Hans Ruesch e l'antivivisezionismo scientifico - Marco Mamone Capria (1).



Quando nel gennaio dei 1976 venne pubblicato Imperatrice nuda, con il sottotitolo "La scienza medica attuale sotto accusa", il suo autore, lo scrittore di narrativa svizzero Hans Ruesch, aveva alle spalle una carriera molto varia e di successo. Il libro costituiva una novità nella sua produzione, in quanto era un saggio storico scientifico, che per giunta si occupava di uno dei fenomeni sommersi più importanti della nostra epoca: la vivisezione, intesa come la sperimentazione su animali vivi di agenti chimico fisici, farmaci e procedure terapeutiche in vista dell'applicazione dei risultati all'uomo. In questa pratica Ruesch individuava non solo un motivo di indignazione morale, ma anche, e principalmente, un errore metodologico che minava alla base il presunto sapere medico contemporaneo, facendone un pericolo permanente per la salute pubblica. Così egli sintetizzava la sua posizione, replicando alla giustificazione tradizionale, fondata sulla presunta grandissima utilità della vivisezione per il miglioramento delle condizioni sanitarie dell'umanità:

A prescindere dalla considerazione che l'umanità, quella vera, quella di Leonardo e Goethe, di Voltaire e Victor Hugo e Schweitzer, ha sempre vibratamente proclamato di non voler affatto progredire sulle sofferenze degli animali, è ormai ampiamente dimostrato – e la documentazione in materia è schiacciante – che la vivisezione è una pratica non solo disumana e quindi disumanizzante, ma una continua fonte di errori, che hanno causato gravi danni alla scienza e all'uomo e sono destinati a causame molti altri ancora, annullando largamente qualsiasi ipotetico vantaggio; e nel migliore dei casi, essa porta a risultati ampiamente scontati, dunque è inutile. Difatti la storia della medicina dimostra chiaramente che tutte le conoscenze che abbiamo in medicina provengono dall'esperienza e dal l'osservazione clinica, e non dal campo sperimentale.”

Ma come mai, nonostante la serie di fallimenti, alcuni di proporzioni disastrose, che l'hanno accompagnata in tutta la sua storia, la vivisezione non è stata ancora abolita? La ragione fondamentale   spiega Ruesch   è che finché si riterrà legalmente valida la sperimentazione sugli animali ai fini dell'estrapolazione dei risultati sull'uomo, l'industria farmaceutica si troverà dotata (come finora è accaduto) di un'insostituibile corsia d'accelerazione per la commercializzazione dei suoi prodotti. 'Insostituibile' perché la vivisezione dà per lo più responsi ambigui e quindi suscettibili di essere interpretati nella direzione che si vuole, al contrario di quanto succederebbe con metodi di valutazione realmente scientifici. Si noti che le normative attuali prevedono che sia proprio l'industria farmaceutica a dover eseguire le prove di tossicità e di efficacia dei farmaci, e a doverle documentare agli organismi sanitari al momento della domanda di approvazione. Se poi si considera che, come ha dichiarato recentemente un importante funzionario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, “Le multinazionali dei farmaco sono la maggiore forza politica ed economica nelle nostre società” è facile intuire quali siano le conseguenze di tutto ciò per i cittadini.

Coerentemente, Ruesch si è sempre opposto alla tendenza a ridurre la questione della sperimentazione animale all'etica, vuoi quella utilitaristica, vuoi quella dei diritti degli animali (anche se egli ha quasi sempre sottolineato anche il risvolto etico).

In effetti, a parte il gergo, i concetti base del dibattito oggi in corso tra i filosofi morali non sono nuovi. La corrente 'idealistica' che rifiuta di entrare nel merito della validità scientifica della vivisezione ha già operato a lungo all'interno delle società animaliste. E i risultati si sono visti in oltre un secolo: pochi e di scarso peso. Ciò era prevedibile, perché, per dirla con Ruesch,

Di fatto borbottare cose come "Rispetto per la vita" non ha migliori possibilità di successo contro l'urlo retorico "La scelta è tra vostro figlio e un cane" di quante ne abbia un topo in un laboratorio.”

Questo costituisce, in sostanza, una critica definitiva sotto il profilo politico di posizioni come quella di Peter Singer (Animal Liberation, 1975) e Tom Regan (The Case for Animal Rights, 1983) i quali, pur divisi da differenze teoriche non irrilevanti, sono però uniti nella convinzione che sia l'etica la chiave di volta del problema.

Nel caso di Singer il presupposto è che la vivisezione possa essere “forse" (una parola ricorrente nei suoi pronunciamenti al riguardo) di grande utilità; l'unica sua differenza rispetto ad alcuni dei più espliciti sostenitori della vivisezione è l'insistenza sull'obbligo etico di contare anche gli animali nel calcolo dell'utilità. In realtà, un vero utilitarista dovrebbe fare ogni sforzo per accertarsi di quale sia la probabilità effettiva che il metodo vivisezionista arrechi benefici consistenti agli uomini e agli altri animali. A tal fine, egli dovrebbe entrare in maniera approfondita nel merito storico e scientifico della ricerca medica. Questo, però, Singer si è sempre rifiutato di farlo, nonostante le provocazioni di Ruesch, secondo il quale, appunto, l'esito di una tale indagine è totalmente avverso alla vivisezione. Ne risulta il carattere immaginario e indeterminato dei 'calcoli' utilitaristici di Singer, e il loro dipendere dal peso che si è disposti ad assegnare ai più improbabili 'forse’. E’ insomma chiaro che la sua posizione lascia tutto com'è, pur permettendo di spargere sensibilità 'animalista' sulle decisioni dei vivisettori. Questo spiega l'ottima accoglienza che l’animalismo “singeriano” ha ricevuto da parte dei mezzi di informazione allineati all'ideologia dominante.

Regan invece non è disposto a questo tipo di compromessi, e sottolinea con forza che gli animali  - o almeno quelli abbastanza in alto nella scala evolutiva e in quella del proprio sviluppo individuale  - hanno diritti che non si possono violare per scopi utilitaristici (ma si possono violare quando il rispettarli entra in conflitto con altri princìpi morali). Da un punto di vista politico ciò suona ironico nel mondo d'oggi. È da poco che i media sono riusciti a far accettare all'opinione pubblica 'occidentale' la legittimità di bombardare per mesi i civili di un paese povero e disagiato come l'Afghanistan. La motivazione ufficiale era che così si sarebbe forse riusciti a colpire la dirigenza di un certo gruppo terroristico. [La situazione si è successivamente deteriorata con la “guerra preventiva” contro l’Iraq, un crimine contro l’umanità e il diritto internazionale, che i governi degli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna non si sono peritati di “giustificare” mediante “prove” fabbricate. (NdA)]. Di fronte a questo palese disprezzo dei diritti umani è facile immaginarsi quale peso possano avere le esortazioni ai governi basate sul richiamo ai diritti animali – per non dire dell'obbligo etico di contare anche gli animali nel bilancio delle sofferenze, come auspicato da Singer. Non risulta, del resto, che quest'ultimo abbia mai preso pubblicamente posizione contro una delle tante guerre che nell'ultimo decennio hanno devastato e avvelenato la Terra, e così provocato enormi sofferenze agli animali.

Se la critica 'etica' della vivisezione nella forma di Singer e Regan ha pochissime possibilità di successo (se pure ne ha), è d'altra parte improbabile che il mondo della ricerca privata o pubblica sia disposto ad accettare una critica scientifica ed epistemologica che mina le basi della sua attività quotidiana. Anche in termini di atteggiamento culturale della comunità scientifica, il clima attuale è poco favorevole all'apertura di un dibattito serio su questioni di fondo. Ruesch ha colto bene questo aspetto quando ha parlato di

scientismo, cioè di quella degenerazione della scienza che ha trasformato ciò che un tempo s'intendeva per scienza nel suo opposto: in una religione, un dogma, che sarebbe eresia mettere in dubbio o contestare; che va accettata come si accetta, per l'appunto, una religione, ciecamente, senza discutere e soprattutto senza riflettere”.

Anche su questo fronte bisogna quindi aspettarsi il continuare di una fortissima resistenza, almeno finché la si potrà esercitare senza suscitare il pubblico scandalo. [Oggi (2006) direi le cose sono un po’ cambiate in positivo, data l’emergenza creata dalla direttiva REACH dell’Unione Europea. Ovviamente in questo periodo la vigilanza deve essere massima perché vivisezionisti e industria chimico-farmaceutica non arrivino a un compromesso che non potrà che danneggiare tutti gli altri – animali e uomini. (NdA)]

La strada più sicura, sebbene anch'essa in salita, non può quindi che essere quella della mobilitazione di massa, perché la vivisezione non è solo affare di scienziati e animalisti, ma ha pesantissime ricadute sulla vita di tutti. Ruesch ha dato indicazioni importanti anche sotto questo profilo. In particolare spetta alle associazioni animaliste e di difesa dell'ambiente sforzarsi di ispirarsi al suo insegnamento ed esempio. La ricerca di obiettivi locali e limitati è certo essenziale a tener viva la fedeltà degli attivisti, ma indugiarvi troppo contribuisce a lasciare intatte le vere responsabilità del dissesto ambientale e sanitario, e quindi tradisce, in ultima analisi, le finalità delle associazioni stesse. [Per una esposizione in prima persona dell’intensa attività antivivisezionista di Hans Ruesch, e altre informazioni collegate, rinvio al libro-intervista a mia cura: H. Ruesch, La medicina smascherata, Roma, Editori Riuniti 2005. Per un’esposizione più tecnica dell’argomentazione antivivisezionistica scientifica rinvio al mio articolo: “Pseudoscienza nella scienza biomedica contemporanea: il caso della vivisezione”, apparso su Biologi italiani nel giugno 2003, e disponibile nello stesso formato sul sito: www.dipmat.unipg.it/~mamone/pubb .(NdA)]



(1) Dipartimento di Matematica, Università di Perugia, Italia. Sintesi della relazione al convegno “I diritti degli animali", Perugia 23 marzo 2002; inserzioni tra parentesi quadre: 12 maggio 2006.