DAVID RASNICK

È tempo di separare stato e scienza

 

1. Introduzione. Durante i miei 25 anni da scienziato, ho visto la trasformazione della scienza da una delle attività umane che maggiormente nobilitano e arricchiscono, a un apparato pericoloso e inefficace.

Quando ero un giovane scienziato, prestavo attenzione a come i miei colleghi più anziani ed esperti affrontavano il mestiere di scienziato. Non potevate non vedere l’energia, la passione, l’entusiasmo, e la pura e semplice gioia di essere uno scienziato e di porre meravigliose domande l’uno all’altro e alla Natura. La scienza che conosco e ricordo è, in una parola: esaltante.

Per sua natura, la scienza è una fra le più democratiche attività umane. Ma è una democrazia di un tipo speciale. Il discorso scientifico non è ristretto a individui, nazioni, razze o visioni del mondo privilegiati. Tutti gli scienziati partecipano alla pari. Pertanto, la scienza è democratica nella sua libertà di pensiero e di attività.

Ma gli scienziati hanno riconosciuto, nei secoli, che l’opinione della maggioranza non determina ciò che è vero. Gli scienziati non decidono a votazione ciò che è vero (questo valeva di più in passato). Come scienziati noi accettiamo che ciò che è vero è indipendente dal fatto che ci crediamo o no. La Natura è il giudice ultimo di ciò che è vero.

Una delle più importanti e meravigliose conseguenze dell’essere uno scienziato è che possiamo cambiare opinione quando l’evidenza mostra che siamo in errore. Non sto dicendo che lo facciamo con facilità. Ci battiamo con vigore per le nostre convinzioni, ma alla fine cediamo all’argomento e all’evidenza superiori.

Questa scienza democratica era possibile quando era l’attività di individui indipendenti. Purtroppo, la scienza democratica è stata sostituita dalla scienza miliardaria delle istituzioni governative e industriali. La conseguenza diretta di questo spostamento è che ora la ‘verità’ è determinata dall’opinione della maggioranza. La scienza istituzionale ha assassinato la libertà di pensiero e di discorso. La scienza non è più la ricerca individuale di illuminazione e comprensione, ma è divenuta uno strumento per promuovere obiettivi particolari del governo e dell’industria.

Come alla maggior parte degli scienziati, mi hanno insegnato a scuola che la scienza è un’attività autocorrettiva. Tutte le ipotesi, non importa quanto preziose, erano passate alla macina del processo scientifico, che era concepito per conservare ciò che era vero e distruggere ciò che era falso. Ma questo delicato stato di cose era possibile solo quando la scienza era libera – o, di fatto, quando la scienza non aveva un soldo, prima della tragica unione tra governo e scienza introdotta dal Progetto Manhattan e dalla Guerra Fredda.

Il fisico nucleare Ralph E. Lapp, ricercatore e consigliere del Progetto Manhattan, ricorda come la scienza era prima del cambiamento: in quei giorni nessuno scienziato si azzardava a chiedere fondi al governo federale. Raccoglieva il denaro che gli occorreva da fonti private o si guadagnava un secondo stipendio come consulente per pagarsi le sue ricerche. Ma per lo più agiva come tuttofare e si costruiva la propria strumentazione. Agli studenti specializzandi si richiedeva di fare apprendistato presso un meccanico e di imparare a soffiare il vetro. Se avevano bisogno di contatori Geiger, se li costruivano da sé, e componevano da sé i propri circuiti elettronici.

Prima della II Guerra Mondiale, il finanziamento per la ricerca e lo sviluppo delle scienze, pubblico e privato, ammontava a circa 250 milioni di dollari annui. A partire dal 1980, i contribuenti USA hanno speso più di 93 miliardi di dollari solo per l’AIDS (Johnson 2000). E che cosa ci si è comprato con quei miliardi? Una cultura del conformismo, in base alla quale è finanziata solo la ricerca sull’HIV, e che così crea l’apparenza che tutti i ricercatori credano che HIV è la causa dell’AIDS.

L’unanimità coatta del pensiero non riguarda solo le democrazie. Lo storico russo Zhores Medvedev [1971] descrive l’ascesa al potere di un autocratico pseudoscienziato sovietico, che nell’arco di decenni corruppe e quasi distrusse la biologia e l’agricoltura sovietiche. Medvedev conclude che "il monopolio nella scienza da parte di una sola falsa dottrina, quale che sia, o anche da parte di una sola tendenza scientifica, è un sintomo esterno di un qualche profondo malessere nella società". L’accettazione generale delle perverse teorie scientifiche di Lysenko – che intendevano minare la scienza occidentale, in primo luogo il darwinismo – fu promossa pesantemente dai media governativi. "Le peculiarità della stampa [sovietica]", scrive Medvedev, "resero possibile l’appoggio popolare per questa o quella tendenza scientifica selezionata dalla dirigenza politica, e la completa soppressione dell’opposizione".

Con queste parole Medvedev avrebbe potuto descrivere altrettanto bene il modo in cui le istituzioni sanitarie pubbliche degli Stati Uniti hanno condotto il dibattito sull’AIDS. Poiché i NIH e il Dr. Anthony S. Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale di Allergia e Malattie Infettive, controllano il finanziamento di praticamente tutta la ricerca accademica sull’AIDS, essi possono impunemente tagliare i fondi alle voci dissenzienti. I direttori di riviste con revisori sono sotto pressione affinché non pubblichino articoli critici dell’ipotesi dell’HIV. Ai giornalisti che intervistano scienziati dissenzienti si nega l’accesso alle fonti governative, e li si accusa di agire "immoralmente". Il risultato è un mondo in cui il processo, un tempo protetto, della critica scientifica è trattato come devianza sociale – e punito come tale.

Nel difendere il consenso che si sono così comprati, i ricercatori dell’HIV usano metodologie statistiche che i loro stessi inventori hanno mostrato essere invalide, e conducono esperimenti senza alcun controllo. Scambiano cause con effetti, correlazioni con causazioni, e costanti con variabili. E, ciò che è più importante, non hanno arrestato l’AIDS. Ciò che sono riusciti a fare è instillare paura nelle relazioni sessuali umane – una paura amorfa, che la maggior parte dei professionisti dell’AIDS così come dei giornalisti sostengono essere stata preziosa.

Dubito che anche George Orwell avrebbe potuto immaginare che un regime autocratico sarebbe stato capace di riuscire a stabilire l’equazione tra sesso e morte alla fine del millennio.

2. L’abbaglio dell’AIDS. George Orwell ci aveva avvisati. Indovinò pure la data. L’anno 1984 vide la nascita della follia dell’HIV – completa di tecno-ciarle e AIDS-lingua. L’ipotesi dell’AIDS come dovuto a contagio da HIV è il più grosso abbaglio scientifico e medico del XX secolo. Il che la rende il più grosso motivo di imbarazzo con cui i National Institutes of Health, i Centers for Disease Control, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, e centinaia di migliaia di individui che hanno costruito le loro carriere e reputazione sull’HIV dovranno fare i conti nei prossimi anni. Sono arrivato alla conclusione che le dimensioni di questo imbarazzo sono il principale ostacolo a far emergere il fatto semplice, chiaro e ovvio che gli assiomi centrali dell’AIDS sono falsi:

1) l’AIDS non è contagioso;

2) l’AIDS non si trasmette sessualmente;

3) l’HIV non causa l’AIDS;

4) i farmaci anti-HIV stanno uccidendo la gente.

Può apparire sorprendente che non c’è nemmeno uno studio, nella vasta letteratura scientifica e medica, che mostri:

a) che un gruppo di adulti o di bambini HIV-positivi abbiano vite più brevi o di peggiore qualità di un gruppo simile di adulti o bambini che siano HIV-negativi;

b) che un gruppo di adulti o bambini HIV-positivi che assumono i farmaci anti-HIV abbiano vite più lunghe o di miglior qualità di un gruppo simile di adulti o bambini che sono HIV-positivi e che non assumono farmaci.

Per contrastare la naturale reazione di estrema incredulità, lancio una semplice sfida che dovrebbe minare la vostra fiducia negli assiomi centrali dell’AIDS. Fate il nome o i nomi della persona o delle persone che documentabilmente abbiano mostrato che l’HIV causa l’AIDS, o che l’AIDS è contagioso, o che è trasmesso sessualmente, o che i farmaci anti-HIV di fatto promuovono la vita e la salute. Il compito non è di trovare una lista di persone che hanno fatto queste affermazioni. Quella lista sarebbe lunga. No, il compito è di tirar fuori i nomi delle persone che hanno prodotto l’evidenza che mostra che quelle affermazioni sono vere o almeno verosimili.

Ho studiato l’AIDS fin dall’inizio, e non sono stato in grado di trovare quei nomi o i documenti che contengono l’evidenza che conforta gli assiomi dell’AIDS. Quel che è più, non conosco nessuno che abbia trovato i nomi o i documenti.

2.1 Che cos’è l’AIDS? La risposta dipende da quando e da dove fate la domanda. Per esempio, negli Stati Uniti abbiamo un totale di quattro definizioni di AIDS che i Centers for Disease Control ("Centri per il controllo delle malattie", CDC) ufficialmente utilizzano. I CDC hanno raggruppato qualcosa come 30 vecchie e ben riconosciute malattie, e ora le chiamano ‘definitorie dell’AIDS’. Tuttavia c’è un problema.

Come si fa a sapere se polmonite, diarrea, deperimento, demenza, cancro cervicale, perdita di cellule T ecc. è AIDS? – o se sono invece semplici polmonite, diarrea, deperimento, demenza, cancro cervicale, perdita di cellule T eccetera?

Anticorpi e una definizione al soccorso!

Se una persona negli Stati Uniti o in Europa ha una qualsiasi di queste vecchie malattie o condizioni e ha gli anticorpi dell’HIV, allora quella persona ha l’AIDS. Tuttavia, se quella persona ha le stesse malattie o condizioni ma non ha gli anticorpi all’HIV, allora quella persona ha solo la semplice vecchia polmonite, diarrea, deperimento, demenza, cancro cervicale, perdita di cellule T ecc.

In Africa la situazione è del tutto differente. Abbiamo una quinta definizione di AIDS per l’Africa, che differisce da quella per gli USA e l’Europa. L’HIV fu aggiunto alla definizione USA dell’AIDS alla metà degli anni 1980, ma la definizione africana non include l’HIV. A partire dal 1985, tutto ciò di cui avete bisogno per essere annoverati come un caso di AIDS in Africa è di soffrire di febbre, diarrea, tosse persistente, e di perdita di peso per più del 10%. Alla metà degli anni 1990, alla definizione di AIDS in Africa fu aggiunta la tubercolosi.

La definizione del 1993 aggiunse la prima categoria di non-malattia come caso vero e proprio di AIDS negli USA: anticorpi all’HIV e meno di 200 cellule CD4 per microlitro di sangue. Negli scorsi 5-6 anni almeno la metà di tutti i nuovi casi di AIDS negli USA cadono sotto la categoria di non-malattia della definizione del 1993. Questi sfortunati individui non mostrano alcun sintomo di malattia, altrimenti sarebbero andati sotto una precedente definizione di AIDS secondo le regole dei CDC. Di fatto, i CDC riferiscono che il 61% di tutti i nuovi casi di AIDS nel 1997 non hanno sintomi di malattia. I CDC hanno cessato di fornire questo tipo di informazione dopo il 1997. Adesso forniscono solo i dati della presenza di anticorpi per l’HIV.

2.2 I test di sieropositività per l’HIV non sono test né per l’HIV né per l’AIDS. Nessuno dei cosiddetti test per l’AIDS è approvato dalla FDA ("Food and Drug Administration") per la diagnosi dell’AIDS, né per quella dell’HIV. Di questi test si sta abusando e dovrebbero essere messi fuori legge.

Le istruzioni che accompagnano il test ELISA di Abbott per gli anticorpi all’HIV enunciano chiaramente che:

L’AIDS e le condizioni collegate all’AIDS sono sindromi cliniche e la loro diagnosi si può stabilire solo clinicamente. Il test [ELISA] da solo non può essere usato per diagnosticare l’AIDS. […] Il rischio che una persona asintomatica che risulti ripetutamente sieropositiva sviluppi l’AIDS o una condizione collegata all’AIDS non è noto. [Abbott 1999]

Lo stesso è vero per il "Western blot" (un bizzarro test per gli anticorpi):

Il significato degli anticorpi [all’HIV] in un paziente asintomatico non è noto. [Cruzan 1987]

Il terzo paragrafo delle istruzioni che accompagnano il test PCR per il carico virale della Roche enuncia che:

Il test AMPLICOR HIV-1 MONITOR non è inteso per essere usato come test di screening per l’HIV o come test diagnostico per confermare la presenza di infezione da HIV. [Roche]

2.3 La correlazione tra HIV e AIDS esiste solo nella mente. Malgrado l’arbitrario collegamento per definizione, le epidemie di AIDS e di HIV non sono correlate. Invece, a partire dal 1985, quando entrambe potevano essere quantificate simultaneamente, l’AIDS e l’HIV si sono mosse in direzioni diverse negli USA e in Europa. Negli USA, l’epidemia da HIV è stata stazionaria intorno al milione tra il 1985 e il 1995, con un piccolo aggiustamento verso il basso a partire dal 1996 (fig. 1A). Le nuove infezioni da HIV sono perfino declinate di cinque volte dal 1985 al 1993, stando ai 50 milioni di donazioni di sangue raccolte durante quel periodo (fig. 2A). In contrasto, durante lo stesso periodo, l’AIDS è aumentato da alcune decine di casi a più di 50.000 all’anno, fino a cominciare a declinare dopo il 1992 (fig. 1A).

In Europa, uno stazionario mezzo milione di individui erano positivi tra il 1988 e il 1995 (fig. 1C). In Germania, il numero delle nuove infezioni declinò di circa due volte durante lo stesso periodo in cui i casi di AIDS salirono da zero casi a 2000 per anno (fig. 2B).

Poiché le epidemie di AIDS e di HIV americane ed europee si muovono in direzioni totalmente opposte, l’ipotesi dell’HIV non può spiegare l’AIDS. Inoltre, lo stato stazionario dell’infezione prova che l’HIV è un vecchio virus, stabilitosi da lungo tempo negli USA e in Europa.

Quindi, i pazienti di AIDS non hanno in comune né l’HIV, né una malattia specifica dell’AIDS, né una qualsiasi delle 30 malattie definitorie dell’AIDS, e neppure l’immunodeficienza. Tuttavia, per definizione, ciò che condividono sono gli anticorpi contro l’HIV.

2.4 I farmaci anti-HIV sono AIDS su prescrizione. Il primo farmaco anti-HIV approvato per l’uso in adulti e bambini dalla FDA negli Stati Uniti è il terminatore di catena di DNA detto AZT (fig. 3). L’AZT è un puro veleno. Fu progettato negli anni 1960 come un potenziale chemioterapico per il cancro. Tuttavia, l’AZT era così tossico sugli animali che non fu nemmeno brevettato e non fu mai usato sugli uomini. Oltre all’AZT, vi sono un certo numero di altri terminatori di catena del DNA che sono usati sugli adulti (d4T, 3TC, ddI ecc.). Questi farmaci funzionano tutti allo stesso modo: si fanno incorporare in catene di DNA in fase di crescita e bloccano la sintesi del DNA. Ecco come i terminatori di catena di DNA uccidono le cellule: essi bloccano la sintesi del DNA.

Le conseguenze della terminazione della sintesi del DNA sono gravi. Raccomando la lettura del foglietto che accompagna una bottiglia di AZT per farsi un’idea di quanto questo farmaco sia tossico (fig. 3). La ditta produttrice, la Glaxo-Smith-Kline, avvisa medico e paziente di non confondere gli effetti tossici dell’AZT con malattie da AIDS. La ragione di questo avviso non è un mistero. L’AZT causa la demenza (definitore dell’AIDS), certi linfomi (definitori dell’AIDS), la riduzione della massa muscolare (definitore dell’AIDS), grave immunodeficienza (definitore dell’AIDS), diarrea (definitore dell’AIDS), anemia letale, aborti, malformazioni alla nascita - e la lista prosegue.

Il sommario dei risultati da un convegno del 1993 che faceva il punto sulla situazione mostrava che l’effetto di questo trattamento sul più usato segnatore surrogato - il conteggio delle cellule CD4 - non prediceva accuratamente l’effetto del trattamento sull’esito clinico, cioè la progressione all’AIDS o il tempo di sopravvivenza.

L’uso dei CD4 (conteggi delle cellule T) come segnatore surrogato del progresso della malattia fu anche criticato dagli autori del "Concorde Study", il più vasto esperimento clinico che valutasse l’impiego dell’AZT:

I risultati di Concorde non incoraggiano l’uso precoce della zinovudina [AZT] su adulti infettati da HIV e privi di sintomi. Essi mettono pure in questione l’uso acritico dei conteggi delle cellule CD4 come indicatore surrogato per la valutazione dei benefici di una terapia antiretrovirale a lungo termine.

Nel Concorde Study, c’era un tasso di mortalità del 25% superiore per coloro i quali assumevano l’AZT presto rispetto a chi lo assumeva più tardi. Le pressioni ad usare il trattamento con AZT in pazienti asintomatici con HIV non ottennero conforto da questo ed altri esperimenti clinici a lungo termine.

Un decennio più tardi, nel febbraio 2001, i National Institutes of Health (NIH) statunitensi avvisarono i dottori di limitare l’uso di farmaci anti-HIV e di non prescriverli a persone sieropositive e asintomatiche. I NIH cambiarono le raccomandazioni per il trattamento a causa della tossicità dei farmaci anti-HIV – chiaramente questi stavano facendo più male che bene.

2.5 Che dire dell’affermazione che la combinazione dei farmaci anti-HIV noti come HAART ha portato al declino delle morti per AIDS a partire dal 1996? È vero che ogni anno le persone che muoiono di AIDS sono di meno. Ma la riduzione di mortalità non è dovuta ai farmaci anti-HIV.

Le statistiche dei CDC mostrano che il numero dei nuovi casi di AIDS ebbe un picco intorno al 1992-1993, e che sono andati calando da allora in poi. Per esempio, il numero dei casi di AIDS a San Francisco nel dicembre del 2000 era al livello del 1982, cioè prossimo allo zero. Pertanto, le morti per AIDS dovevano avere un picco successivo al picco dell’AIDS con o senza trattamento. Il declino spontaneo di nuovi casi di AIDS e il cambiamento di definizione nel 1993, con cui si sono inclusi tra i casi di AIDS conclamato vasti numeri di persone sane, sono responsabili del netto calo dei tassi di mortalità dovuta a AIDS. Quando ben più del 50% di tutti i nuovi casi di AIDS sono persone senza alcun sintomo di malattia, il tasso di mortalità per questa malattia, che è supposta essere mortale al 100%, deve per forza precipitare.

2.6 I farmaci anti-HIV falliscono sui bambini. Ho percorso in lungo e in largo la letteratura in cerca di prove che i farmaci anti-HIV di fatto prolungano la vita o almeno migliorano la qualità della vita, dei bambini a cui li si somministra. In breve: non sono riuscito a trovare alcunché a favore di questa possibilità.

Per cominciare, nemmeno uno studio che afferma l’esistenza di benefici per la salute del trattamento con farmaci anti-HIV includeva alcun gruppo di controlli, cioè bambini o madri sieronegative con retroterra simile, o bambini sieropositivi seguiti nel tempo e a cui non si somministravano i farmaci.

Tuttavia, quando i gruppi dei controlli che non ricevevano i farmaci anti-HIV erano inclusi, i devastanti effetti tossici e letali dei farmaci erano manifesti. Sotto seguono esempi rappresentativi degli studi pubblicati.

L’articolo di R. E. McKinney e altri, intitolato "Un esperimento multicentro di zidovudina orale in bambini con malattia avanzata da virus di immunodeficienza umana", riconosce gli inconvenienti del mancato uso dei controlli:

Sebbene non fosse disponibile alcun gruppo di controllo per un confronto diretto, il miglioramento dei bambini in questo studio ha uno stretto parallelo con le osservazioni degli studi controllati su adulti che ricevevano zidovudina [AZT]. [Kinney et al. 1991]

Cioè, oltre a non avere gruppi di controllo, questo studio mostrava che l’AZT ha effetti simili nei bambini e negli adulti. Abbiamo in precedenza documentato che l’AZT accelera la morte di chi lo assume, rispetto ai sieropositivi che non lo assumono. Per deduzione, ci si potrebbe aspettare lo stesso per i bambini a cui si è somministrato l’AZT.

Più avanti gli autori dicono:

I bambini trattati con zidovudina [AZT] continuarono ad avere infezioni batteriche e opportunistiche. L’effetto del farmaco sulla frequenza di questi eventi non poté essere valutato a causa della mancanza di gruppi di controllo.

In altre parole, l’AZT non gli fece bene. L’assenza di gruppi di controllo non è eccezionale, ma è di fatto la pratica comune. La scusa data per tale assenza è che è contrario all’etica includerli. La maggior parte delle persone credono che i farmaci anti-HIV precedentemente approvati di fatto promuovano la salute e il benessere perché si ostinano ad ignorare il fatto che non ci sono prove che confortino questa credenza.

Ci sono molte altre meravigliose citazioni da questo articolo, ma lo voglio abbandonare e procedere oltre, aggiungendo però che nello studio di 88 bambini,

Uno o più episodi di emotossicità si verificarono in 54 bambini (il 61 per cento) – l’anemia in 23 bambini (26 per cento) e la neutropenia in 42 (il 48 per cento).

Tutti effetti causati direttamente dall’AZT.

Ricardo S. de Souza e collaboratori nel loro articolo intitolato: "Effetto della zidovudina prenatale sul progresso della malattia in bambini infettati da HIV-1 perinatalmente", dichiarano:

I nostri risultati suggeriscono che il trattamento materno con [AZT] influenza forse il corso della malattia tra i bambini infettati perinatalmente. In questo studio retrospettivo, il rischio di PRM [progresso rapido della malattia] fu da 5 a 6 volte più alto fra bambini nati da madri trattate [con AZT] rispetto a quelle non trattate. […]

Dopo aver fatto aggiustamenti che tenessero conto della prematurità e delle caratteristiche cliniche materne, il PRM si verificò tre volte più probabilmente in infanti nati da madri trattate [con AZT] rispetto ai risultati di quelle non trattate [con AZT]. [de Souza et al. 2000]

Inoltre la figura 1 dell’articolo mostra chiaramente una corrispondenza dose/risposta per gli effetti tossici del trattamento con AZT durante la gravidanza. Prima la madre cominciava il trattamento con AZT in gravidanza, prima il suo bambino sieropositivo si ammalava e moriva, a confronto dei bambini sieropositivi nati da madri sieropositive che non assunsero l’AZT durante la gravidanza.

Abbiamo poi L. Kuhn e collaboratori i quali, nel loro articolo intitolato "Progresso della malattia e dinamica virale precoce in bambini infetti con virus da immunodeficienza umana esposti a zidovudina durante i periodi prenatale e perinatale", dicono:

Le esposizioni prenatale e perinatale [all’AZT] furono associate con un rischio 1,8 superiore di progresso all’AIDS o alla morte dopo gli aggiustamenti simultanei per tutte le variabili associate con il progresso della malattia. […] Restringendo l’analisi ai bambini nati dopo l’aprile del 1994 (data della pubblicizzazione dei risultati di ACTG 076), l’esposizione [all’AZT] fu associata con un rischio 2,5 superiore di progresso all’AIDS e alla morte dopo aggiustamenti simultanei per le stesse variabili.

[…] Costanti miglioramenti nella prognosi di bambini infetti [con HIV] non esposti [all’AZT] furono osservati in ogni successiva coorte di nascite, ma i bambini esposti [all’AZT] ritardarono rispetto a questi cambiamenti temporali. I nostri risultati derivano da una coorte ben caratterizzata e seguita prospetticamente di bambini USA infetti con HIV, e sono coerenti con risultati recenti dal "Registro italiano dell’infezione da HIV nei bambini". [Cfr. riferimento seguente; Kuhn et al. 2000]

Lo studio italiano intitolato "Progresso rapido della malattia in bambini perinatalmente infetti con HIV-1 nati da madri riceventi monoterapia a base di zinovudina durante la gravidanza" rivela ancora altre tragiche conseguenze del trattare donne incinte con AZT:

La probabilità di sviluppare una grave malattia a 3 anni di vita era significativamente più alta nei bambini nati da madri [trattate con AZT] […] che in quelli nati da madri [non trattate con AZT]. […] Lo stesso schema fu osservato per la immunosoppressione grave: la probabilità di sviluppare immunosoppressione grave era significativamente più alta nei bambini nati da madri [trattate con AZT] […] che in quelli nati da madri [non trattate con AZT]. […] Infine, la probabilità di sopravvivenza era più bassa […] rispetto a quella di bambini nati da madri [non trattate con AZT]. [de Martino et al. 1999]

In breve, se una madre assume AZT durante la gravidanza, i suoi neonati hanno una probabilità di ammalarsi gravemente e di morire prima dei 3 anni molto più alta di quella di un neonato la cui madre non ha assunto l’AZT durante la gravidanza.

Un altro esempio è l’articolo di O. A. Olivero e collaboratori intitolato: "Incorporazione della zidovudina nel DNA dei leucociti da adulti positivi rispetto a HIV-1 e donne incinte, e nel sangue del cordone ombelicale di bambini esposti in utero":

Mostriamo qui che [l’AZT] è incorporato nel DNA dei leucociti della maggior parte degli individui riceventi terapia [con AZT], inclusi i bambini esposti al farmaco in utero. [..] [U]n ulteriore studio delle conseguenze biologiche del danno al DNA indotto [dall’AZT] nella popolazione umana è giustificato. [Olivero et al. 1999]

Un altro esempio dalla letteratura degli studi su farmaci pediatrici anti-HIV è l’articolo di L. Lewis e collaboratori intitolato "Lamivudina nei bambini con infezione da virus da immunodeficienza: uno studio di fase I/II". Di nuovo, in questo studio non c’erano gruppi di controllo. Gli autori riconoscono che gli inibitori della trascrittasi inversa dell’analogo di nucleoside, incluso il composto sotto esame, la lamivudina, agiscono come terminatori di catena di DNA. Non ci sono dati nell’articolo che mostrano che il farmaco faccia qualcosa di buono ai bambini. Al contrario, fra i 90 bambini nello studio,

11 bambini erano stati ritirati dallo studio per progresso della malattia [in altre parole, su di loro non funzionò], 10 a causa di una possibile tossicità collegata alla lamivudina, e 6 erano morti. [Lewis et al. 1996]

In breve, circa 1/3 dei bambini chiaramente non trassero beneficio dal farmaco, e non ci fu nessun rapporto su bambini che ne avessero beneficiato, tranne i rapporti di laboratorio dichiaranti che il carico p24 e virale diminuirono. Quei test di laboratorio erano i soli indicatori positivi che il farmaco aveva fatto qualcosa di desiderabile dal loro punto di vista.

Un altro esempio nella letteratura pediatrica è di M. W. Kline e collaboratori, intitolato "Una prova clinica comparativa randomizzata di stavudina (d4T) e zidovudina (ZDV, AZT) in bambini con infezione da virus di immunodeficienza umana". Cito:

Fino a tempi recenti, la zidovudina (ZDV, AZT) era considerata il farmaco di elezione per la terapia iniziale dei bambini infetti con HIV e asintomatici. Sfortunatamente, la terapia con ZDV è talvolta limitata da intolleranza, tossicità, o progresso della malattia da HIV. [Kline et al. 1998]

In altre parole, l’AZT non funziona. E lo studio mostrò che stavudina e AZT erano comparabili. Quindi, la stavudina non costituisce un progresso rispetto all’AZT.

Un altro esempio è dato da M. W. Kline e (altri) collaboratori, intitolato "Una valutazione di fase I/II della stavudina (d4T) in bambini con infezione da virus da immunodeficienza":

Trentacinque dei 37 soggetti ebbero seri eventi avversi clinici, compresi infezione (33 soggetti), linfadenopatia (19 soggetti), epatosplenomegalia (15 soggetti), brividi e febbre (12 soggetti), e lo sviluppo di una condizione definitoria dell’AIDS.

[…] Eventi avversi di minore gravità che furono riferiti da più del 20% dei soggetti includevano rinite (76%), tosse (70%), diarrea (68%), eruzione cutanea (62%), nausea e vomito (51%), dolore addominale (43%), anoressia (41%), disturbi respiratori (38%), mal di testa (22%), e nervosismo (22%). [Kline et al. 1995]

Nell’ultimo paragrafo dell’articolo, gli autori ebbero la temerarietà di concludere che

la stavudina sembra mantenere la promessa per il trattamento dell’infezione da HIV nei bambini. Le sue proprietà farmacocinetiche sono coerenti e predicibili, e sembra essere notevolmente ben tollerata e sicura. Sebbene il nostro studio non fosse progettato per valutare l’efficacia del farmaco per il trattamento dell’infezione da HIV, fu osservata una preliminare evidenza di attività, clinica e di laboratorio.

Ci si può solo interrogare se era dei loro risultati che gli autori stavano parlando.

L’ultimo, incredibile esempio è di P. A. Pizzo e collaboratori, intitolato "Effetto dell’infusione endovenosa continua di zinovudina (AZT) in bambini con infezione da HIV sintomatica".

Gli autori studiarono 21 bambini:

Ci fu bisogno di trasfusione in 14 pazienti a causa dei bassi levelli di emoglobina. Una neutropenia che limitava la dose si verificò nella maggior parte dei pazienti che ricevettero dosi di 1,4 mg o più per chilo per ora.

[…] Il maggior limite della terapia fu l’emotossicità – una diminuzione tanto della concentrazione di emoglobina quanto dei conteggi di globuli bianchi.

[…] Indipendentemente dalla dose di partenza, quasi tutti i pazienti ebbero una caduta transitoria nei loro conteggi di neutrofili entro 10 giorni dall’inizio della terapia con AZT. [Pizzo et al. 1988]

Sia l’anemia che la neutropenia sono l’inevitabile conseguenza dell’avvelenamento da AZT. E proprio quando pensavate che le cose non potevano andare peggio, c’è questa incredibile affermazione:

In tre dei cinque bambini che morirono, era presente al momento della morte un’evidenza di risposta all’AZT, particolarmente un miglioramento nello sviluppo neurale.

Ecco l’esempio estremo dello stereotipo ‘l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto’.

2.7 Che hanno da dire alcuni dei principali ricercatori sull’AIDS circa il valore dei farmaci anti-HIV? (a) Nel 1997, A. N. Phillips e G. D. Smith affermarono nel New England Journal of Medicine:

Nessuna prova clinica randomizzata su pazienti asintomatici ha stabilito che coloro i quali sono trattati precocemente sopravvivono in qualche misura più a lungo di coloro sui quali il trattamento fu differito. Un’estesa sorveglianza successiva dei pazienti in un esperimento clinico, lo studio Concorde [cfr. §2.4], ha mostrato un significativo aumento di rischio di morte fra i pazienti trattati precocemente. Si suggerisce che la situazione è diversa per la terapia combinata. Ma dov’è l’evidenza […]?

[…] Non c’è un’evidenza più solida ora dei benefici della terapia precoce di quanta ce ne fosse nel 1990. Abbiamo bisogno di prove cliniche randomizzate per determinare se la nozione che probabilmente non era vera nell’era della monoterapia [a base di AZT] – [cioè] che la terapia precoce prolunga la sopravvivenza a confronto con la terapia differita – è vera adesso. [Phillips, Smith 1997]

(b) Jay Levy, il terzo scienziato che identificò l’HIV (Università della California a San Francisco - UCSF) ebbe a dire quanto segue nel 1996, l’anno in cui gli inibitori di proteasi furono approvati dalla FDA:

[S]i può veramente riportare un miglioramento del 50% nella sopravvivenza sulla base di soli 6 mesi di trattamento e di risultati che riflettono il 4,8% (trattati) confrontati con l’8,4% (non trattati) dei soggetti studiati? […] Poiché nonostante le acclamazioni dei farmaci antivirali, se lo prendete in disparte un qualsiasi virologo vi dirà che non è questa la maniera in cui potremo vincere, è ormai arrivato il momento di dare un’occhiata al sistema immunitario. [Levy 1997]

Nel 1998, la critica di Jay Levy fu ancora più aspra:

Lo stato clinico (se la persona è senza sintomi) non è un ostacolo principale [alla somministrazione di farmaci antivirali]: sono i numeri [del carico virale] che a quanto pare decidono il decorso terapeutico. Contesto questo approccio.

[…] [Q]uesti farmaci possono essere tossici e possono essere direttamente dannosi alla risposta immunitaria naturale all’HIV. […] Questa efficace risposta immunitaria antivirale è caratteristica dei sopravvissuti a lungo termine che […] non si sono sottoposti ad alcuna terapia […] [L]e terapie antivirali correnti non danno i risultati ottenuti dalla risposta naturale anti-HIV. Questa risposta immunitaria, osservata nei sopravvissuti a lungo termine, mantiene il controllo sulla replicazione dell’HIV senza bisogno di trattamento antivirale. [Levy 1998]

(c) Don Abrams, che dirige a San Francisco il più grande ospedale per la cura dell’AIDS al mondo, disse a un gruppo di studenti di medicina della scuola medica della UCSF:

In contrasto con molti dei miei colleghi […], non sono necessariamente un entusiasta della terapia antiretrovirale. Sono stato una delle persone che hanno messo in questione, fin dall’inizio, se stiamo avendo un impatto con i farmaci da HIV o no e, nel caso che stiamo avendo un impatto, se esso vada nella direzione giusta.

[…] Ho una vasta popolazione di persone che hanno scelto di non assumere antiretrovirali. […] Essi hanno visto tutti i loro amici salire sulla carovana antivirale e morire, così hanno scelto di restare ‘al naturale’. In numero crescente, tuttavia, stanno ora soccombendo alla pressione che gli inibitori di proteasi siano ‘la cosa giusta’. […] Siamo nel bel mezzo di una luna di miele, e mi è poco chiaro al momento attuale se questo sarà un matrimonio duraturo o no […] [Tanaka 1996]

(d) Nel 1997, un anno dopo che la FDA approvò il primo inibitore di proteasi dell’HIV, le Linee guida destinate ai medici per l’uso degli agenti retrovirali in adulti e adolescenti infetti da HIV dei NIH avevano da dire quanto segue:

Il medico e il paziente dovrebbero essere pienamente consapevoli che la terapia dell’infezione primaria da HIV è basata su considerazioni teoriche, e che i benefici potenziali […] dovrebbero essere pesati contro i rischi potenziali.

[…] [N]essun beneficio clinico a lungo termine del trattamento è stato ancora dimostrato.

(e) Nel 1997, l’avvertimento che accompagna la bottiglia di Crixivan, l’inibitore di proteasi dell’HIV della Merck, recita:

Crixivan non è una cura per l’HIV o l’AIDS. Chi assume Crixivan può ancora sviluppare infezioni o altre condizioni associate con l’HIV. Perciò è molto importante che restiate sotto sorveglianza medica.

[…] Non è ancora noto se assumere Crixivan allungherà la vostra vita o ridurrà le vostre probabilità di prendere altri malanni associati con l’HIV. Sono disponibili informazioni, basate su studi clinici durati fino a 24 settimane, su quanto bene il farmaco funzioni.

(f) Nel 1997 Anthony Fauci sul New York Times ammise che:

Vi è una crescente percentuale di persone in cui, dopo un certo tempo, il virus ha una ripresa. La gente sta piuttosto bene per sei mesi, otto mesi, o un anno, e dopo un po’, in una proporzione significativa, il virus ritorna.

Il Times disse che

Nessuno conosce la vera dimensione del problema, ma Fauci stima che quando questi casi di ‘ripresa virale’ sono tenuti in conto, il tasso di fallimenti dei nuovi cocktail di farmaci può in definitiva salire fino al 50%.

Il tasso di fallimenti di cui parlava Fauci era in realtà del 100% nei casi di AIDS che effettivamente hanno sintomi della malattia. Ricordate (cfr. § 2.1) che a partire dal 1993, il 50% dei casi di AIDS non hanno sintomi della malattia.

2.8 Riassumendo. I test attualmente in uso per diagnosticare l’AIDS oppure l’HIV non rivelano né l’uno né l’altro e se ne sta abusando. I dottori sono mal consigliati nei loro sforzi di intimidire le persone a sottoporsi ai test per gli anticorpi dell’HIV e, se positivi, ad assumere i velenosi farmaci anti-HIV che non è stato mostrato che facciano più bene che male. Particolarmente inquietante è la crescente pratica di costringere le donne sieropositive ad assumere i farmaci anti-HIV durante la gravidanza e a dare i farmaci a neonati e bambini.

2.9 Se non è l’HIV, qual è la causa dell’AIDS? La principale causa delle malattie e condizioni che definiscono l’AIDS negli USA e in Europa è l’uso cronico di droghe e farmaci da prescrizione.

Ecco un elenco dei farmaci generici che possono causare le malattie definitorie dell’AIDS attribuite all’HIV: chemioterapia per il cancro, ciclosporina A e simili farmaci per il trapianto d’organo, anestesia per la chirurgia, la chirurgia stessa, antibiotici, steroidi, tranquillanti, trasfusioni di sangue e fattori coagulanti.

L’uso cronico di droghe (per es. eroina, cocaina, anfetamine ecc.) può anche causare tutte le malattie definitorie dell’AIDS attribuite all’HIV. Una discussione completa di come le droghe causano l’AIDS si può trovare sul sito www.duesberg.com.

2.10 Poiché ognuna delle malattie definitorie dell’AIDS può essere causata senza l’HIV, perché è stato necessario tirar fuori l’idea di un AIDS causato dall’HIV? La novità durante gli anni 1980 negli USA non erano le malattie, ma chi se le stava prendendo. Nei primi tempi solo maschi omosessuali tra i 25 e i 50 anni erano elencati dai CDC come casi di AIDS. Oggi, gli omosessuali che fanno uso di droghe compongono quasi i due terzi di tutti i nuovi casi di AIDS negli USA. L’altro terzo è fatto da consumatori di droga eterosessuali.

I casi di AIDS pediatrico assommano a soltanto l’1% del totale, e l’80% di essi era nato da madri che hanno ammesso di aver fatto uso di droghe durante la gravidanza.

Il fatto che nei primi tempi solo gli omosessuali maschi fra i 25 e i 50 contraevano l’AIDS condusse all’assunzione che l’AIDS aveva qualcosa a che fare con il sesso – in particolare con quello omosessuale. Ad oggi, questa è la sola connessione tra sesso e AIDS.

La precoce ‘connessione’ tra sesso omosessuale e AIDS condusse i NIH all’affrettata conclusione che l’AIDS era causato da un nuovo agente infettivo, che più tardi sarebbe stato chiamato HIV. Tuttavia, è risultato che il sesso non ha niente a che fare con l’AIDS. Ciò che tutti gli omosessuali con AIDS avevano in comune era una storia di uso cronico di droghe e di farmaci da prescrizione. Era l’uso cronico di queste sostanze che causava l’immunodeficienza acquisita negli omosessuali.

2.11 In Africa la situazione è diversa. La malnutrizione è la capofila tra le cause mondiali delle malattie definitorie dell’AIDS ed è la principale causa delle "malattie definitorie dell’AIDS" dell’Africa.

La malnutrizione causa inoltre una drastica perdita di cellule T e l’inversione tra le popolazioni che aiutano le cellule T e quelle che le sopprimono, considerata come caratteristica dell’AIDS causato dall’HIV.

Febbre, diarrea, tosse persistente, perdita di peso e tubercolosi (la malattia definitoria dell’AIDS per l’Africa) sono le malattie della povertà, malnutrizione, condizioni sanitarie scadenti, acqua cattiva ecc. che hanno appestato il continente per generazioni.

In passato eravamo onesti circa le malattie della povertà, e in Africa mandavamo pacchi CARE con cibo e medicine utili. Ma oggi inviamo preservativi e AZT, predichiamo il sesso sicuro e diamo convenientemente la colpa all’HIV per ogni cosa dalla diarrea e mortalità infantile alla perdita delle entrate della Coca-Cola.

3. La grossa scienza è antiscienza. Poiché non ci sono prove che l’AIDS è contagioso, trasmesso sessualmente o causato dall’HIV, perché leggiamo nei giornali o vediamo alla televisione ogni giorno una crescente litania sugli orrori dell’AIDS e le statistiche dell’HIV? Perché praticamente tutti i dottori e gli ufficiali della pubblica sanità professano la loro inflessibile fedeltà al dogma dell’HIV e agli assiomi dell’AIDS? La risposta è semplice, una volta che la si sia vista.

Se la pubblicità è un’industria con un giro di molti miliardi di dollari è perché la pubblicità funziona. Come sopra notato, a partire dal 1980 i contribuenti americani hanno speso per l’AIDS più di 93 miliardi di dollari. Con una somma del genere si può comprare un appoggio quasi unanime per quasi qualunque cosa. I 93 miliardi di dollari non includono i miliardi di dollari che le ditte farmaceutiche hanno speso per i loro prodotti mirati all’AIDS e gli altri miliardi di proventi che hanno intascato dalla vendita di quei prodotti. Per un confronto, basta pensare che i contribuenti americani spesero 22 miliardi di dollari per posare dodici uomini sulla Luna. In quel caso la spesa ci dette quello che cercavamo – arrivammo sulla Luna. Invece non abbiamo salvato ancora la vita di neppure un solo paziente di AIDS con quei miliardi di dollari, e il primo successo non è alle porte.

Le decine di miliardi di dollari per l’HIV servono a mantenere più di 100.000 dottori e scienziati che hanno edificato le proprie carriere e reputazioni semplicemente accettando il dogma dell’HIV e gli assiomi dell’AIDS. Quello che questi 100.000 scienziati e dottori dell’HIV non hanno fatto con quei soldi, tuttavia, è produrre prove che mostrino che gli assiomi dell’AIDS sono fatti scientifici o almeno probabilmente veri. Come Peter Duesberg ha spesso detto sul finanziamento della ricerca sull’AIDS, "Potrebbero spendere milioni per studiare l’HIV sulla Luna, ma non si possono permettere 50.000 dollari per dimostrare che si sono sbagliati".

Se pensate che la "grossa scienza" sia dedita al libero scambio di idee e fondata sul dibattito aperto, allora siete pronti per un brusco risveglio. Una delle cose che i critici scoprono molto presto è che i sommi sacerdoti del dogma dell’HIV raramente o mai affrontano le critiche specifiche degli assiomi dell’AIDS. Invece fanno tutto il possibile per mettere a tacere i critici.

Porre fine al finanziamento degli scienziati dissidenti che mettono in questione il dogma dell’HIV e gli assiomi dell’AIDS è l’autodafé dei nostri giorni. Per salvare la carriera, la maggioranza degli scienziati cessano di fare domande imbarazzanti e si prostrano davanti all’idolo d'oro dell’HIV. I pochi coraggiosi (o testardi, dipende dal vostro punto di vista) che restano fedeli ai propri princìpi sono costretti a racimolare denaro in qualsiasi modo per fare ricerca. Il nostro laboratorio, per esempio, fa affidamento sulla generosità di singole persone ricche, fondazioni private, donazioni generali, e abbiamo anche dato inizio a una ditta nella speranza che ci fornisca una fonte di finanziamenti a lungo termine per la nostra ricerca.

Ma anche se ottenete il denaro per lavorare, non sarete in grado di farvi pubblicare i vostri risultati su riviste scientifiche o mediche americane, e non sarete più invitati agli incontri scientifici. Se mettete in questione pubblicamente il dogma dell’HIV a voce troppo alta rischiate attacchi ad hominem e sarete accusati di essere un omofobo, o di incoraggiare la gente a smettere di assumere l’AZT e gli altri farmaci terminatori di catena di DNA (di quest’ultima cosa mi confesso colpevole), o di far sì che la gente cessi di usare i preservativi.

A partire dalla metà degli anni 1980 gli Stati Uniti si sono impegnati in una specie di maccartismo medico, in cui chiunque faccia domande sul dogma dell’HIV è punito come eretico. Quelli che sono visti parlare con un dissidente sono avvertiti che rischiano carriera e reputazione se continuano. Anche i capi di stato non si salvano da minacce e intimidazione.

Il presidente del Sudafrica, Thabo Mbeki, continua a ricevere pesanti attacchi personali perché l’anno scorso ha incluso nella sua Commissione di Consiglieri sull’AIDS un certo numero di scienziati e medici da tutto il mondo che disputano il dogma ortodosso sull’AIDS. Non essendo riusciti a ridurre al silenzio Mbeki, l’establishment dell’AIDS ha orchestrato una campagna internazionale per dipingerlo come un folle in quanto insiste a volere una risposta ad alcune semplicissime domande:

1) Perché l’AIDS in Africa è così completamente differente dall’AIDS negli USA e in Europa?

2) Come fa un virus a saper causare malattie differenti in continenti differenti?

3) Come fa un virus a sapere se siete maschio o femmina, omosessuale o eterosessuale, bianco o nero?

I giornalisti che intervistano i dissidenti quasi mai si vedono pubblicato o trasmesso il proprio lavoro, non sono più invitati agli incontri dell’ortodossia e vengono scherniti da quelli che prima erano amici o colleghi.

A pagina 709 del suo libro Challenges Serge Lang, il leggendario matematico di Yale e membro della National Academy of Sciences, descrive i suoi vani sforzi per pubblicare un commento alla recensione fatta da Richard Horton (il direttore di The Lancet) del libro di Peter Duesberg, Inventing the AIDS Virus, apparsa sulla New York Review of Books. Poiché la NYRB non voleva pubblicare il suo commento, Lang mandò una lettera al direttore di The Lancet a proposito dello scandalo HIV ma gli fu respinta. Allora la rispedì insieme a un assegno per farsela pubblicare nella sezione degli annunci a pagamento della rivista. Cedendo alla perseveranza di Lang, il direttore di The Lancet finalmente pubblicò la lettera di Lang (nella sezione delle lettere al direttore) e gli restituì l’assegno.

Ci sono innumerevoli altre storie di censura, intimidazione e manipolazione finanziaria e professionale. Ma i dati discordanti stanno ancora lì, indistruttibili e irrisolti.

Con tante carriere che dipendono dal dogma dell’HIV e dagli assiomi dell’AIDS, e con miliardi di dollari investiti, è facile vedere la posta in gioco. Se alcuni o tutti gli assiomi dell’AIDS sono falsi (io sono sicuro che sono tutti falsi), allora ci troviamo di fronte al più grosso abbaglio del XX secolo. Ci vorrebbe un coraggio e un’integrità sovrumani da parte dei numerosi ufficiali governativi e dei direttori dei National Institutes of Health, del Medical Research Council, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e dei Centers of Disease Control, e di innumerevoli medici, scienziati, operatori sanitari, giornalisti, celebrità e cittadini medi, per ammettere che hanno fatto un grosso errore – che nessuno di loro ha colto nel segno in merito all'AIDS.

Molti critici informati pensano che i miliardi di dollari in gioco sono il più grosso impedimento a farla finita con la follia dell’AIDS. Certo, quel denaro è un’arma formidabile al servizio dell’establishment HIV/AIDS. Tuttavia, penso che è il semplice imbarazzo il più grosso ostacolo a mettere fine a questa follia. È la paura di essersi così ovviamente e disperatamente sbagliati che mantiene sigillate le labbra, aperto il rubinetto dei soldi e vorticoso il salire della retorica sull’AIDS a quote stratosferiche di assurdità.

I medici che sanno o sospettano la verità sono imbarazzati o hanno paura di ammettere che i test per l'HIV sono assurdi e dovrebbero essere messi fuori legge, e che i farmaci anti-HIV stanno rovinando e uccidendo la gente. Ci insegnano a temere la presenza di anticorpi, e a credere che gli anticorpi all’HIV sono avvisaglie di malattia e morte nei successivi dieci anni. Quando protestate contro questa assurdità e fate presente agli operatori sanitari che gli anticorpi sono l’essenza stessa dell’immunità antivirale, le vostre obiezioni incontrano o disprezzo o imbarazzato silenzio.

I National Institues of Health, i Centers for Disease Control, il Medical Research Council e l’Organizzazione Mondiale della Sanità stanno terrorizzando centinaia di milioni di persone in tutto il mondo per mezzo della loro temeraria e assurda direttiva di eguagliare sesso e morte. Il collegamento tra sesso e morte ha messo queste organizzazioni in una situazione impossibile. Sarebbe per esse imbarazzante in maniera intollerabile ammettere così tardivamente di avere torto, e che l’AIDS non si trasmette per via sessuale. Una tale ammissione sarebbe certamente in grado di distruggere queste organizzazioni o come minimo di mettere in pericolo la loro credibilità futura. L’autoconservazione costringe queste istituzioni non solo a mantenere ma ad accrescere i loro errori, il che aumenta la paura, la sofferenza, l’infelicità - l’antitesi della loro ragione di essere.

Con l’AIDS, forse l’effetto più devastante di questa nuova antiscienza è nel campo degli esperimenti clinici. La maggior parte di farmaci che sono approvati dalla FDA devono completare tre fasi di esperimenti clinici sugli uomini – la fase I per la tossicità, la fase II per l’efficacia a breve termine, e la fase III, quella di più vitale importanza, per la misura in definitiva della loro patogenicità e mortalità (cioè, se i farmaci facciano bene veramente ai pazienti).

Nessuno dei tanto decantati inibitori della proteasi dell’HIV approvati dalla FDA ha ancora completato un esperimento clinico di fase III.

Allo scopo di soddisfare le richieste di licenze, comunque, due esperimenti clinici di fase III per inibitori di proteasi sono stati iniziati: uno studio su 1200 pazienti con base a Boston e uno di 3300 pazienti in Europa. (Con l’AZT, solo gli europei hanno fatto andare avanti l’esperimento abbastanza a lungo per vedere i veri risultati, nonostante le feroci proteste di attivisti e operatori sanitari. Alla fine, il cosiddetto studio Concorde (cfr. §2.4) ci ha dato la risposta sull’AZT – non solo questo farmaco non funzionava, ma c’era una mortalità del 25% più alta fra chi assumeva AZT rispetto a chi non l’assumeva (Seligmann et al. 1994)).

Ma gli studi sugli inibitori di proteasi furono tutti arrestati ben prima delle date previste per il loro completamento. Il 25 febbraio del 1997 un titolo in prima pagina del Boston Globe strombazzava: "Esperimento clinico sull’AIDS terminato; terapia con 3 farmaci vincente". L’articolo riportava che 63 dei 579 soggetti dell’esperimento di Boston che avevano ricevuto due farmaci erano morti o avevano sviluppato nuove malattie associate all’AIDS, mentre solo 33 dei 577 individui che avevano ricevuto il nuovo ‘cocktail’ a tre farmaci erano morti o si erano aggravati. Diceva pure che, ancora alla metà del gennaio dello stesso anno, una "sbirciata" ai risultati dei due regimi di somministrazione dei farmaci aveva fatto concludere che essi "non si erano ancora distanziati abbastanza da giustificare la cessazione dello studio".

Quando i trionfali risultati furono riferiti, Fauci annunciò drammaticamente che l’esperimento aveva fornito evidenza che trattamenti combinati che includessero inibitori di proteasi "possono ridurre il rischio di morte" da AIDS.

Non bisogna essere uno scienziato per seguire le difficoltà logiche qui presenti. Sembra estremamente inverosimile che tra la metà di gennaio e la metà di febbraio del 1997 i dati fossero cambiati abbastanza per far cessare la fase III dell’esperimento. Anche il responsabile dell’esperimento di Boston ammise che non c’erano differenze statistiche tra le morti nei due gruppi trattati. Quando lo studio fu concluso, c’erano stati 8 decessi fra quelli che assumevano i tre farmaci, a confronto con i 18 decessi tra quelli che ne assumevano due. Usare queste cifre per quello che dicono è come interrompere una partita di pallacanestro al primo tempo non appena la vostra squadra è in vantaggio e dichiarare vittoria. Come tutti sanno, il vantaggio può oscillare in un senso e nell’altro per tutta la partita. Lo stesso vale per gli esperimenti clinici.

In breve, non sappiamo se le terapie combinate servono a "ridurre il rischio di morte", perché non è stato provato. Allora come mai Fauci e i suoi alleati hanno bloccato l’esperimento di fase III prima che desse risultati statisticamente significativi?

Gli inibitori di proteasi furono salutati internazionalmente come farmaci miracolosi nel 1996, senza il beneficio della dimostrazione. Finché gli esperimenti di fase III erano in corso, presentavano una incertezza pericolosa. Un esperimento completato che avesse fornito un risultato insoddisfacente sarebbe stato difficile da liquidare. Nella prospettiva dell’establishment HIV/AIDS, la linea di condotta più sicura era di interrompere la partita, dichiarare la vittoria, e sperare che nessuno chiedesse spiegazioni.

La ricerca sull’AIDS è diventata in pratica una marionetta per le forze simbiotiche e titaniche dell’industria e del governo. Recentemente ero a un piccolo convegno, per pochi esperti, che aveva come tema specifico la "chemioterapia dell’AIDS", e 43 delle 100 persone presenti erano rappresentanti di ditte farmaceutiche che correvano ai telefoni dopo ogni sessione per comunicare i risultati. Nel corso di una sessione, chiesi a uno dei principali proponenti di terapie 'cocktail' come stavano i pazienti che le ricevevano. Egli disse che erano abbastanza in salute da lavorare. Allora chiesi se, nel corso della terapia, i 20 individui erano migliorati, erano rimasti come stavano prima, o erano peggiorati. Non rispose. Fu un momento imbarazzante per il pubblico. Allora chiesi: "I suoi pazienti avrebbero dovuto migliorare, giusto?". Di nuovo, rimase senza parole.

In maniera ancora più inquietante, uno dei relatori suggerì che "gli indicatori clinici sono morti" negli esperimenti di fase III. In altre parole egli crede che gli esperimenti clinici non useranno più patogenicità e mortalità come indicatori – non saranno più progettati per determinare se i farmaci funzionino effettivamente. La scusa per lasciar cadere gli esperimenti clinici di fase III è che sono non etici e troppo costosi; d’ora in poi dovremo assumere che i farmaci in corso di valutazione riducono patogenicità e mortalità prima che ciò sia stato effettivamente dimostrato.

Fino ad oggi, non c’è ancora alcun esperimento clinico che abbia dimostrato che gli inibitori di proteasi – o presi da soli, o presi in combinazione con altri farmaci antivirali – riducono la mortalità o migliorano la qualità della vita dei pazienti di AIDS.

4. La prescienza di Alexis de Tocqueville. Alexis de Tocqueville 170 anni fa aveva anticipato le basi politiche e sociologiche dell’abbaglio dell’AIDS. Invece di tentare di ripetere la sua magnifica impresa, citerò dal suo capolavoro, La democrazia in America. Questa è l’illuminante analisi di Tocqueville della tirannia del conformismo:

Non conosco paese in cui regni, in generale, meno indipendenza mentale e vera libertà di discussione che in America. […]

In America la maggioranza traccia una cerchio formidabile attorno al pensiero. Entro questi limiti, lo scrittore è libero; ma guai a lui se osa uscirne. Non che abbia da tenere un autodafé, ma va incontro a dispiaceri di ogni genere e a persecuzioni di ogni giorno. La carriera politica gli è chiusa: ha offeso la sola potenza che abbia la facoltà di aprirla. Gli si rifiuta tutto, finanche la gloria. Prima di pubblicare le sue opinioni, credeva di avere partigiani; gli sembra di non averne più, ora che si è scoperto a tutti: poiché quelli che lo biasimano si esprimono a voce alta, e quelli che la pensano come lui, senza avere il suo coraggio, tacciono e si allontanano. Egli cede, infine si piega sotto lo sforzo di ogni giorno, e rientra nel silenzio, come se provasse rimorso per aver detto la verità.

Catene e carnefici sono strumenti grossolani impiegati un tempo dalla tirannia; ma ai nostri giorni la civiltà ha perfezionato fino allo stesso dispotismo, che tuttavia sembrava non avere più nulla da imparare.

I prìncipi avevano per così dire materializzato la violenza; le repubbliche democratiche dei nostri giorni l’hanno resa tanto intellettuale quanto la volontà umana che vuole costringere. Sotto il governo assoluto di uno solo il dispotismo, per arrivare all’anima, colpiva grossolanamente il corpo; e l’anima, sfuggendo a questo corpo, si levava gloriosa al di sopra di esso; ma nelle repubbliche democratiche non è così che procede la tirannia: essa lascia il corpo e va diritta all’anima. Il padrone non dice più: ‘Penserai come me o morirai’; dice: ‘Sei libero di non pensare come me; la vita, i beni, tutto resta tuo; ma da oggi sei uno straniero fra noi. Conserverai i privilegi di cittadinanza, ma ti diventeranno inutili; poiché se cercherai di ottenere il voto dei tuoi concittadini, essi non te lo concederanno, e se non chiedi altro che la loro stima, essi fingeranno di rifiutartela. Resterai tra gli uomini, ma perderai i tuoi diritti di umanità. Quando ti avvicinerai ai tuoi simili essi ti fuggiranno come un essere impuro; e quelli che credono alla tua innocenza, anch’essi ti abbandoneranno, perché li si fuggirebbe a loro volta. Va’ in pace, ti lascio la vita, ma te la lascio peggiore della morte’. […]

Ma la potenza che domina negli Stati Uniti non tollera che la si metta in commedia. Il rimprovero più leggero la ferisce, la più piccola verità pungente la sgomenta; e bisogna lodare dalle forme del suo linguaggio fino alle sue più solide virtù. Nessuno scrittore, quale che sia la sua fama, può sfuggire a quest’obbligo di incensare i suoi concittadini. La maggioranza vive dunque in una perpetua adorazione di se stessa; non ci sono che gli stranieri o l’esperienza che possano far arrivare certe verità fino alle orecchie degli Americani. […]

È vero che i cortigiani, in America, non dicono ‘Sire’ e ‘Maestà’, grande e capitale differenza; ma parlano incessantemente dei lumi naturali del loro padrone; non mettono a concorso la questione di sapere qual è la virtù del principe che più merita che la si ammiri: poiché assicurano che possiede tutte le virtù senza averle acquisite e, per così dire, senza volerlo; non gli danno le loro mogli e figlie perché si degni di elevarle al rango di amanti; ma, sacrificandogli le loro opinioni, si prostituiscono essi stessi. […]

Due cose stupiscono, negli Stati Uniti: la grande mobilità della maggior parte delle azioni umane e la singolare fissità di certi princìpi. Gli uomini si agitano incessantemente, la mente umana sembra quasi immobile.

Quando un’opinione si è una volta estesa sul suolo americano e vi si è radicata, si direbbe che nessun potere sulla Terra è in grado di estirparla. Negli Stati Uniti, le dottrine generali in materia di religione, di filosofia, di morale e anche di politica, non variano, o almeno si modificano solo dopo un lavoro nascosto e spesso insensibile; anche i pregiudizi più grossolani si cancellano solo con una lentezza inconcepibile in mezzo a questi attriti mille volte ripetuti delle cose e degli uomini. […]

Ciò che mi ha colpito negli Stati Uniti, è la difficoltà che si incontra a disingannare la maggioranza da una idea da essa concepita e di staccarla da un uomo che essa adotta. Né scritti né discorsi ci possono veramente riuscire; solo l’esperienza ne viene a capo; e talvolta occorre pure che sia ripetuta.

Chiunque conosca il mio amico e collega Peter Duesberg, e che cosa ha sopportato e sofferto semplicemente per la sua perseveranza nell’esercitare non solo i suoi diritti costituzionali, ma anche i suoi diritti di essere umano, non può fare a meno di pensare a lui nel leggere le parole di Tocqueville.

Nei prossimi tre paragrafi plagerò spudoratamente Alexis de Tocqueville sostituendo ‘religione’ con ‘scienza’, ma spero di onorare, così facendo, il suo genio.

Finché una scienza trova la sua forza nei sentimenti, istinti, e passioni che si vedono ricorrere nella stessa maniera in ogni epoca della storia, essa sfida gli sforzi del tempo, e almeno può essere distrutta solo da qualcosa che le sia superiore. Ma quando la scienza è schiava di una particolare moda del pensiero o degli interessi di governo e industria, diventa quasi altrettanto fragile quanto tutti gli altri poteri terreni. Da sola, la scienza può sperare nell’immortalità; legata a poteri effimeri, essa segue la loro sorte, e spesso cade insieme alle passioni del giorno che li sostengono.

Nell’unirsi con i differenti poteri politici, la scienza può pertanto contrarre solo un’alleanza onerosa. Non ha bisogno della loro assistenza per vivere, e nel far loro da serva può morire. Quando i governi sembrano così forti e le leggi così stabili, gli uomini non percepiscono il pericolo che la scienza rischia nell’unirsi con il potere,

Nella misura in cui una nazione viene assumendo uno statuto sociale democratico, e le società si vedono tendere verso le repubbliche, diventa sempre più pericoloso per la scienza unirsi con l’autorità; perché si avvicina il tempo quando il potere passerà ad altre mani, quando le teorie politiche si succederanno, quando gli uomini, le leggi e le stesse costituzioni scompariranno o saranno modificate giorno per giorno – e ciò non per un breve periodo, ma costantemente.

Lo scomparso professore di Berkeley, Paul Feyerabend, è d’accordo con Tocqueville che

i tempi sono ormai più che maturi per aggiungere la separazione tra stato e scienza alla ormai consueta separazione tra stato e chiesa. La scienza è solo uno dei molti strumenti che la gente inventò per cavarsela nel suo ambiente. Non è il solo, non è infallibile, ed è diventata troppo potente, troppo invadente, e troppo pericolosa perché le si lasci fare quello che vuole. [Feyerabend 1993]

5. Conclusione. Scoperchiare il Watergate ora sembra una banalità, se lo si confronta con quello che ci vorrà per mettere sotto gli occhi di tutti i 16 anni di frode, incompetenza e flagrante menzogna che sono andate avanti dietro a un velo di gergo medico e scientifico, credenziali e giudizi di esperti.

Il presidente Clinton fece la sua parte nell’ispessire la nebbia protettiva che custodisce l’abbaglio dell’AIDS. L’estate scorsa [nel 2000] dichiarò che l’AIDS era un rischio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Quell’azione permise ad almeno tre altre istituzioni federali di svolgere un ruolo diretto nel mantenere e proteggere la finzione di una pandemia globale di AIDS. Queste istituzioni sono il Federal Bureau of Investigation (FBI), la Central Intelligence Agency (CIA) e la National Security Agency (NSA). Il coinvolgimento della FBI, CIA e NSA nella questione AIDS rappresenta una minaccia alle nostre libertà di gran lunga maggiore dell’HIV.

Per me la cosa più stupefacente in tutto questo è che la maggiore minaccia alle nostre democrazie è risultata essere costituita non da soldati camuffati marcianti a passo d’oca, ma piuttosto dalla paura cronica smerciata da scienziati in camice bianco, medici che scialacquano miliardi di dollari di contribuenti ogni anno, e i loro adulatori nei media.

In ultima analisi, l’abbaglio dell’AIDS non riguarda veramente l’AIDS, neppure la malattia e la salute, neppure la scienza e la medicina. L’abbaglio dell’AIDS riguarda la salute delle nostre democrazie. Penso che è estremamente inverosimile che l’abbaglio dell’AIDS potesse accadere o essere mantenuto in una democrazia sana, in cui il discorso e il dibattito continuo su tutte le questioni importanti è vigoroso e sano, in cui la critica fiorisce e i critici sono protetti come tesori nazionali.

Il solo modo in cui ci possiamo liberare dall’abbaglio dell’AIDS e mettere fine alla tirannia della paura è di avere un discorso e dibattito aperto a livello internazionale su tutti gli aspetti dell’AIDS. Dovremo escogitare qualche modo di farlo che crei il minimo imbarazzo, forse a imitazione della Commissione per la Verità del Sudafrica che fu instaurata per guarire le ferite causate dall’apartheid. L’ira sarà una risposta naturale quando si affronterà l’enormità dello scandalo dell’AIDS. L’ira ha il suo posto, ma dovrebbe presto essere messa da parte. È un errore concentrarsi sui mascalzoni e su chi punire. L’abbaglio dell’AIDS è un fenomeno sociologico in cui tutti abbiamo una certa misura di responsabilità.

L’abbaglio dell’AIDS mi ha insegnato che una democrazia sana richiede che i suoi cittadini mantengano un occhio scettico, anche sospettoso, sulle sue istituzioni, allo scopo di impedire loro di diventare i regimi autonomi e autoritari che sono adesso. L’abbaglio dell’AIDS mostra che dobbiamo ripensare e ristrutturare le nostre istituzioni di governo, scienza, sanità, accademia, giornalismo e media. Dobbiamo sostituire i National Institutes of Health come principali custodi del finanziamento della ricerca con numerose fonti di finanziamento in competizione. Dobbiamo ristrutturare il processo di revisione delle pubblicazioni scientifiche e finanziarlo in maniera tale che esso non promuova e protegga nessun particolare dogma o moda del pensiero o escluda idee rivali. Un giornalismo investigativo robusto e senza scrupoli deve essere fatto risorgere, ricompensato e protetto.

L’abbaglio dell’AIDS va fino al nucleo più intimo delle nostre democrazie. Se continuiamo a farci mettere i paraocchi dalle tecno-ciarle e dalle blaterazioni istituzionali, e ci lasciamo far manipolare da sentimentalismo a buon mercato e nastri rossi, allora la libertà e la democrazia ci sfuggiranno dalle mani.

Finalmente, come cittadini dobbiamo riprenderci l’autorità e la responsabilità per la nostra salute e benessere, e per quello delle nostre democrazie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

ABBOTT LABORATORIES DIAGNOSTICS DIVISION 1997: Human Immunodeficiency virus type 1 HIVAB HIV-1 EIA. Rep. 66-8805/R5, Abbott Laboratories, Abbott Park, IL

AIDS-ZENTRUM IM ROBERT KOCH INSTITUT 1997: "125. Bericht des AIDS-Zentrum im Robert Koch-Institut ueber aktuelle epidemiologische Daten", AIDS/HIV:

AL-BAYATY M. A. 1999: Get all the facts: HIV does not cause AIDS, Dixon (CA), Toxi-Health International, 183 pp.

ALTMAN L. 2001: "U.S. Panel seeks Changes in Treatment of AIDS Virus", New York Times, 16 pp., New York.

BREGMAN D.J., LANGMUIR A.D. 1990: "Farr’s law applied to AIDS projections", J. Am. Med. Assoc., vol. 263, pp. 50-7

CDC (Centers for Disease Control and Prevention) 1991: "HIV/AIDS Surveillance", HIV/AIDS Surveillance January

-- 1992: "1993 revised classification system for HIV infection and expanded surveillance case definition for AIDS among adolescents and adults", Morb. Mort. Weekly Rep 41(No. RR17): 1-19.

-- 1995: National HIV serosurveillance summary; update 1993, US Dept. HHS

-- 1997: "U.S. HIV and AIDS cases reported through December 1997" Year-end edition, 9: 1-43

CHANDRA R. K., in Immunodeficiency Disorders, a cura di R. K. Chandra, pp. 187-203.

COLEBUNDERS R., MANN J., FRANCIS H., BILA K., IZALEY L, et al. 1987: "Evaluation of a clinical case definition of Acquired Immunodeficiency Syndrome in Africa", Lancet i: 492-4

CRUZAN S. 1987: Food and Drug Administration News Release, P87-11, FDA, Washingon, DC

CURRAN J.W., MORGAN M.W., HARDY A.M., JAFFE H.W., DARROW W.W., DOWDLE W.R. 1985: "The epidemiology of AIDS: current status and future prospects", Science 229: 1352-7

DUESBERG P. H. 1992: "AIDS acquired by drug consumption and other noncontagious risk factors", Pharmacology & Therapeutics 55: 201-77

-- 1996: Inventing the AIDS Virus. Washington: Regnery Publishing Inc. 722 pp.

--, RASNICK D. 1998: "The AIDS dilemma: drug diseases blamed on a passenger virus", Genetica vol. 104, pp. 85-132.

FEYERABEND P. K. 1993: Against Method, New York, Verso.

FIALA C., LINGENS P.M. 1997: Leben wir gefaehrlich? Wien, Austria: F. Deuticke Verlagsgesellschaft.

FLEMING T.R. 1994: "Surrogate markers in AIDS and cancer trials", Statistics in Medicine, vol. 13, pp. 1423-35.

JOHNSON J. A. 2000: AIDS funding for federal government programs: FY1981-FY2001. Rep. RL30731, Congressional Research Service, The Library of Congress, Washington DC.

KATZ M., SCHWARCZ S., HSU L., PARISI M. K., CHU P. L., SCHEER S. 2000: Quarterly AIDS Surveillance Report.

KLINE M. W., VAN DYKE R. B., LINSEY J. C., GWYNNE M., CULNANE M. et al. 1998: "A randomized comparative trial of stavudine (d4T) versus zidovudine (ZDV, AZT) in children with immunodeficiency virus infection. AIDS clinical trials Group 240 team", Pediatrics, vol. 101, pp. 214-20.

--, DUNKLE L. M., CHURCH J. A., GOLDSMITH J. C., HARRIS A. T. et al. 1995: "A phase I/II evaluation of stavudine (d4T) in children with human immunodeficiency virus infection", Pediatrics, vol. 96, pp. 247-52.

KUHN L., ABRAMS E. J., WEEDON J., LAMBERT G., SCHOENBAUM E. E. et al. 2000: "Disease progression and early viral dynamics in human immunodeficiency virus-infected children exposed to zidovudine during prenatal and perinatal periods", The Journal of Infectious Diseases, vol. 182, pp. 104-11.

LEVY J. A. 1996: "Surrogate markers in AIDS research", Journal of the American Medical Association, vol. 276, pp. 161-2.

-- 1998: "Caution: should be treat HIV infection early?", The Lancet, vol. 352, pp. 982-3.

LEWIS L. L., VENZON D., CHURCH J., FARLEY M., WHEELER S. et al. 1996: "Lamivudine in children with human immunodeficiency virus infection: a phase I/II study. The National Cancer Institute Pediatrics Branch-Human Immunodeficiency Virus Working Group", J. Infect. Dis., vol. 174, pp. 16-25.

MANN J., CHIN J., PIOT P., QUINN T. 1988: "The international epidemiology of AIDS", Scientific American, pp. 82-9.

de MARTINO M. et al. 1999: "Rapid disease progression in HIV-1 perinatally infected children born to mothers receiving zidovudine monotherapy during pregnancy", AIDS, vol. 13, pp. 927-33.

McKINNEY R. E. Jr., MAHA M. A., CONNOR E. M., FEIBERG J., SCOTT G. B. et al. 1991: "A multicenter trial of oral zidovudine in children with advanced human immunodeficiency virus disease. The Protocol 043 Study Group", New England Journal of Medicine, vol. 324, pp. 1018-25.

MEDVEDEV Z. 1971: The rise and fall of T. D. Lysenko, Anchor.

MERSON M. H. 1993: "Slowing the spread of HIV: Agenada for the 1990s", Science, vol. 260, pp. 1266-8.

MOK J. Q., DE ROSSI A., ADES A. E., GIAQUINTO C., GROSCH-WOERNER I., PECKHAM C. S. 1987: "Infants born to mothers seropositive with immunodeficiency virus", Lancet, vol. 337, pp. 253-60.

OLIVERO O. A., SHEARER G. M., CHOUGNET C. A., KOVACS A. A. S., LANDAV A. L. et al. 1999: "Incorporation of zidovudine into leukocyte DNA from HIV-1 positive adults and pregnant women, and cord blood from infants exposed in utero", AIDS, vol. 13, pp. 919-25.

PALLANGYO K. J., MBAGA I. M., MUGUSI F., MBENA E., MHALU F. S. et al. 1987: "Clinical case definition of AIDS in African adults". Lancet, 2, p. 972,

PHILLIPS A. N., SMITH G. D. 1997: "Viral load and combination therapy for human immunodeficiency virus", The New England Journal of Medicine, vol. 336, pp. 958-9.

PIZZO P. A., EDDY J., FALLOON J., BALIS F. M., MURPHY R. F. et al. 1988: "Effect of continuous intravenous infusion of Zidovudine (AZT) in children with symptomatic HIV infection", N. Engl. J. Med., vol. 319, pp. 889-96.

ROOT-BERNSTEIN R. 1993: Rethinking AIDS: The tragic cost of premature consensus, New York, Free Press.

SANDE M. A., CARPENTER C.C., COBBS C. G., HOLEMS K. K., SANFORD J. D. 1993: "National Insteitute of Allergy and Infectious Diseases state-of-the-art Panel on Anti-retroviral therapy for HIV-infected patients", Journal of the American Medical Association, vol. 270, pp. 2583-9.

SOUSA R. S. de, GOMEZ-MARIN O., SCOTT G. B., GUASTI S., O’SULLIVAN M. J. et al. 2000: "Effects of prenatal zidovudine on disease progression in perinatally HIV-1 infected infants", J. Acquir. Immune Defic. Syndr., vol. 24, pp. 154-61.

STOLBERG S. G. 1997: "Despite new AIDS drugs, many still lose the battle", New York Times, pp. 1, A6.

TANAKA M. 1996: "Abrams cautions on use of new AIDS drugs", Synapse (University of Californai San Francisco), 41, pp. 1, 5.

TOCQUEVILLE A. de 1981: De la Démocratie en Amérique [1835-40], Parigi, Garnier-Flammarion.