurezza separati, un “core catcher” per contenere e raffreddare i materiali del nocciolo in caso di incidenti gravi che danneggino il vessel del reattore (lo studio della Union of Concerned Scientists ne contesta però in parte l’efficacia[124]). Areva sta sviluppando con imprese tedesche anche un altro progetto evolutivo di reattore BWR semplificato, SWR 1000, da 1.000 - 1.290 MWe, con caratteristiche di sicurezza passive, combustibile arricchito al 3,54 %, ad alta utilizzazione, intervalli di ricarica fino a 2 anni. Per entrambi sono state ottenute le certificazioni di sicurezza francesi; non ancora dalla NRC.

In USA:

4AP1000 (Advanced Pressurized 1000), Westinghouse. 1.100 MWe, versione potenziata dell’AP600 (progetto semplificato, vessel del reattore e combustibile più lunghi, generatori di vapore più grandi, pressurizzatore più grande, ecc.), vita 60 anni. Sistemi di sicurezza passivi, ma contenitore più debole.

4ESBWR (Economic Simplified Boiling Water Reactor), General Electric. 1.390-1.550 MWe, BWR, basato sul progetto del ABWR (v. sopra). Sistemi di sicurezza passivi, miglioramenti (circolazione naturale aumentata con un vessel più alto, nucleo più corto, sistema di raffreddamento a gravità, sistema di raffreddamento del contenimento, ecc.).

4IRIS (International Reactor Innovative and Secure). Westinghouse, reattore PWR modulare (325 MWe per modulo) con qualche anno di ritardo sull’AP1000. Differisce dai reattori convenzionali per il fatto che il generatore di vapore e l’acqua pressurizzata di refrigerazione del nocciolo sono interamente contenuti nel vessel a pressione del reattore. Per le pretese caratteristiche di sicurezza intrinseca passiva questo reattore non avrà un solido contenitore esterno di cemento armato, ma solo un involucro sferico di acciaio sottile, e non prevede piani di emergenza esterna: entrambe queste caratteristiche violano le condizioni della NRC, di fatto una pre-richiesta di autorizzazione è scaduta, e la domanda di certificazione del progetto non verrà presentata fino al 2010. Il combustibile avrà inizialmente arricchimento del 5 %, coefficiente di burn-up [125] 10 volte superiore a quello attuale, tempo di ricarica 4 anni: nella versione finale arricchimento maggiore (10 %), ulteriore miglioramento del burn-up e tempo di ricarica 8 anni, anche combustibile MOX. Progettata anche il piccolo reattore (v. oltre) IRIS-50, 50 MWe modulare.

Vari reattori sono progettati, o in corso di realizzazione in  Russia, di varia concezione, da Gidropress e OKBM (“Experimental Designing Bureau of Machine Building”), alcuni classificati come “Piccoli reattori” (v. oltre):

4VVER-1200, PWR, 1.200 MWe, prevista disponibilità per il 2012-2013. Sviluppo evolutivo del VVER-1000 (v. sopra). Sicurezza maggiore, anche per terremoti e impatto di aerei, con alcune caratteristiche di sicurezza passive, doppio contenimento. Vita 50 anni, fattore di capacità 90 %. In progetto anche il modello VVER-1500.

4VBER-300, 295-325 MWe, PWR, sviluppato per propulsione navale, concepito in coppie come centrale galleggiante. Vita 60 anni, fattore di capacità 90 %. Anche VBER-150, derivato da progetto navale, modulare, 350 MWt, 110 MWe, 8 anni di intervallo per le ricariche, combustibile arricchito al 4,7 %.

4VK300, BWR, progettato specificamente per cogenerazione di potenza e calore per un distretto, o desalinizzazione (150 MWe più 1.675 GJ/ora, o 250 MWe di sola elettricità). Raffreddamento e sistemi di sicurezza passivi. Sei programmati nel 2007, per entrare in funzione nel 2017-2020.

4KLT-40S, reattore provato in navi rompighiaccio, ora proposto per desalinizzazione e produzione di energia in aree remote, anche su una chiatta. 150 MWt: 35 MWe più altrettanti di calore. Progettato per funzionare 3-4 anni senza ricarica.

4ABV, modulare, 45 MWt. Montabile anche su chiatte, nocciolo simile al KLT-40, ma arricchimento 16,5 %, ricarica 8 anni, vita 50 anni.

Vi è anche un revival di progettazione di reattori piccoli (small reactors)[126]:

4CAREM, Argentina, PWR, modulare, 100 MWt/27-100 MWe, per cogenerazione, desalinizzazione. Progetto maturo che potrebbe essere sviluppato entro un decennio.

4SMART (System-integrated Modular Advanced Reactor), Corea del Sud, PWR, 330 MWt, per cogenerazione (desalinizzazione), caratteristiche di sicurezza avanzate. Un impianto da 1/5 di potenza (65 MWt) è in fase avanzata di costruzione.

4MRX, Giappone, PWR, 50-300 MWt, per propulsione navale o fornitura di energia locale (30 MWe), uranio arricchito al 4,3 %, 3,5 anni per la ricarica, contenimento pieno d’acqua per aumentare la sicurezza.

4NHR-200, Cina, PWR semplice e robusto, per riscaldamento locale o desalinizzazione (200 MWt).

 

Progetti di reattori piccoli/medi

CAREM

27 MWe, PWR

CNEA & INVAP, Argentina

KLT-40

35 MWe, PWR

OKBM, Russia

MRX

30-100 MWe, PWR

JAERI, Giappone

IRIS-50

50 MWe, PWR

Westinghouse, USA

SMART

100 MWe, PWR

KAERI, Corea del Sud

NP-300

100-300 MWe, PWR

Technicatome (Areva), Francia

SBWR modulare

50 MWe, BWR

GE & Purdue University, USA

PBMR

165 MWe, HTGR

Eskom, Sudafrica, e altri

GT-MHR

285 MWe, HTGR

General Atomics (USA), Minatom (Russia) et al

BREST

300 MWe, LMR

RDIPE (Russia)

FUJI

100 MWe, MSR

ITHMSO, Giappone-Russia-USA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da: Encyclopaedia of Earth,

Small nuclear reactors, http://www.eoearth.org/article/Small_nuclear_power_reactors

1b – Ad acqua pesante

In Canada la società AECL sta sviluppando progetti avanzati della filiera CANDU

4CANDU-9, da 935-1.300 MWe, oltre a sistemi di sicurezza passiva, estrema flessibilità nel combustibile: uranio naturale, leggermente arricchito, recuperato dal combustibile esaurito dei reattori PWR, miscele uranio plutonio, plutonio-239 recuperato dalle testate militari, uranio-238 e torio-232 come nuclei fertili (Scheda 2 e Appendice 2), isotopi della serie degli attinidi recuperati dal combustibile esaurito dei reattori PWR e BWR.

4ACR (Advanced CANDU Reactor), innovativo, dovrebbe essere commercializzato a partire dal 2020 (il primo dovrebbe essere operativo in Ontario nel 2014), costruito in moduli prefabbricati, nelle versioni 750, 1.000 e 1.200 MWe. Moderato sempre ad acqua pesante, ma refrigerato ad acqua leggera (più economica) leggermente pressurizzata. Uranio leggermente arricchito (1,5 – 2 %), cicli di ricarica 4¸5 anni, valori elevati del coefficiente di burn-up. Una variante dell’ACR sarà il CANDU X, 350 – 1.150 MWe (in dipendenza del numero di canali di refrigerazione installati), che avrà come refrigerante acqua leggera supercritica (cfr. nota 85) in pressione a 625 oC, prevista la commercializzazione dopo il 2020.

1b2 Variante ad acqua pesante, India, ciclo del torio

Abbiamo ricordato come l’India segua la strada del torio, da fertilizzare in uranio-233 fissile (Appendice 2). Dal 1996 ha in funzione a Kalpakkam un piccolo reattore sperimentale ad acqua leggera, Kamini, da 30 MWt, il primo al mondo alimentato ad uranio-233 prodotto dal bombardamento del torio in altri reattori.

4L’India, con l’esperienza dei reattori ad acqua pesante pressurizzata PHWR sviluppati in passato (v. Generazione II), sta sviluppando in collaborazione con il Canada un reattore ad acqua pesante avanzato AHWR (Advanced Heavy Water Reactor), da 300 MWe, con diverso sistema di refrigerazione (acqua bollente), con impiego del torio (di cui l’India è ricca) come nucleo fertile (Appendice 2). Una carica di combustibile comprende miscele di ossidi di Torio-Uranio-233, e Torio-Plutonio, e secondo il progetto dovrebbe auto sostenersi con l’U-233 fertilizzato dal Th.

1c – Raffreddati a gas.

Questi reattori usano elio come refrigerante, il quale a 950 oC aziona delle turbine a gas per la produzione di energia elettrica e un compressore per reintrodurre il gas nel nocciolo del reattore, ed hanno una geometria del combustibile completamente diversa, racchiuso o in sfere di grafite oppure in prismi esagonali.

4Il Sudafrica in collaborazione con Westinghouse ed enti tedeschi sta sviluppando il PBMR (Pebble Bed Modular Reactor, modulare, a letto di sfere), 165 MWe per modulo. Il combustibile è in forma di particelle (TRISO, Tristructural-isotropic) di diametro minore di 1 mm: ciascuna (v. fig., fuel) è costituita da un nucleo di ossido di uranio ad alto arricchimento, al 17 %, circondato da strati di carbonio e silicio (coated particle) che fornisce il contenitore dei prodotti di fissione stabile fino a 1.600 oC. 450.000 di queste particelle sono sistemate in sfere di grafite, pebbles, come palle da biliardo, del diametro di 6 cm (fuel spheres). La sostituzione del combustibile esaurito avviene on-line, riciclando con continuità le sfere all’interno del reattore. Il nocciolo è circondato da una parete di grafite all’interno della quale sono sistemate le barre di controllo; una colonna centrale di grafite funge da riflettore, per impedire il raggiungimento di temperature critiche qualora mancasse la refrigerazione. La densità di energia nel nocciolo è circa un decimo di quella che si ha nei reattori ad acqua leggera. In caso della totale interruzione della circolazione forzata dell’elio refrigerante il reattore tende a spegnersi da solo. Si pretende quindi che questi reattori siano “a sicurezza intrinseca”, per cui non è previsto l’edificio di contenimento resistente alla pressione. Sono però state avanzate varie riserve[127]: è difficile supportare le pretese di sicurezza intrinseca prima che tali reattori entrino in funzione e questo richiederà tempo; la pretesa che sia a resistenza di meltdown si fonda sull’assunzione che la temperatura del combustibile non eccederà i 1.600 oC anche in caso di perdita di refrigerante, ma le temperature sono state valutate con modelli al computer; la grafite si incendia sopra i 400 oC e la combustione si auto sostiene a 550 oC, molto sotto la temperatura tipica di funzionamento del reattore, per cui saranno necessarie misure eccezionali per evitare che aria e acqua entrino nel nocciolo Era previsto il completamento di un impianto dimostrativo nel 2007, per la commercializzazione dal 2010.

Combustibile del PMBR.

4GT-MHR (Gas Turbine - Modular Helium Reactor) è un progetto simile ma di maggiore potenza (285 MWe per modulo), sviluppato negli Usa dalla General Atomic in collaborazione con la russa Minatom e con finanziamenti della giapponese Fuji. Il nocciolo cilindrico consiste di colonne esagonali di elementi di combustibile con canali per l’elio e le sbarre di controllo. La fase del progetto preliminare è stata completata nel 2001. Dovrebbe essere usato inizialmente per bruciare plutonio puro dallo smantellamento delle testate nucleari a Tomsk, in Russia.

2 – Reattori veloci

Molti paesi hanno programmi di ricerca e di sviluppo di Fast Breeder Reactors (FBR) migliorati. Qui le innovazioni di base su cui si ricerca sembrano essere almeno due. 1) Da un lato la refrigerazione a metallo liquido: questo è tradizionalmente il sodio, che presenta però alcuni inconvenienti: si incendia a contatto con l’acqua e può originare esplosioni (molti reattori veloci sperimentali sono stati chiusi per perdite di sodio), ha bisogno di due fasi di raffreddamento prima di entrare in turbina. Per questo l’attenzione dei progettisti si è rivolta verso una miscela eutettica [128] di piombo e bismuto (LBE): l’elevato punto di fusione permette di operare a pressione atmosferica senza bisogno di pressurizzare il contenitore del reattore (il che crea ulteriori problemi di sicurezza), la presenza del piombo è utile per schermare le radiazioni riducendo la necessità di schermature, la miscela LBE ha un’elevata capacità di trasferire calore e questo permette di progettare noccioli più compatti, piccoli ed economici; uno dei problemi seri è la corrosività della miscela. 2) La seconda innovazione su cui si sta lavorando sembra riguardare il combustibile: in particolare l’India, con il PFBR (v. oltre) cerca di passare dai tradizionali combustibili in forma di ossidi (di uranio e plutonio) a combustibili metallici, che offrirebbero un fattore di autofertilizzazione (breeding) superiore, quindi maggiore produzione di plutonio.

La Russia ha sperimentato diversi reattori veloci (il BN-600 è attivo e genera elettricità dal 1981, è refrigerato a sodio liquido a 550 oC, usa uranio con forte arricchimento, sopra il 20 %, e negli ultimi anni una parte di MOX; i sommergibili della classe Alfa erano alimentati da reattori veloci refrigerati a piombo-bismuto) e sta sviluppando diversi modelli; detiene una leadership mondiale nel settore, malgrado il rallentamento dovuto a difficoltà economiche:

4Avviata la costruzione (e altri in programma) di un modello più potente (880 MWe), il BN-800, refrigerato a sodio, migliorato in sicurezza ed economia, con flessibilità di combustibile (uranio, + nitrito di plutonio, MOX, metallo: per bruciare due tonnellate all’anno di plutonio dallo smantellamento delle testate e sperimentare il riciclaggio degli attinidi), dovrebbe avere un rapporto di fertilizzazione di 1,3 (ma all’inizio sarà minore di uno).

4BREST, raffreddato a piombo-208 fuso a 540 oC, 300 MWe (in costruzione un’unità di 4 moduli), con sistemi di sicurezza passiva, combustibile plutonio fissile e uranio-238 fertile. Intrinsecamente sicuro, brucerà uranio+nitrito di plutonio, non produrrà plutonio militare (weapons-grade) non avendo il blanket di uranio, il combustibile esaurito potrà venire ritrattato indefinitamente.

4SVBR (Reattore Veloce al Piombo-Bismuto), progetto più piccolo e innovativo, 75-100 MWe, con i generatori di vapore posti nella stessa piscina del piombo-bismuto a 400-480 oC insieme al nocciolo, flessibilità di combustibile. Progetto integrale, realizzato in fabbrica, spedito come modulo di diametro 4,5 m e altezza 7,5 m, e successivamente installato in un contenitore di acqua che fornisce schermatura e rimozione del calore passivi. Una centrale di 16 moduli è concepita per elettricità a costi più bassi di qualsiasi altra centrale in Russia.

Il Giappone sviluppa in particolare la ricerca su reattori piccoli e molto piccoli, cercando di sganciarsi dall’intervento umano:

44S (Super Safe, Small and Simple), raffreddato a sodio (L-4S versione raffreddata a piombo), sviluppato da Toshiba e CRIEPI (Central Research Institute of Electric Power Industry) in collaborazione con l’americana STAR, potrebbe anche essere classificato come IV Generazione, è una “batteria nucleare” molto piccola (10 MWe), concepita per regioni remote senza manutenzione di routine (uno approvato a Galena, in Alaska), per funzionare 30 anni senza ricarica in modo stabile grazie ad alcuni lenti movimenti interni in corso d’opera. Verrebbe assemblato in fabbrica, trasportato in sito ed sigillato 30 metri sotto terra in una volta rinforzata. In caso di caduta di potenza il riflettore cadrà sul fondo del vessel, rallentando la reazione, e la circolazione di aria esterna rimuoverebbe il calore. Ma “non vi è nessuna ragione per credere che sia «super sicuro»“[129]: l’impossibilità di eseguire manutenzione crea grossi problemi; il sodio si incendia a contato con acqua o aria, e un incidente potrebbe generare un’esplosione più grave che nei reattori attuali; per di più una comunità isolata, come Galena in Alaska, non avrebbe le risorse necessarie per affrontare il problema.

4LSPR, raffreddato al piombo-bismuto, 150 MWt/53 MWe. Concepito per paesi in via di sviluppo, l’unità verrebbe fornita dalla fabbrica completa di carica di combustibile e verrebbe restituita dopo 30 anni di funzionamento.

4Rapid, sviluppato da Toshiba e CRIEPI, 60 MWe, ricarica ogni 5 anni. Da questo progetto Rapid-L, progetto di piccolissima scala (5 MWt/200 kWe, l’intero impianto è molto piccolo, altezza 6,5 m, diametro 2 m), alimentato a uranio ad alto arricchimento (40-50 %), ricarica ogni 10 anni, concepito per funzionare senza intervento umano, addirittura sulla Luna[130]! La novità è l’eliminazione delle barre di controllo con l’adozione di un innovativo sistema di controllo della reattività a litio-6 liquido (assorbitore di neutroni), una specie di “termometro” che mantiene la reazione pressoché costante durante la vita del reattore e lo accende automaticamente.

Alcuni reattori veloci sono nelle fasi iniziali di progettazione negli USA. Nessun reattore veloce statunitense è stato più potente di 66 MWe e nessuno ha fornito elettricità commercialmente. I progetti di cui si parla sembrano ad uno stadio molto preliminare e non hanno ancora affrontato il giudizio della NRC: il progetto del reattore ALMR (Advanced Liquid Metal Reactor), proposto dall’Argonne National Laboratory, da 1.400 MWe fu scartato allo stato iniziale dalla NRC.

4PRISM (Power Reactor Innovative Small Module), 150 MWe modulare, e Super-PRISM, General Electric, moduli da 1.000 MWt/380 MWe, refrigerato a sodio a 510 oC. I moduli del tipo a piscina contengono l’intero sistema primario con il sodio refrigerante. Il combustibile U+Pu può essere ossido o metallo, ma gli attinidi minori non vengono rimossi nel ritrattamento per cui l’elevata radioattività residua dovrebbe renderlo resistente a sottrazioni. I prodotti di fissione vengono invece rimossi e i residui risultanti sarebbero a vita più breve di quelli attuali. Il progetto dovrebbe raggiungere gli standard della IV Generazione.

4ENHS (Encapsulated Nuclear Heat Source), progetto Università di California, 50 MWe, raffreddato a metallo liquido. Il nocciolo è in un modulo riempito di metallo primario posto in una grande piscina di refrigerante metallico liquido secondario, che contiene anche i generatori di vapore. Il combustibile è una lega uranio-zirconio con uranio arricchito al 13 % (o U-Pu-Zr con 11 % di pu), con un periodo di vita di 15 anni: dopo i quali il modulo verrebbe rimosso, immagazzinato in situ finché il metallo primario solidifica, e poi inviato come un oggetto auto-contenuto e schermato; mentre verrebbe sostituito da un nuovo modulo completo di refrigerante primario.

4STAR (Secure Transportable Autonomous Reactor), progetto analogo al precedente, sviluppato da Argonne sotto la direzione del Lawrence Livermore Laboratory (si noti: grande laboratorio di ricerca militare): reattore modulare che può venire spedito per ferrovia, raffreddato dalla circolazione naturale. Combustibile di nitriti di uranio e transuranici, in una cassetta che viene sostituita ogni 15-20 anni. Benché la progettazione sia preliminare, si progettano varie versioni: STAR-LM, da 180 MWe per produzione di energia funzionante a 578 oC; START-H2, funzionante a 800 oC, adattato per produrre idrogeno, con eliminazione totale dei transuranici; SSTAR, (Small Sealed Transportable Autonomous Reactor), variante più piccola, 10-100 MWe, sviluppato in collaborazione con Toshiba come parte degli sforzi volti ai reattori di IV Generazione.

L’ India sviluppa reattori veloci proseguendo il suo programma sul torio:

4PFBR (Prototype Fast Breeder Reactor): l’India sperimenta a Kalpakkam l’uso del torio e di un combustibile innovativo metallico in un reattore veloce[131]. Il prototipo in costruzione, da 500 MWe, sarà alimentato a uranio-plutonio (ricavato da una serie di reattori PHWR operativi e in costruzione), con un blanket di torio da fertilizzare in uranio-233 fissile. Il prototipo dovrebbe diventare operativo nel 2010; la costruzione di altri quattro reattori veloci è annunciata per il 2020.

Anche la Cina sviluppa reattori veloci, nell’ambito di una strategia su molti decenni, che dovrebbe passare attraverso tre step[132]: commercializzazione di reattori PWR ad acqua leggera, sviluppo di reattori veloci, fusione nucleare.

4CEFR (Chinese Experimental Fast Reactor), con assistenza russa, reattore sperimentale da 65 MWt/ 25 MWe, al sodio, previsto per il 2008, ma vi sono ritardi (inizialmente era previsto per il 2004). Un prototipo in piena scala sarebbe previsto per il 2020. L’ente nucleare cinese prevede che la tecnologia possa divenire predominante verso la metà del secolo.

 

Generazione IV  Abbiamo visto che vi sono diverse iniziative volte a progettare reattori di concezione innovativa:

GIF (Generation IV International Forum), iniziativa internazionale, nel 2003 ha selezionato sei tecnologie: la maggior parte adotta un ciclo del combustibile chiuso per massimizzare le risorse e minimizzare i residui ad alta attività; due soli operano con neutroni termici, tre sono reattori veloci,uno può venire costruito come reattore veloce, uno è definito “epidermico”. Solo uno è refrigerato ad acqua leggera, uno ad elio, gli altri a metalli liquidi o Sali di fluoro. Tre operano a bassa pressione, con vantaggi per la sicurezza. Uno ha il combustibile di uranio sciolto in un refrigerante circolante. Le temperature variano tra 510 oC e 850 oC, a fronte di meno di 330 oC per i reattori attuali. Le potenze variano tra 150 e 1.500 MWe, con quello refrigerato a metallo disponibile nell’opzione di “batteria” da 50-150 MWe, con vita di 15-20 anni e l’intero modulo sostituibile. Sebbene la Russia non faccia parte di GIF, uno dei progetti corrisponde con il BREST (v. sopra) e la Russia è il maggiore operatore dei reattori a sodio.

INPRO (International Project on Innovative Nuclear Reactors and Fuel Cycles), iniziativa internazionale lanciata nel 2001, coordinata dalla IAEA, “per favorire l’uso della tecnologia nucleare sicura, sostenibile, economica e resistente alla proliferazione per soddisfare le necessità energetiche globali del 21o secolo”. INPRO sembra essere nella fase di analisi dei progetti e di impostazione del lavoro.

GNEP (Global Nuclear Energy Partnership), iniziativa promossa nel 2007 dal presidente Bush come parte della Advanced Energy Initiative, per promuovere il consenso internazionale (Partnership) sullo sviluppo dell’energia nucleare sostenibile[133].

Alcuni progetti, come il russo BREST (v. sopèra), si collegano alle ricerche sviluppate per i reattori avanzati di III Generazione. La descrizione che segue non può che essere molto sommaria (NOTA: non si confonda il termine “termico” riferito allo spettro di energia dei neutroni, rallentati da un moderatore, con la temperatura del refrigerante, ad esempio reattore “ad alta temperatura”).

1 – Reattori veloci. Ritrattamento del combustibile necessario. “È tutt’altro che chiaro se vi sia un progetto ottimale per i reattori veloci che possa rendere i rischi complessivi accettabili”[134]:

4GFR (Gas-cooled Fart Reactor). Progetto 288 MWe, raffreddato a elio. Alta temperature (850 oC), per la produzione di idrogeno oltre che di elettricità: in quest’ultimo caso l’elio azionerebbe direttamente la turbina. I combustibili includono uranio depleto e qualsiasi altro materiale fissile o fertile. Ciclo del combustibile chiuso, conversione dell’uranio fertile, ritrattamento in situ, tutti gli attinidi riciclati per minimizzare la produzione di residui ad alta attività.

4LFR (Lead-cooled Fast Reactor). Progetto con un grande range di possibilità, da 50 in unità modulari a 1.400 MWe, con 15-20 anni di vita, per piccole reti o paesi in via di sviluppo. Corrisponde alla tecnologia russa BREST e l’esperienza nei reattori raffreddati a metallo, e sembra derivare dai progetti statunitense STAR e giapponese LSPR (v. sopra). Raffreddato a piombo liquido, o miscela piombo-bismuto, per convezione naturale: temperatura di operazione 550 oC, che si spera di innalzare a 800 oC con materiali speciali. Progettato per periodi lunghi senza necessità di ricarica del combustibile. Ciclo del combustibile chiuso, conversione dell’uranio fertile e gestione degli attinidi, ritrattamento in impianti regionali o centralizzati.

4SFR (Sodium-cooled Fast Reactor). Progetto nel range 150 - 1.700 MWe. Raffreddato a sodio, temperatura 550 oC, circuito primario a pressione atmosferica, generazione di elettricità dal circuito secondario del sodio. Combustibile con uranio depleto, ciclo chiuso, conversione dell’uranio fertile e gestione degli attinidi. Proposte due varianti: 150-500 MWe, con attinidi incorporati in un combustibile metallico che richiede trattamento pirometallurgico in situ; e 500-1.500 MWe, con combustibile MOX ritrattato altrove in impianti convenzionali. Nel contesto di GNEP la seconda possibilità sembra meno probabile.

2 – Reattore progettato come termico o veloce.

4SCWR (Supercritical Water-Cooled Reactor). Questo è il progetto che può essere a spettro neutronico termico, oppure nell’opzione veloce con riciclaggio completo degli attinidi basato sul ritrattamento convenzionale: quindi ritrattamento necessario per la versione veloce. Progetto di riferimento 1.700 MWe. PWR a pressione molto elevata che opera al di sopra del punto critico dell’acqua per elevare l’efficienza di un terzo rispetto ai PWR attuali. L’acqua supercritica aziona direttamente la turbina, senza un circuito secondario di vapore. Combustibile ossido di uranio, arricchito nel caso dell’opzione a ciclo aperto.

3 – Reattori epitermici e termici. Ritrattamento del combustibile non necessario.

4MSR (Molten Salt Reactor): sebbene non sia a rigore un reattore veloce, l’uranio è dissolto nel sale refrigerante fluoruro di sodio che circola attraverso i canali del nucleo di grafite, per cui si ha una parziale moderazione e uno spettro neutronico epidermico (sovratermico). Ciclo del combustibile chiuso, i prodotti di fissione vengono rimossi con continuità e gli attinidi completamente riciclati, mentre il plutonio ed altri attinidi possono venire aggiunti insieme all’uranio-238. La temperatura del refrigerante è 700 C, un sistema di refrigerazione secondario è usato per la generazione di elettricità, possibile produzione di idrogeno.

4VHTR (Very High Temperature Reactor). 300 MWe. Del tipo moderato a grafite e refrigerato a elio, con coclo di combustibile ad un solo passaggio (once-through), senza ritrattamento. La tecnologia del nocciolo potrà essere o prismatica, o a letto di biglie (pebble-bed, v. sopra). Progettato per la cogenerazione di idrogeno.

 

A parte si deve citare uno sviluppo recente, per ora sulla carta: i sistemi subcritici ADS (Accelerator Driven System) per produrre elettricità e trasmutare i residui radioattivi a vita lunga. Un fascio di protoni di alta energia prodotto da un acceleratore colpisce un bersaglio metallico e produce neutroni per “spallazione”: questi provocano la fissione nel combustibile, ma a differenza dei reattori convenzionali il combustibile è subcritico, per cui la fissione cessa appena si spegne l’acceleratore. Il combustibile può essere uranio, plutonio o torio, anche miscelati con residui a vita lunga dai reattori convenzionali. Prima che le potenzialità di questo concetto possano essere dimostrate, rimangono varie questioni tecniche e ingegneristiche da chiarire.

 

 

 

APPENDICE 2

Il ciclo del torio

 

Si chiama fissile un isotopo capace di dar luogo a fissione assorbendo un neutrone, fertile un isotopo che assorbendo un neutrone si trasforma in un isotopo fissile. L’U-238 è fertile, ma deve venire irradiato con neutroni veloci (di qui l’idea dei reattori veloci, autofertilizzanti). Il Torio (Th) si trova in natura quasi al 100% come Th-232 che, al contrario dell’U-235, non è fissile, ma è un isotopo fertile come l’U-238: assorbendo un neutrone si trasforma in U-233 fissile (reazione di fertilizzazione, breeding reaction). Rispetto all’U-238, il Th-232 presenta però due grossi vantaggi:

è tre volte più abbondante in natura dell’U-238;

può dar luogo a fertilizzazione con neutroni termici, per cui il suo utilizzo non necessita della costruzione di reattori veloci.

 

Questa capacità di breeder termico ha destato, sin dagli albori dell’era nucleare, un grande interesse verso l’utilizzo del torio come combustibile in reattori nucleari termici: la centrale nucleare di Shippingport, operativa dal 1977 al 1982 è stato un esempio di Light Breeder Reactor (reattore fertilizzante termico). Tuttavia la strada di costruire altri reattori fertilizzanti dello stesso tipo venne abbandonata a causa principalmente degli alti costi e delle grosse difficoltà di fabbricazione di questo tipo di impianti.

Il problema principale per l’uso del torio come combustibile deriva essenzialmente dal fatto che la reazione a catena deve prima venire innescata usando materiale fissile come U-235 o il Pu-239 insieme al torio. Il torio di per se non è un materiale “indipendente” a meno che non lo si usi come combustibile in reattori veloci autofertilizzanti. In questo caso sarebbero i neutroni prodotti dalle fissioni veloci dello stesso torio ad alimentare la reazione di conversione di altri nuclei di torio in U-233. La possibilità di utilizzo del torio in reattori veloci autofertilizzanti, vagliata sulla carta e applicabile in linea di principio, non ha, in pratica, avuto riscontro in grossi progetti sperimentali. Il Th-232 fissiona solo per neutroni particolarmente energetici, ossia con energia maggiore o uguale a 1.4 MeV e la sua sezione di fissione veloce è circa 1000 volte più piccola della sezione di fissione termica dell’U-235.  D’altra parte le esperienze maturate nei reattori termici (oltre Shippingport, vanno citati Fort-Saint Vrain, raffreddato a gas, gli impianti BORAX di Elk River e Indiana Point, raffreddati ad acqua ecc), avevano dimostrato a loro tempo che il torio si prestava alle condizioni di un esercizio industriale a prezzo però di installazioni molto complesse e a costi piuttosto elevati a causa di diversi problemi pratici (non ultimo quello del notevole arricchimento dell’U-235 e Pu-239 da associare al Th per l’innesco della reazione fertilizzante). Per questi motivi più di 20 anni fa quasi in tutto il mondo è stata abbandonata l’idea di utilizzare il torio come combustibile nei reattori termici, ad eccezione dell’India, che è povera di giacimenti di uranio, ma ricca di torio.

I principali vantaggi derivanti dall’uso del torio sono:

può ridurre i rischi di proliferazione dell’uranio (produzione di plutonio) poiché i combustibili a base di torio producono plutonio in quantità molto minore, e con composizione isotopica neo adatta alla costruzione di ordigni nucleari. Gli altri il torio è più abbondante in natura dell’uranio;

ha una migliore resa neutronica: la fissione dell’U-233, prodotto dal torio per cattura neutronica, ha il vantaggio di generare un numero di neutroni maggiore rispetto alla fissione dell’U-235 e del Pu-239. (2.38 neutroni per fissione del torio contro i 2.07 dell’U-235 e 2.11 del Pu-239);

la sezione d’urto dell’assorbimento termico del Th-232 è più elevata di quella dell’U-238 (cioè il Th-232 produce più U-233, di quanto l’U-238 produca Pu-239), per cui dopo un lungo periodo di irraggiamento nel reattore risulta ridotta la necessità di combustibile o di arricchimento di combustibile per unità di energia prodotta;

consente uno sfruttamento maggiore del combustibile.

In questo panorama sono stati riavviati studi di progetti di combustibili a base di torio per lo sviluppo di reattori termici di nuova generazione, con particolare riferimento all’impiego in reattori a gas ad alta temperatura.

Per questo tipo di reattori il torio si ripropone come combustibile assai interessante in relazione principalmente alla capacità dell’ossido di torio di lavorare a temperature ben più elevate di quelle previste per l’ossido di Uranio.

La soluzione del combustibile al torio si diversifica da quelle adottate nel passato principalmente in relazione alla scelta di una configurazione capace di prevenire l’accumulo di Plutonio e per una serie altri aspetti tecnici.

Si richiede ad esempio che gli elementi di combustibile possano sopportare una maggiore esposizione al calore e alla radiazione per far si che una sempre maggiore quantità di Th-232 fertile venga convertita in U-233.

In ogni caso, qualsiasi configurazione di combustibile necessita originariamente di uranio arricchito da usare insieme al torio per innescare la reazione di breeding, e questo uranio deve essere arricchito 4 volte di più rispetto al combustibile nucleare usato nei reattori ad acqua leggera.

Non esistono comunque grossi impedimenti tecnici per l’uso del torio come combustibile: anche se sono necessarie modifiche alle infrastrutture esistenti non è richiesta alcuna tecnologia veramente nuova, e sussistono molte incertezze progettuali e sul costo del combustibile.

Dal punto di vista sanitario, l’esposizione a torio può portare ad un aumento del rischio di cancro ai polmoni, al pancreas e al sangue. Dal punto di vista della tossicità chimica, l’ingestione di torio provoca danni al fegato.

 

 

 

 

Inserito: 22 agosto 2008

Scienza e Democrazia/Science and Democracy

www.dipmat.unipg.it/~mamone/sci-dem

 

 



# Dipartimento di Fisica, Università di Firenze (baracca@fi.infn.it); febbraio 2008. [Alla fine di luglio 2008 è uscito, dello stesso autore, il volume L' Italia torna al nucleare. I costi, i rischi, le bugie, Milano, Jaca Book. (NdC)]

[1] Agostino Mathis e Stefano Monti, “Energia nucleare: l’opzione del futuro”, La Termotecnica, Parte prima, marzo 2006, pp. 36-43; Parte seconda, aprile 2006, pp. 58-66. Nel seguito citato come: Mathis, Monti.

[2] European Commission, Community research, The Sustainable Nuclear Energy technology Platform, A vision report, 2007, http://ec.europa.eu/research/energy, nel seguito citato come: The Sustainable … (da sottolineare la Legal notice: “I punti di vista espresso in questa pubblicazione sono di responsabilità del solo autore e non riflettono necessariamente i punti di vista della Commissione Europea).

[3] Lisbeth Gronlund, David Lochbaum e Edwin Lyman, Nuclear Power in a Warming World: Assessing the Risks, Addressing the Challenges, Union of Concerned Scientists (UCS), Dicembre 2007, http://www.ucsusa.org/global_warming/solutions/nuclearandclimate.html. Nel seguito citato come: UCS, Nuclear Power in a Warming World.

[4] Significativa l’uscita della rivista notoriamente filo-nucleare Le Scienze di gennaio 2008, E. Perugini, “Caorso, mon amour” (pp. 86-91), che non si spinge certo (e pour cause!) a proporre una ripresa dei programmi nucleari sul suolo nazionale, ma rivendica, un po’ pateticamente, le italiche capacità tecniche e scientifiche, la ripresa di progetti e di stanziamento di fondi per la ricerca nucleare (ma la ricerca in Italia non è agonizzante?), un “super dipartimento per l’energia”, ed altre meraviglie.

[6] Per una serie di argomenti rimando ad un Dossier, Radioattivi al Nucleare, pubblicato sul numero di dicembre 2006 sulla rivista Mosaico di Pace, con contributi di Giorgio Ferrari, Giorgio Nebbia, Gianni Tamino, e del sottoscritto.

[7] Riportato in P. R. Lavoy, "The enduring effects of Atoms for Peace", Arms Control Today, dicembre 2003.

[8] Mathis, Monti, cit, p. 37.

[9] Significativa è rimasta a mio avviso l’intervista di Vittorio Zucconi a Richard K. Lester (ingegnere del Massachusetts Institute of Technology) ai tempi di Chernobyl, “È finita per sempre l’epoca di queste centrali”, in Duemila Fisica,  supplemento al n. 285 de La Repubblica, 3 dicembre 1986, p. 70.

[10] Mathis, Monti, cit, p. 38.

[11] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit.

[12] Ivi, p. 37.

[13] Mathis, Monti, cit., p. 36.

[14] OMS e IAEA: Chernobyl Forum Report: Chernobyl’s Legacy, Health, Environmental and Socio-Economic Impacts (http://www-pub.IAEA.org/MTCD/publications/PubDetails.asp?pubId=7382; http://www.who.int/mediacentre /factsheets/fs303/en/print.html; http://www.IAEA.org/Publications/Booklets/Chernobyl/chernobyl.pdf).

[15] R. Stone, “Return to the inferno: Chornobyl after 20 years”, Science, Vol. 312, 14 April 2006, p.180-82 (www.sciencemag.org). Anche se bisogna evitare facilonerie e approssimazioni, sottolineando la differenza di fondo tra Hiroshima e Chernobyl: “La bomba atomica produsse in gran parte esposizione a tutto il corpo [esterna] da raggi gamma e neutroni, esponendo uniformemente tutti i tessuti. L’esposizione di Chernobyl fu, a parte per coloro che lavoravano vicino al reattore, in gran parte interna, da isotopi radioattivi nel fallout, cosicché i diversi tessuti hanno ricevuto dosi differenti” (D. Williams e K. Baverstock, “Too soon for a final diagnosis”, Nature, Vol. 440, 20 April 2006, pp. 993-4). È molto importante osservare che gli effetti biologici dei diversi tipi di radiazioni sono completamente diversi in caso di esposizione esterna o interna, cioè quando i radionuclidi vengono assunti dall’organismo o inalati: nel secondo caso, le radiazioni meno dannose per esposizione esterna, perché assorbite dagli strati cutanei (come le particelle alfa), possono risultare le più dannose, perché colpiscono direttamente tessuti e organi vitali.

[16] Gli articoli di Nature e Science citati nella nota precedente, e M. Peplow, “Counting the dead”, Nature, cit, pp. 982-3.

[17] I. Fairlie e D. Sumner, TORCH: The other report on Chernobyl (http://www.greens-efa.org/cms/topics/dokbin/118/118499.the_other_report_on_chernobyl_torch@en.pdf). Low Level Radiation Campaign, Another Redundant Armchair Critique (ANORAC) (http://www.llrc.org/health/subtopic/ fairliechernobyl.htm).

[18] Greenpeace, The Chernobyl catastrophe, consequences on human health, Aprile 2006 (http://www.greenpeace.org/international/press/reports/chernobylhealthreport).

[19] J. Mangano, “Three Mile Island: health study meltdown”, Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 60, n. 05, September/October 2004, pp. 30-35; M. C. Hatch et al., "Cancer Near the Three Mile Island Nuclear Plant," American Journal of Epidemiology, vol. 132, no. 3, pp. 397-412 (1990); e "Cancer Rates After the Three Mile Island Nuclear Accident and Proximity of Residence to the Plant," American Journal of Public Health, vol. 81, no. 6, pp. 719-24 (1991). S Wing et al., "A Re-Evaluation of Cancer Incidence Near the Three Mile Island Nuclear Plant," Environmental Health Perspectives, vol. 105, no. 1, pp. 52-57 (1997). M. Susser, "Consequences of the 1979 Three Mile Island Accident Continued: Further Comment," Environmental Health Perspectives, vol. 105, no. 6, pp. 566-67 (1997). E. O. Talbott et al., "Mortality Among the Residents of the Three Mile Accident Area: 1979-1992," Environmental Health Perspectives, vol. 108, no. 6, pp. 545-52 (2000); e "Long-Term Follow-up of the Residents of the Three Mile Island Accident," Environmental Health Perspectives, vol. 111, no. 3, pp. 341-48 (2003).

[20] Si veda in italiano C. Lanzieri, “Ad un anno dall’incidente di Tokaimura”, http://guide.dada.net/fisica_applicata/interventi/2000/11/16173.shtml; Barbara Goss Levi, “What happened at Tokaimura?”, Physics Today on the Web, http://www.aip.org/pt/dec99/toka2.htm; Jean Kumagai , “In The Wake of Tokaimura, Japan Rethinks its Nuclear Picture”, Physics Today on the Web, http://www.aip.org/pt/dec99/toka1.htm.

[21] Victor Gilinsky (consulente sui problemi energetici, già commissario della NRC dal 1975 al 1984), Washington Post, 28 aprile 2002, p. B01: http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn?pagename=article&node=&contentId=A57994-2002Apr27&notFound=true.

[22] Il 6 marzo 2002 i lavoratori scoprirono un’apertura della lunghezza di un piede aperta per corrosione nel vessel del reattore dall’acqua borata: la camicia conteneva 80.000 galloni (circa 3.000 m3) di acqua radioattiva ad alta pressione. Nell’aprile 2005 la NRC infliggeva una multa di 5,4 milioni di dollari alla First Energy, proprietaria dell’impianto, per non avere scoperto più prontamente il problema (problemi simili erano già noti), e proponeva di escludere la System Engineer Andrew Siemaszko dai lavori nell’industria per 5 anni, per avere falsificato i registri del vessel del reattore. La camicia di acciaio aveva cominciato a gonfiarsi pericolosamente: se fosse scoppiata, avrebbe scaricato l’acqua di raffreddamento vitale per la sicurezza e minacciato anche il sistema di arresto di emergenza del reattore. “Se questo fosse accaduto in Russia, avremmo detto che non potrebbe mai accadere qui. Altrettanto inquietante è il responso appena percepibile (barely audible) della NRC (Nuclear Regulatory Commission)” (Victor Gilinsky, cit.). Comunque, il rapporto della NRC “rivela che una rete di disinformazione, scarsa vigilanza e negligenza dell’operatore fece si che un problema prevenibile diventasse un seri rischio per la sicurezza (http://www.mindfully.org/Nucs/2002/NRC-Blame-Ohio10oct02.htm). Come non bastasse, il 20 agosto 2003 uno Slammer worm (una nuova minaccia informatica nell'interrete mondiale Internet – conosciuto anche come DDOS.SQLP1434.A, W32/SQLSlammer, Sapphire e W32/SQL Slam-A – da molti considerato tra i peggiori di sempre, rende di fatto inutilizzabile la rete) penetrò in un computer della rete dell’impianto nucleare – per fortuna chiuso dal febbraio 2002 – mettendo fuori uso un sistema di sicurezza per cinque ore, malgrado la convinzione del personale della centrale che la rete fosse protetta (http://www.theregister.co.uk/2003/08/20/slammer_worm_crashed_ohio_nuke/).

[23] F. Barnaby, The proliferation consequences of global stocks of separated civil plutonium, Oxford Research Group, giugno 2005, www.oxfordresearchgroup.org.

[24] Los Angeles Times, “A warming world: no to nukes”, 23.07.2007.

[25] Nel 1963 vennero messi al bando i test nucleari nell’atmosfera (alcuni paesi li proseguirono). Con questo non si vuol dire che i test sotterranei successivi non abbiano avuto rilasci radioattivi e conseguenze sanitarie e ambientali (è stata osservata, ad esempio, una correlazione tra le esplosioni nucleari e l’occorrenza di terremoti).

   È interessante menzionare il fatto che la consapevolezza scientifica dei danni alla salute e all’ambiente delle radiazioni ionizzanti e dei test nucleari risale agli albori dell’era nucleare: il fatto che la gente sia stata tenuta completamente all’oscuro si configura ancor più come un vero crimine. Fino dal 1943 gli scienziati Conant, Compton e Urey inviarono al Gen. Groves (Direttore del Mahnattan Project) un pro-memoria, tenuto allora segreto, su “Uso di materiali radioattivi come ordigni militari” (http://www.mindfully.org/Nucs/Groves-Memo-Manhattan30oct43a.htm). Se ne raccomandava appunto l’impiego sul campo di battaglia, specificando anche che le sottili particelle radioattive passerebbero attraverso tutte le maschere antigas, anticipando così l’impiego attuale dell’Uranio Impoverito (DU): non a caso il suo uso sconsiderato è avvenuto solo nel 1991, non appena il crollo dell’URSS ha distrutto l’equilibrio bipolare che aveva retto durante la Guerra Fredda. Anche per i test nucleari, è notevole che fin dal 1958 lo scienziato sovietico Sakharov aveva stimato che circa 10.000 persone avrebbero contratto tumori, mutazioni genetiche ed altre malattie per ogni megatone di potenza di un’esplosione nucleare in atmosfera, proprio per le piccole dosi: “Radioactive carbon from nuclear explosions and nonthreshold biological effects”, Soviet Journal Atomic Energy, Vol. 4, 6, 1958 (tradotto e riprodotto in Science & Global Security, Vol. 1, 1990, pp. 175-86; ringrazio Paolo Bartolomei per la segnalazione).

[26] Se veda il recente “L’eredità avvelenata del nucleare sovietico”, L’Atlante per l’Ambiente, Le Monde Diplomatique – Il manifesto, 2007, pp. 30-31.

[27] H.L. Rosenthal et al., “Incorporation of fallout strontium-90 in deciduous incisors and foetal bone”, Nature, Aug. 8, 1964, Vol. 203, N. 4945, pp. 615-6; H.L. Rosenthal et al., “Strontium-90 content of first bicuspids”, Nature, April 9, 1966, Vol. 210, N. 5032, pp. 210-12; H.L. Rosenthal, “Accumulation of environmental Sr-90 in teeth of children”, Hanford radiobiology Symposium, Proceedings, 1969, pp. 163-171.

[28] Radiation and Public Health Project, “Environmental radiation from nuclear reactor effects on children’s health from startups and shutdowns”, Press Conference, April 20, 2001, e “Environmental radiation from nuclear reactors and childhood cancer in Southeast Florida”, 2003 (http://www.radiation.org/florida.html); J. Mangano, “An unexpected rise of Strontium-90 in U.S. deciduous teeth in the 1990s”, The Science of The Total Environment, Vol. 317 (1-3), December 30, 2003, pp. 37-51 (http://www.radiation.org/); J. Mangano, “Improvements in local infant health after nuclear reactor closing”, Environ. Epid. & Toxic., 2 (1-4), 2000; J. Gould, “Explanation of black infant mortality rates”, The Black World Today (http://www.tbwt.org/home/).

[29] Lauren Moret, “Depleted uranium weapons, the war against earth”, World Depleted Uranium Weapons Conference: The Trojan Horse of Nuclear War, Hamburgh, Germany, October 16-19, 2003 (http://www.traprockpeace.org/wuwc_reader4_civilians.pdf): questa relazione, da cui ho tratto molti riferimenti [la richiamerò con il simbolo LM], va molto al di là del problema del DU, ed è molto ampia e approfondita.

[30] D.V. Conn, “US counts one in 12 children disabled”, Washington Post, 7/6/02 [LM].

[31] R. Bertell, No Immediate Danger: Prognosis for a Radioactive Earth, The Book Publishing Company, Tennessee, 1985; G. Greene, The Woman Who Knew Too Much: Alice Stewart and the Secret of Radiation, Univ. Of Michigan Press, 1999.

[32] Si veda ad esempio: A. Baracca, A Volte Ritornano, Il Nucleare. La Proliferazione Nucleare Ieri Oggi e Soprattutto Domani, Milano, Jaca Book, 2005, Paragr. 3.6.

[33] E.J. Sternglass, Secret Fallout: Low Level Radiation from Hiroshima to Three Mile Island, New York, McGraw-Hill, 1981; e successiva comunicazione riportata da Lauren Moret [LM, fig. 2].

[34] R. Bertell, “Victims of the Nuclear Age”, The Ecologist, November 1999, pp. 408-411 (http://www.ratical.org/radiation/NAvictims.html).

[35]ECRR 2003 Recommendations of the European Committee on Radiation Risk, European Committee on Radiation Risk, Regulator’s Edition, Brussels, 2003, pp. 182-183 (http://www.euradcom.org).

[36] World Health Organization Press release: “Global cancer rates could increase by 50% to 15 million by 2020”, Ginevra, 2 Aprile 2003. Bisogna, a questo proposito, denunciare l’accordo gravissimo del 1959 tra la IAEA e l’OMS, per cui nessun rapporto sugli effetti sanitari del nucleare può uscire senza l’avvallo della IAEA.

[38] The Sustainable …, cit., p. 21.

[39] World Energy Outlook 2006, OECD/IEA (http://www.worldenergyoutlook.org/).

[40] The Sustainable …, cit., pp. 16-17.

[41] The Sustainable …, cit.  p.  20.

[42] The Sustainable …, cit. p. 21.

[43] Greenpeace News, III0 Quadrimestre 2007. p.12. Alessandro Iacuelli, “L’ENEL nucleare e i reattori VVER”, 04/03/2007, http://www.altrenotizie.org/alt/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=14707

[44] Mathis, Monti, cit., p. 42.

[45] Ivi, p. 39.

[46] “Olkiluoto-3 completion targeted for summer 2011”, http://www.platts.com/Nuclear/News/7764540.xml

[47] The Sustainable …, cit. p. 21.

[48] Ivi.

[49] Ivi.

[50] Mathis, Monti, cit., p.59.

[51] V. ad esempio il manifesto, 16/01/08, p. 11.

[52] I reattori ad acqua leggera devono usare uranio arricchito, al 2 – 3 % (nell’isotopo fissile U-235). Per potere usare uranio naturale è necessario usare l’acqua pesante, D2O: infatti l’idrogeno ordinario assorbe fortemente i neutroni e non consentirebbe di sostenere la reazione a catena nell’uranio naturale, mentre il suo isotopo deuterio, D, composto da un protone ed un neutrone, non è un così forte assorbitore di neutroni.

[53] Il PBMR usa una diversa geometria del combustibile: il letto di grafite, che funge da moderatore e da struttura portante, viene riempito di biglie, o di blocchi esagonali, rivestiti di carbonio e contenenti il combustibile in particelle di misura dell’ordine del millimetro. Richiedono un forte arricchimento in materiale fissile (uranio, torio) e sono raffreddati ad elio: offrono un alto rendimento e, essendo il materiale nucleare sparso in modo meno denso, sono più sicuri e rendono più difficile a potenziali terroristi estrarre materiale militare.

[54] Mathis, Monti, cit., p.59.

[55] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 57.

[56] “Is the friendly atom poised for a comeback?”, Science, Vol. 309, 19 agosto 2005, pp. 1168-1179.

[57] Mathis, Monti, cit., p. 58.

[58] “L’India non aveva a suo tempo aderito al TNP, coerentemente con la decisione di procedure in proprio al loro sviluppo e dispiegamento; ciò ha comportato che l’India è stata esclusa dal trasferimento di tecnologie e materiali nucleari, anche per usi civili … ed è stata costretta allo sviluppo autonomo di un complesso sistema integrato civile-militare … Evidentemente, per rendere credibili gli ambiziosi traguardi [v. sopra] il governo indiano ha ritenuto indispensabile addivenire a questo accordo, di fatto rinunciando alla piena autonomia anche per gli aspetti militari” [!?] (Mathis, Monti, cit., pp. 39-40). Viene chiaramente occultato o sottovalutato il problema degli armamenti nucleari e della proliferazione (che fa comodo solo per attaccare l’Iran), Washington appare come la società di S. Vincenzo che fa l’opera buona di controllare lo sviluppo degli armamenti nucleari indiani, vengono taciute le traversie e le difficoltà incontrate dall’accordo (ancora contestato dai partiti indiani governativi di sinistra), vengono taciute le finalità anti cinesi, in una visione idilliaca di “volemose bene” a livello mondiale sulla quale ritornerò nelle conclusioni.

[59] Wall Street Journal (Eastern edition), New York, 04/01/2007, p. A.15.

[60] Nature, Vol. 451, Issue n. 7175, 10/01/2008, pp. 107, 114.

[61] Mathis, Monti, cit., p. 64.

[62] Andy McSmith, “Cost of nuclear clean-up is £9bn more than predicted”, The Independent, 30/05/2006, http://news.independent.co.uk/uk/politics/article354488.ece

[63] Union of Concerned Scientists (1 novembre 2007): http://www.ucsusa.org/news/press_release/congress-should-cut-nuclear-0074.html

[65] Riporato da Environmental and Energy Study Institute, Conferenza Stampa, 30/10/07, http://www.eesi.org/briefings/2007/Energy%20&%20Climate/10-30-07_loan_guarantees/loan_guar_notice.html

[66] Edmund L. Andrews e Matthew L. Wald, The New York Times, 31.07.2007 (http://www.nytimes.com/2007/07/31/washington/31nuclear.html?_r=1&oref=slogin).

[67] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., Box 5, pp. 50-51.

[68] Riguardo al fattore di carico – portato dai fautori del nucleare come uno dei grandi meriti (Mathis, Monti, cit., p. 38), salito in media nel mondo dal 71 % nel 1990 all’81 % nel 2003, e negli USA all’89 % – la UCS solleva peraltro importanti rilievi critici, legati alla sicurezza (UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 19-20). Considerando, invece, la durata delle chiusure delle centrali per problemi di sicurezza (fra altre quella citata di due anni del reattore dell’Ohio del 2002), la UCS rileva che “la NRC ha consentito a reattori con problemi di sicurezza noti di continuare ad operare per mesi, a volte anni, senza richiedere ai proprietari di riparare i problemi. … la NRC ha svolto un lavoro carente di regolare la sicurezza dei reattori di potenza. Un regolatore efficiente non sarebbe né ignaro né passivamente tollerante di problemi di sicurezza così seri da richiedere un anno o più per risolverli”.

[69] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 3; ma v. anche in particolare pp. 20-29.

[70] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 26.

[71] Ivi, p. 54.

[72] Ivi, p. 55.

[73] Ivi, p. 60.

[74] Ivi, p. 59.

[75] The Sustainable …, cit. p. 24.

[76] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 61.

[77] Ivi, pp. 4, 32-36.

[78] Ivi, p. 35; Daniel Hirsch, David Lochbaum e Edwin Lyman, “The NRC’s dirty little secret”,  Bulletin of the Atomic Scientists, Vol. 59, n. 03 (May/June 2003), pp. 44-51, http://www.thebulletin.org/article.php?art_ofn=mj03hirsch.

[79] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., Box 2. p. 34.

[80] Ivi, p. 5.

[81] Helen Caldicott,  “Nuclear power is the problem, not a solution”, http://www.icucec.org/art-caldicott.html.

[82] N. Mortimer, “Nuclear power and global warming”, Energy Policy, 19:76-8, Jan-Feb 1991.

[83] Jan Willem Storm Van Leeuwen e Philip Smith, “Can nuclear power provide energy for the future; should it solve the CO2-emission problem?”, 2005, http://www.stormsmith.nl; Sergio Zabot, “Ma l’energia nucleare è davvero "carbon free"?”, 12/12/2007, http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1949.

[84] http://italy2.peacelink.org/mosaico/docs/1923.rtf; per la contabilità del ciclo di produzione dell’uranio, vedi anche: Gavin M Mudd, e Mark Diesendorf, “Sustainability Aspects of Uranium Mining: Towards Accurate Accounting?”,
http://nzsses.auckland.ac.nz/conference/2007/papers/MUDD-Uranium-Mining.pdf.

[85] “Is the friendly atom poised for a comeback?”, Science, Vol. 309, 19 agosto 2005, pp. 1168-1179.

[86] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., Box 2. p. 12.

[87] Mathis, Monti, cit., p. 60.

[88] Una lega o soluzione il cui punto di fusione è più basso di quello di ogni altra miscela dei singoli componenti.

[89] Condizioni termodinamiche nelle quali un gas non può venire liquefatto: se la temperatura del gas è superiore alla temperatura critica, non si può liquefare il gas per quanto si aumenti la pressione.

[90] Mathis, Monti, cit., p. 60.

[91] Ivi, p. 58-59.

[92] Ivi, p. 64.

[93] The Sustainable …, cit. pp. 22 e 24.

[94] Mathis, Monti, cit., p. 59.

[95] Il nome veniva dal leggendario uccello, la Fenice, che risorgeva appunto dalle proprie ceneri.

[96] The Sustainable …, cit., p. 22.

[97] Ivi.

[98] Ivi, p. 23.

[99] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., Box 2. p. 62.

[100] Ivi, pp. 62-63.

[101] Ivi, p. 68.

[102] I tempi dell’esplosione e delle sue fasi devono essere regolati con precisione estrema, poiché la testata si disintegra fisicamente, interrompendo la reazione a catena, dolo appena 20-30 nanosecondi (un nanosecondo è un miliardesimo di secondo): per maggiori dettagli sui meccanismi dell’esplosione si può vedere il mio A Volte Ritornano, Il Nucleare, Milano, Jaca Book, 2005, Appendice 7.1, pp. 289-95.

[103] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 67.

[104] M.M. Miller, Are Iaea safeguards on Plutonium bulk-handling facilities effective?, Nuclear Control Institute, Washington, DC, 1990; P. Leventhal, Iaea safeguards shortcomings: a critique, Nuclear Control Institute, Washington, DC, 1994. F. Barnaby, The proliferation consequences of global stocks of separated civil plutonium, e Effective Safeguards?, Factshhet 2, www.oxfordresearchgroup.org.uk.

[105] F. Barnaby, cit. F. Barnaby e S. Burnie, Safeguards on the Rokkasho reprocessing plant, “Greenpaeace International”, giugno 2002. Per ulteriori informazioni sul programma giapponese per il plutonio v.  www.nci.org.

[106] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 42.

[107] Ivi, p. 44.

[108] Ivi, Box 2. p. 70: il paragrafo fornisce commenti tecnici specifici molto pertinenti e interessanti.

[109] Ivi, p. 40; Jungmin Kang e Frank von Hippel, “Limited proliferation-resistance benefits from recycling unseparated transuranics and lanthanides from light-water reactor spent fuel”, Science & Global Security, 13, 1-2 (2005), 173; i riferimenti originari sono: J. Carson Mark, “Explosive properties of reactor-grade plutonium”, Science & Global Security, 4, 1 (1993); U.S. Department of Energy, “Nonproliferation and arms control assessment of weapons-usable fissile material storage and excess plutonium deposition alternatives”, DOE/NN-007 (1997), pp. 38-39.

[110] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 69.

[111] Ivi, p. 69, citato da: Lawrence Livermore National Laboratory, Center for Global Security Research, “Proliferation-resistant nuclear power systems. A workshop on new ideas” (June 2-4, 1999, March 2000), p. 7, http://www.llnl.gov/tid/lof/documents/pdf/238172.pdf.

[112] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., Box 9, p. 71, citato da: E.D. Collins, Oak Ridge National Laboratory, “Closing the fuel cycle can extend the lifetime of the high-level-waste repository”, American Nuclear Society, 2005 Winter Meeting, November 17, 2005, Washington, DC, p. 13.

[113] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 71.

[114] The Sustainable …, cit., Table 1, p. 15.

[115] Ugo Spezia, “Energia: quale futuro?”, Le Scienze, n. 442, giugno 2005, p. 49.

[116] Mathis, Monti, cit., p. 42.

[117] V. ad esempio per le prime fasi Roberto Renzetti, L’Energia, Savelli, 1979.

[118] M. Silvestri, Il costo della Menzogna, Einaudi, 1968, p. 199.

[119] V. Philippe Bovet, “Des poids lourds qui pèsent sur l’environnement”, Le Monde Diplomatique, octobre 2003, p. 31.

[120] V. ad esempio il manifesto, 01/02/2008, p. 8.

[121] Una buona panoramica dello sviluppo storico delle varie tipologie di reattori, anche se in parte centrata sull’India, è ad esempio: M.R. Srinivasan, “A lesson in nuclear reactors”, http://www.hindu.com/2007/09/11/stories /2007091153030800.htm

[122] Una panoramica completa dello sviluppo nucleare dell’India è fornito da: Avilash Roul, “India's Nuclear Power: assisting energy independence or a dangerous experiment?”, http://www.ecoworld.com/home/articles2.cfm?tid=402

 

[123] V. ad esempio: Greenpeace, “Scheda sulla filiera nucleare di progettazione sovietica VVER”: http://www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/scheda-reattori-vver.pdf; Greenpeace, “I problemi di sicurezza della centrale nucleare Enel di Mochovce in Slovacchia”, http://www.archivionucleare.com/index.php/2007/05/22/greenpeace-problemi-sicurezza-centrale-mochovce/.

[124] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit., p. 60.

[125] Il coefficiente di burn-up rappresenta il coefficiente di sfruttamento della carica di combustibile: è definito come l’ammontare (cumulativo) di energia termica prodotta dalle fissioni nel combustibile nucleare durante il suo tempo di residenza nel nocciolo del reattore. Un alto coefficiente di burn-up riduce il quantitativo di combustibile, e qundi anche la quantità di combustibile esaurito da custodire o riciclare.

[126] V. ad esempio: Encyclopaedia of Earth, “Small nuclear reactors”, http://www.eoearth.org/article/Small_nuclear_power_reactors.

[127] V. ad esempio UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit. p. 61. Altre analisi critiche: A. Kadak (MIT), “Safety issues for high-temperature gas-ccoled reactors”, http://web.mit.edu/pebble-bed/Presentation/HTGESafety.pdf; “ What's Wrong With the Modular Pebble Bed Reactor?”, http://www.tmia.com/industry/pebbles.html; e Institute for Energy and Environmental Research, Arjun Makhijani, “The Pebble Bed Modular Reactor”, http://www.ieer.org/comments/energy/chny-pbr.html

[128] Una lega o soluzione il cui punto di fusione è più basso di quello di ogni altra miscela dei singoli componenti.

[129] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit. p. 62.

[130] http://criepi.denken.or.jp/en/e_publication/a2002/02seika30.pdf.

[131] V. ad es. Il sito di Kalpakkam:

http://www.kalpakkam.com/index.php?name=News&file=article&sid=43&theme=Printer

[132] Per una recente rassegna dei programmi nucleari cinesi v. ad esempio: Xu Mi, “PWR-FBR with closed fuel cycle for a sustainable nuclear energy supply in China”, Frontiers of Energy and Power Engineering in China (Higher Education Press, co-published with Springer-Verlag GmbH), Volume 1, Number 2 / May, 2007, pp. 129-134, http://www.springerlink.com/content/l1674g453167878r/. Per una prospettiva storico critica: L V Krishnan, “How China stacks up in civilian nuclear power”, December 03, 2007, http://www.rediff.com/news/2007/dec/03guest.htm.

[133] US Department of Energy, “Global Global Nuclear Energy Partnership Strategic Plan”, gennaio 2007, http://www.gnep.energy.gov/pdfs/gnepStrategicPlanJanuary2007.pdf

[134] UCS, Nuclear Power in a Warming World, cit. p. 63.