Marco Mamone Capria

 

A  che punto siamo nella lotta contro la vivisezione?

 Milano, 16 novembre 2007

 

Questo intervento è dedicato alla problematica che ha occupato l’ultimo terzo della vita di Hans Ruesch: la lotta contro la vivisezione. Naturalmente non intendo fare un riassunto di Imperatrice nuda, il gran libro che ha fatto risorgere in tutto il mondo un movimento che sonnecchiava o dormiva. Vorrei invece concentrarmi sulla questione politica che era sempre al centro delle preoccupazioni di Ruesch, e che rendeva la sua conversazione al riguardo così antipatica a chi si aspettava dalla sua veneranda età parole pacate e ottimistiche. In breve: a che punto siamo nella lotta contro la vivisezione?

 

La risposta di Ruesch è stata espressa nella forma più compiuta nel libro-intervista La medicina smascherata, apparso a mia cura nel 2005 per i tipi di Editori Riuniti. Ed è una risposta disillusa. Le cose vanno sempre peggio, il numero degli animali sacrificati in questa pratica crudele e ingannevole aumenta (nonostante i trucchi impiegati per nasconderlo), e le associazioni fanno poco o nulla di valido per contrastarla; anzi, alcune di esse – le più “importanti” – hanno annacquato gli ideali da cui avevano preso le mosse, preferendo occuparsi genericamente di “diritti degli animali” e cessando di riconoscere la specificità e gravità del problema vivisezione.

 

La presa di posizione di Ruesch avrebbe dovuto stimolare un dibattito nel mondo dell’animalismo, se non altro per l’autorevolezza del personaggio. Ma ciò non è avvenuto. In particolare né Ruesch né io abbiamo ricevuto alcun invito da parte delle principali associazioni a discutere il libro. Non solo. Quando il 15 marzo di quest’anno sono stato a Roma, presso la libreria Bibli, a Trastevere, per presentare la Medicina smascherata insieme a un altro volume di Editori Riuniti – e, sia detto per inciso, erano con me il presidente dell’Ordine Nazionale Biologi e due docenti universitari – ebbene, il pubblico era scarsissimo e non c’era nessuno delle associazioni suddette. Ovviamente si potrebbe pensare a un difetto organizzativo, o dell’editore o della libreria, anche se l’editore è molto noto e ha sede a Roma, e la libreria Bibli ha una sala conferenze ed è specializzata appunto in presentazioni di libri. Ma i conti non tornano neanche se si considerano le recensioni che il libro ha avuto: poche e poco approfondite. Uguale sorte è toccata alla Figlia dell’Imperatrice, del 2006, che si può considerare il testamento letterario di Ruesch.

 

A me queste esperienze hanno un po’ ricordato quelle che Ruesch aveva vissuto quando, con Imperatrice nuda ancora fresca di stampa, aveva dovuto constatare l’ostilità della principale associazione antivivisezionista italiana del tempo, la UAI. Il minimo che se ne può concludere è che nemmeno oggi il discorso di Ruesch riesce a farsi strada agevolmente, neanche come termine di confronto critico, nell’associazionismo animalista.

 

Questo fatto è preoccupante. Il contributo di Hans Ruesch è stato così importante, e il suo impegno così intenso, prolungato e sincero, che un movimento che cessa di dialogare con una figura del genere è un movimento che ha perduto sé stesso. Purtroppo i fatti confermano questo giudizio. Parlerò di due episodi che secondo me mettono bene in evidenza l’attuale clima rinunciatario e pavido che avvolge buona parte del movimento animalista.

 

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Il 22 ottobre del 2004 si è verificato un evento storico per l’antivivisezionismo militante: la sola vera trasmissione di inchiesta che abbiamo avuto in Italia negli ultimi dieci anni, Report di Milena Gabanelli, ha dedicato in prima serata, sul terzo canale della RAI, una lunga puntata alla vivisezione. Nonostante esistano altri filmati, dal lontano Hidden Crimes di Javier Burgos all’ultimo Bad Medicine della BAVA, uscito proprio quest’anno, che illustrano in maniera chiara e convincente la posizione antivivisezionista, la puntata “Uomini e topi” di Report (tuttora accessibile su internet, sia come video che in trascrizione) rimarrà probabilmente insuperata per la sua capacità di offrire agli spettatori un quadro realistico del dibattito tra avversari e sostenitori della vivisezione. In tale dibattito questi ultimi appaiono, in varia misura, per quello che sono: confusionari, falsari, ipocriti, cinici. E ridicoli: sembra impossibile far ridere su un tema così rivoltante come la vivisezione, ma gli abilissimi inviati di Report, in certi momenti, ci sono riusciti. Non voglio farmi sfuggire l’occasione di rivelare un fatto poco noto: fu l’incontro tra Beppe Grillo e Hans Ruesch, combinato da una mia ex studentessa che collaborò per qualche settimana con Ruesch a Lugano, che indusse Grillo a suggerire il tema a Milena Gabanelli, e indusse questa valente giornalista a far visita a Ruesch e poi a mettersi in contatto con me per discutere del progetto preliminare della puntata. Di quell’incontro Grillo si ricorderà quando  nel messaggio “La vivisezione è inutile”, del 31 gennaio 2006, scriverà:

 

Ho incontrato a Lugano Hans Ruesch, un novantenne giovanissimo, fondatore del movimento antivivisezionista e autore del libro: “Imperatrice Nuda”. Lo saluto con affetto dal blog.

 

Ora, la ragione per cui sto citando la puntata di Report – di cui consiglio vivamente la visione a tutti coloro che vogliono capire chi sono e come agiscono i nostri avversari – è che in essa, tra le altre cose, vengono presentate le prove di reati commessi da alcuni vivisettori: reati ai sensi della normativa attualmente in vigore, cioè del D.Lgs 116 del 1992. I casi più sfacciati sono quelli del professor Aurelio Picciocchi, e del dottor Rodolfo Lorenzini. Picciocchi all’ospedale Gemelli di Roma faceva esperimenti didattici su maiali anche se li avrebbe potuti benissimo evitare, come dimostrato dalla testimonianza che altrove c’erano docenti che nella didattica chirurgica usavano sistemi inanimati al posto di animali vivi. Lorenzini, responsabile dello stabulario dell’Istituto Superiore di Sanità, arrivava a far finta, sotto la cinepresa, di non riuscire a leggere frasi da lui stesso scritte su casi di automutilazione verificatisi tra le scimmie dell’Istituto, e a proposito delle condizioni in cui queste erano tenute veniva smentito da due veterinari dell’ISS, uno dei quali affermava a chiare lettere: «Gli animali vengono tenuti in gabbie non adeguate alle dimensioni degli animali stessi».

 

Ora, che cosa avrebbero dovuto fare le associazioni animaliste di fronte a queste documentate accuse? La risposta è ovvia: avrebbero dovuto denunciare o almeno presentare un esposto contro i suddetti signori, e dare la massima pubblicità all’iniziativa. Non ci sarebbe stato da faticare, visto che, come ho detto, le evidenze erano servite su un piatto d’argento e in maniera inconfutabile dalla puntata di Report.

 

Ebbene: sono state fatte queste denunce o esposti? No. E non certo perché non ci siano state sollecitazioni in tal senso. La LAV – Lega Anti Vivisezione – non mosse un dito, benché, come so per conoscenza diretta, ci fossero testimoni pronti a sostenerla nella sua eventuale azione. Un’altra associazione romana, certo non potente come la LAV, a cui avevo consigliato io stesso all’indomani della trasmissione di denunciare immediatamente Picciocchi, mi rispose, testualmente: “E perché non lo fai tu?”. In breve, negli anni successivi Report non ha mai potuto dedicare alla puntata “Uomini e topi” un numero della sua rubrica “Com’è andata a finire”. In effetti non è “finita” in alcun modo. Con grande delusione dei redattori che avevano lavorato alla puntata, l’ampia documentazione fornita non ha provocato a livello di associazioni nessuna denuncia, o protesta di intensità e durata adeguate, contro le persone e i comportamenti descritti.

 

Alcune associazioni animaliste dichiarano nei loro siti che, pur di «salvare animali» (frase magica che può significare tutto e niente), sono pronte a usare «ogni mezzo necessario» (altra frase magica dello stesso tipo). Altre sono più moderate, ma hanno avvocati di fiducia, se non uffici legali, la cui funzione dovrebbe essere appunto di dar seguito alle segnalazioni di abusi. Quando però si vede, come nel caso di Report, che tutte queste associazioni evitano accuratamente di vigilare e battersi in forme efficaci per la corretta applicazione delle normative vigenti, allora ci si rende conto dell’enorme divario esistente tra la retorica e la prassi dell’animalismo. E anche del fatto che la presentazione di nuove proposte di legge può facilmente ridursi a una delle forme di questa retorica.

 

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Il mio secondo episodio è un’illustrazione proprio di quest’ultimo punto. Il 24 gennaio scorso a Montecitorio è stata presentata presso la Sala stampa la proposta di legge 2157 del deputato Benedetto della Vedova, la quale altro non è se non la proposta 5442 precedentemente presentata dal senatore Giulio Schmidt il 23 novembre 2004 – un mese dopo la puntata di Report... Non è irrilevante notare che sia Schmidt che della Vedova appartengono a Forza Italia, il che rende altamente improbabile, da parte loro, una presa di posizione contraria agli interessi dell’establishment industriale. Ora, in un resoconto pubblicato su un sito vicino a della Vedova si legge che quel giorno, al fianco del deputato, c’erano Aldo Badiani, della Società Italiana di Tossicologia, Sergio Dompé, Presidente di Farmindustria e... Gianluca Felicetti, Presidente della LAV. Ora, siamo seri: vi sembra anche remotamente possibile che questa alleanza sia nata perché la LAV ha convertito all’animalismo la Società Italiana di Tossicologia e Farmindustria?

 

Quanto a della Vedova, una buona idea del suo punto di vista è data dai suoi interventi a favore degli OGM, gli organismi geneticamente modificati. Ultimo, il comunicato da lui emesso il 24 ottobre scorso, in cui della Vedova inveisce contro ciò che definisce l’«uso terroristico del principio di precauzione» e contro chi starebbe «continuando ad alimentare paure irrazionali e predicando irresponsabilmente il proibizionismo scientifico». Dati questi presupposti, c’è da meravigliarsi se uno dei punti qualificanti della 2157 è che essa «all’articolo 6 individua in maniera dettagliata i criteri con cui devono essere generati, utilizzati e allevati animali geneticamente modificati»?

 

Ma esaminiamo altri aspetti della proposta di legge. Nel discorso introduttivo Schmidt diceva, nel 2004:

 

Sebbene, nella prima fase dei lavori, non siano mancati aspri confronti [...], abbiamo preso atto che non è possibile, allo stato attuale, prescindere da un contesto mondiale, nel quale l’utilizzo degli animali a scopo di ricerca non è considerato una « eccezione » ma una « regola», in molti casi obbligatoriamente richiesta da normative internazionali per lo studio e per la commercializzazione di qualsiasi prodotto, farmaceutico e non, destinato all’uso umano e animale.

 

Secondo voi, una legge che premette l’impossibilità di fare a meno della vivisezione in nome di un «contesto mondiale» non ulteriormente analizzato, è proprio ciò che dovrebbe sottoscrivere un’associazione che si autodefinisce “Lega Anti Vivisezione”? Come se non bastasse, ecco Schmidt chiarire che non è stato insensibile al grido di dolore dei vivisettori i quali, poveretti, si trovano a dover aspettare tempi troppo lunghi prima di ottenere l’autorizzazione:

 

I tempi per la concessione delle autorizzazioni sono molto elevati aggirandosi dai tre mesi fino a un anno e mezzo e creando problemi agli stessi ricercatori. La proposta di legge, al fine di rispondere alle richieste di maggiore certezza e trasparenza, prescrive che tutti i progetti che utilizzano animali devono essere preventivamente autorizzati.

 

Fin qui sembrerebbe che le cose vadano un po’ meglio: tutti i progetti devono essere preventivamente autorizzati. Ma la motivazione di questa regola (evitare ai ricercatori tempi di attesa troppo lunghi) ci prepara alla doccia fredda che viene immediatamente dopo:

 

Sono previsti due filtri, due livelli di valutazione. Il primo è rappresentato dal Comitato locale per la cura e l’utilizzo degli animali, che deve esprimere il suo parere motivato sul progetto (articolo 13). Il secondo dal Ministero della salute che con decreto dirigenziale autorizza la ricerca entro trenta giorni dalla data di richiesta di autorizzazione, entro sessanta giorni per i progetti che utilizzano cani, gatti, primati non umani, animali geneticamente modificati e progetti che non prevedono l’uso dell’anestesia. Per rendere certi i tempi non solo sulla carta è stato previsto il regime del silenzio-assenso.

 

Ora, richiedere l’autorizzazione preventiva per tutti i progetti, e stabilire allo stesso tempo che se tarda più di 30 o, rispettivamente, 60 giorni allora la si intende tacitamente concessa, sarebbe stato forse ragionevole se la media dei tempi di autorizzazione con la legge attuale fosse, diciamo, intorno alle due settimane: ma non certo se si ammette che questi tempi vanno, in media, «dai tre mesi fino a un anno e mezzo»! E si noti il non trascurabile dettaglio che, finora, la stragrande maggioranza degli esperimenti non necessitava di autorizzazione (ma solo di comunicazione). Il sovraccarico di lavoro del Ministero della salute che risulterebbe dalla pdl 2157 sarebbe tale che, in pratica, tutti i progetti finirebbero con l’essere tacitamente autorizzati.

 

A voler essere benevoli, bisognerebbe credere che i sostenitori di questa pdl si aspettino grandi cose dall’operato dei Comitati locali. Avendo fatto parte del Comitato Etico della mia università per sei anni so per esperienza, e ho già avuto modo di dichiararlo in diversi contesti pubblici, che è molto, molto improbabile che Comitati analoghi possano mai svolgere un’azione incisiva, dati i legami di colleganza tra chi giudica e chi è giudicato.  Quando avanzai questa obiezione al tavolo di lavoro di Schmidt, alcuni vivisezionisti replicarono che tra colleghi ci si fanno spesso dispetti, e che quindi non era sicuro che tutti i progetti sarebbero stati sempre approvati... Considerata l’abitudine dei vivisezionisti di appigliarsi a qualsiasi sofisma, questa risposta non mi stupì. Ma mi sembra francamente incredibile che chi sostiene di voler «salvare animali» «con ogni mezzo necessario» riponga poi queste grandi speranze sulle rivalità tra docenti universitari o altre categorie di ricercatori.

 

Non entro in ulteriori dettagli, ma basta questo per concludere che la trasformazione in legge di una tale proposta sarebbe la pietra tombale sul movimento antivivisezionista in Italia. E, dati i precedenti, si può star certi che anche sugli aspetti moderatamente progressivi della legge sarebbero i vivisettori ad avere sempre e comunque l’ultima parola.

 

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È un peccato che Hans Ruesch non sia vissuto abbastanza per sapere che il 3 ottobre scorso è stata approvata, sia pure in un piccolissimo stato, San Marino, la prima legge realmente abolizionista in materia di vivisezione. S’intitola: “Disposizioni sul divieto di sperimentazione animale nella Repubblica di San Marino”. La sua premessa dichiara che «La validità scientifica della sperimentazione animale è argomento controverso e sono sempre di più gli scienziati che si oppongono a questa pratica e preferiscono i metodi scientifici senza animali per i test di tossicità e gli studi in vitro, gli studi clinici ed epidemiologici per la ricerca di base e sulle malattie umane; [...]». Per inciso, era questa, quasi alla lettera, la dichiarazione che avevo ripetutamente chiesto a Schmidt di inserire nella sua proposta di legge, e che Schmidt si era ostinatamente rifiutato di inserire. L’articolo 2 della legge sammarinese recita come segue:

 

1. In tutto il territorio della Repubblica di San Marino è vietato l’utilizzo di animali a fini

scientifici o tecnologici.

2. È inoltre vietato l’allevamento di animali diretto all’utilizzo e al commercio degli stessi a fini scientifici o tecnologici.

 

Ora, i vivisezionisti affermano che se il nostro paese approvasse una legge siffatta verrebbe “tagliato fuori” dal progresso medico. La verità è esattamente il contrario, in quanto le enormi somme attualmente destinate a finanziare la vivisezione andrebbero a vantaggio di una medicina che cercasse rimedi realmente efficaci, piuttosto che alibi per i suoi innumerevoli ma lucrosi fallimenti. Da una medicina senza vivisezione, soprattutto, vorremmo che promuovesse seriamente la prevenzione delle malattie: intendendo con ciò la prevenzione primaria, non la diagnosi precoce con cui oggi molti hanno interesse a confonderla. Era per questa medicina che si batteva Hans Ruesch, e tale rimane l’obiettivo di un movimento antivivisezionista che non inganni sé stesso o rinneghi, di fatto se non a parole, i propri ideali.