La legge
413 del 1993 sull’obiezione di coscienza alla vivisezione
[Il testo della legge si può scaricare qui, nel formato preferito: html , pdf ]
Esiste una strada compatibile con l’attuale
ordinamento giuridico che porterebbe quasi sicuramente all’estinzione della vivisezione anche senza una sua abolizione formale. Questa strada è
stata tracciata quasi vent'anni fa. Ma non è mai stata percorsa fino in fondo.
Il suo fondamento è una legge che
permette agli studenti, ai ricercatori, ai tecnici di laboratorio pubblico o privato, di rifiutarsi di
praticare o collaborare ad esperimenti di vivisezione. La legge prevede
esplicitamente che chi si avvale di questa esenzione non possa «subire conseguenze
sfavorevoli».
Se ciò fosse abbastanza noto tra
gli studenti iscritti o che intendono iscriversi a una di quelle facoltà in cui
la vivisezione è di solito praticata (Medicina e Chirurgia; Scienze
Matematiche, Fisiche e Naturali; Farmacia; Agraria; e Medicina Veterinaria),
tutti o quasi tutti si avvarrebbero del diritto all’obiezione. Sarebbe
necessario, ovviamente, diffondere le idee e le informazioni alla base di tale
rifiuto, ma questo è un compito che le associazioni antivivisezioniste e animaliste
possono svolgere agevolmente, grazie a splendide opere come Imperatrice nuda, di Hans Ruesch, e Vivisezione o scienza, di Pietro Croce.
Anche i comuni cittadini possono
adoperarsi in tal senso, sia segnalando il presente sito e i materiali da esso
gratuitamente scaricabili, sia organizzando incontri, conferenze, presentazioni
di libri ecc. in sale comunali, aule universitarie, librerie ecc. sul tema
della sperimentazione animale come ostacolo per il progresso della medicina e
scuola di disumanizzazione per il ricercatore e il medico.
L’accoppiata vincente delle leggi 413/1993 e 116/1992
Ma il bello è che non occorre che
in una classe universitaria tutti si
oppongano. Basta uno solo. Anzi, a rigore, andrebbe bene anche nessuno. Perché, come abbiamo visto, se
ci fosse anche un solo studente a cui la vivisezione non va, il professore dovrebbe, in base alla legge, organizzare una didattica che non fa
ricorso ad esperimenti su animali. Ma siccome la legge assume che un tale
studente possa esserci, ne segue che
secondo la legge una tale didattica è sempre
possibile, cioè che la vivisezione non è mai necessaria, almeno al fine del superamento degli esami. Questa
non è una semplice deduzione logica, ma è quanto la legge stessa afferma:
All'interno dei corsi sono attivate, entro l'inizio dell'anno
accademico successivo alla data di entrata in vigore della presente legge,
modalità di insegnamento che non prevedano attività o interventi di
sperimentazione animale per il superamento dell'esame. [Art. 4, c. 3]
Come si vede, la legge richiede
che si attivino programmi senza sperimentazione animale prima dell’inizio dell’anno
accademico, e cioè prima ancora che ci possa essere una richiesta da parte di
qualche studente.
Ora, però, c’è un’altra legge, la
116 del 1992 – quella espressamente dedicata a regolamentare la sperimentazione
animale – la quale a questo punto interviene e dice: se nella didattica si può
fare a meno degli esperimenti su animali, allora se ne deve fare a meno:
3. In deroga all’art. 3, comma 1,
il Ministro della sanità autorizza gli esperimenti a semplice scopo didattico
soltanto in caso di inderogabile necessità e non sia possibile ricorrere ad
altri sistemi dimostrativi. [Art. 8, c. 3]
Evidentemente, se si possono
superare tutti gli esami senza fare esperimenti su animali (legge 413), allora
la didattica su animali in quel corso di laurea non è una necessità inderogabile, e quindi è automaticamente proibita (legge 116). In altre parole, la vivisezione a scopo
didattico è permessa solo se è indispensabile. E la 413/1993 dice che essa non lo è mai.
Di fatto questa connessione logica
tra le due leggi, e cioè il fatto che l’ordinamento italiano ha già abolito la vivisezione a scopo didattico, è sistematicamente ignorata. Di
questo non bisogna stupirsi, in quanto l’esistenza di una prescrizione
giuridica non è garanzia della sua osservanza: ne vedremo fra poco un altro
esempio. In pratica, almeno uno studente che chieda di avvalersi del diritto di
obiezione di coscienza ci vuole, in ogni corso, perché il dovere di erogare una
didattica senza vivisezione sia posto all’attenzione con la debita urgenza in
quel corso di laurea. E poiché i vivisettori sono tutto fuorché dei campioni di
legalità, per evitare che prendano sottogamba la legge è meglio che gli
studenti obiettori siano molti.
Si capisce che se nessuno vede mai
fare esperimenti su animali a lezione, è difficile che poi gliene venga voglia
dopo che si è laureato. Ma quello che conta di più, è che con tanta gente che si
fosse preparata con tecniche non vivisezioniste,
nessuno penserebbe più di usare una tecnica obsoleta e imbrogliona come la
vivisezione. Ci si vergognerebbe anche solo a parlarne.
La legge sull’obiezione di coscienza è rispettata?
Questo scenario si verificherebbe
ogni volta che la legge sull’obiezione di coscienza è effettivamente applicata.
Ma lo è? Per esempio, nella Guida 2005-2006 dell’Università di Napoli Federico
II l’unico riferimento alla legge 413 del 1993 si trova a pagina 67, ed è il
seguente:
-
Informativa LAV
La
legge 12.10.93 n° 413 sul diritto all’obiezione di coscienza alla
sperimentazione Animale all’art. 4, comma 3 prevede che “nelle Università gli
organi competenti devono rendere facoltativa la frequenza alle esercitazioni di
laboratorio in cui è prevista la sperimentazione animale. All’interno dei corsi
sono attivate, entro l’inizio dell’anno accademico successivo alla data di
entrata in vigore della presente legge, modalità di insegnamento che non
prevedono attività o, interventi di sperimentazione animale per il superamento
dell’esame. Le segreterie di facoltà assicurano la massima pubblicità del
diritto all’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale”.
Questa
noterella dice da sola parecchie cose. Innanzitutto è un estratto della legge,
e non la legge stessa; anzi, è solo un comma. La legge non è per niente lunga:
sono solo due pagine. Ma nell’“Informativa
LAV” manca una informazione fondamentale: e cioè che gli studenti devono dire
se vogliono avvalersi della legge per
ogni corso all’inizio del corso. Quindi se non lo fanno, magari perché si
rendono conto che possono farlo qualche settimana dopo l’inizio, il docente può
essere scusato se non mette in atto le «modalità di insegnamento» ecc. Ecco il
passo omesso:
Gli studenti universitari
dichiarano la propria obiezione di coscienza al docente del corso, nel cui
ambito si possono svolgere attività o interventi di sperimentazione animale, al
momento dell'inizio dello stesso. [Art. 3, c. 2]
Ma
poi c’è questo paradosso: la «massima pubblicizzazione» della legge, che come è
detto proprio nella citazione è affidata alle «segreterie di facoltà», è qui
affermata sotto il titolo «Informativa LAV». Ora la LAV è la “Lega Anti
Vivisezione”, e non è certo un organismo universitario: quindi che c’entra?
Sono le segreterie di facoltà,
appunto, che dovrebbero occuparsi di pubblicizzare adeguatamente la legge. (E
quanto ad eventuali terzi interessati a che sia rispettata una legge dello
Stato Italiano, questi possono essere «chiunque», come la stessa legge ricorda:
«È fatto obbligo [a] chiunque di osservarla e di
farla osservare come legge dello Stato» [corsivi aggiunti]).
Questo
è un punto che merita di essere sottolineato. Una delle regole generali della
giurisprudenza è che la legge non ammette ignoranza, mentre non è una regola
generale che si dia la «massima pubblicità» alle leggi. Se entriamo in un
supermercato, non troviamo cartelli che ci ricordano che la legge proibisce il
furto, e chi ruba non può scusarsi dicendo che non ha visto nessun cartello che
lo proibisse. Nel caso dell’obiezione di coscienza alla vivisezione, invece, il
legislatore ha previsto questo obbligo di «massima pubblicità».
Per
verificare se le Segreterie lo osservano, bisogna fare due cose, ambedue facili
e pochissimo dispendiose. Una è recarsi presso le segreterie di facoltà
rilevanti (Medicina e Chirurgia; Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali;
Farmacia; Agraria; e Medicina Veterinaria) e verificare se danno effettivamente
la «massima pubblicità» alla legge. Un’interpretazione ragionevole di questa
prescrizione è:
1. la legge è affissa;
2. il suo testo è
disponibile, su richiesta, agli sportelli;
3. è
disponibile anche il modulo per la richiesta dell’esenzione per quanto riguarda
i singoli corsi di lezioni dove si fa vivisezione («Le strutture stesse hanno inoltre l'obbligo di predisporre un
modulo per la dichiarazione di obiezione di coscienza alla sperimentazione
animale a norma della presente legge» [Art. 3, c. 5]).
In secondo luogo, bisognerebbe visitare i siti
Internet delle facoltà suddette, e controllare se testo della legge e moduli
sono presenti e scaricabili. Sottolineo che anche se così fosse, ciò non sarebbe
ancora soddisfacente in mancanza dei requisiti 1-3, perché non si può dare per
scontato che gli studenti abbiano a disposizione una connessione Internet.
D’altra parte questa seconda condizione è necessaria, perché sempre più
studenti si informano del regolamento del proprio corso di studi visitando il
sito internet della loro Facoltà.
Quando a Perugia questa verifica è stata fatta,
nel 2004, si è scoperto che per ben 11
anni la legge era stata disattesa. Ciò ha dato occasione a una denuncia per
il reato (penale!) di omissione di atti
d’ufficio, che è stata reiterata nel 2005, e che ha ottenuto un risultato
parziale ma significativo: attualmente le facoltà rilevanti a Perugia
presentano nei loro siti Internet il richiamo al testo completo della legge. Si noti che è solo a Perugia che questa
denuncia è stata mai fatta, e non in seguito a una campagna nazionale, ma per
un’iniziativa locale! Questo significa che c’è molto lavoro da fare, per
giunta rimanendo nella più stretta legalità, e che le associazioni onestamente
antivivisezioniste dovrebbero cominciare ad impegnarsi proprio a partire da
questo punto.
Conclusione
La legge sull’obiezione di coscienza alla
vivisezione non è l’abolizione della vivisezione, che è l’obiettivo da
raggiungere. È però un passo molto importante verso questo obiettivo, in quanto
fornisce uno strumento di emancipazione essenziale per ricercatori, tecnici
ecc., e ancor più per la creazione di una nuova generazione di ricercatori che negli
anni formativi non siano scesi a compromessi né con la scienza né con l’etica.
I vivisezionisti se ne sono resi conto subito, ed è per questo che l’hanno
boicottata, senza esitare a commettere continuativamente, per anni e anni, un
grave reato.
Valorizzare la legge 413/1993 secondo le linee
spiegate sopra è una forma di lotta antivivisezionista legale ed efficace. Che
si sia tardato tanto a capirlo, o a mettere in pratica ciò che si era capito, è
deplorevole, ma non è certo una ragione per prolungare il ritardo.
[ultima
revisione: 27 maggio 2012]