ADRIANA VALENTE

Strategie di comunicazione della scienza

 

L’importanza di diffondere i risultati e le conquiste della scienza nel genere umano, di far fluire le conoscenze al di fuori degli addetti ai lavori, è stata al centro di riflessioni e talvolta di pratiche di istituzioni scientifiche quali l’Accademia dei Lincei e la British Association, così come di gruppi di scienziati che nel secolo scorso impartivano lezioni di scienza e cultura a grandi platee di lavoratori.

In questi ultimi decenni il cosiddetto Public Understanding of Science (PUS, cioè la comprensione della scienza da parte del pubblico), definizione che comincia a far sollevare perplessità e ad evidenziare le ambiguità connesse, raccoglie diversi studi e pratiche.

La finalità di erudire il pubblico o le masse diviene più articolata: l’ampia dimensione raggiunta dal fenomeno comincia ad evidenziare sospetti di strumentalizzazione, tanto più data la pervasività degli attuali mezzi di comunicazione di massa; comincia ad evidenziarsi un’insofferenza verso una gestione paternalistica del PUS; si coglie l’enorme potere nella funzione di agenda setting (cosa divulgare e come).

Parallelamente, si è sviluppato un filone di PUS che si occupa del percorso inverso, del flusso di comunicazione dalla società civile al pool di esperti (scienziati, divulgatori, istituzioni). Ciò può assumere semplicemente la forma di feedback di indagini e sondaggi, per lo più volti ad individuare il livello di conoscenza ed interesse del pubblico con riferimento alla scienza in generale o a particolari temi di interesse scientifico, fino alla individuazione ed acquisizione delle priorità indicate dal pubblico su temi scientifici e la loro utilizzazione in fase di valutazione ex ante della ricerca e di policy. In alcuni casi, dunque, il PUS sconfina nel "Public Participation" (PP), cui fanno riferimento le iniziative volte al coinvolgimento del pubblico nella definizione delle linee di politica scientifica e tecnologica. Tuttavia, con eccezione – talvolta – dei referendum, le opinioni del pubblico non hanno un diretto impatto sulle iniziative politiche, scientifiche o economiche, in parte perché tale fase di acquisizione delle indicazioni e conoscenze del pubblico nei progetti di PUS risulta di difficile realizzazione, ma soprattutto perché normalmente non è nemmeno prevista.

Le principali tipologie di PUS e di PP sono costituite da referendum, publihearings e sondaggi d’opinione, diversi tipi di incontri di negoziazione, consensus conference, citizens’ panel, citizens’ committee, focus group. Ciascuna di queste tipologie ha caratteristiche sue proprie, con riferimento a diversi criteri, tra cui la rappresentatività dei partecipanti, la loro indipendenza, il momento del loro coinvolgimento, l’impatto, la trasparenza del processo (Avveduto, Luzi, Valente, 2002). Rowe e Frewer hanno analizzato in maniera critica ed approfondita tali metodi, indicando per ciascuno una serie di criteri di valutazione (Rowe, Frewer, 2000). I principali criteri utilizzati vanno dall’impatto sugli indirizzi scientifici e tecnologici, alla possibilità di acquisire un insieme di dati ampiamente utilizzabili, alla possibilità di comprendere perché i cittadini hanno espresso certi convincimenti, alla possibilità di cogliere il punto di vista delle minoranze attive, all’articolazione dei motivi di consenso o di dissenso, alla promozione di un dibattito pubblico sull’argomento.

Alcuni metodi di PUS sono maggiormente interattivi e basati sulle relazioni di gruppo; in alcuni casi, la peer conversation, una variante dei focus group, ha consentito di osservare i processi di costruzione e negoziazione di significati condivisi, utilizzando il linguaggio proprio del componenti del gruppo.

Volendo dare un’idea dell’evoluzione del PUS ci si può concentrare sull’analisi degli aspetti critici e problematici dei progetti e delle teorie che si sono avvicendate soprattutto a partire dal 1985, anno in cui, movendo dal "concern about the gap between the world of science and the world at large" [cioè la preoccupazione per la frattura esistente tra il mondo della scienza e il mondo di tutti], la Royal Society si è fatta promotrice di una ricognizione – rapporto Bodmer, dal nome del coordinatore di cui faceva parte anche John Ziman - che constatò la scarsa ricerca nel settore fino a quel momento (Bodmer Report, 1985). Questo rapporto ha messo in luce la componente culturale – le scoperte scientifiche "influenzano profondamente il modo in cui pensiamo su noi stessi" ["profoundly influence the way we think about ourselves"] – e democratica del PUS:

l’opinione pubblica è una delle principali influenze nel processo di prendere decisioni. È quindi importante che i singoli cittadini così come i decisori riconoscano e comprendano gli aspetti scientifici delle questioni pubbliche. ["public opinion is a major influence in the decision-making process. It is therefore important that individual citizens as well as decision makers, recognise and understand the scientific aspects of public issues"].

Dieci anni dopo, il rapporto Wolfendale ha evidenziato la dimensione economica del PUS, il contributo al benessere economico ed alla qualità della vita legato all’inserimento dei giovani nelle carriere scientifiche (Wolfendale Report, 1995). Democrazia, cultura, economia sono tre dimensioni importanti del PUS. Eppure, non sempre queste sono presenti nel singolo progetto di PUS; talvolta, poi, la considerazione di una di queste dimensioni porta alla rimozione delle altre.

Tra i progetti legati ad una prima fase degli studi sul PUS, è interessante la ricerca condotta congiuntamente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, che ha portato alla realizzazione di due indagini parallele volte a registrare quanto la società comprenda della scienza (Wolfendale Report, 1995). In particolare, ci si è soffermati sia sulla comprensione del metodo scientifico, che della conoscenza di specifici quesiti scientifici. L’approccio della ricerca è stato volto ad indagare i livelli di conoscenza del pubblico attraverso una serie di quesiti molto semplici, ma pur sempre nozionistici. Se ne ricavano alcune considerazioni che per diversi anni hanno costituito una costante di questo genere di sondaggi: le persone più istruite comprendono meglio, così come quelle delle classi medie, gli uomini sanno di scienza più delle donne, i giovani più degli anziani.

Questi risultati sembrano ripetersi nell’Eurobarometro 58, sugli europei e le biotecnologie nel 2002, da cui risulta che le donne e coloro che abitano in aree rurali sono meno interessati alle biotecnologie, così come alle diverse questioni politiche e scientifiche (European Commission 2003). L’Eurobarometro fornisce solo il dato, non accompagnato da una chiave interpretativa dello stesso. E’ importante provare a fornire una spiegazione della distanza tra donne e scienza rilevata da decenni in studi e sondaggi in diversi ambiti: minore interesse manifestato per la scienza, scarsa attrattività delle discipline accademiche tecnico-scientifiche, minore occupazione del settore scientifico, minore numero di pubblicazioni. L’ipotesi che noi abbiamo avanzato e sperimentato nel progetto Cnr-British Council, ma non ancora testato su grandi numeri, è che la distanza sia data anche dal fatto che per il grande pubblico la scienza e tecnologia incarnano alcuni tipi di valori, che non accomunano la sensibilità di tutti i gruppi sociali. Nella specie, noi abbiamo individuato tra i valori/disvalori la "velocità della scienza", il "principio di precauzione", il "rapporto con gli interessi economici", i "valori umani e sociali"; le donne sono risultate più sensibili a tali questioni. Il cinismo verso l’establishment scientifico da parte di chi – in prevalenza donne - non è interessato ad una occupazione nel settore scientifico (Ziman, 1991), potrebbe invece riproporre la questione della distanza tra la scienza e i valori rappresentati dalla scienza ufficiale.

Tornando all’indagine del 1989, si tende a dedurre l’esistenza di una correlazione tra comprensione e interesse verso la scienza e comunque l’interesse è, per autodichiarazione, presente anche tra i poco informati. Ciò che sembra un omaggio alla democrazia, e che probabilmente originariamente era anche percepito come tale, rivela, però, la sua ambiguità: la promozione della comprensione pubblica è identificata col modello educativo: la gente va prima istruita per bene, altrimenti come fa a partecipare al dibattito pubblico, se non anche al processo di decision making? Al di là delle buone intenzioni, nella pratica viene frequentemente sotteso un rinvio esclusivo ad un gruppo di esperti affinché individuino e risolvano i quesiti scientifici, lasciando a loro, in ultima analisi, anche il controllo del processo decisionale dei laici.

Recentemente (Benarde, 2002) il ricorso alla "alfabetizzazione scientifica" [scientific literacy] è stato invocato da chi ha lamentato che le persone si stanno preoccupando dei problemi "sbagliati" e che ha considerato gli ambientalisti "chiacchieroni" e i media "furfanti".

Alcune critiche a questo modello erano state già poste da Ziman.

Una prima questione riguarda cosa si intende per scienza. Come si fa a entrare nel merito delle relazioni tra scienza e società quando la scienza stessa non è un insieme coerente e ben definito, suscettibile di essere più o meno capito. Pur prescindendo dalla considerazione dell’evoluzione nel tempo della considerazione di scientificità di certe discipline (ad esempio astrologia) o di procedimenti all’interno di una disciplina (ad esempio diverse pratiche mediche), la distinzione tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è varia da persona a persona e talvolta da situazione a situazione. Persino gli scienziati non hanno un’idea univoca dei confini della scienza, soprattutto nella considerazione di alcune discipline nell’ambito delle scienze umane e sociali. Dunque, il cosiddetto "deficit model", che cerca di interpretare il rapporto scienza-società in termini di ignoranza del pubblico o di analfabetismo scientifico non aiuta alla ricostruzione di un percorso soddisfacente di PUS: non solo è difficile rispondere a questioni "scientifiche" di ordine quotidiano, ma è anche poco significativo considerare i risultati in termini di mancata comprensione. Un esempio di difficoltà di porre in maniera significativa un quesito scientifico è tratto dall’indagine dell’88: "le vitamine naturali vi fanno meglio di quelle di laboratorio" ["natural vitamins are better for you than laboratory made ones"]. Le stesse considerazioni valgono per i quesiti relativi al metodo scientifico; il quesito "che significa studiare qualcosa scientificamente? Risposta inclusiva di riferimento a: costruzione delle teorie; metodo sperimentale" ["what does it mean to study something scientifically?Answer including reference to: theory construction; experimental method"] vedrebbe anche gli scienziati attestarsi su diverse posizioni.

Il rischio è che si inibisca a chi è considerato illetterato la partecipazione al dibattito pubblico, rimettendo le scelte nelle mani degli esperti. Anche il "testimone modesto" doveva avere dei requisiti minimi per partecipare al processo di dimostrazione-divulgazione scientifica, per testimoniare con autorità e non limitarsi a curiosare (Donna Harraway, 2000).

Le persone sono immerse in diverse rappresentazioni della scienza offerte dai media e dagli altri contesti sociali. Inoltre, accanto alla conoscenza tacita, definita da Polanyi come conoscenza sussidiaria e non focale, alcuni autori (Ziman, 1991; Durant, Evans, Thomas, 1989) parlano di "tacit understanding" per indicare la comprensione del significato o delle conseguenze di un fenomeno scientifico, potremmo aggiungere anche la sua collocazione in un sistema di valori, stante la difficoltà di esprimerla in maniera formalizzata in linguaggio scientifico.

Tuttavia, la componente educativa nel PUS è ancora prevalente, anche perché è opinione diffusa che quanto più alto sia il livello di comprensione della scienza, tanto maggiore sia la sua accettazione ed il consenso indiscriminato a certe linee di sviluppo scientifico e tecnologico.

Non mancano le voci critiche. Anche Ziman aveva da tempo evidenziato la complessità del rapporto tra understanding e supporto alla scienza: questi vanno di pari passo se si considerano le applicazioni utili della scienza, quali i computer; si potrebbe dire, utilizzando le parole di Bruno Latour, che vanno di pari passo se si fa riferimento alla "scienza consolidata". Vanno in direzioni divergenti se si considerano questioni scientifiche che possono sollevare conflitti etici, ad esempio la ricerca su embrioni umani; quindi si allontanano se si considera la "scienza in divenire".

Importanti sondaggi hanno dimostrato che non sempre conoscenza della scienza e supporto sono collegati: i risultati degli eurobarometri relativi alle tecnologie, promossi in tre riprese nel corso degli anni ‘90, hanno mostrato che la popolazione norvegese, che ha raggiunto elevati livelli di conoscenza sul tema considerato, non ha fatto corrispondere atteggiamenti di fiducia e di sostegno allo sviluppo delle biotecnologie.

Eppure, questo luogo comune sembra non cedere facilmente, forse anche perché si può difficilmente resistere alla tentazione di accomunare ignoranza, inaffidabilità e mancato supporto. Chi non sa neanche che "anche i pomodori non transgenici contengono geni" a che titolo può intervenire nel dibattito sugli OGM? In ultima analisi, questo approccio rischia di portare alla convinzione che si debba spiegare la scienza per vendere un prodotto. Studiosi e giornalisti scientifici hanno preso sempre più le distanze da questo uso strumentale del PUS (Lewenstein, 202; Greenberg, 2001). All’atto pratico, nell’organizzare progetti di PUS in collaborazione con esperti del campo disciplinare, il problema si ripresenta; ciò vale soprattutto per quei progetti finalizzati a promuovere un dibattito scientifico entro gruppi di cittadini; l’aspettativa di molti degli scienziati partecipanti è quanto meno di avere un ritorno in termini di finanziamenti, vedendo valorizzata la propria linea di ricerca a scapito di approcci diversi o conflittuali.

Viene, quindi in considerazione un altro assunto difficile da smantellare e cioè che la società civile sia incapace di concettualizzare le informazioni sui rischi connessi a ricerche, scoperte, applicazioni scientifiche e di rapportarsi all’incertezza che ne deriva. Dunque, questo tipo di informazione andrebbe quanto più possibile evitata. Viceversa, le persone vogliono essere informate sugli aspetti incerti della scienza, propri della scienza in divenire; la questione casomai sta nel modo di comunicarli.

L’Eurobarometro 58 riprende alcuni quesiti "storici" relativi all’interesse nella scienza, che ricalcano in parte l’indagine del 1989. Alla voce "Mi confondo quando sento pareri in conflitto su scienza e tecnologia" ["I become confused when I hear conflicting views on science and technology"] la maggioranza (46 %) ha risposto "qualche volta" ["some of the times"], il 26% "la maggioranza delle volte" ["most of the time"] ed il 28% "quasi mai" ["hardly any of the time"]. Sembra che ancora ci sia una certa perplessità nell’avere a che fare con conoscenza incerta; va tuttavia rilevato il modo in cui è stato posto il quesito: non è stato chiesto, né altrimenti indagato, se si desidera comunque acquisire questo tipo di conoscenza. Altre esperienze mostrano che, laddove questa richiesta è stata espressa, le persone hanno dichiarato di preferire di essere messi a parte di conoscenze incerte.

Anche nell’indagine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) del 2002, non ostante la problematicità ed i differenti punti di vista presentati ai gruppi (sotto forma di materiali didattici e di esperti coinvolti) i partecipanti hanno dichiarato di aver conseguito maggiori certezze in seguito al progetto. In ogni modo, anche qualora i partecipanti avessero dichiarato di avere maggiori dubbi sugli OGM in seguito al progetto di PUS, questo dato non sarebbe stato valutato negativamente: l’obiettivo di una maggiore consapevolezza delle variabili scientifiche ed etiche può ben coesistere con maggiori dubbi ed incertezze.

Il modello che vede il PUS come strumento di educazione di un pubblico ignorante trova l’opposizione di chi pone l’accento sulla percezione e sulla consapevolezza.

L’equilibrio tra le componenti educazione, cultura, economia, non è sempre facilmente individuabile all’interno dei progetti di PUS. In definitiva le due grandi opzioni sono:

L’atteggiamento degli scienziati, d’altro canto, raramente è riconducibile alla "superiorità dell’azione privilegiata dell’osservatore scevra da partecipazione" delineata da Habermas: lo scienziato non dice solo come si comportano le cose, è anch’egli immerso in un uso linguistico comunicativo e non solo cognitivo (Habermas 1985). Latour imputa alla scienza le caratteristiche dell’attività retorica, non meno rilevante di analisi di laboratorio e misurazioni per convincere colleghi e colleghe(Latour 1998). Le controversie, accompagnate da una forte presenza di agire strategico (teleologico per Habermas) sono alla base del mondo scientifico; la tesi di Latour è che ogni controversia diventi una questione di rapporti di forza e che in definitiva si riconosca la validità di un enunciato quando mancano le forza per opporvisi.

A maggior ragione vanno superati i modelli di comunicazione scientifica che vedono la necessità di esprimere la complessità della scienza solo nella relazione tra scienziati, o al massimo intraspecialistica. Alla comunicazione con la società viene riservato spesso un canale unilineare e unidirezionale eccessivamente semplificato; la semplificazione va auspicata con riferimento al linguaggio adottato, ma non alle componenti critiche, problematiche, interdisciplinari; bisognerebbe, viceversa riportare la complessità del dibattito scientifico anche nella comunicazione con i non esperti, affinché si possa parlare di vera comprensione, al di là del nozionismo, e soprattutto di consapevolezza del percorso della scienza.

È importante non bruciare il rapporto di fiducia che ancora esiste tra cittadini e scienziati.

Il 75% della popolazione europea ritiene che la ricerca vada sostenuta "anche se volta solo al progresso della conoscenza" (European Commission, 2001); se questo è l’atteggiamento degli europei verso la ricerca di base, appare un grande limite ripercorrere un’idea di scienza che trova nello "stimolo ad innovare e qualificare i prodotti" la ragione per essere divulgata ed accettata (Linee Guida 2002).

 

Adriana Valente, Irpps-Cnr

a.valente@irpps.cnr.it

 

 

Riferimenti bibliografici:

Sveva Avveduto, Daniela Luzi, Adriana Valente, "Comunicazione scientifica e società: considerazioni in merito al public understanding of science", in Trasmissione d’élite o accesso alle conoscenze: percorsi e contesti della documentazione e comunicazione scientifica, a cura di Adriana Valente, Milano, Franco Angeli, 2002

Melvin A.Benarde, You’ve been had! How the media and environmentalists turned America into a nation of hypochondriacs, New Brunswick, N.J., Rutgers University Press, 2002

Bodmer Report, The public understanding of science, Royal Society, London, 1985

John R. Durant, Geoffrey A. Evans, Geoffrey P. Thomas, "The public understanding of science", Nature, 340, 1989

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Daniel S. Greenberg, Science, money and politics:political triumph and ethical erosion, chicago\London, Chicago University Press, 2001

Jurgen Habermas, Etica del discorso, Biblioteca di cultura moderna, Laterza, Bari, 1985

Donna J. Harraway, Testimone_Modesta@FemaleMan_incontra_Oncotopo, Interzone, Feltrinelli, 2000

Bruno Latour, La scienza im azione, Comunità, 1998 (Science in action, 1987)

Bruce Lewenstein, "A decade of public understanding of science", Public Understanding of Science, 11, 2002;

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Wolfendale Report, "Committee to review the contribution of scientists and engineers to the public understanding of science", Engineering nd technology, London, 1995

John Ziman, Public understanding of science, Science Technology and Human Values, 16, 1, 1991