SERGIO SIMINOVICH

In principio… era il diletto

 

È democratico che gli specialisti della scienza e dell’arte si comportino come una casta chiusa, relegando la maggior parte della popolazione ad un ruolo di fruitori o vittime della loro specializzazione?

Mi sono posto questo quesito, affrontandolo prima nell’ambito della mia attività artistica attraverso esperienze musicali concrete. In seconda battuta, mi sono domandato se queste esperienze potessero essere trasferibili dall’area artistica a quella scientifica.

 

Etimologia di "dilettanti"

Da dove viene la parola "dilettanti" ? Da un concetto forte....il diletto, cioè il piacere. In altre lingue, "amateur" (amatore),"aficionado" (affezionato), ecc.

A differenza del concetto di "professionista" o "specialista" che definisce gli individui che si dedicano specificamente ad un'area, il termine dilettante non accenna soltanto all’attività in questione ma introduce il fondamentale principio freudiano di "piacere ".

Il termine "specialista" concentra tutta la sua energia descrittiva sull’attività svolta. Il termine "dilettante", invece, si concentra sulla libido in gioco.

 

Laboratorio musicale

A Roma, come fondatore e Direttore Artistico del Cima (Centro Italiano di Musica Antica) ho lavorato per parecchi anni (1979-2002) con i dilettanti. L’obbiettivo di questa attività è stato raggiunto: coristi dilettanti hanno cantato i brani più importanti e difficili del repertorio barocco.

Come ho affrontato l’insegnamento del linguaggio musicale (lettura delle note )?

Con il metodo globale, sintetico, in alternativa al metodo analitico che passa attraverso le faticose e lunghe fasi della Teoria Musicale e del Solfeggio.

Ho dato allora ad ogni corista una cassetta, incisa sul lato A con la "sua" melodia (Soprano, Alto, Tenore o Basso) e sul lato B con le rimanenti tre voci (versione "minus one"), escludendo solo quella sua già incisa sul lato A.

Il Coro Polifonico del Cima (150 persone fra i 14 e 83 anni...) ha così imparato brani musicali (ad esempio la Passione secondo Matteo, di J. S. Bach) solitamente affrontati dai grandi gruppi professionisti. Ad esempio, per studiare il Judas Maccabeus di Haendel, un oratorio molto impegnativo, nel 1985 ho impiegato 12 prove con il Coro della Rai e soltanto 14 prove con il coro del Cima!

Come si potrebbero paragonare i lavori di questi due gruppi? Il risultato vocale è stato, ovviamente, più eloquente e solido con il Coro della Rai, ma è pur vero che il coro professionista e' risultato meno elastico e più "stereotipato" di quello dilettante.

Le conclusioni di questo primo tipo di esperimento sono che 40 bravi cantanti professionisti, con anni di studi alle spalle e stipendiati regolarmente, equivalgono più o meno a 130 dilettanti di buona volontà e dedizione.

L'entusiasmo, lo slancio della "novità", l'attaccamento non collegato alla carriera o al salario ha compensano molti limiti tecnici.

L’esperimento è ancora in corso e si conclude ad ogni ciclo di studio con concerti pubblici al centro di Roma. In questi concerti il coro di dilettanti viene accompagnato da un'orchestra professionista con strumenti d'epoca e le recensioni sono sempre state ottime. Per esempio:

Si è chiuso il Festival del Clavicembalo organizzato dall'Associazione Musicale Romana [...] esecuzione della Brockes Passion di Haendel per soli, coro e orchestra, [...] affidata all'Orchestra e al Coro del Centro Italiano di Musica Antica (CIMA), diretti da Sergio Siminovich […] Bravissimo il coro formato da dilettanti, in tutt'altro affaccendati nella vita corrente, ma impegnati al massimo. [Landa Ketoff su la Repubblica, marzo 1999]

Questo tipo di sperimentazione fu potenziata al massimo quando, nel 2001, riuscii a realizzare il progetto VerdInCanto. Si trattò d'un programma realizzato con la Rai Educational, diretta da Renato Parascandolo e la partecipazione del Ministero della Pubblica Istruzione: ogni settimana, per 10 puntate, insegnavo la musica corale di Verdi e Haendel, con un coro pilota in studio, che era il prestigioso Coro dell' Accademia di Santa Cecilia .Alla fine delle 10 puntate, gli studenti che avevano seguito le trasmissioni con i loro insegnanti, hanno partecipato ad un grande concerto con orchestra sinfonica al PalaEur di Roma . Erano... 8500 studenti (record Guiness dei cori!) venuti da tutta l’Italia.

Questo esperimento multimediale (che includeva la televisione, e Internet, perché il Ministero della Pubblica Istruzione aveva dato attrezzature ad hoc a tantissime scuole..) ha dimostrato che i dilettanti possono produrre un risultato artistico, se debitamente assistiti. In effetti, gli 8500 partecipanti non hanno cantato una facile melodia popolare all' unisono, bensì musica polifonica a 4 voci !

 

Dilettanti come direttori

Una ulteriore ricerca nella sperimentazione musicale è partita dalla domanda: un dilettante può dirigere un coro? In altre parole, può un dilettante essere interprete creativo e propositivo in una esecuzione di "musica colta"?

In qualità d'insegnante universitario, come Direttore del Dipartimento di Direzione Corale della Facoltà d'Arte della Università di La Plata, ho eseguito per 5 anni il seguente esperimento.

Un gruppo di persone senza preparazione musicale veniva selezionato dai miei allievi avanzati della Università. Queste "cavie" venivano istruite in forma sommaria sul bagaglio minimo del Direttore di Coro (gestualità convenzionale, velocità, intensità e carattere del brano...).

L'argomento della gestualità è molto importante – e bifronte: da una parte rappresenta il codice oggettivo di comunicazione universale (cioè permette ad un direttore di essere capito a qualsiasi latitudine, anche senza parlare la lingua del posto); d’altra parte costituisce l'arsenale soggettivo che esprime la sua interiorità peculiare.

Per questo motivo ho evitato di insegnare, a differenza di quello che faccio con gli allievi regolari dell Universita', le convenzioni della Gestica. Ho fatto, invece, un lavoro diverso. Ho mostrato vari video di direttori professionali, ma senza l'audio, in modo che si dovessero "dedurre, immaginare..." i contenuti espressivi di ogni gesto.

Ho anche fatto dirigere alle "cavie" testi parlati, come ad esempio ritagli di giornali, cercando di far nascere, così, un ampio spettro di gesti espressivi.

Inoltre, con l’aiuto di una cassetta contenente incisioni di brani rinascimentali potevano avere una prima rappresentazione di quel periodo. La "cavia", presentata al Coro come Direttore Invitato di una certa esperienza (effetto placebo) provava il brano, indicando con gesti e parole come voleva che il brano venisse eseguito. In classe noi vedevamo in video le sedute di ogni cavia, le giudicavamo e le confrontavamo con le schede elaborate da ogni Coro.

In moltissimi casi (72%), la conclusione è stata che non c'era una differenza significativa fra la resa, la presa, la comunicatività e il gusto artistico delle nostre cavie e quelli degli allievi avanzati!

Conclusione: o il nostro corso universitario è scadente... oppure molti dilettanti possono svolgere mansioni artistiche di Direzione Musicale, contro tutti i nostri più accademici pregiudizi…

Come hanno accolto questi esperimenti i miei colleghi? Li ho trovati divisi in due schieramenti: un gruppo che chiamerei "conservatore" ci accusava di essere poco scientifici, con queste argomentazioni: le nostre cavie probabilmente, anzi "sicuramente", avevano scimmiottato gesti visti in qualche vero concerto, o avevano semplicemente "intuito" o azzeccato alcuni gesti efficienti, ma senza un sostegno teorico valido.

L'altro gruppo, invece, è rimasto entusiasta dai nostri esperimenti che, a parer loro, dimostrano che il linguaggio artistico non è patrimonio esclusivo degli addetti ai lavori.

Devo aggiungere che dopo aver presentato questi risultati al Consiglio Accademico della Università di La Plata , abbiamo esteso gli esperimenti ai colleghi del Dipartimento di Teatro e di Scenografia della stessa Università, che hanno riscontrato risultati analoghi sul ruolo dei dilettanti.

 

I motivi di questi tentativi di democratizzazione

Sono stati principalmente due:

Allora, lasciandomi stuzzicare dalle risonanze semantiche di una parola tanto potente com’è la parola "scoperta", mi sono spinto a ipotizzare un passo ancora più azzardato.

 

È legittima l’estensione alla Scienza ?

Molti scienziati confessano spesso di essere a corto di slancio, alla ricerca di idee nuove, asfissiati dall’enciclopedismo ( "gigantismo bibliografico") e dai paraocchi dovuti alla troppa specializzazione.

Gli scienziati dovrebbero poter essere i primi, per preparazione e motivazione, a cambiare l'approccio metodologico. Se gli scienziati, che possono disegnare la modellistica del pensiero o delle particelle subatomiche, non riescono a superare questa impasse è, presumibilmente, perché sono troppo chiusi nel loro quartiere mentale.

Il contatto ATTIVO con altre discipline e/o il coinvolgimento di altre menti "vergini" nella creazione scientifica, potrebbe dimostrarsi fecondo.

Utopicamente, quale potrebbe allora essere il ruolo d'un profano, accanto a un professionista della Scienza ?

Quali sarebbero gli "effetti collaterali" di questa miscela di "etnie" ?

Una maggiore diffusione della scienza... appassionata e coinvolta. Qualche sporadico (e benvenuto!) "contributo". E, non ultima, la "desacralizzazione" della scienza. Gli scienziati inoltre, aprendo la Competenza ai profani perderebbero un poco di Competitività. Infine i cittadini dilettanti della scienza avrebbero la possibilità di mantenersi culturalmente aggiornati, di sentirsi "utili" e non "utenti".

Mi auguro che questi miei suggerimenti vengano accettati dalla scienza sperimentale come materiale da sperimentare, in forma aperta, e non pregiudiziale.

Termino con una citazione a sostegno:

Sembra esserci qualcosa di irresistibile nell'idea che ciascuno svolga l'attività per cui e’ "tagliato". Io rinnego quest'idea, e con essa la divisione del lavoro: di importanza decisiva [...] è che ciascuno faccia molte cose per cui non è tagliato.

La divisione del lavoro si accorda a perfezione con una concezione della vita umana come strumentale a qualcos'altro: qualcosa che non è quella stessa vita. […] Ma un essere umano è un fine e non un mezzo; il suo fine è se stesso, e ‘se stesso’ vuol dire ricchezza e diversità, confronto e dialogo, allora egli realizzerà il suo fine anche imparando voci che non gli vengono naturali, che per quanti sforzi egli faccia non supereranno mai il livello di un imbarazzato balbettio. [...] Mi è sempre capitato di imparare di più dalle cose che faccio male. [Ermanno Bencivenga, Manifesto per un mondo senza lavoro, Feltrinelli 1999, pp. 52-53]

 

E prima lo stesso autore aveva scritto (p. 27):

In una società che ponga invece il tempo libero al centro dell'interesse e veda la produzione come strumentale a un suo uso valido e creativo (non viceversa), il pensionato non sarebbe un estraneo o una fonte di disagio; tutti, anzi (ecco il paradosso!) dovremmo ragionare un po' da pensionati per tutta la vita, imparare a ragionare così.